29 novembre 2022

Report – il ritorno del carbone e il superbonus edilizio

Da oggi chi vuole chiedere il superbonus, non può più farlo: chi ci ha guadagnato fino ad oggi?

La storia del Petrolchimico di Priolo che rischia di lasciare per strada migliaia di lavoratori e creare problemi di approvvigionamento energetico al paese.
Il primo servizio è invece dedicato alla nuova primavera del carbone.

RITORNO AL CARBONE di Luca Chianca

Il servizio sul carbone è partito dal villaggio di Lutzerath, vicino alla più grande miniera di carbone in Europa che ha quasi inghiottito il paese confinante, dove vive ancora per poco l’ultimo agricoltore. Poco lontano la miniera di Embach che ha inghiottito 50 villaggi. Il governo federale e la RWE hanno deciso di allargare queste miniere di carbone, la risorsa fossile più inquinante al mondo che si stima sia responsabile di 7200 morti premature.

Ma non è solo la Germania ad aver puntato al carbone, anche l’Italia in questo periodo di emergenza che non durerà poco, ha puntato al carbone: ma dietro questa scelta energetica e politica ci sono le banche italiane come Unicredit e Intesa San Paolo.

La RWE è il secondo produttore di elettricità in Germania: oltre a possedere le due miniere a cielo aperto è proprietaria di due delle centrali a carbone più inquinanti d’Europa, quella di Neurath che rilascia 18,7 ml di tonnellate di anidride carbonica e quella di Niederhausen con 11,9 ml di tonnellate. Stupisce che la Germania, la locomotiva d’Europa, sia così in ritardo sulla transizione ecologica: Luca Chianca ha intervistato Hans Josef Dederichs, esponente dei verdi nel consiglio comunale di Erkelenz che spiega “fino al 2005 la Germania era la pioniera delle energie rinnovabili ma poi è arrivato il governo di Angela Merkel che ha fermato tutto per 16 anni. Perché produrre energia elettrica dal carbone costava meno. Ed è per questo che la nostra industria e le nostre famiglie dipendono ancora molto dal carbone”.

Intorno alla miniera ci sono le pale eoliche che però sono ferme, sempre a causa della miniera: in Germania si sta puntando al carbone, estendendo le miniere che forse un giorno saranno riempite con acqua, presa dal Reno. Un progetto faraonico che ha tempi lunghi, almeno di 40 50 anni.
Il carbone ha un impatto sulla salute, racconta il dottor Doring: ogni anno in Germania muoiono circa 2000 persone per le emissioni, nascono sempre più bambini prematuri a causa di questo inquinamento. Ma nonostante questo circa il 30% dell’energia della RWE arriva dal carbone e gli accordi col governo consentiranno loro di andare avanti così.
A favore del mantenimento delle centrali a carbone ci sono anche esponenti del partito di estrema destra tedesca, come Christian Loose, deputato dell’AFD nel land della Renania: le centrali elettriche servono a dare stabilità energetica in questo momento. Il deputato è anche contrario alla chiusura della miniera a cielo aperto perché così si perde molta energia. Ma queste in Renania sono le centrali tra le più inquinanti in Europa: “se chiudiamo queste centrali in Germania non aiuteremo l’umanità” - risponde il deputato – “perché abbiamo un tasso di efficienza davvero buono rispetto a quelle polacche o quelle di altri paesi che inquinano molto di più.”
Il tema ambientale non è sentito, in Germania dall’estrema destra che usa la scusa delle maggiori emissioni della Cina: inquinatori a casa nostra.

Questa politica energetica di RWE è sostenuta dalle banche italiane, Banca Intesa e Unicredit: Intesa ha aumentato gli investimenti nel carbone del 70%, ha fatto sottoscrizioni per questi investimenti.
Con la guerra in Ucraina abbiamo smesso di comprare il gas dalla Russia: per diversificare le fonti energetiche il governo Draghi ha prolungato la vita delle centrali a carbone e alzato i limiti delle emissioni. In questo modo le centrali a carbone stanno facendo guadagni importanti, perché bruciare carbone costa meno di bruciare il gas.
La centrale più importante in Italia è quella sul Tirreno a Civitavecchia: anche in Italia vicino alle centrali questi inquinanti, arsenico, piombo, mercurio, hanno un impatto sui bambini, racconta il pediatra Ghirga.
Il sindaco di Civitavecchia monitora i dati dell’Asl, che riportano malattie respiratorie sulle persone e tutto questo ha un costo per la nostra sanità.
RWE scrive che il carbone non è il loro core business, ma sul carbone stanno facendo profitti e investimenti.
Dal 2016, da quando sono stati siglati gli accordi di Parigi, le banche hanno investito sul carbone 4600 miliardi di dollari: Banca Intesa, secondo la Ong Re Common starebbe investendo anche nella nuova centrale di Tusla a carbone.

IL BONUS, IL BRUTTO E IL CATTIVO di Luca Bertazzoni

Chi ci ha perso e chi ci ha guadagnato col superbonus?
Luca Bertazzoni è andato dalle persone che avevano aderito, dalle imprese che avevano iniziato i lavori. E che sono rimasti fermi perché i crediti
oggi non sono più acquistati dalle banche.
Ci sono cantieri fermi, quelli mostrati da un imprenditore edile a Report: non potendo riscuotere i crediti per il superbonus ha dovuto fermare i lavori, lavori fatti anticipando i soldi che poi sarebbero dovuti arrivare dallo stato.
A Roma le imprese del settore edile sono andate a protestare contro le scelte del governo Draghi: accusano il governo di averli fatti indebitare, per iniziare i lavori, per poi cambiare idea nel corso degli ultimi anni quando ci sono state molte modifiche, almeno 28.
Colpa delle frodi e dei controlli fatte dall’agenzia delle entrate, stimate in 6 miliardi di euro: Draghi ha dato la colpa ai meccanismi di cessione del crediti.

Ora tocca al governo Meloni risolvere il problema del bonus: da oggi chi vuole ristrutturare casa (migliorando l’impatto energetico) non potrà più farlo gratis, solo chi deve terminare i lavori entro l’anno potrà usare il superbonus. L’anno prossimo solo bonus al 90%, ma con vincoli su Isee e sul quoziente familiare.

Il superbonus ha contribuito a far partire i cantieri in Italia, in un momento in cui l’economia era fermo per la pandemia.
In questo sistema si sono intrufolati anche truffatori, professionisti che hanno chiesto parcelle gonfiate: il governo ha bloccato il flusso della liquidità, per queste truffe, ma sono stati penalizzati sia i costruttori onesti che i proprietari delle case che ora non possono tornare nelle case, non ancora completate.
Il governo Meloni si troverà ora di fronte ad un buco, per questo bonus: gli incentivi si dovranno fermare non oltre il 60%, secondo il professor Tito Boeri.
Ma dopo il blocco della cessione dei crediti fiscali molti costruttori, che avevano fatto acquisti per i cantieri, sono rimasti con i magazzini pieni
e non sanno se e come venderli.
I gruppi bancari nella primavera del 22, dopo aver saturato i loro plafond, hanno bloccato i crediti verso queste aziende, mandandole in crisi, tanto che alcuni di loro si sono riuniti in un associazione che chiede una class action contro lo stato.
Magazzini pieni, cantieri fermi, imprenditori in crisi: dopo due anni questa è la situazione dopo due anni di superbonus.
Ci sono proprietari di casa che non possono entrare nelle loro proprietà perché non possono anticipare i soldi alle imprese per poter completare i lavori.
I crediti bloccati ammontano a 6 miliardi di euro, secondo il ministro Giorgetti, sono 12 secondo Anci. La legge fatta dal governo Conte non prevedeva un meccanismo di contrattazione e controllo dei lavori e della spesa: alla fine, essendoci uno stato che pagava i crediti passando per le banche, molti lavori sono stati sovrastimati.

È anche vero che il superbonus ha contribuito alla crescita del PIL: ma come hanno lavorato le banche in Italia?
La fonte di Report, dentro la commissione di inchiesta sulle banche, racconta che le banche si sono spaventate quando, dopo aver sbagliato le stime, si so
no accorte della crescita esponenziale delle richieste, mettendo nero su bianco che cerano 30 miliardi già stanziati (crediti ceduti dagli imprenditori alle banche), ma in lista d’attesa c’erano altri 47 miliardi di bonus ancora da liquidare.
Dentro questo business è entrata anche Poste Italiane, che ha dato uno strumento facile per la gestione del credito, come successo al caso di San Severo con mister milione.
Poste ha fatto il 33 % del mercato: avrebbe dovuto controllare di più, essendo banca di stato, ma c’è stata una spinta politica per far comprare crediti a Poste Italiane.
Le banche, secondo la fonte interna, ha applicato tassi usurai sui crediti, con una media dell’8%, con massimi sui crediti edili fino al 13%.
Quali banche hanno applicato i tassi più alti? Dal report della commissione sulle banche non è possibile saperlo, ma rimane il sospetto che questa operazione sul superbonus sia stato uno strumento per ricapitalizzarsi.
Hanno lucrato su queste operazioni, e il governo dell’epoca non ha pensato strumenti di controllo.

Oggi che i crediti nei cassetti sono bloccati, in rete si trovano tanti mediatori che promettono di sbloccare la situazione, ora che le banche non concedono crediti.
Mediatori che chiedono una concessione del 5-6% per il loro lavoro di mediazione: ci sono banche che chiamano questi professionisti per liquidare questi crediti, spingendo sulla fretta che hanno gli imprenditori nel venderlo. Nessuno controlla questi speculatori oggi, possibile?
In totale secondo il documento della fonte di Report, sarebbero 57 i miliardi di crediti acquistati dalle banche, la parte del leone l’avrebbe fatta Poste Italiane, spesso senza troppi controlli.
Crediti acquistati dalle imprese con tassi variabili, come ha raccontato il servizio, ma per ABI è tutto regolare.

Chi ha usato fino ad oggi il superbonus? Secondo la Corte dei Conti sono state penalizzate le classi meno abbienti, che non avevano strumenti tecnici per accedere a questo strumento.
Uno dei fortunati proprietari di casa che è riuscito ad usufruire del bonus al 110% è il signor Malavasi che ha completamente ristrutturato il suo antico casale a pochi km da Venezia rendendolo un immobile all’avanguardia. La sua casa ha il cappotto, un isolante sul tetto, non ha termosifoni e neppure il riscaldamento a pavimento o a soffitto. La casa si scalda con l’aria che esce o che entra da dei bocchettoni. La casa ha sul tetto dei pannelli fotovoltaici: a fine mese il bilancio per la spesa energetica è quasi zero, niente bollette.
Uno scambiatore geotermico raccoglie il calore dal terreno dentro la casa, riscaldandola.
Questa casa senza il superbonus non si sarebbe realizzata: ma come è andata nei palazzi dei nostri quartieri, energivori?
L
’analisi fatta sul superbonus ha fatto emergere che il 10% delle risorse stanziate è finito all'1% più ricco della popolazione, come conferma il professor Tito BoeriQuesto è qualcosa che non va bene, in questo momento abbiamo davvero bisogno di utilizzare le poche risorse disponibili sulle fasce di popolazione a redditi più bassi, perché l’inflazione li colpisce molto di più. Il superbonus in quella misura ha effetti esattamente opposti, perché va a favorire individui che hanno redditi superiori ai 60-70 mila euro. E abbiamo avuto addirittura dei casi di superbonus che sono andati a ristrutturazione di castelli.
Castelli si, quartieri popolari no, come al Quarticciolo a Roma: qui ci sono palazzi che consumano molta energia per le molte dispersioni, sono soldi sprecati.
Secondo il presidente Zingaretti, nel marzo 2021, il superbonus avrebbe cambiato la faccia delle case: ma oggi nella regione Lazio non sono ancora partiti i quartieri, nemmeno al Corviale.
La promessa del presidente era di investire almeno 300 ml di euro per rifare i palazzi di Roma: ma oggi le immagini di Report riportano la situazione drammatica dentro e fuori queste case.
Acqua che entra in casa, calcinacci che cadono dai soffitti, macchie di muffa.

Nelle periferia di Milano qualche cantiere col superbonus è riuscito a partire, anche se vanno a rilento e manca il fotovoltaico, che servirebbero molto nelle case popolari dove si dovrebbe investire pesantemente, non solo per il clima, anche per il clima sociale.

Secondo uno studio di Odyssee-Mure, una casa italiana consuma il 50% di più di una casa nel resto dell’Europa: il nostro patrimonio edilizio è responsabile del 44% del consumo energetico, dovremmo investire molto nel nostro patrimonio edilizio pubblico.

In Olanda stanno rendendo efficienti al 100% edifici di edilizia popolare anche grazie ad una tecnologia italiana: si chiama progetto Energie
Sprong, un progetto dello Stato che ha deciso di investire nelle case popolari, con riqualificazione e risparmio energetico.
La ristrutturazione è costata 70mila euro per appartamento e i lavori durano pochi mesi: questo progetto ha dato impulso alle aziende che si occupano di energia nelle case, come quella che realizza pannelli da applicare ai muri, la RC Panels.
I lavori di ristrutturazione sono ben disciplinati, in modo da garantire costi e tempi certi per i lavori.
Senza la tecnologia italiana, quella che consente il taglio perfetto dei pannelli, il miracolo olandese non sarebbe stato possibile: miracolo che si è concentrato nei quartieri periferici, con tempi e modi certi, con lavori realizzati col contributo degli inquilini (mentre noi in Italia siamo stati più generosi).

28 novembre 2022

Anteprima inchieste di Report – il superbonus, il petrolchimico a Priolo e il carbone sempre vivo

Questa sera Report si occupa del superbonus al 110%: ha dato un impulso al settore dell’edilizia, ma è stata anche un’occasione persa per rifare il volto alle città e ai quartieri disastrati, a cui si è aggiunto il caos dei crediti bloccati nei cassetti fiscali e dell’impatto sui costruttori e sui cantieri.

Poi un servizio sull’inquinamento nel petrolchimico di Priolo (in mano ai russi della Lukoil), uno scandalo successo sotto gli occhi di regione e delle istituzioni nazionali.
Infine un servizio sul carbone in Germania.

Il superbonus in Italia (e nel resto dell’Europa)

Il superbonus al 110% sulle ristrutturazioni ha dato un impulso al settore edilizio, ma come raccontava un precedente servizio di Report, è stata una occasione persa perché di questi bonus ne hanno goduto quasi più i proprietari di villette che non edifici nei quartieri popolari delle nostre città. C’è poi ora il caos dei bonus che sono rimasti bloccati nei cassetti fiscali, bloccando i cantieri, le imprese edilizie e i proprietari delle case che non possono accedere alle loro abitazioni. Chi sta approfittando di questo caos? E come funzionano gli sgravi fiscali sulle ristrutturazioni negli altri paesi europei? Già il governo Draghi aveva messo in discussione questa misura, cosa succederà adesso col governo Meloni?

Uno dei fortunati proprietari di casa che è riuscito ad usufruire del bonus al 110% è il signor Malavasi che ha completamente ristrutturato il suo antico casale a pochi km da Venezia rendendolo un immobile all’avanguardia. La sua casa non ha termosifoni e neppure il riscaldamento a pavimento o a soffitto. La
casa si scalda con l’aria che esce o che entra da dei bocchettoni. La casa ha sul tetto dei pannelli fotovoltaici: a fine mese il bilancio per la spesa energetica è quasi zero, niente bollette.
Ma il signor Malavasi è uno dei pochi che è riuscito a concludere i lavori: l’analisi fatta sul superbonus ha fatto emergere che il 10% delle risorse stanziate è finito all'1% più ricco della popolazione, come conferma il professor Tito BoeriQuesto è qualcosa che non va bene, in questo momento abbiamo davvero bisogno di utilizzare le poche risorse disponibili sulle fasce di popolazione a redditi più bassi, perché l’inflazione li colpisce molto di più. Il superbonus in quella misura ha effetti esattamente opposti, perché va a favorire individui che hanno redditi superiori ai 60-70 mila euro. E abbiamo avuto addirittura dei casi di superbonus che sono andati a ristrutturazione di castelli.
Perché queste risorse non sono state stanziate pensando anche a chi vive in edifici vecchi, costruiti in anni in cui non si pensava alla sostenibilità energetica?

A Roma ci sono case di cinque piani senza ascensori, case in cui piove dentro. Poi però per le case dei signori, delle ville dei ricchi, i soldi ci stanno” è la protesta di un cittadino romano.

Non è solo questo che ha suscitato molte proteste tra i cittadini: con la ristrutturazione fatta col 110%, il valore delle case è aumentato e sono anche aumentati gli affitti.
Il servizio racconterà in seguito di come sono state gestite le ristrutturazioni, con ottimizzazione del consumo energetico, in altri paesi, come l'Olanda.

La scheda del servizio: IL BONUS, IL BRUTTO E IL CATTIVO di Luca Bertazzoni
Collaborazione: Edoardo Garibaldi

Il problema non è il superbonus, ma i meccanismi di cessione che sono stati disegnati senza discrimine e senza discernimento”: così parlava in Senato l’ex Presidente del Consiglio Mario Draghi il 20 luglio scorso, poche ore prima di rassegnare le dimissioni. Il nuovo governo di centro destra deve ora affrontare l’impatto del superbonus sui conti dello Stato: al 30 ottobre scorso, erano 55 i miliardi di euro di investimenti ammessi a detrazione. E nel frattempo migliaia di imprenditori edili si ritrovano con i cassetti fiscali bloccati, i magazzini pieni e i cantieri fermi. Con il risultato che molti proprietari di casa che avevano iniziato i lavori di ristrutturazione non riescono a rientrare nelle loro abitazioni. Report racconterà cosa succede nel mercato parallelo della cessione dei crediti fiscali e come funziona il sistema delle ristrutturazioni in altri paesi europei.


Lo scandalo dell’inquinamento di Priolo

Per anni l’azienda russa Lukoil ha sversato liquidi inquinati dal Petrolchimico di Priolo nel depuratore della regione che operava in modo illegale. Ora, dopo l’invasione in Ucraina e l’embargo sul petrolio russo, questo impianto potrebbe anche chiudere, lasciando a casa circa 10000 operai considerando l’indotto.


Il governo italiano ha chiesto all’Europa una proroga per l’embargo ma c’è il rischio che le banche chiudano il credito destinando tutto l’impianto alla chiusura, col rischio che saltino anche gli interventi per la bonifica dell’ambiente.
Quello di Priolo, lungo la costa tra Catania e Siracusa, è uno dei più grandi petrolchimici d’Europa, esteso per oltre 40km quadrati e capace di produrre oltre un terzo del fabbisogno italiano di derivati del petrolio. La proprietà è formalmente di una società svizzera, la Isab, ma dietro a controllare tutto c’è la russa Lukoil: come mai la Isab è stata costretta ad acquistare solo petrolio russo e ha potuto comprare petrolio da altri mercati?
A questa domanda ha risposto l’ex direttore Eni della divisione Trading & Shipping Salvatore Carollo: “si è pensato che siccome è una società russa, automaticamente non aveva più diritto ad ottenere la lettera di credito indispensabile per l’acquisto di greggio presso i paesi produttori. Questa interpretazione delle sanzioni è andata al di là di quello che le sanzioni stesse prevedevano, perché la Lukoil, anche se è una società russa, non è oggetto delle sanzioni.”

Quando ad ottobre il nuovo esecutivo Meloni si trova tra le mani la patata bollente del rischio della chiusura dell’impianto corre ai ripari: il ministero dell’Economia redige una “comfort letter” rivolta alle banche dove dice che possono pure dare credito a Lukoil, le sanzioni non si applicano.
Questo sarebbe stato sufficiente se non ci fosse stata una presa di posizione pesante dell’amministrazione americana – racconta sempre Carollo – che ha cercato di bloccare questo provvedimento.
Sebbene noi non siamo sottoposti alla giurisdizione americana, almeno sulla carta,
“quale banca si metterebbe ad emettere una lettera di credito sapendo che poi potrebbe avere una reazione negativa dal mercato americano?”
Il 18 novembre al ministero dello Sviluppo Economico, il ministro Urso (imprese e made in Italy) convoca le parti sociali: c’è il presidente della regione Sicilia Schifani, il direttore dello stabilimento Lokoil, il russo Maniakhine e i sindacati. Sono stati invitati anche i rappresentanti delle banche perché sono loro gli unici che possono salvare lo stabilimento, ma al tavolo non si presentano.
Come mai le banche italiane non vogliono concedere credito al petrolchimico? Il direttore risponde con un sorriso alla domanda di Manuele Bonaccorsi, che aggiunge anche il rischio per le banche di imbattersi nelle sanzioni secondarie.
Nemmeno il ministro Urso ha voluto rispondere alla domanda, “chiedete alle banche” ha detto.
Nel frattempo il depuratore usato dall'impianto è stato posto sotto sequestro dalla procura siracusana che contesta al petrolchimico il reato di disastro ambientale.

La scheda del servizio: UN PETROLCHIMICO A OROLOGERIA di Manuele Bonaccorsi

Il petrolchimico di Priolo (Siracusa), capace di produrre da solo un terzo del fabbisogno italiano di derivati del petrolio, rischia di chiudere, lasciando senza lavoro circa 10mila lavoratori. E i nostri distributori senza benzina, con conseguenze drammatiche sul sistema dei trasporti. Per quale motivo? Report racconterà le due grandi minacce che rischiano di mettere al tappeto questa importante realtà produttiva. La prima sono le sanzioni contro Mosca. La società petrolifera russa Lukoil, che controlla il principale impianto della zona industriale siracusana, seppur non sottoposta alle misure restrittive dell’Unione Europea, non riesce più a farsi rilasciare dalle banche le lettere di credito necessarie all’acquisto di greggio sui mercati mondiali. E dal 5 dicembre, a causa delle sanzioni, non potrà neppure importare il greggio russo. Report svelerà lo scontro geopolitico in atto sul petrolchimico siracusano, che coinvolge anche gli interessi statunitensi sul mercato mondiale dei carburanti.
La seconda minaccia è giudiziaria. La Procura di Siracusa ha posto sotto sequestro il depuratore che tratta i reflui inquinanti del petrolchimico. L’accusa è durissima: disastro ambientale. Se i magistrati dovessero realmente fermare l’impianto di depurazione, l’intero petrolchimico dovrebbe chiudere i battenti.


Il carbone che non tramonta mai

Il carbone è una delle fonti energetiche più inquinanti, le sue emissioni di co2 in atmosfera sono causa dei cambiamenti climatici che tanto impatto hanno sulle nostre vite (periodi di siccità, ghiacciai che spariscono, fiumi e laghi in secca, malattie respiratorie nelle pianure del nord).
Eppure, causa la guerra in Ucraina e le speculazioni sull’energia, il carbone continua ad essere usato, specie in Germania.


Luca Chianca è andato nel
piccolo villaggio di Lutzerath, tra Duesseldorf e Colonia che si trova accanto a una delle più grandi miniere di carbone d’Europa.
Qui tutte le case sono state sbaraccate, gli abitanti del paese se ne sono andati via: in questo paese di agricoltori nella regione della Renania è rimasta solo la famiglia del signor Eckardt che vive accanto ad una delle più grandi miniere d’Europa, con un cratere di 35km quadrati che negli anni si è così allargato tanto da lambire la sua proprietà.

E ora anche la sua fattoria dovrà essere smantellata, perché la proprietà ha deciso di espropriare i suoi terreni, nonostante un’azione legale a cui i tribunali tedeschi hanno dato torto. Perché la decisione politica in Germania è stata quella di continuare ad investire in carbone: “i politici non hanno il coraggio di cambiare direzione anche di fronte ai problemi del cambiamento climatico” racconta Eckardt a Report.
A pochi km di distanza da Lutzerath si trova la seconda più grande miniera di carbone, quella di Hambach coi suoi 45 km quadrati: qui negli ultimi 60 anni per estrarre sempre più carbone hanno espropriato e cancellato dalla cartina geografica 50 villaggi e ben 50mila persone sono state costrette a trasferirsi altrove. Ma la miniera di Hambach potrebbe perdere il secondo posto a favore di quella di Lutzerath dove il governo federale ha appena approvato l’allargamento della miniera per altri 48km quadrati con il completo sbancamento e demolizione dell’intero villaggio, secondo il piano di espansione di RWE (società proprietaria della centrale), come racconterà a Report Daniela Finamore ricercatrice di ReCommon.
Interessante scoprire come il carbone tedesco e le sue emissioni di co2 in atmosfera, siano finanziati da banche italiane come Unicredit e Banca Intesa.
La RWE è il secondo produttore di elettricità in Germania: oltre a possedere le due miniere a cielo aperto è proprietaria di due delle centrali a carbone più inquinanti d’Europa, quella di Neurath che rilascia 18,7 ml di tonnellate di anidride carbonica e quella di Niederhausen con 11,9 ml di tonnellate. Stupisce che la Germania, la locomotiva d’Europa, sia così in ritardo sulla transizione ecologica: Luca Chianca ha intervistato Hans Josef Dederichs, esponente dei verdi nel consiglio comunale di Erkelenz che spiega “fino al 2005 la Germania era la pioniera delle energie rinnovabili ma poi è arrivato il governo di Angela Merkel che ha fermato tutto per 16 anni. Perché produrre energia elettrica dal carbone costava meno. Ed è per questo che la nostra industria e le nostre famiglie dipendono ancora molto dal carbone”.
A favore del mantenimento delle centrali a carbone ci sono anche esponenti del partito di estrema destra tedesca, come Christian Loose, deputato dell’AFD nel land della Renania: le centrali elettriche servono a dare stabilità energetica in questo momento. Il deputato è anche contrario alla chiusura della miniera a cielo aperto perché così si perde molta energia. Ma queste in Renania sono le centrali tra le più inquinanti in Europa: “se chiudiamo queste centrali in Germania non aiuteremo l’umanità” - risponde il deputato – “perché abbiamo un tasso di efficienza davvero buono rispetto a quelle polacche o quelle di altri paesi che inquinano molto di più.”

Ma quali gli effetti dell’inquinamento causato da queste centrali sulla popolazione? “Ci sono sempre più bambini che nascono prematuri e sottopeso a causa dell'inquinamento”, racconta a Report il pediatra Christian Döring che vive a Colonia non lontano dalle principali centrali a carbone di RWE.

La scheda del servizio: RITORNO AL CARBONE di Luca Chianca
Collaborazione Alessia Marzi

Secondo le stime dell’ufficio federale di statistica, la Germania, dove le centrali a carbone coprono un terzo del fabbisogno energetico, nei primi sei mesi del 2022 ha generato 82,6 miliardi di kWh di elettricità dal carbone, il 17% in più rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. Questo anche a causa della decisione di rimettere in servizio alcune vecchie centrali per fronteggiare la crisi energetica.
A farla da padrona è la RWE, il secondo maggior produttore di elettricità tedesco, una delle società più inquinanti d’Europa: il 23% dei ricavi di RWE deriva ancora oggi dal settore carbonifero.
Report vi mostrerà quello che resta del villaggio di Lützerath, nella Germania occidentale. Sarà raso al suolo tra fine settembre e inizio ottobre per l’espansione della miniera di Garzweiler di proprietà di RWE. Ma perché ci interessa? Le attività del colosso elettrico parlano anche italiano: tra i suoi finanziatori ci sono le nostre due principali banche: Intesa Sanpaolo e Unicredit.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

26 novembre 2022

Bell’Abissina, di Carlo Lucarelli


 

Ottobre 1937

«Vivere, senza malinconia... vivere, senza più gelosia… »

«E chi minchia sei Labrù, il Tito Schipa de' noantri? Ch'è successo, t'ha lasciato la ragazza?»
«Senza mai più rimpianti, senza conoscer cos’è l’amore...»
«Lo sentite, brigadiere? Il collega è giovane e aitante, mica come noi che teniamo moglie e figli… chiusa una porta si apre un portone, no? Con lo stipendio che prendi tra diaria, indennità e avanzamento arrivi quasi a mille lire, c’hai le donne che ti corrono dietro, labruna!»
«Ridere, sempre così giocondo… ridere, delle follie del mondo...»

Avevo conosciuto, dal punto di vista letterario, il commissario Marino ai tempi di Rimini nel 1936, quando era ancora ispettore: sulla spiaggia a pochi passi dalla villa dove Mussolini faceva le sue vacanze, veniva scoperto il cadavere di una prostituta uccisa con un colpo di pistola.
L’indagine ufficiale si era conclusa in modo rapido, con tanto di auguri del duce in persona per la “Dimostrata perfetta efficienza stile fascista”. Ma al giovane ispettore Marino, che poliziotto lo è davvero, questa soluzione semplice (e comoda) non bastava e aveva così iniziato una sua “indagine non autorizzata”, che aveva approdato ad una sua promozione a Roma, all’ufficio passaporti, come premio per non aver svelato i veri responsabili del delitto, che avrebbero causato qualche problema a gerarchi e notabili del partito.
Ora ritroviamo nuovamente Marino, diventato commissario a seguito della promozione, ma a Cattolica, alle prese con una nuova indagine.
Indagine che parte da una macabra scoperta fatta dai poliziotti della squadra speciale della “presidenziale”, la “squadra fognature” che aveva l’ingrato compito di controllare le vie fognarie nei luoghi dove sarebbe passato Mussolini, per sventare eventuali attentati.

Labruna fece un altro passo avanti e l'occhio rotondo della torcia illuminò un corpo. Mezzo mangiato, scarnificato dai morsi dei topi, doveva essersi incassato sulle gambe in equilibrio contro i mattoni, perché sembrava stesse in piedi. A giudicare dall'altezza poteva essere quello di un bambino, una bambina considerando i capelli lunghi..

Non si tratta di una bambina, ma di una donna di piccola statura anzi, meglio, di una nana. Uccisa con un’arma affilata che le ha quasi staccato la gola. Uccisa e gettata nella fogna, nel quartiere centrale di Prati.
Tre anni dopo, nel 1940, ci ritroviamo a Rimini, dove in una notte fredda di aprile, tre attivisti di Giustizia e Libertà devono incontrare un loro contatto che procurerà loro i documenti per espatriare.
Il loro contatto, che si fa chiamare “Locard”, come il famoso criminologo, è il commissario Marino: disgustato dal regime, dall’esperienza dell’indagine di Rimini, Marino ha deciso di combattere il regime a modo suo, fornendo agli antifascisti della rete di G.L. le informazioni sulle retate della polizia politica e procurando documenti falsi, grazie anche al suo passato in quell’ufficio passaporti dove si è visto passare davanti tante fotografie di schedati, attenzionati, noti a questo ufficio …
Uno dei tre antifascisti con cui Marino si imbatte è stato un ex poliziotto, proprio uno degli agenti della presidenziale che, tre anni prima, aveva scoperto quel cadavere abbandonato come un sacco, nel posto più lurido che potesse esserci. Quel morto, anzi quella morta avevano fatto compagnia alle sue notti, “se la sognava la notte, col dito puntato e quell’occhio che lo fissava” e siccome l’agente Labruna era poliziotto, anche se della squadra fognature, aveva fatto la sua indagine. Chi getterebbe un cadavere dentro una fogna? Si era messo a spulciare tra i casi di donne scomparse e affette da nanismo e, “anche se non era il suo mestiere” si era imbattuto in una storia che lo aveva interessato: una donna di servizio in una casa padronale che un giorno non era più tornata al suo alloggio la sera, dalle suore. Una storia che era stata messa a tacere anche grazie ad una generosa donazione alle suore e alla zia della ragazza scomparsa.

Il padrone della casa in cui Adele, questo il nome della ragazza, lavorava è uno dei tanti imprenditori che avevano fatto fortuna grazie al regime. Ovvero andando ad ungere le ruote giuste del regime, gerarchi, gerarchetti, sottosegretari, andando a cercare il suo posto al sole in Africa, a seguito delle truppe coloniali che avrebbero regalato al regime lagloria effimera dell’impero nel 1935

Ma era soprattutto con la guerra di Etiopia che aveva fatto i soldi, anche prima, già nel 35 quando il sottosegretario gli indicava le mosse giuste in attesa del offensiva conto il Negus. La Compagnia Immobiliare Abissina del commendatore Brandimarzio possedeva buona parte degli alberghi e degli appartamenti per operai e funzionari tra Massaua, Addis Abeba e Asmara una serie di partecipazione in varie imprese africane e un quadernino a due colonne, a sinistra i nomi di gerarchi amici e a destra le cifre con la scadenza mensile.
Per un caso del destino, ora il commendator Brandimarzio, dopo essere stato tanti anni in Etiopia, a Massaua, è tornato nella sua città, Cattolica. Ecco, un altra persona, un altro poliziotto avrebbe preso questo racconto, questa storia fatta di sospetti, di indizi, senza alcuna prova contro un uomo protetto dal regime e dimenticata. Ma Marino non è un poliziotto come gli altri: non è la prima volta che si troverebbe di fronte ad una indagine non autorizzata, fatta più per dimostrare agli altri, ai colleghi più furbi, alla moglie che non lo amava, che lui sapeva fare il suo lavoro

Poi un giorno ci aveva provato. Confidando nel suo intuito da poliziotto si era infilato in un'indagine non autorizzata, rischiosa ed entusiasmante, si era innamorato alla follia ed era arrivato fino in fondo, ostinatamente, tenacemente, come mai aveva fatto prima. Non gli era andata bene.

Ma questa volta è ancora peggio dell’indagine di Rimini contro un conte, amico del ministro Ciano: questa non solo è una indagine non autorizzata, è un’indagine impossibile. Perché non è facile, nemmeno per un commissario avvicinare, e figurarsi fare domande strane, ad un commendatore con tante amicizie nel regime. Perché non è facile raccogliere notizie sul passato di questo Francone Brandimarzio, che vive col figlio nella sua villa. E poi, anche una volta raccolte le prove di una sua responsabilità, cosa se ne farebbe?
Ma il commissario Marino è uno che ha deciso di combattere questo regime: questo regime dove non esistono ladri perché vestono tutti la camicia nera, dove non esiste il dissenso perché si rischia il confino. Un regime che sta andando ad infilarsi proprio nella tragedia della seconda guerra mondiale, confidenti nelle capacità strategiche del duce, quell’ometto piccolo piccolo per cui bastavano qualche migliaio di morti per sedersi al tavolo della pace.
Questa indagine si deve fare: a modo suo, sfruttando le sue conoscenze, andando anche a contattare qualcuno in Africa (un ufficiale in servizio a Massaua che gli racconta che la villa dei Brandimarzio era chiamata Gezà Sheitan - la casa del diavolo), Marino riesce a ricostruire un quadro indiziario che porta proprio a villa Brandimarzio, dove incontra anche il figlio Attilio, un giovane dallo sguardo strafottente che sembra dirti “tu non sei niente”. E una sua amica, una ragazza affascinante, Weinì:

Weinì sorrise e Marino pensò che si, era proprio bella. Di una bellezza sincera, così naturale, così intensa. Sorrise anche lui mentre pensava che non era lì per ammirarla quella bella ragazza ma per interrogarla.

Dovrà stare molto attento Marino: questa famiglia è intoccabile, gode di protezioni di alto livello, sin dentro la polizia politica. Ma deve anche stare attento a non farsi scoprire nella sua attività di antifascista col nome di “Locàrd”, perché qualcuno si è messo sulle sue tracce.

Un finale amaro chiude questo romanzo che, in poco meno di duecento pagine ci mostra un affresco dell’Italia degli anni ruggenti del fascismo: il regime dove si dormiva con le porte aperte (per citare Sciascia) e dove la giustizia e la legge funzionavano secondo i desiderata del regime e dei suoi ras, ladri in divisa. Tanto sicuri delle loro impunità da non avere alcun problema nell’ammettere le loro malefatte: questa era l’Italia del regime fascista

«In un regime puoi fare quello che vuoi. Chi denuncia? Chi indaga? Chi condanna? Chi controlla? Loro ...» alzò il pollice puntandolo verso il cielo, poi ne batte la punta sul petto.
«Noi, io .. tu, se ci sei dentro. Niente giornali, niente opinione pubblica. nessuno che rompe le scatole, nessuno che si indigna. La paura, il conformismo, la consapevolezza che tanto non cambia niente diventano omertà. Complicità. Un regime è un ottimo modo per fare soldi, e questo è perfetto. Caro commissario, io lo amo, questo regime, e dal momento che è fascista allora sì, sono fascista anch'io, fascistissimo. saluto al Duce»

Nella serie televisiva andata in onda sulla Rai anche l’episodio su “Indagine non autorizzata” viene affidato al commissario De Luca: leggendo questo secondo, e spero non ultimo, romanzo con Marino mi rendo conto delle sfumature che esistono tra questi due investigatori.
Sfumature che si comprendono meglio leggendo “Peccato mortale” e il bellissimo “L’inverno più nero” (forse uno dei migliori De Luca): Marino non è uno che ripete sono solo un poliziotto, faccio il mio mestiere, senza preoccuparsi di chi sia a capo delle istituzioni, ha fatto una sua scelta, mimetizzandosi dentro quel regime e combattendolo dall’interno.
Ma forse sono solo sfumature.

La scheda del libro sul sito dell'editore Mondadori

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

24 novembre 2022

Cosa vuol dire un regime – da Bell'Abissina


 

«In un regime puoi fare quello che vuoi. Chi denuncia? Chi indaga? Chi condanna? Chi controlla? Loro ...» alzò il pollice puntandolo verso il cielo, poi ne batte la punta sul petto.
«Noi, io .. tu, se ci sei dentro. Niente giornali, niente opinione pubblica. nessuno che rompe le scatole, nessuno che si indigna. La paura, il conformismo, la consapevolezza che tanto non cambia niente diventano omertà. Complicità. Un regime è un ottimo modo per fare soldi, e questo è perfetto. Caro commissario, io lo amo, questo regime, e dal momento che è fascista allora sì, sono fascista anch'io, fascistissimo. saluto al Duce»

Bell'Abissina di Carlo Lucarelli pag 100

A parlare così è uno dei protagonisti dell'ultimo romanzo di Carlo Lucarelli, Bell'Abissina Mondadori ed: un imprenditore che ha individuato nel fascismo uno strumento per fare soldi, tanti soldi. In Africa con la guerra contro gli “abissini”. Andando ad ungere le ruote del sistema, i gerarchi e i funzionari del regime. Perché in un regime non c'è pericolo che qualche magistrato faccia le pulci ai ras del partito fascista. Non c'è il rischio che qualche giornalista faccia qualche domanda di troppo, si metta a ficcare il naso dove non deve. Per esempio chiedendosi come vengono spesi i soldi pubblici. Da dove arriva la ricchezza di certi personaggi.. E se non c'è informazione libera, se non c'è il potere indipendente della magistratura, non c'è nemmeno l'indignazione del cittadino di cui tener conto.

Perché il popolino deve solo sapere che il Duce lavora sempre, la luce è sempre accesa nel suo ufficio. Che col fascismo nessuno ruba. Che il fascismo ha fatto rispettare le leggi.
Che poi sia tutto falso a chi importa, in un regime?
Il romanzo di Lucarelli racconta dell'Italia di ieri, sotto quel regime di cui tanti oggi hanno nostalgia, senza nemmeno provare un poco di vergogna. Forse perché l'Italia di ieri è anche quella di oggi in parte.

22 novembre 2022

Quella vecchia storia, di Leonardo Gori


 

Il colonnello Arcieri girò la maniglia e la spinse con forza, ma la porta della cucina si aprì solo per uno spiraglio. Alle sue spalle lo incalzavano Berta, che ormai dirigeva di fatto la trattoria di via de’ Bardi, e il grande e grosso cameriere Tripoli. Fuori, sul marciapiede, aspettavano ansiosi la giovane cuoca Angela e il suo coetaneo Simone.

Attraverso le avventure del capitano, poi colonnello, Bruno Arcieri, abbiamo attraversato la Storia oscura del nostro paese, la storia, cioè, che non compare nei libri, non si studia a scuola.
Da ufficiale nei servizi segreti, sin dagli anni ‘30 col Sim, Arcieri è entrato nei misteri più bui, nelle pagine più tragiche, sin dal suo esordio con Nero di maggio, dove il maggio è quello del 1938, l’anno in cui il regime fascista firma con l’alleato tedesco il patto di cobelligeranza, in uno sciagurato entusiasmo quando ci si illudeva che la guerra non sarebbe mai arrivata.

Con Bruno Arcieri abbiamo visto le macerie di Firenze prima della liberazione nel 1944e poi sommersa dal fango nel 1966; ha visto muoversi le scorie del fascismo ancora presenti nelle nostre istituzioni ed è stato sfiorato dalla strage di Milano, con i veri mandanti.
Ha rischiato la pelle più volte e per sfuggire ai suoi nemici, per il suo passato da spione, sebbene abbia sempre cercato di stare dalla parte giusta, come gli suggeriva la coscienza, ha dovuto anche nascondersi al mondo. Diventando uno di quei barboni che nemmenovediamo ai margini delle strade (e incrociando la sua strada con un altro investigatore fiorentino, il commissario Bordelli di Marco Vichi).

Questo ultimo romanzo, “Quella vecchia storia” chiude probabilmente un ciclo, iniziato nel 1938 e arrivato in questo romanzo alla primavera del 1970.
Smessi i panni dell’agente dei servizio, smessi i panni dell’uomo di strada che aveva indossato in Francia e quando era entrato nella comune dei ragazzi hippie a Firenze, col nome di Marcel, ora Bruno Arcieri è solo un pensionato con una bella e innamorata donna accanto Marie, che nella sua Firenze sta per inaugurare assieme ai suoi amici una trattoria chiamata “Gli spostati”, come un po’ si considerano questi ragazzi che l’ex colonnello ha conosciuto alla “comune” di Firenze, persone fuori dal normale, ma tutte unite dal desiderio di ripartire da zero e lasciarsi alle spalle tutto.

Anche per Arcieri è un modo per mettersi alle spalle un passato duro, di spie, doppiogiochisti, di servizi deviati (o al servizio di altri poteri), un mondo dove dovevi guardarti le spalle in ogni momento.

Ma il giorno prima dell’inaugurazione arriva un imprevisto, presagio che quel passato non ne vuol proprio sapere di tornare e dargli tormento. Qualcuno è entrato nelle cucine della loro trattoria e ha devastato tutto, sfasciando le bottiglie di vino e di olio. Non solo, sotto l’enorme frigo, Arcieri scopre il corpo di una persona, morta schiacciata.

Sotto c’era un corpo ripiegato su un fianco, con la testa schiacciata sotto il grande elettrodomestico. [..] Era uno sconosciuto sui sessant’anni, di corporatura robusta, con indosso una giacca dozzinale

Arcieri chiama subito il maresciallo Guerra, l’amico carabiniere che l’aveva aiutato nel passato, quando teneva sotto d’’occhio le persone della “comune”: non c’è solo quella devastazione nella loro cucina, Arcieri è preoccupato anche per l’assenza di Max, il talentuoso cuoco che aveva conosciuto mesi prima nella villa nel senese, quando era stato coinvolto in un’altra brutta faccenda legata al suo passato.
Si tratta di una missione segreta chegli era stata chiesta dagli ex colleghi dei servizi in cui aveva dovuto incontrare un agente americano, in possesso di segreti importanti. Durante questa missione aveva incontrato Daniele, un suo collaboratore al Sim fino al 1943, e soprattutto Nanette, la sua Mata Hari, la bellissima donna che aveva usato come esca per carpire notizie perfino dagli allora alleati tedeschi. Max lavorava e viveva con loro ma né Daniele né Nanette conoscono molto del suo passato, nemmeno il suo vero nome.
La preoccupazione di Arcieri peggiora dopo le notizie che gli arrivano dalla nipote di una strana signora dell’aristocrazia che da anni, affacciata dalla finestra della sua casa, fa da angelo custode su quello che succede in quel pezzo di Firenze che si affaccia su via de’ Bardi.
Chantal, la nipote di questa baronessa con la passione del gioco, racconta di aver visto Max uscire dai locali della trattoria circondato da cinque uomini che non mostravano molta gentilezza nei suoi confronti.

Come mai quella devastazione? E’ un messaggio contro Arcieri, per il suo passato o forse, come farebbero pensare le cose, l’obiettivo era proprio Max. Già, ma chi è Max?
L’unica cosa che Daniele, l’ex agente che ancora si ostina a chiamare “capo” l’ex colonnello, sapeva solo che aveva lavorato a Milano, nella trattoria della Pesa dove aveva incontrato Ho Chi Minh. Da Milano arrivava anche il morto schiacciato dal frigorifero: si tratta di un ex fascista poi repubblichino, un picchiatore come tanti.

Per scoprire qualcosa di più su Max e sul suo probabile rapimento, Arcieri deve ricorrere alle persone a lui più vicine, Nanette e Daniele, un agente esterno del Sim (il servizio segreti militare ai tempi del fascismo), un agente ambiguo, che “apparteneva alla stessa razza del cuoco magico. Era fatto di specchi, di doppi fondi, di inganni, impastati con una forma assai singolare di lealtà”.

.. il fascino di Milano stava anche in quello: era allo stesso tempo un paesone della Pianura padana, un centro d’arte rinascimentale, una grande città ottocentesca, da cui spuntavano rovine romane imperiali, e ancora una metropoli

Il viaggio a Milano assieme all’ex collaboratore riporta Arcieri dentro quel mondo sporco che aveva conosciuto anni prima: qui incontra la ex moglie di un fascista caduto in disgrazia che era a capo di una squadraccia di picchiatori, “gli angeli vendicatori”.
Possibile che Max, il misterioso cuoco dal tocco magico, fosse invischiato in quel mondo? Era da queste persone che scappava, nascondendosi in quella villa nella campagna senese dove Arcieri l’aveva incontrato?
Quel viaggio nella Milano è un’occasione per rituffarsi nei tanti ricordi del suo passato nei servizi, nel ricordo ancora doloroso di Elena Contini, il suo grande amore. Il rammarico per averla lasciata andar via, contro i suoi sentimenti. E poi il rammarico per come aveva trattato Nanette, usandola come esca e poi abbandonandola al suo destino a fine guerra, quando era caduta in disgrazia.
La grande ipocrisia dietro quelle parole, servizi di sicurezza: sicurezza si, ma in nome di quale paese? Per quale paese lavorava quella parte dei servizi chiamati “deviati”, quel grumo di persone che lavorava per interessi esterni, di poteri fuori dal paese, magari di qualche alleato troppo pressante.

Il passato è una bestia cattiva, Bertini, che non vuole mai mollare. Quando crediamo che sia morta, torna improvvisamente a stravolgere i nostri piani
La scoperta del segreto di Max, quella brutta e vecchia storia del suo passato, sarà l’ultimo colpo di scena di questo romanzo, che porterà Bruno Arcieri di fronte ad un dilemma: come giudicare il passato di una persona? Tutte le persone che ha incontrato in questa vicenda hanno, come lui, attraversato quegli anni bui della guerra, i mesi terribili della Repubblica di Salò, alcuni hanno dovuto cedere a compromessi per salvare la vita, altri solo perché non hanno avuto il coraggio o la forza di fare la scelta giusta. Come Arcieri nel 1943.

I protagonisti di questo romanzo, dove fa capolino anche il commissario Bordelli (e un giovane De Andrè), sono persone dal passato travagliato: di loro l’autore ne sottolinea le emozioni che vivono, l’ira, l’odio e il desiderio di vendetta o, dall’altro canto, la compassione. Senza distinzione tra buoni e cattivi, in fondo tutte vittime della Storia.

La scheda del libro sul sito di Tea

Il sito dell’autore Leonardo Gori

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Report – la città martire della guerra in Ucraina

Report ieri sera torna su due servizi già andati in onda: come sono preparate le pizze a Napoli oggi, i pizzaioli hanno tenuto conto delle critiche emerse dal servizio di Iovene del 2014?

Le chiese date in concessione dalla curia di Napoli: il cardinale Sepe ha indetto una conferenza stampa dopo il servizio di Danilo Procaccianti, senza invitare però Report.

Ma prima un servizio su Mariupol, oggi città della federazione russa dopo il referendum farsa indetto dai russi. Come si vive in questa città, distrutta dalle bombe lanciate dagli stessi russi occupanti?

MARIUPOL ANNO ZERO di Manuele Bonaccorsi

A sei mesi dalla fine della battaglia è una città annessa, non solo occupata: la strada che collega Donetsk alla città costiera sono i camion e le rovine. Giunti in città, ci si rende conto che oggi i russi devono combattere una battaglia per conquistare la popolazione, oggi ridotta da 400 a 200mila.

Non sono certi nemmeno i morti, forse cinquemila, e i profughi, scappati nell’ovest dell’Ucraina.

Da settembre il territorio di Mariupol è Russia: qui Putin ha investito tanto nella ricostruzione, ma si deve fare in fretta perché sta arrivando l’inverno.
Così nelle strade operai, ucraini e russi, stanno piazzando i tubi per il riscaldamento sotto le strade.
Nel quartiere vicino all’impianto Azovstal rimangono solo scheletri: le persone rimaste in questo quartiere ridono pensando ai russi, “benefattori” che prima lanciano le bombe e ora mandano qui le loro imprese per ricostruire.
Gli occupanti si comportano bene, racconta una persona anziana
“si comportano bene adesso ma è come se io ti dessi un cazzotto e poi ti dicessi, ma come se bello. Ora basta, andiamocene o mi metteranno in prigione…”

Ma ci sono anche persone che criticano Zelensky, per la sua scelta di schierarsi contro la Russia. Ci sono quelli che considerano la Russia non un invasore ma un liberatore.
Altri vorrebbero solo la pace, la tranquillità. Qualcuno invece non vuole farsi riprendere, per timore degli informatori ucraini, nel timore che dovessero tornare a riprendersi la città.
Il teatro di Mariupol dove sono morti centinaia di civili per un bombardamento russo, è oggi ricoperto da teli con le immagini di artisti russi.
La ricostruzione del teatro e di altre zone del paese è in mano ad aziende di San Pietroburgo.

Il Cremlino ha appaltato al comune di San Pietroburgo i lavori di ricostruzione a Mariupol: l’antica capitale degli zar ha inviato qui tecnici, ingegneri e imprese. Il campo di battaglia per la conquista della popolazione è fatto di cemento, come quello del quartiere chiamato Aleksandr Nevskij, costruito da zero in tre mesi, lavorando giorno e notte. Centinaia di gru hanno tirato su palazzi dal nulla e hanno ristrutturato quelli lievemente danneggiati.

Il sindaco di Mariupol, messo lì dalla Russia, parla di investimenti ingenti per ricostruire case, per riscaldare gli appartamenti: nella stanza dell’intervista con Report è presente un militare, giusto per chiarire il clima.

Quella della Russia è una corsa contro il tempo: all’arrivo dell’inverno senza case riscaldate sarà difficile la situazione a Mariupol.
Ci sono quartieri senza gas, dove vivono anziani, bambini che hanno perso i genitori, in case che dovrebbero essere demolite, ma le liste per la ricostruzione sono lunghe. Per queste persone l’inverno sarà difficile.

C’è poi la battaglia fatta dalla carta: i russi stanno investendo tanto nella ricostruzione delle scuole dove si insegnerà, da ora in poi, il russo e non più l’ucraino. Con Zelensky, dal 2018, era l’ucraino la lingua nelle scuole.

Ma ora, più che la lingua, per i ragazzi e i bambini di Mariupol, la cosa più importante è dimenticare la guerra: le privazioni, il dolore, il timore di non avere cibo per il domani.

Putin sta compiendo lo stesso errore dell’Ucraina, imponendo una lingua: non ci sarà mai un processo di pacificazione, se non ci sarà il rispetto per le minoranza.

PIZZA CONTEMPORANEA di Bernardo Iovene

L’inchiesta del 2014 aveva mostrato il lato oscuro della pizza: forni non puliti, dove si sente l’odore della legna, ristoranti dove si vendeva la pizza congelata (a Venezia, ai turisti da spennare), mozzarella che viene dall’estero (senza che nessuno controllasse), pizzaioli che non conoscevano le basi (che vuol dire farina 00), olio di girasole al posto dell’olio d’oliva.
Un quadro impietoso su un prodotto che dovrebbe essere il nostro fiore all’occhiello: con prodotti di poca qualità, cotta in modo potenzialmente tossico, si ottiene un prodotto poco digeribile.

Apriti cielo: dopo il servizio Report e Iovene furono attaccati, accusati di voler rovinare l’immagine dei pizzaioli. La pizza si è sempre cotta e fatta così…

Otto anni dopo cosa è cambiato?
Iovene ha girato diverse pizzerie a Napoli: oggi si usa mozzarella fior di latte dop, pomodoro italiano, si inizia ad usare sempre di più olio extra vergine di oliva.
In un’altra pizzeria, a Roma, si fanno pizze di diversi gusti, non solo margherita o marinara, ma con un prezzo maggiore (il maggior prezzo dipende dal costo delle materie prime e dell’affitto).
Dopo la pizza del brand Da Michele, la pizza di Gino Sorbillo, in via dei Tribunali e in altri posti a Napoli, fino a Roma: qui si usano olio d’oliva e pomodoro San Marzano dop, con farine di tipo 1, meno raffinate.
Tutti cambiamenti nati dopo la trasmissione di Report: “ma ha fatto soltanto bene alla pizza” racconta.
Oggi si cerca di non bruciare la pizza, di usare la pala bucata, di stare attenti al fumo nella cupola del forno. Altri pizzaioli del centro di Napoli hanno seguito l’esempio di Sorbillo, niente olio di girasole e anche forni a gas (infrangendo il tabù del forno a legna e basta).
Anche da RossoPomodoro si usano forni a gas, sempre puliti, per fare pizze meno bruciate e più digeribili e asciutte.
Anche i forni elettrici sono stati sdoganati, come accaduto nella pizzeria di palazzo Petrucci a Spaccanapoli nel cuore della città, con una terrazza che affaccia sulla piazza di San Domenico Maggiore.
La pizza è cambiata, dal forno non più solo a legna si sfornano pizze con impasti idratati e farine tipo 1, con ingredienti molto lontani dalla tradizione, come i fichi conditi con la colatura di alici. Sapori diversi, ma le persone non notano la differenza, raccontano i pizzaioli. I prezzi salgono, però: se una margherita costa 6,50 euro, una pizza elaborata con prodotti freschi arriva a costare anche 15 euro. Pomodoro bio di Corbara, olio extra vergine e farina di tipo 1: i cuochi si trovano bene con questa farina – racconta a Iovene Davide Ruotolo, premiato come giovane pizzaiolo dell’anno nel nel 2022:
“mi trovo molto bene, comunque lavorando con un’alta idratazione, la tipo 1 mi assorbe maggiormente.”


La ricaduta è la bolletta: per il rincaro del gas, la bolletta è aumentata da 1884 euro del 2021, attualmente è balzata a 11.114 euro al mese. Un aumento che rispetto all’uso della legna è sempre, spiega a Report il padrone della pizzeria Edoardo Trotta, ovvero l’acquisto, lo scarico, la manutenzione del forno, della canna fumaria e di tutto quello che gira attorno.
L’associazione “Verace pizza napoletana” ha adottato i forni a gas, mentre l’altra associazione “Pizzaioli napoletani” rimane attaccata ai vecchi forni a legna.
Ma c’è un altro punto di distanza: l’associazione “Pizza Verace” chiede ai suoi aderenti di non usare il forno a legna quando il fumo riempie la cupola, perché significa che il forno non ha raggiunto la sua temperatura. Il fumo nero nel forno, cioè, non si dovrebbe mai vedere: si dovrebbe aspettare che il fumo si dissolva, misurare la temperatura, la volta deve essere bianca, solo così il forno è pronto per lavorare. Perché elementi incombusti che potrebbero finire sulla pizza non sono più presenti. Il profumo sulla legna non deve esistere: l’associazione Pizza Verace è chiaro su questo punto “il giorno che si sente il profumo della legna sulla pizza ci arrestano, perché significa che sono finiti gli idrocarburi della combustione sopra la pizza e questo non ci deve essere …”

E la pizza di Briatore? I pizzaioli napoletani lanciano un messaggio all’imprenditore piemontese, non è cosa tua.

Se le cose sono cambiate è anche merito di chi, come l’industria delle farine, ha fatto ammenda delle sue colpe: Iovene ha intervistato, dopo 8 anni, l’AD del Mulino Caputo, che oggi produce farine da grano italiano (non solo straniero), meno raffinato.
Questo grano è usato nella pizzeria di Ciro Salvo, proprietario di 50 Kalò: usano grani che provengono da aziende del sud, assieme ad olio extravergine, direttamente dalle bottiglie e versato sulle pizze appena sfornate. Le vecchie oliere se non ben lavate si rischia di raccogliere anche olio vecchio, dal sapore rancido.
Le sue pizze rappresentano la “pizza contemporanea”, una rivoluzione nel mondo della pizza a cui Report ha dato il suo contributo: la tradizione si può mettere in discussione, come anche la trascuratezza di vecchie procedure come dei vecchi ingredienti.

Oggi la pizza contemporanea, oltre a nuovi impasti (più idratati e maggiormente digeribili), ha anche visivamente un aspetto diverso, con un cornicione più alto.
Le pizze possono essere cotte a temperatura più bassa il che richiede maggiori tempi di cottura ma con meno fumo e con un fondo che non è bruciato.
Niente “schiaffo” per preparare l’impasto, niente acrobazie, solo gesti delicati per preparare la base.

Vincenzo Pagano, giornalista, ha accompagnato Iovene alla degustazione di queste pizze contemporanee, che piacciono ai giovani, compresa la “scrocchiarella” romana, più alta e croccante.
Cose impensabili fino a dieci anni fa.

E i pizzaioli storici cosa ne pensano? Che si tratta solo di una bolla, che alla fine si sgonfierà per tornare alla pizza tradizionale. Si tratta solo di una moda…

Report ha seguito le premiazioni per i migliori pizzaioli in Italia e poi nel mondo, che ha premiato i Masanielli di Martucci, con la sua pizza contemporanea.
T
ra la categoria pizzerie in catene, quest’anno era presente anche la Crazy pizza di Briatore: Iovene si è infiltrato assieme agli ispettori che dovevano fare la valutazione.
La pizza coi gamberi è “l’emblema della mediocrità”, quella Margherita “non sente la spinta né del pomodoro né della mozzarella”. Si paga tanto per non avere l’eccellenza, il giudizio dei tre giornalisti che hanno valutato queste pizze.

21 novembre 2022

Anteprima inchieste di Report – Mariupol la città martire, la pizza e le chiese a Napoli

Questa sera Report ci offre due servizi che sono seguito di vecchie inchieste: la prima sulla pizza, su come è cambiato il modo di prepararla, il secondo sulla gestione delle chiese di Napoli.

Infine un servizio in esclusiva su Mariupol, la città martire della guerra in Ucraina.

Report fa bene alla pizzaioli

Nel 2014 il servizio di Bernardo Iovene sulla pizza aveva suscitato tante, inutili, polemiche: “adesso nemmeno la pizza ci possiamo mangiare in pace..”
Eppure quel servizio metteva in luce tanti aspetti del cibo più amato dagli italiani, poco piacevoli: dal fondo bruciato all’uso di olio non di oliva (con scuse anche pretestuose per preferirne altri).
Passati 8 anni, quanto è cambiato nel mondo dei pizzaioli napoletani? Non solo sono stati sdoganati i forni a gas, anche quelli elettrici, come accaduto nella pizzeria di palazzo Petrucci a Spaccanapoli nel cuore della città, con una terrazza che affaccia sulla piazza di San Domenico Maggiore.
La pizza è cambiata, dal forno non più solo a legna si sfornano pizze con impasti idratati e farine tipo 1, con ingredienti molto lontani dalla tradizione, come i fichi conditi con la colatura di alici. Sapori diversi, ma le persone non notano la differenza, raccontano i pizzaioli. I prezzi salgono, però: se una margherita costa 6,50 euro, una pizza elaborata con prodotti freschi arriva a costare anche 15 euro. Pomodoro bio di Corbara, olio extra vergine e farina di tipo 1: i cuochi si trovano bene con questa farina – racconta a Iovene Davide Ruotolo, premiato come giovane pizzaiolo dell’anno nel nel 2022:
“mi trovo molto bene, comunque lavorando con un’alta idratazione, la tipo 1 mi assorbe maggiormente.”
Bernardo Iovene è andato in via dei Tribunali nel quartiere di Gino Sorbillo, dove ci sono i cantanti sui balconi e dove in tanti hanno beneficiato del successo del pizzaiolo. Davanti la sua pizzeria c’è sempre la fila e qui la Margherita costa 5 euro: “un prezzo giusto per la politica popolare che noi applichiamo da sempre con le nostre pizze.”

Sorbillo ha un’altra pizzeria sul lungomare dove i costi sono più alti, ma perché le spese di fitto sono più alte: sul lungomare, davanti Castel dell’Ovo una Margherita arriva a costare anche 8 euro, con la bufala anche 12. Ci sono poi altre pizzerie a Tokio, Miami, Milano e a Roma in piazza Augusto Imperatore dove servono la famosa pizza con la “zizzona” da un kg, a 40 euro, ma si tratta di una pizza per 4-6 persone.
Ma nelle pizzerie di Sorbillo si trova anche la classica Margherita con pomodoro San Marzano, fior di latte di Agerola e olio extra vergine di oliva. Otto anni fa i pizzaioli dicevano che era pesante sulla pizza, preferendo quello di girasole. Oltre all’olio la novità è il forno a gas, che non fa fumo, non ha bisogno di legna e la cottura della pizza è uguale.
Altra novità sta nell’impasto: non si usa più solo la farina doppio 0, si usa la farina tipo 1 inserita nell’impasto fa venire la pizza più saporita. Questo cambiamento rispetto al passato è frutto della trasmissione del 2014, spiega a Iovene Gino Sorbillo: tutto il polverone, tutte le polemiche hanno fatto solo bene alla pizza.

Oggi l’associazione Verace Pizza Napoletana ha inserito nel disciplinare la farina tipo 1, una scelta storica, e ai corsi per pizzaioli dove arrivano ad imparare l’arte della pizza napoletana da tutto il mondo, adesso insegnano l’uso addirittura di tre forni diversi, a legna, a gas e il forno elettrico – racconta Stefano Auricchio direttore dell’associazione e per una questione di trasparenza oggi le pizzerie dell’associazione riportano sulle insegne se usano il forno elettrico o a legna.

La polemica più dura è arrivata da un’altra associazione, quella dei “Pizzaioli Napoletani” che ammettono solo forni a legna e il loro presidente afferma che dovrebbe essere l’associazione “Pizza Verace” a cambiare nome, “perché divulga il forno a gas, il forno elettrico, penso che non si può più parlare di pizza verace a questo punto” spiega a Iovene Sergio Miccu. La pizza nasce col forno a legna e dovrà morire col forno a legna.
Ma c’è un altro punto di distanza: l’associazione “Pizza Verace” chiede ai suoi aderenti di non usare il forno a legna quando il fumo riempie la cupola, perché significa che il forno non ha raggiunto la sua temperatura. Il fumo nero nel forno, cioè, non si dov
rebbe mai vedere: si dovrebbe aspettare che il fumo si dissolva, misurare la temperatura, la volta deve essere bianca, solo così il forno è pronto per lavorare. Perché elementi incombusti che potrebbero finire sulla pizza non sono più presenti. Il profumo sulla legna non deve esistere: l’associazione Pizza Verace è chiaro su questo punto “il giorno che si sente il profumo della legna sulla pizza ci arrestano, perché significa che sono finiti gli idrocarburi della combustione sopra la pizza e questo non ci deve essere …”
Oggi i pizzaioli napoletano lo sanno, spiega a Iovene il rappresentante dell’associazione pizzaioli: lo sanno ma continuano ad infornare quando la cupola è densa di fumo, e non va bene.



La ricaduta oggi è 
per l’uso del gas, è però sulla bolletta: da 1884 euro del 2021, attualmente è balzata a 11.114 euro al mese. Un aumento che rispetto all’uso della legna è sempre, spiega a Report il padrone della pizzeria Edoardo Trotta, ovvero l’acquisto, lo scarico, la manutenzione del forno, della canna fumaria e di tutto quello che gira attorno.
A parte questo, la lezione di Report di otto anni fa, ha fatto bene alla pizza e a noi consumatori: oggi a Napoli si servono pizze più digeribili, cotte meglio e in forni più puliti.
Bernardo Iovene è andato ad ascoltare un altro pizzaiolo famoso, Ciro Salvo, proprietario del marchio 50 kalò, che ha pizzerie sia a Roma che a Napoli, sempre piene.
Anche lui ha cambiato modo di fare la pizza: solo grano italiano provenienti dal sud, tutti gli ingredienti sono tracciati, olio solo a fine cottura ed extravergine, ogni pizza ha poi il suo olio associato, “messo a caldo sulla pizza appena sfornata riesce a sprigionare tutto il suo profumo e tutto il gusto..”.
Anche la vecchia oliera, quella che veniva continuamente rabbocata, è stata mandata in pensione: perché se questa non veniva pulita in modo accurato si rischiava di raccogliere l’olio ormai rancido che si posa sul fondo e sulle pareti. Usando le bottiglie piccole si possono apprezzare le migliori caratteristiche esaltando così il sapore della pizza.

Il servizio di quest’anno si occuperà anche della famosa, e costosa, pizza di Briatore.

La scheda del servizio PIZZA CONTEMPORANEA di Bernardo Iovene

Nel 2014 una nostra puntata sulla pizza evidenziò come il prodotto simbolo nazionale fosse trascurato negli impasti e negli ingredienti, da Venezia dove venivano servite scongelate, a Milano dove venivano preparate con impasti veloci, passando per Roma e fino a Napoli dove spesso i pizzaioli erano poco preparati, le pizze spesso bruciate, i forni a legna non puliti, l’olio non era extravergine, le farine troppo raffinate. Il coro unanime dei consumatori era che per la maggior parte mangiavano una pizza poco digeribile. Siamo tornati nelle pizzerie di Napoli e abbiamo trovato una situazione capovolta rispetto a quella di otto anni fa. Miglioramenti nella scelta delle farine, degli ingredienti e l’introduzione di forni a gas ed elettrici approvati dall’associazione Verace Pizza. Una rivoluzione, iniziata proprio dopo la nostra inchiesta che provocò polemiche e attacchi, ma che oggi è diventata un punto di riferimento. Mentre montava la polemica sul prezzo della pizza innescata dall’apertura delle pizzerie dell’imprenditore Flavio Briatore, Report ha scoperto che le pizzerie storiche del centro di Napoli hanno aperto succursali in tutto il mondo dove i prezzi sono anche dieci volte più cari. Ma la sorpresa è la nascita della Pizza Contemporanea Napoletana che rompe con la tradizione con impasti molto idratati, ingredienti di qualità e addirittura con una forma diversa. Infine, abbiamo affiancato gli ispettori della guida “50 top pizza world” che girano e valutano le pizzerie in incognito e quest’anno tra le new entry c’erano proprio quelle di Briatore.

Le chiese di Napoli – la seconda puntata

A Napoli ci sono più di mille chiese e nel centro storico ce ne sono addirittura più di Roma: sono 203 ma solo 79 sono usate per il culto, il resto sono chiese abbandonate, decadenti e senza controllo. Non sorprende – racconta il servizio di Danilo Procaccianti – se poi esistono sfregi unici al mondo come quelli raccontati da Report due settimane fa: un abuso edilizio sulla faccia della chiesa di Sant’Arcangelo a Baiano, dove il balcone della casa a fianco alla chiesa si è allargato .


“Su quella chiesa non so come sia stato possibile quel tipo di abuso, che è un abuso che risale a moltissimi anni fa” era stata la risposta del portavoce della curia. Ma a parte questo, l’abuso sta ancora là, chi arriva davanti la chiesa vede un balcone che si è allargato. Perché la chiesa non è intervenuta prima?
“Di fatto siamo intervenuti e stiamo intervenendo ..”, ha provato a rispondere il portavoce ma in realtà la curia non ha mai fatto niente rispetto a quel balcone, la segnalazione l’hanno fatta i vigili urbani ben 34 anni fa ed è stata la Soprintendenza ad avvertire la Curia che era all’oscuro di tutto.
Un qualcosa di curioso, ammette Salvatore Buonomo della Soprintendenza : “è curioso nel senso che intervenire quando l’abuso è già stato effettuato pone delle difficoltà e dei disagi completamente diversi. ”
Report si era occupata anche del Grand Hotel Serapide, l’hotel ristrutturato dal trasversalissimo Claudio Ferrara, che una volta era la cittadella apostolica di monsignor Cascella che lo aveva lasciato alla curia a patto che continuasse ad essere usato per fini assistenzialistici.
Suite di lusso, centri benessere, piscine e una meravigliosa vista sulle isole di Ischia, Capri e Procida. Di apostolico oggi c’è rimasto ben poco. Come si difende la curia? Dicendo che quello che si ricava dall’hotel di lusso viene poi usato per il mantenimento dei sacerdoti poveri. Certo si ricava molto poco, perché la curia ha fatto in contratto di soli 3000 euro al mese.
“Questi non sono fatti vostri” ha risposto il cardinale Sepe a Report.

La scheda del servizio ANDATE IN PACE di Danilo Procaccianti
con la collaborazione di Goffredo De Pascale e Andrea Tornago

Sempre più numerosi i casi delle chiese napoletane gestite con grande difficoltà dalla Curia. Per il balcone abusivo sulla facciata della chiesa cinquecentesca di Sant'Arcangelo a Baiano, in pieno centro storico, si sono attivati il Comune e la Soprintendenza, ma cosa ha fatto la Curia da cui dipende quel monumento? Dopo la trasmissione del servizio di Report "La messa è finita", il Cardinale Crescenzio Sepe, Arcivescovo Emerito, ha convocato una conferenza stampa per dire che solo il 15% dei luoghi di culto cittadini è di loro pertinenza e che i soldi ricavati dalla locazione della Cittadella Apostolica - un centro nato per ospitare i bisognosi che tale doveva restare nella volontà testamentaria del prete che l'ha affidato alla Curia - vengono regolarmente impegnati per il nobile scopo. Ma è davvero così? E chi è l'affittuario della Cittadella che con una società con 50 mila euro di capitale ha stipulato con il Cardinale Sepe un contratto di 18 anni versando un importo di circa 3 mila euro al mese? Una conoscenza comune unisce il Cardinale e l'imprenditore. Si tratta di Nicola Cosentino, l'ex sottosegretario all'Economia condannato per concorso esterno in associazione camorristica. Ma la Cittadella Apostolica non sarebbe l'unico caso di "tradimento" di un “testamento".

Mariupol la città martire


Report è andata a Mariupol la città martire di questa guerra voluta da Putin, per raccontarci come si vive sotto l’occupazione russa, sei mesi dopo la fine della battaglia.
Non solo è una città occupata – racconta il servizio di Manuele Bonaccorsi – è diventata una città annessa al territorio russo, parte integrante del territorio della federazione russa, dopo il referendum farsa. La strada che collega il capoluogo Donetsk alla città costiera è ancora pieno di posti di blocco militari. Ma a rallentare il percorso è piuttosto lo slalom tra i cantieri: dopo l’operazione militare per la conquista delle strade, degli scheletri dei palazzi, dopo la strage di civili e militari, inizia la battaglia decisiva, quella per la conquista della popolazione.
Il Cremlino ha appaltato al comune di San Pietroburgo i lavori di ricostruzione a Mariupol: l’antica capitale degli zar ha inviato qui tecnici, ingegneri e imprese. Il campo di battaglia per la conquista della popolazione è fatto di cemento, come quello del quartiere chiamato Aleksandr Nevskij, costruito da zero in tre mesi, lavorando giorno e notte. Centinaia di gru hanno tirato su palazzi dal nulla e hanno ristrutturato quelli lievemente danneggiati.
Il teatro di Mariupol dove sono morti centinaia di civili per un bombardamento russo, è oggi ricoperto da teli con le immagini di artisti russi.
Un finanziamento straordinario da parte della Russia che però ha imposto in questi territori l’insegnamento del russo, lo stesso errore fatto da Zelensky che abolì il russo, quando prima si insegnavano tutte e due le lingue in queste zone.

Durante l’anticipazione a In Mezz’ora Sigfrido Ranucci spiegava come questo fosse un errore perché se non c’è il rispetto per le minoranze non puoi costruire una pacificazione e questa deve cominciare dalle scuole.
Cosa dicono le persone intervistate nelle strade? Alcuni se la prendono con Zelensky, se l’Ucraina fosse rimasta neutrale non ci sarebbe stata la guerra, altri raccontano di aver votato a favore del referendum, perché siamo tutti slavi. La gente (quanto meno le persone intervistate da Report) vorrebbe solo tornare alla pace.
Come si comportano gli occupanti – ha chiesto Manuele Bonaccorsi ad un anziano: “si comportano bene adesso ma è come se io ti dessi un cazzotto e poi ti dicessi, ma come se bello. Ora basta, andiamocene o mi metteranno in prigione...”

Quanto durerà questa guerra? Quanto ancora dovranno soffrire gli ucraini? Fino a quando ci sarà questa stabilità a Mariupol, specie ora che arriva l’inverno e le persone rimarranno senza case?

Il PIL ucraino è di 200 miliardi i danni stimati sono di 700 miliardi: chi pagherà?

La scheda del servizio MARIUPOL ANNO ZERO di Manuele Bonaccorsi

Le telecamere di Report tornano a Mariupol, la città martire della guerra ucraina, 6 mesi dopo la battaglia che l’ha ridotta in macerie. Dopo i referendum di annessione svolti a settembre, gli occupanti considerano la città portuale parte integrante del territorio russo. E dopo aver conquistato le strade e gli scheletri dei palazzi provano a conquistare la popolazione, per il 90% di madrelingua russa. Report ha intervistato gli abitanti della città, nettamente divisi tra chi dà la colpa della guerra a Putin e chi a Zelensky. L’amministrazione civile nominata da Mosca ha messo in campo uno sforzo straordinario per la ricostruzione. Obiettivo: dare a tutti un tetto entro l’inverno. Ma difficilmente gli abitanti rimasti a Mariupol riusciranno ad avere una casa calda prima dell’arrivo del gelo. Per loro si preannunciano mesi molto difficili. Cambia tutto anche nelle scuole, dove dal 2018 il governo di Kiev aveva imposto l’uso dell’ucraino, superando un sistema di istruzione che precedentemente era perfettamente bilingue. Oggi gli istituti di Mariupol, alcuni dei quali sono stati ricostruiti con grande velocità, applicano i programmi della Federazione russa. Ritorna la lingua madre maggioritaria della popolazione e l’ucraino viene ridotto a materia opzionale, un’ora a settimana. Nella battaglia tra gli opposti nazionalismi, gli studenti di Mariupol hanno però un’altra priorità, la più difficile: superare il trauma della guerra.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.