31 maggio 2021

Anteprima Report – gli appalti Covid e la storia del Mose (infinita)

Italia Viva e Renzi vogliono fare un'inchiesta parlamentare sul commissario Arcuri per capire quanto sia stata trasparente la sua gestione durante la pandemia.

Ma, come racconterà Report, sono stati tanti i furbetti del Covid (tra cui anche un ex presidente della Camera).

Sempre in tema di spese poco oculate, per usare un eufemismo, il capitolo Mose a Venezia: emblema di come non vanno gestite le opere in questo paese (e un monito a questo governo che si appresta a mettere a piano tanti lavori in fretta coi soldi del recovery plan).

Un servizio sulla posa dei tubi del gas (che doveva andare in onda la scorsa settimana) e infine un servizio su un palazzo di Roma, la sede dell'ex Istituto Geologico.

Chi ha fatto affari col Covid

Piccoli imprenditori, faccendieri, ditte nate poco prima della firma dei contratti, come hanno fatto ad aggiudicarsi appalti milionari per proteggerci dal virus?

A questa domanda cercherà di rispondere il servizio di Rosamaria Aquino, partendo dalla società ENT di Vittorio Farina, che si sarebbe rivolta all'ex ministro Saverio Romano, poi finito in una indagine per traffico di influenze assieme a Farina e al capo della protezione civile siciliana, per un appalto per la fornitura delle mascherine e di guanti.

Dopo aver incassato il primo assegno per l'appalto di guanti, la società di Farina ha effettuato un bonifico sul conto dell'ex ministro Romano, senza causale, un'operazione segnalata come sospetta dalla polizia tributaria.

Romano ha risposto alla giornalista che la fattura è del 13 maggio, che ha una causale e che è relativa ad un contratto di marzo per una attività professionale non legata alla vicenda Covid.

Una consulenza da 58mila euro, una bella somma, "Sono una bella somma ma non mi stravolgono la dichiarazione dei redditi".

Nulla di strano dunque. Tranne che la società di Farina poteva portarsi a casa un appalto da 15 ml di euro, che Saverio Romano si è dimenticato di segnalare la sua società al capo della protezione civile, di cui era amico, anzi “conoscente”

La scheda del servizio: Covid business di Rosamaria Aquino con la collaborazione di Norma Ferrara, mmagini Dario D'India, Alfredo Farina, Davide Fonda, Cristiano Forti, montaggio di Lorenzo Sellari

Durante l'emergenza Covid-19 ditte minuscole, che si occupano di tutt'altro, o nate pochi giorni prima della firma dei contratti, si sono aggiudicate appalti milionari. Hanno venduto gel igienizzante, tute protettive, guanti e mascherine. Come ci sono riusciti? Un viaggio tra facilitatori che avrebbero mediato appalti con le loro conoscenze politiche e imprese improvvisate che hanno venduto dpi alla pubblica amministrazione.

Le mascherine della Pivetti

Lo scorso maggio, Report aveva raccontato la storia delle mascherine acquistate dalla Cina e importate dalla società di Irene Pivetti, ex presidente della Camera.

Com’è andata a finire? LA MASCHERINA DELL'EX PRESIDENTE di Manuele Bonaccorsi

Report torna sul caso delle mascherine cinesi importate dalla società dell’ex presidente della Camera Irene Pivetti e sequestrate dalla Procura di Savona. Un affare che a distanza di un anno rappresenta ancora un salasso per le casse pubbliche. Anche per colpa di un clamoroso errore della Protezione civile.

L'eterno Mose (un monito ai fan del modello grandi opere)

Ce ne siamo un po' dimenticati del Mose, dello scandalo dei 6 miliardi spesi per un'opera ancora incompiuta, che forse non salverà Venezia dall'acqua alta, dei soldi pubblici finiti in mano ad un consorzio dove controllato e controllore erano la stessa cosa.


Poi succede che arriva l'acqua alta, come due anni fa nel novembre 2019 e ci si chiede, ma che fine ha fatto il Mose? L'acqua alta ha riempito tutta la cripta della Basilica, alcuni dei suoi preziosi mosaici sono andati quasi distrutti. L'acqua ha sommerso i mosaici ma è anche sgorgata dalla pavimentazione stessa dei mosaici, spinta dal basso, acqua salmastra, che ancora oggi lascia a ricordo di quanto avvenuto cristalli di sale sui mosaici e sulle lastre di marmo che ricoprono le pareti.

A proteggere il patrimonio artistico non c'è quasi nulla, perché le barriere del Mose, l'opera pubblica costata quasi 5,5 miliardi di euro, da sole non proteggono la Basilica di San Marco.

“Se il Mose deve proteggere la Basilica di San Marco, deve stare alzato sempre” spiega l'ex sindaco Cacciari (che era contrario a questi tipo di opera), “perché la Basilica va sotto di 70 centimetri.”

Mentre il Mose si alza solo se l'acqua si alza tra i 110 e i 130 centimetri: per salvare tutta l'insula di San Marco serve un'altra opera, dice il provveditore alle opere pubbliche Cinzia Zincone, che costerà altri 40ml di euro, che vedrà la luce – racconta il giornalista Luca Chianca – non prima di 3-4 anni.

Sapesse quale sentimento affligge anche noi, ci vuole tempo perché ci sono mille istituzioni che devono partecipare a questa approvazione, non le parlo dei Beni Culturali, non le parlo della commissione salvaguardia, non le parlo dei Vigili del Fuoco, del ministero dell'ambiente.. messi tutti insieme fanno anni”.

I soldi non ci sono e ora le aziende hanno fermato i lavori: in un video, che si può vedere nell'anteprima del servizio, sono riprese le paratie della bocca di Lido, la più vicina a Venezia, che devono essere sottoposte ad interventi di continua manutenzione per evitare i rischi della corrosione.

L'ex commissaria del consorzio per il Mose avrebbe dovuto sbloccare i lavori fermi: se i lavori sono fermi, negli scorsi mesi c'è stato un giro di nomine attorno al consorzio, l'ex amministratore Ossola richiamato come consulente per 1100 euro al giorno, “un tecnico di altissimo livello, necessario per garantire il completamento dei lavori.. ”



La cerimonia della prima posa del Mose è del 2003, ai tempi dell'altro governatore del Veneto, l'altro doge Galan: “Venezia è salva”, diceva ai giornalisti, “non è facile trovare le parole giuste ..”

La scheda del servizio: Povero San Marco di Luca Chianca, con la collaborazione di Alessia Marzi, immagini di Matteo Delbò, montaggio di Emanuele Redondi

A luglio scorso Report aveva partecipato al primo test per il sollevamento del Mose, l'opera che dovrebbe salvare Venezia dall'acqua alta. Finalmente dopo 17 anni dalla posa della prima pietra tutte le barriere mobili si sono alzate contemporaneamente. Un evento senza precedenti a cui hanno partecipato ministri, politici e forze armate. Di fatto una vera e propria inaugurazione, con tanto di benedizione, dopo anni di lavori e commissariamenti. A distanza di quasi un anno Report è tornato sull'Isola Novissima che divide la bocca di San Nicolò da quella di Treporti, documentando con immagini esclusive come i cantieri siano di fatto fermi perché le ditte che devono completare l'opera non ricevono soldi da dicembre scorso. Cosa sta succedendo all'opera che avrebbe dovuto salvare San Marco e la sua Basilica dall'acqua alta?

Lo stato dei tubi

Con che criteri di sicurezza sono posati i tubi del gas posati sotto le strade?

Il servizio di Report racconterà di quanto sia impostante che siano posti alla giusta profondità, che siano ben segnalati, per evitare problemi di fuoriuscita di gas per interventi sul manto stradale.

Ma non sempre questi criteri sono rispettati.

La scheda del servizio: La grande fuga di Max Brod in collaborazione di Greta Orsi con immagini di Paolo Palermo, Fabio Martinelli, Cristiano Forti e Andrea Lilli, ricerche immagini di Eva Georganopoulou, montaggio di Andrea Masella

Vicino alle nostre case, sotto il manto stradale, passano chilometri di tubazioni del gas. Quando si verificano delle perdite da queste condotte, il metano può arrivare anche dentro alle abitazioni e provocare gravi incidenti. Per questo motivo i tubi vanno posati a profondità di legge e gli scavi per ripararli vanno poi riempiti con materiali specifici. Ma avviene sempre così? Report ha girato l'Italia per capire come stanno le cose, scoprendo tubazioni superficiali e gestori che hanno dovuto correre ai ripari dopo la posa delle condotte. E i Comuni quanto controllano? Il problema della profondità sembra importare a pochi nonostante ciò che racconta chi sulle strade lavora tutti i giorni: le tubazioni superficiali sono all'ordine del giorno.

Il palazzo dell'ex Istituto Geologico

La scheda del servizio: Intrighi a palazzo di Chiara De Luca, con la collaborazione di Greta Orsi, immagini di Chiara D'Ambros, Paolo Palermo, Fabio Martinelli e Andrea Lilli, montaggio e grafica di Michele Ventrone, montaggio di Andrea Masella

In largo Santa Susanna, in pieno centro a Roma, c'è lo storico palazzo dell'ex Istituto Geologico. Su di esso gravano due vincoli, uno archeologico e uno architettonico. Nonostante l’importanza storica il palazzo ha perso la sua funzione originaria perché nel 1995 fu svuotato delle sue opere, oggi inscatolate in un magazzino, e nel 2005, dopo essere stato cartolarizzato, fu venduto a una serie di società riconducibili a Cassa depositi e prestiti che a breve ci farà gli uffici del Fondo nazionale innovazione. Proprio per questo motivo sono in corso dei lavori, ma di che lavori si tratta?

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

30 maggio 2021

Arriva il boom

 


Per capire il mood, il sentiment che gira attorno al governo Draghi, basta guardare le prime de La Stampa e di Repubblica.

L'estate della ripartenza, dice Confindustria. Nelle pagine interne una bella intervista a Brunetta (ve lo ricordate, il ministro ultra berlusconiano, ora si fa intervistare da Repubblica, come cambiano i tempi..).

Brunetta, che poteva essere un nobel, ci dice che con la loro rivoluzione gentile porteranno l'Italia ad un nuovo boom.

Su La Stampa ci si dedica alla funivia: colpo di scena, tutti gli indagati sono stati scarcerati, nessun indizio di colpevolezza scrive il gip (ah, questo giustizialismo che colpisce tutti). Iniziate a prendere nota, tra due settimane sarà il solito errore umano, altro che imprenditori avidi.

Si è appena chiusa una settimana che, per me, è la cartina al tornasole dei tempi moderni che viviamo: la tragedia al Mottarone (e il forchettone per non fermare gli impianti per un controllo). Le due morti sul lavoro a Pavia (che si inseriscono in un lungo elenco di nomi, di persone morte sul luogo di lavoro). Il farmacista, il medico e l'avvocato che davano oppiacei ai lavoratori indiani nei campi dell'agro pontino affinché non si stancassero. I fanghi tossici sversati sui campi del nord'Italia e le risate dei due imprenditori dell'imprenditore e del geologo su quel bambino che avrebbe mangiato i frutti di quei campi.

E poi le polemiche sul decreto per le semplificazioni, fatto trapelare in bozza ai giornali per vedere l'effetto che fa (ma queste cose non le faceva Conte?), con dentro il minimo ribasso e l'assenza di vincoli sui subappalti.

Hanno chiesto cento sapendo che potevano puntare a 80, i competenti del governo: il minimo ribasso non c'è, forse, e la regola del subappalto rimane al 50% del totale ma fino ad ottobre.

Niente da fare sulla tassa di successione, perché non è tempi di prendere, e nemmeno sui licenziamenti.

Che succederà tra un mese, con la fine del blocco (che comunque non ha evitato i licenziamenti per cessazione di attività come quelli della Disney Italia, che pure ha goduto della cassa integrazione) e con la fine del blocco degli sfratti a settembre?

A leggere i giornali questo paese ha bisogno di cene, aperitivi, vacanze, di ripartire. Arriva il boom, avete lettoMa chi se lo prenderà questo boom?

Questo paese avrebbe bisogno di case, di una riqualificazione dei quartieri che non scacciasse via le persone in difficoltà, di sicurezza ma intesa come sicurezza sul lavoro, a scuola, di una sanità che funziona.

E invece ci ritroviamo a chiedere scusa ai politici finiti sotto processo (e dopo le assoluzioni nascondo i fatti). Ci troviamo a sentire gli esperti di virologia laureati sui social attaccare Galli perché a maggio i numeri del contagio sono positivi (visto, aveva ragione Draghi col suo rischio calcolato?).

E' tempo di restaurazione, altro che ridistribuire, di diritti sociali, di equità.

27 maggio 2021

Faccia da mostro Lirio Abbate


Un ex poliziotto. Omicidi eccellenti e stragi di mafia. Una donna legata a Gladio. Un mistero che dura da trent'anni.

Questa è la storia di un uomo di cui, per anni, non si è saputo il nome. Era solo un personaggio oscuro, il cui volto deturpato aveva colpito i vari testimoni che ne parlavano. Pentiti di mafia che raccontavano di questo poliziotto che lavorava per cosa nostra e non per lo stato, spietato e pericoloso, perfino per i mafiosi.

Ne ha parlato Vincenzo Agostino, il padre del poliziotto Nino Agostino, ucciso dalla mafia (in un omicidio che non è solo di mafia) il 5 agosto 1989.

I capelli lunghi, la pelle del volto rovinata, una cicatrice sulla guancia. Una “faccia da mostro” l'aveva definita Vincenzo, un uomo coraggioso che quel giorno decise che non si sarebbe più tagliata la barba finché non avesse avuto giustizia per il figlio e la nuora.

Il lato oscuro della luna

Un personaggio sfuggente, difficile, ostile. Refrattario alle inchieste. Appare dove meno lo si aspetta, e anche chi riesce a trovarlo ha sempre l'impressione di non essere in grado di capirlo davvero, di vederlo nella sua interezza. C'è sempre un lato che rimane in ombra.

Questo è Faccia da Mostro, e chi vuole raccontare la sua storia deve innanzitutto scendere a patti con l'impossibilità di ricostruire fino in fondo le vicende. Non si sa neppure di preciso quanti scandali, quanti misteri, lo vedono attore protagonista, seppure defilato...

La premessa che fa Lirio Abbate è fondamentale per comprendere il senso di questa storia: non ci sono prove di colpevolezza contro questa persona, chiamata Faccia da Mostro ma che ha un nome e un cognome, un passato all'apparenza normale, senza nulla da segnalare.

In questo libro l'autore, che anni prima aveva raccontato della rete di complicità di Bernardo Provenzano tra imprenditori e politici, riporta fatti verificati, testimonianze, voci, intercettazioni.

Che raccontano l'altro volto di Giovanni Aiello, il suo volto oscuro della luna, ex poliziotto andato ufficialmente in pensione nel 1977 per gravi turbe psicologiche dopo la ferita al volto, che lo aveva sfregiato al volto. Anche qui, secondo la versione raccontata da questa persona, ferita riportata in servizio. In realtà un colpo partito per errore dal suo fucile.


Nessuno ha voglia di parlare di questa persona, che si è sempre presentata come un pensionato che vive nella sua casetta in riva al mare nel suo paese in Calabria, dove passava le giornate a pescare.

Ancora dopo anni fa paura questa persona e non solo per il suo volto, rovinato.

Nino Lo Giudice, pentito di ndrangheta, arriva a mettere in scena una sceneggiata, con un video messo in rete, per sconfessare la sua confessione fatta al giudice della DNA Donadio nel 2012.

«Io credo che il personaggio con il volto sfregiato sia un personaggio molto pericoloso». E poi afferma: «E' un cane». Il magistrato sbalordito lo guarda e chiede: «Scusi, non ho inteso», e Lo Giudice ripete: «E' un uomo cane» e poi «sto parlando di un uomo fuori dalle regole».

Un soggetto pericoloso, che era fuori dalle regole delle ndrine, un “terrorista dei servizi deviati”, coinvolto in “eventi stragisti dove sono state colpite anche persone innocenti e questo è contro le regole della 'ndrangheta”.

L'omicidio di un bambino, di un altro poliziotto e della moglie.. Una persona che aveva familiarità con le armi, che a volte si accompagnava ad una donna. Che, di sé, diceva di essere stato addestrato in Sardegna in un campo paramilitare, forse uno che apparteneva a Gladio.

Aveva anche delle foto, Lo Giudice, che aveva promesso al magistrato, foto che poi non sono uscite fuori. Non solo, in un video successivo, Lo Giudice racconta di essere stato minacciato dai giudici per infangare una persona che, evidentemente, anche a distanza di anni, fa ancora paura.

Una ritrattazione che getta fango sui magistrati della direzione antimafia che sono stati presi in giro da questo pentito.

A questo punto un altro giornalista avrebbe abbandonato la storia di “faccia da mostro”.

Ma Lirio Abbate decide di cambiare strada, tornare indietro, allargare lo sguardo, partendo da una scia di sangue lasciata da una serie di omicidi o attentati attribuiti alla mafia e avvenuti negli anni '80.

Episodi in cui, in un modo o nell'altro, viene fuori questo volto, questa persona così particolare.

L'omicidio di Ninni Cassarà nell'agosto 1985, capo dell'ufficio investigazioni della Mobile di Palermo, ucciso assieme a Roberto Antiochia.

L'omicidio di Claudio Domino, il ragazzino di 11 anni ucciso nei giorni del maxiprocesso, nell'ottobre del 1986. Un omicidio da cui gli stessi capi mafia di dissociarono, non è cosa di mafia, ammettendo di fatto l'esistenza della mafia.

L'omicidio di Natale Mondo, agente di polizia nel gennaio 1988.
I fallito attentato all'Addaura contro Falcone il 21 giugno 1989, l'estate del corvo e delle “menti raffinatissime”.
L'omicidio di Nino Agostino e della moglie, Ida Castelluccio, il 5 agosto 1989.

Lirio Abbate ripercorre tutti questi delitti, da Cassarà, lasciato solo dopo la sua deposizione a Caltanissetta contro contro i Salvo. Al delitto del piccolo Claudio, un delitto in cui il pentito Luigi Ilardo per la prima volta parlò di questa persona che non era della mafia, un ex poliziotto che eseguiva questi omicidi per i boss.

Erano anni difficili, quelli dopo il 1986, come se il maxi processo avesse interrotto la spinta antimafia: sono gli anni del finto garantismo, delle lettere del corvo, dei giuda che bloccano le promozioni a Falcone dentro la magistratura, il CSM, l'Alto Commissariato Antimafia.

Gli anni in si dice e si scrive che Falcone si è fatto l'attentato da solo all'Addaura per ottenere la promozione a procuratore aggiunto.

A raccontare di Faccia da Mostro e a portare al nome di Giovanni Aiello sono sia persone dentro la mafia (o la ndrangheta come Lo Giudice) che persone che hanno indossato la divisa per infangarla, come i poliziotti corrotti, come Pietro Riggio o Giovanni Peluso, indagato a Palermo per la strage di Capaci.

Sono loro che parlano, dopo anni di distanza, della trattativa, di quella parte dei servizi che non lavorava per lo stato ma per la destabilizzazione.

Ed è in questa zona grigia che troviamo l'ex poliziotto Aiello assieme ad un altro collega in polizia, uno la cui carriera è finita male, l'ex capo della Mobile Bruno Contrada. Erano molto amici, Aiello e Contrada negli anni in cui hanno lavorato a Palermo: la vicenda giudiziaria di quest'ultimo è emblematica su quanto l'Europa sappia poco della mafia. Contrada è stato condannato per concorso esterno, dopo aver completamente scontato la pena, la corte europea dei diritti dell'uomo ha annullato gli effetti della pena ma non la condanna, non le accuse fatte da diversi pentiti sull'ex numero tre del Sisde.

Accuse che portano verso questa zona grigia, tra stato e mafia, dove tutto si mescola: Abbate racconta la storia della “casa della morte” in vicolo Pipitone a Palermo, dove si incontrava il gotha mafioso negli anni '80 per decidere della morte dei suoi nemici, come un Tribunale senza appello.

Dentro questa casa, alla fine di un vicolo vicino ai cantieri, in una zona controllata dalla famiglia Galatolo, venivano ricevuti dai boss anche Contrada e Giovanni Aiello, la loro privacy era garantita da una camionetta dei carabinieri che chiudeva l'ingresso del vicolo agli estranei. Carabinieri a libro paga della mafia.

Anche questo è successo in Italia, vedere poliziotti sporchi e uomini dei servizi da una parte, e poliziotti a caccia dei mafiosi dall'altra. A fine anni '80 il Sisde reclutava poliziotti giovani e che avevano voglia di mettersi in mostra, per dare la caccia ai latitanti, come Riina, come Nino Madonia, stabilendo anche un prezzario, come le taglie ai fuorilegge del far west.

Di questi cacciatori di mafiosi avrebbero fatto parte Emanuele Piazza e Nino Agostino, due agenti che erano stati visti proprio lungo quel vicolo per cercare qualche pezzo grosso.

Ma da cacciatori diventarono prede, perché la caccia ai latitanti non si può fare in modo improvvisato, e questo non per colpa dei due agenti, che alla fine pagarono con la morte quel lavoro.

Lavoro che alla fine aveva creato molti problemi ad entrambi: Nino Agostino lo ripeteva a chiunque volesse ascoltarlo, lui non aveva voglia di finire in quel “calderone di fango” che aveva visto.

Pezzi dei servizi, uomini dell'estrema destra (come il professor Alberto Volo, che aveva raccontato allo stesso Falcone della pista dei Nar per l'omicidio Mattarella) ed esponenti della mafia.

Gli ultimi due capitoli del libro sono dedicati alla morte dell'agente Nino Agostino, ai cui funerali partecipò anche Falcone: Abbate racconta, sulla base dei ricordi del padre, quell'uomo che si presentò a casa sua chiedendo del figlio. Persona che anni dopo, nel 2016, Vincenzo Agostino identificò proprio in Giovanni Aiello.

La finta pista passionale seguita dalla Mobile, il cui capo era Arnaldo La Barbera, uomo dei servizi pure lui col nome in codice di Rutilius.

Ora, per questo omicidio, sono arrivate le prime condanne per i due mafiosi ritenuti responsabili. Ma non è ancora tempo per Vincenzo Agostino di tagliarsi la barba. Perché ancora alcuni pezzi della verità mancano: se Aiello è morto, ci sono ancora altri personaggi di questa brutta storia che sono ancora vivi e che possono parlare.

Persone come la donna che è stata vista a fianco di Aiello: anche lei addestrata in un campo militare, forse appartenente a Gladio. Sono poche le informazioni disponibili su di lei, ora tocca alla magistratura partire da queste poche notizie per fare un'indagine e svelare il mistero.

Che non è solo il mistero di un uomo dalla faccia rovinata da un colpo di fucile.

E' il mistero di una democrazia con un'anima sporca, che pesa sulla sua coscienza per i troppi lutti che ha causato.

E' tempo di fare luce sulle stragi del terrorismo eversivo-mafioso, sulle persone che da dentro lo stato hanno contribuito a questa destabilizzazione, che hanno piazzato bombe, che hanno protetto la latitanza dei boss e impedito ad un paese di poter respirare “il dolce profumo della liberà”.

Io sono arrivato fin qui. Il resto spetta agli inquirenti, che hanno strumenti e le capacità per fare luce sui quarant'anni di misteri che abbiamo ripercorso in queste pagine. Perché in fin dei conti un mistero non è che un segreto che ancora aspetta di essere svelato.

Il tema di Faccia da Mostro come abbiamo visto è molto complesso. Ci sono voluti quasi trent'anni per arrivare a scoprire la sua identità. E scavando nel suo passato abbiamo scoperto che gli inquirenti della Procura nazionale antimafia hanno dovuto lottare contro «le cose indicibili» che hanno protetto quest'uomo. La stessa cosa vale per le donne. E uso il plurale. Perché per più di una le indagini accertano il coinvolgimento nei delitti e nelle stragi.

La scheda del libro sul sito dell'editore Rizzoli, il pdf per leggere il primo capitolo

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

26 maggio 2021

Lacrime di coccodrillo (la tragedia sul Mottarone)

Dalla Thyssen, al ponte di Genova, fino all'ultima tragedia sulla funivia del Mottarone.

La logica del risparmio viene prima di tutto, perfino delle vite umane che piangiamo poi, con lacrime di coccodrillo.

Spenderemo miliardi in cemento, alta velocità, forse perfino per il ponte sullo stretto.

Ma per la sicurezza, giammai.

25 maggio 2021

Report – il vertice delle stragi

La vicenda Copasir

Gli incontri tra Renzi e il dirigente del DIS Mancini hanno portato all'audizione del direttore Vecchione, poi sostituito dal governo Draghi.

Anche Salvini ha incontrato Mancini, non in un autogrill, ma in prossimità di Cervia.

Renzi giustifica l'incontro parlando di scambi di regali e però ha fatto un esposto alla procura per capire meglio se il video è stato fatto veramente dall'insegnante.

Nel frattempo Volpi, ex presidente, si è dimesso e così le audizioni si sono fermate: il nuovo Copasir avrà voglia di fare chiarezza su questi incontri?

L'eventuale inchiesta si è impantanata, secondo l'onorevole Meloni c'è forse un legame tra le dimissioni di Volpi (leghista) e la voglia di bloccare l'inchiesta su Mancini: sulla successione di Volpi c'è uno scontro tra Lega e FDI, che si sono scambiate accuse sull'essere amici di paesi stranieri. Adolfo Urso che sarebbe amico dell'Iran, mentre Salvini sarebbe amico sia della Russia che del Qatar.

Il vertice delle stragi in Italia e le menti raffinatissime

La strage di Bologna, la strage di Capaci, la strage di via D'Amelio e poi le successive stragi in continente del 1993.

Chi c'è dietro le stragi? Chi ha indicato gli obiettivi a Riina?

Si riparte da qui, dai soggetti dietro le stragi di cosa nostra, Berlusconi e Dell'Utri, già indagati e archiviati anni fa dalla procura di Firenze.

Si parte dalla casa della morte in vicolo Pipitone a Palermo, dove il gotha mafioso decideva chi uccidere come fosse un tribunale senza appello.

Qui è il regno del clan Galatolo dove i mafiosi incontravano soggetti appartenenti ai servizi e alle forze dell'ordine: dal maresciallo Salvano a Faccia da mostro, il dottor Contrada a La Barbera.

In questa casa servizi deviati e mafia si incontravano per scambiarsi favori: Faccia da mostro sarebbe il killer di stato, autore di una serie di omicidi avvenuti negli anni 90, accompagnato ad una donna misteriosa e pericolosa.

Faccia da mostro avrebbe avuto un ruolo nelle stragi di Capaci e via D'Amelio, nel fallito attentato all'Addaura, per spaventare Falcone.

Sui luoghi delle stragi sono quattro le donne viste e di cui esiste un identikit ma non se ne conosce l'identità. Ma non è il solo mistero, ancora oggi non si conosce chi ha premuto il tasto per far esplodere quelle bombe, un segreto inconfessabile perfino per la mafia, perché sarebbe la fine dell'immagine della mafia ..

A quasi 30 anni di distanza ancora non sappiamo i mandanti di queste stragi, per conoscerli Paolo Mondani mette assieme le prove già raccolte e altre, verbali e informazioni, rimaste nei cassetti.

Totò Cancemi nel 1993 si consegna ai carabinieri: Cancemi a Riina aveva confidato le sue preoccupazioni dopo Capaci (“se quelli sanno la verità è finita la cosa ..”). Cosa non dovevano sapere i soldati di mafia?

E chi erano i personaggi non mafiosi presenti durante la preparazione della strage di via D'Amelio?

Ne parlano la moglie del pentito Di Matteo col marito, dopo che era stato rapito il primo figlio, “ne abbiamo ancora un altro”.

E chi erano i personaggi che si muovono attorno alla macchina di Borsellino per rubare l'agenda rossa di Borsellino? Alla mafia cosa interessava di quell'agenda?

Salvatore Baiardo, l'uomo che ha curato i beni dei Graviano e di Messina Denaro, l'agenda ce l'ha proprio quest'ultimo. Parla anche degli incontri tra i Graviano con Berlusconi, tre volte, anche in Sardegna dove il boss avrebbe portato “una barca” di soldi all'ex presidente del consiglio.

“[Il partito di Berlusconi] è stato finanziato dalla mafia e non solo”, conclude Baiardo.

Queste informazioni erano presenti in una informativa della Dia, di cui aveva preso visione il magistrato Chelazzi: poco dopo Chelazzi fu trasferito alla procura antimafia e quella direttiva è stata dimenticata, fino ad oggi, fino al processo sulla ndrangheta stragista.

Oggi i Graviano parlano anche di Berlusconi e dei soldi, come nel 2013 in carcere Riina parlava dei finanziamenti ricevuti dal cavaliere.

Su questo stanno indagando i magistrati Turco e Tescaroli: i soldi a Berlusconi per il suo progetto politico, l'agenda rossa presa da uomini esterni alla mafia e portata ai boss, i luoghi per le stragi indicati dal bibliofilo Dell'Utri.

Tra i verbali dimenticati in un cassetto ci sono quelli raccolti da Chelazzi nel 1998, mentre interrogava Siino, dove si parlava di un collaboratore di Berlusconi, l'ex finanziere Francesco Maria Berruti, contatto tra la mafia e la politica secondo una confidenza ricevuta da Nino Gioè.

E c'è poi la storia della morte di Nino Gioè, uno degli autori della strage di Capaci, morto suicida in carcere, in uno strano suicidio: ma secondo il cugino Di Carlo è stato suicidato, Gioè stava per pentirsi, per confidare qualcosa ai magistrati.

Gioè, prima della bomba telefona a tre numeri negli Stati Uniti, racconta Gioacchino Genchi: a chi stava telefonando?

Gioè era in contatto con Bellini, estremista di destra, oggi indagato anche per la strage di Bologna, fatto infiltrare in cosa nostra dal Ros di Mori – dice lui a processo.

Gioè avrebbe dato un biglietto a Bellini, dove chiedeva favori a cinque mafiosi in carcere, Mori rifiutò di trattare, anzi non sapeva nemmeno di Bellini.

Matteo Messina Denaro era considerato da Riina come un figlio, forse perché era a conoscenza di tutti i suoi segreti: sapeva dell'intenzione di buttarsi un politica, con le leghe meridionali.

Una proposta fatta da Riina a Saro Maino, il suo alter ego in America, in contatto coi servizi americani. Come americani erano i telefoni con cui Gioè si mette in contatto, e anche altre telefonate degli stessi numeri di telefono dei mafiosi si mettono in contatto con l'America.

Bellini fu un infiltrato vero, in Cosa nostra, oppure il suo ruolo era inoculare in Riina l'idea che per far cedere lo stato era meglio colpire le opere d'arte, come sostiene Brusca?

Berlusconi, la banca Rasini, le accuse di riciclaggio di una banca dove avevano i conti Pippo Calò, le indagini di Berruti poi archiviate, le confessioni di Siino su Berruti ..

Il finanziere Pulici aveva seguito le indagini su Matteo Messina Denaro: dal suo ufficio un giorno sparisce una pen drive e un computer con dentro i documenti delle indagini, non è stata fatta alcuna indagine da parte di un giudice.

Chi è stato, chi è entrato nell'ufficio della magistrata Teresa Principato?

Da qui si parte per scoprire chi sta proteggendo la latitanza di Messina Denaro: una fonte racconta a Paolo Mondani di un esponente dei servizi civili che aveva i contatti con la mafia, era stato infiltrato nella mafia di San Lorenzo.

Questa persona (Alessio) si era occupato delle lettere che Messina Denaro scambiava col sindaco di Castelvetrano, raccolte in un libro “Lettere a Svetonio”: sindaco morto in questi giorni, un uomo dei servizi, l'ex sindaco Vaccarino.

Alessio, l'autore delle lettere per conto di Messina Denaro, infiltrato nella mafia, pure lui sarebbe un uomo dei servizi.

Qui siamo oltre l'immaginazione: questo libro serve per mandare messaggi, da una parte dello stato, a Messina Denaro, a creargli un'immagine di nuovo capo della mafia, dopo la cattura di Provenzano. Capo della mafia la cui latitanza è garantita molto in alto, dalla massoneria (Messina Denaro sarebbe pure affiliato ad una loggia figliata dalla P2) e da pezzi dello stato.

La mancata perquisizione del covo di Riina

Dopo l'arresto di Riina, il ROS e Mori decidono di non perquisire subito il covo, per monitorare chi sarebbe entrato in quella casa. Per un disguido, dicono i Ros, nessuna telecamera fu attivata in quei 18 giorni: secondo i pentiti di mafia, i segreti di Riina custoditi dentro la sua cassaforte, sarebbero passati a Messina Denaro e questi avrebbero ingrandito la sua forza.

Anni dopo a Nino di Matteo arriva un documento firmato “Protocolo fantasma” dove si racconta che nei documenti di Riina erano indicati i nomi delle persone a libro paga dentro lo stato, il Vaticano, “si poteva rovinare uno stato intero” racconta la pentita Rosi Vitale.

Nemmeno Riina si spiega come mai quella mancata perquisizione: chi ha venduto Riina, ha venduto solo il capomafia, ma non i suoi segreti.

Chi lo avrebbe venduto è Bernardo Provenzano, anche lui latitante per anni, grazie a tante protezioni.

Provenzano poteva essere arrestato nel 1996, grazie al contributo di Luigi Ilardo, mafioso che stava collaborando col colonnello della Dia Michele Riccio.

Ma il Ros decide di non catturare Provenzano, perché doveva ricompattare l'organizzazione – sostiene Riccio oggi.

Ilardo fu ucciso poco dopo aver incontrato a Roma Mario Mori e il giudice Tinebra: in quell'ultimo incontro Ilardo rinfaccia al carabiniere quei delitti fatti da pezzi dello stato e affibbiati alla mafia.

Come l'omicidio Mattarella, Pio La Torre e Insalaco, che sarebbero omicidi fatti dallo stato e dalla mafia. Mentre un omicidio fatto solo dallo stato sarebbe quello di Domino, un bambino di 11 anni, ucciso durante il maxi processo.

Esistono zone d'ombra negli apparati investigativi del Ros, racconta oggi il procuratore Patronaggio: analizzando gli atti, si denotava una scarsa voglia di collaborazione con la magistratura.

Mori è stato sempre assolto, va ripetuto. Ma quelle zone d'ombra rimangono.

Le strane presenze durante le stragi, il killer di stato faccia da mostro, il ruolo della massoneria e della destra eversiva, i servizi deviati.

Al processo d'appello sulla trattativa sono emersi dei documenti rimasti nei cassetti per anni: erano documenti sequestrati ad un mafioso che descrivevano l'impero economico di Provenzano: Gioacchino Genchi ha tirato fuori da quel pc e da quei floppy migliaia di pagine rimaste nel cassetto fino a pochi mesi fa.

Seconda stranezza, emersa di recente, è scoprire che Mori aveva indagato in Veneto nel 1975 sulla Rosa dei Venti, mentre era al SID.

Maletti allontanò Mori dal Sid: perchè era sospettato di contatti con l'estrema destra eversiva, racconta oggi Maletti. Nel 1978, Mori fu trasferito a Roma, il giorno successivo al rapimento di Aldo Moro: qui, racconta un altro ufficiale dei carabinieri Giraudo, avrebbe fatto proselitismo per conto della Loggia P2.

Mori è stato condannato in primo grado nel processo sulla Trattativa: di fronte ai giudic ha raccontato dei suoi incontri con Ciancimimo, “si può far qualcosa per fermare questo muro contro muro?”

La trattativa che per molti è ancora “presunta”.

La procura di Reggio Calabria ha aperto un fascicolo chiamato mafia parallela: l'indagine parte dalle dichiarazioni del pentito Barreca, che racconta degli anni in cui in Calabria erano arrivati Franco Freda, in contatto con la ndrangheta per mettere in piedi uno stato parallelo, con dentro mafiosi e uomini dello stato e massoni.

Licio Gelli sarebbe il prezzemolo di ogni minestra, conclude Barreca.

Ma Licio Gelli non poteva essere toccato: chi osava mettersi sulle sue tracce, come il funzionario del Sisde Scorza, veniva bloccato dal capo della polizia Parisi.

Qual era l'obiettivo delle bombe, a Firenze, a Milano e a Roma?

Chelazzi era intenzionato a mettere ad iscrivere nel registro degli indagati Mario Mori (l'ultima persona che ha interrogato prima di morire), era convinto dell'esistenza di una trattativa tra stato e mafia, per venire incontro ai problemi della mafia in quegli anni. L'ergastolo col 41 bis e i pentiti.

Oggi si parla proprio di questo, togliere l'ergastolo ostativo (dopo aver riformato il meccanismo dei pentiti per come era negli anni novanta), perché lo chiede l'Europa, dove però non arriva l'odore del tritolo, è la battuta del magistrato Patronaggio.

Un rischio che non possiamo permetterci, depotenziare gli strumenti per contrastare la mafia, come i collaboratori di giustizia e il carcere duro. Specie ora che stanno arrivando i soldi dall'Europa e le mafie hanno così tanti soldi da comprarsi dei pezzi dello stato.

Che riforma della giustizia partorirà questo governo dei competenti?

Che idea ha della lotta alla mafia?

Vogliono far uscire dal carcere quei mafiosi che non hanno intenzione di collaborare, come i Graviano?

24 maggio 2021

I demoni di Berlino di Fabiano Massimi

 

Il calore è così intenso che gli lacrimano gli occhi, il fumo così fitto che non sa dove girarsi. Al di là delle vetrate infrante, nella grande piazza illuminata a giorno, le sirene gridano senza sosta, attirando altre autopompe e migliaia di curiosi. L'acqua prelevata dallo Sprea entra a fiotti dalle finestre, ma nemmeno questa basta a fermare le fiamme. Nella fredda notte di febbraio, il palazzo del Parlamento brucia come un falò di fine estate, e lui è in trappola al suo interno.

Continuiamo a vigilare: Fabiano Massimi termina così la sua nota alla fine di questo romanzo storico incentrato sull'incendio del Reichstag la sera del 27 febbraio 1933. Continuiamo a vigilare perché è stato facile, nella Germania del 1933, passare dalla fragile democrazia di Weimar alla dittatura nazista del reich millenario.

Continuiamo a vigilare, perché per spegnere quell'incendio ci vollero delle ore, ma per spegnere l'incendio che Hitler, i suoi sgherri, appiccarono all'Europa occorsero dodici anni e sessanta milioni di morti.

Non è un caso quel titolo, I demoni di Berlino, che richiama i demoni che infestano i nostri sogni e richiama il fatto che Berlino fosse chiamata per la sua energia, la città che “non dormiva mai, ma nemmeno smetteva di sognare. E di generare incubi..”.

Sono i demoni che indicano nello straniero, ebreo, il colpevole di tutti i mali della nazione, i demoni che arringano la folla con parole d'odio, che barattano la sicurezza nella vita di tutti i giorni con le tue libertà.

Quella sicurezza usata come clava da Hitler all'indomani dell'incendio del Reichstag per imporre la dittatura: i poteri speciali alla polizia, l'arresto dei nemici del popolo (comunisti, intellettuali ebrei) le cui liste erano preparate da giorni, i decreti fatti firmare d'urgenza dal presidente Hindenburg

Il cosiddetto Decreto dell’incendio del Reichstag autorizzava il governo a limitare a piacimento i diritti di libertà personale, di espressione, di stampa, di assembramento, di riservatezza e di proprietà dei comuni cittadini.

Continuiamo a vigilare, ci dice l'autore, perché anche oggi, a quasi novant'anni di distanza, l'impressione che i nostri diritti, le nostre libertà, siano sempre a rischio, in nome della sicurezza.

Questo secondo romanzo di Fabiano Massimi non è un saggio storico: sull'incendio al parlamento tedesco ancora oggi non abbiamo tutti i pezzi del puzzle, sebbene nessuno creda alla teoria del gesto isolato di Marinus van del Lubbe, l'unico che ha pagato con la vita per questo rogo, non sappiamo chi veramente lo ha appiccato. Hermann Goering, all'epoca presidente della Camera, è l'unico che anni dopo si prese le colpe di tutto.

Fabiano Massimi ha cercato di ricostruire il contesto di quei giorni (dove si era all'imminenza delle elezioni) usando il meccanismo del romanzo, immaginando uno scenario plausibile partendo dai pochi fatti certi, assodati: la presenza di Hitler quella sera a Berlino, i dossier di Himmler con cui poteva ricattare altri gerarchi e l'invidia tra Goering e Himmler per assicurarsi i favori di Hitler.

Nel romanzo sono presenti personaggi realmente esistiti, come “Putzi” Hanfstaegl, segretario e portavoce di Hitler che, racconta Massimi, quella sera era presente nel palazzo presidenziale assieme a Goering; Rudolf Diesl, capo della polizia politica che uscì indenne dalla fine del nazismo.

Sono reali gli incendi appiccati da squadre delle SS, che poi venivano attribuiti ad avversari politici (vi ricorda qualcosa di quanto avvenuto in Italia durante la strategia della tensione?), incendi che colpivano proprietà di ebrei.

GIOVEDÌ 23 FEBBRAIO 1933 Quattro giorni prima

Nella notte era andato a fuoco un negozio. Quando Peter Rach scese dal tram in Boschstrasse, poco lontano dall’appartamento che occupava al Karl Marx-Hof, l’alba gelida di Vienna era ancora screziata dal fumo..

Per raccontare questo contesto, questa storia, l'autore usa alcuni personaggi inventati, ma allo stesso tempo molto verosimili, già conosciuti nel suo precedente romanzo, L'angelo di Monaco.

Il commissario di polizia Sigfrid Sauer e la sua compagna Rosa, il commissario “Mutti” Furster e i suoi colleghi: l'avevamo lasciato un fuga da Monaco, al termine del precedente romanzo, per sfuggire dal suo mortale nemico, il capo della servizio di sicurezza delle SS Heydrich.

E ora Siggi Sauer ha un nuovo nome, un nuovo volto e un nuovo lavoro a Vienna, ma deve lo stesso guardarsi le spalle tutti i giorni, deve sempre girare con una pistola.

Finché un giorno non si ritrova nel suo appartamento, il suo ex sergente a Monaco, Julian

«Quanto tempo» disse il giovane al pianoforte esibendo un sorriso beffardo. «Ma la vedo in forma, commissario Sauer.»

il suo ex collega lo informa che Rosa, la donna che ha amato e che con lui è scappata a Vienna, ora si trova a Berlino, per fare qualcosa contro Hitler assieme alla resistenza, per fermare la sua ascesa. Ma a Berlino Rosa è sparita, gli ha lasciato solo una cartolina, che gli ha fatto arrivare attraverso una persona fidata.

Scava una fossa, e siediti al suo interno.

Un messaggio in codice, che si rifà ad un opera di Wagner, in cui l'eroe deve sconfiggere il drago, il suo nemico. Come Heydrich.

Così Sigfried decide di seguire Julian a Berlino, per ritrovare Rosa per salvarla prima che sia troppo tardi. Perché forse, nonostante si siano lasciati in malo modo poche settimane prima, lui la ama ancora. Perché forse si sente responsabile verso Rosa, e forse perché salvare Rosa significa salvare il paese, salvare tutti.

Ma di chi fidarsi a Berlino, una città che non è la sua città? Può veramente fidarsi di Julian e dei suoi colleghi che lo accompagnano nella città, tutti legati alla resistenza gli dice l'ispettore («A Berlino abbiamo appoggi ovunque, anche in polizia» – e gli venne da sorridere. Bentornato nel gran gioco dei segreti, caro Sauer)?

L'unica è rivolgersi a due suoi ex commilitoni della prima guerra mondiale, due persone che con lui hanno condiviso il fango e la paura della morte sul fronte francese. Un proprietario di un locale notturno ebreo e un baro ungherese con un forte ascendente con le donne.

Ma anche di loro, può veramente fidarsi? E può fidarsi di Julian, di Johanna Tegel (la prima poliziotta nella sezione criminale), del sergente Mann, che lo accompagnano in giro per Berlino per cercare un posto dove possa essere stata Rosa?

L’ex commissario non aveva risposte, ma una cosa la sapeva: l’unico modo per uscire da un labirinto di specchi è smettere di guardare la propria immagine riflessa e affidarsi alla logica.

Sauer si trova di fronte ad un gioco degli specchi, dove non riesci più a capire quale sia l'immagine vera e quella riflessa, di chi fidarsi e di chi no.

L'invito a Berlino è solo una trappola per catturarlo e far fuori quella cellula della resistenza contro il partito nazista? Che attentato hanno in mente queste persone, di così grosso, tanto da scuotere l'opinione pubblica dei tedeschi prima delle elezioni?

Il presidente del Reichstag, un uomo corpulento avvolto da una nuvola di profumo, sedeva dietro una scrivania monumentale, chino su una saliera in argento ..

In un giro di intrighi sempre più intricati e pericolosi, Sauer arriva a stringere la mano perfino a Goering (come nel precedente romanzo l'aveva stretta a Himmler, il capo delle SS), comprendendo che perfino una parte del mondo nazista sa di questo attentato e intende sfruttarlo a proprio favore.

Anche in questo suo secondo romanzo, l'autore ci racconta un episodio della storia con la S maiuscola, mettendo a fianco personaggi reali e altri piccoli, comparse sul palcoscenico reale: la morte di Geli Raubal, la nipote di Hitler, la prima vittima della propaganda nazista. E l'incendio del Reichstag un anno e mezzo dopo, un evento che segna l'inizio della fine della Germania e che Sauer cerca di fermare, per tentare di cambiarne il corso. Un episodio della storia del secolo passato che è anche un monito, racconta l'autore nelle sue note finali:

..il Reichstag bruciò in una sera, ma per spegnerlo occorsero dodici anni e sessanta milioni di morti. Oggi può sembrare una storia lontana, lontanissima, quasi ininfluente, eppure le sue fiamme continuano a covare sotto la cenere. I nostri tempi non sono così diversi..

La scheda del libro sul sito di Longanesi e il link al pdf del primo capitolo

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

Anteprima Report – le stragi di mafia, i tubi dell'acqua e i diritti televisivi

 


In occasione dell'anniversario della strage di Capaci, Report ritorna sulla trattativa stato-mafia e su quella zona grigia tra le istituzioni e la mafia, quelle “menti raffinatissime” che hanno portato avanti la campagna di delegittimazione contro Falcone e il pool antimafia, che hanno pianificato le stragi terroristico-mafiose della stagione 1992-1993 e, negli anni precedenti, i delitti politici di magistrati e politici (da Dalla Chiesa a Mattarella).

Un omaggio a tutte le donne e uomini che hanno lottato contro la mafia senza ambiguità, consapevoli di quello che rischiavano e che oggi, celebrazione dopo celebrazione, rischiamo di trasformare in santini, solo dei nomi che non ci dicono più nulla.

Il servizio di Paolo Mondani toccherà diversi punti oscuri nella storia della lotta alla mafia: la mancata cattura di Provenzano grazie alle rivelazioni del pentito Ilardo (per primo aveva raccontato della convergenza di interessi dietro certi delitti politici, delle connivenze tra mafiosi ed esponenti dei servizi), la mancata perquisizione del covo di Riina nel gennaio 1993. Secondo diversi collaboratori di giustizia nel covo Riina aveva documenti che avrebbero fatto saltare lo stato e che sarebbero stati consegnati a Messina Denaro, documenti che oggi gli darebbero quel suo potere di ricatto.

C'è dell'altro, un documento fatto recapitare al giudice Di Matteo, dal titolo “Protocollo fantasma”, dice invece che quella perquisizione fu fatta. Ma i documenti non furono sequestrati.

Nel servizio si parlerà anche di verbali sequestrati dal Ros nel 1998 e lasciati dentro cassetti chiusi, documenti riportati alla luce durante il dibattimento del processo d'appello sulla trattativa: in quei documenti era disegnato l'impero finanziario di Bernardo Provenzano.

Di un libro uscito nel 2008, Lettere a Svetonio, contenente delle lettere di Messina Denaro, che contenevano dei messaggi precisi per i sui interlocutori.

La scheda della puntata: Il vertice delle stragi di Paolo Mondani con la collaborazione di Roberto Persia e Simona Zecchi, immagini di Alessandro Spinnato, Dario D'India, Alfredo Farina e Andrea Lilli

Dopo la puntata speciale intitolata "Le menti raffinatissime" del 4 gennaio scorso, Report torna sulla trattativa Stato-mafia e sulle stragi del 1992 e del 1993 con testimonianze inedite e documenti esclusivi. Mafia, massoneria deviata, estrema destra e servizi segreti avrebbero contribuito a organizzare e ad alimentare una strategia stragista che puntava alla destabilizzazione della democrazia nel nostro paese. Strategia sulla quale permane il grande mistero di chi siano i mandanti esterni alle stragi. Lo raccontano a Report magistrati, collaboratori di giustizia e protagonisti dei piani eversivi. Report continua a fare luce sul ruolo ricoperto da uomini dello Stato nella pianificazione e nell'esecuzione delle stragi del 1992 e del 1993. Il 23 maggio si celebra il 29° anniversario della strage di Capaci. Ma Report non vuole imbalsamare i morti nelle commemorazioni. Solo la verità li onora. Per questo torniamo a parlare dei presunti rapporti tra i fratelli Graviano e la politica; di Antonino Gioè e di Paolo Bellini; di Matteo Messina Denaro e di chi nello Stato tutela i suoi segreti, del processo sulla trattativa fra Stato e mafia giunto alla fase dell'appello. Ma soprattutto parleremo di molti verbali dimenticati.

Chi gestisce i diritti televisivi

Il servizio sull'Imaie, l'ente che gestisce i diritti televisivi in Italia è stato rimandato più volte per dare spazio ad altri servizi più attinenti all'attualità.

E' l'ente che incassa i diritti ogni volta che le immagini di Padre Pio passano in televisione, ma è anche l'ente che è in debito col santo, anzi, con la sua televisione.

Le registrazioni padre Pio sono state raccolte in dischi e diffuse per radio e TV, che hanno pagato alla Imaie i contributi per l'opera, come anche per spezzoni di film e di video: sono diritti che, secondo la legge, non devono essere pagati agli artisti ma a questo ente preposto.

Ente che deve 1835 euro a Padre Pio, ovvero a Tele radio Pio, titolare dei diritti: ma l'ente non aveva comunicato l'esistenza di questi crediti, come nemmeno di quelli dovuti alla banda dei Carabinieri o della Guardia di Finanza.

Il direttore generale dell'ente Maila Sansaini ha replicato che, secondo la legge, era sufficiente pubblicare sulla Gazzetta questi crediti col nominativo del titolare dei diritti, “se il titolare richiedeva i diritti, l'istituto pagava, se nessuno si faceva vivo, i soldi erano persi dopo 3 anni.”

In realtà la legge del 1992 diceva altro: Imaie avrebbe dovuto contattare direttamente il creditore all'inizio di ogni trimestre e comunicare loro l'ammontare dei compensi dovuti.

La scheda del servizio: Il vecchio e il nuovo di Emanuele Bellano con la collaborazione di Greta Orsi, immagini di Matteo Delbò e Cristiano Forti, ricerca immagini di Paola Gottardi, montaggio di Igor Ceselli

Ogni volta che vediamo un film o una fiction in televisione o ascoltiamo un brano alla radio gli attori, i musicisti e i cantanti che hanno interpretato quell'opera maturano dei diritti: si chiamano diritti connessi al diritto d'autore e vengono pagati da canali televisivi, network radiofonici o piattaforme streaming. Non vengono versati direttamente ai loro proprietari, cioè agli artisti, ma a soggetti intermediari che devono provvedere a ripartirli con precisione e poi a distribuirli. Fino al 2009 il soggetto intermediario era unico e si chiamava Imaie (Istituto per la tutela degli artisti, interpreti ed esecutori). Dopo trent’anni di attività è stato estinto. Chiudendolo la prefettura di Roma ha stabilito che l'Imaie non è stato in grado di svolgere il compito per cui era stato creato. Al momento della chiusura aveva in pancia cento milioni di euro di diritti incassati e mai versati agli artisti legittimi proprietari. Estinto l'Imaie nel 2010 è stato costituito il Nuovo Imaie, stesso direttore generale e stessi dipendenti. Come sta andando la sua gestione e quanti diritti riesce davvero a distribuire ai legittimi proprietari?

Lo stato dei tubi

Con che criteri di sicurezza sono posati i tubi del gas posati sotto le strade?

Il servizio di Report racconterà di quanto sia impostante che siano posti alla giusta profondità, che siano ben segnalati, per evitare problemi di fuoriuscita di gas per interventi sul manto stradale. Ma non sempre queste regole sono rispettate.

La scheda del servizio: Giù per il tubo di Max Brod in collaborazione di Greta Orsi con immagini di Paolo Palermo, Fabio Martinelli, Cristiano Forti e Andrea Lilli, ricerche immagini di Eva Georganopoulou, montaggio di Andrea Masella

Vicino alle nostre case, sotto il manto stradale, passano chilometri di tubazioni del gas. Quando si verificano delle perdite da queste condotte, il metano può arrivare anche dentro alle abitazioni e provocare gravi incidenti. Per questo motivo i tubi vanno posati a profondità di legge e gli scavi per ripararli vanno poi riempiti con materiali specifici. Ma avviene sempre così? Report ha girato l'Italia per capire come stanno le cose, scoprendo tubazioni superficiali e gestori che hanno dovuto correre ai ripari dopo la posa delle condotte. E i Comuni quanto controllano? Il problema della profondità sembra importare a pochi nonostante ciò che racconta chi sulle strade lavora tutti i giorni: le tubazioni superficiali sono all'ordine del giorno.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

23 maggio 2021

Anteprima Report: il vertice delle stragi delle stragi

In occasione dell'anniversario di Capaci, l'attentato in cui furono uccisi il giudice Falcone e la moglie Francesca Morvillo, gli uomini della scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani, Report torna a parlare della trattativa stato mafia dedicando il suo primo servizio della prossima puntata per fare un punto su quello che sappiamo delle stragi terroristico mafiose avvenute nel biennio 1992-1993.

Non possiamo fermarci alla verità di comodo, assolutoria, secondo cui quelle stragi furono solo opera di mafia, la vendetta di Riina contro il suo nemico giudice: chi lo fa, compie l'ennesima opera di depistaggio, volontaria o meno, allontanandoci dalla verità su quel periodo storico.

L'attentatuni, la successiva strage di via D'Amelio contro Borsellino, non possono essere classificate solo come opera della mafia, dei sanguinari Riina e Provenzano. Perché, soprattutto la strage in cui perse la vita Borsellino, andava contro gli interessi di cosa nostra (successivamente sarebbe stata approvato il decreto Falcone col 41 bis).

Come è impossibile classificare come solo di mafia tutta la serie di “cadaveri eccellenti” che insanguinò la Sicilia a cavallo degli anni ottanta.

Magistrati, Cesare Terranova, Rocco Chinnici, Gaetano Costa. Giornalisti come Mario Francese. Il prefetto senza poteri Carlo Alberto dalla Chiesa e il presidente della regione Piersanti Mattarella. Il segretario della DC Reina e quello del PCI Pio La Torre (è sua la legge sul sequestro dei beni ai mafiosi, è sua la legge che condanna l'essere mafiosi, il reato 416 bis del c.p.), l'ex sindaco Insalaco.

Poliziotti come Ninni Cassarà, Beppe Montana e Boris Giuliano. Carabinieri come il capitano Basile. Tutti delitti dietro cui si intravede una convergenza di interessi tra mafia e pezzi dello stato.

Stessi interessi che, dopo la sentenza della Cassazione al maxi processo, dopo il crollo del Muro, negli anni in cui la prima Repubblica era al tramonto, dopo l'omicidio di Salvo Lima (ritenuto da Riina colpevole per non aver bloccato il maxi processo, un segnale alla politica) portarono uomini dello stato e mafiosi ad incontrarsi, “per vedere se si poteva fare qualcosa”.

La trattativa stato mafia, per i garantisti italiani sempre presunta, come se quei contatti, come se quei ricatti allo stato non esistessero.

“Signor Ciancimino ma cos'è questa storia, ormai c'è un muro contro muro, dove da una parte c'è cosa nostra e dall'altra c'è lo stato. Ma non si può parlare con questa gente? La buttai lì pensando che mi avrebbe risposto cosa vuole da me, colonnello .. Invece mi rispose si potrebbe, io sono in condizione di farlo”.

Sono le parole dell'ex generale Mario Mori, uno dei condannati in primo grado al processo per la trattativa (dove il reato non è la trattativa in sé, ma il ricatto ad organi dello Stato), a Vito Ciancimino, referente politico dei corleonesi dentro la DC siciliana. Solo una trappola dello stato, la giustificazione di Mori e degli altri imputati.

I magistrati (come Nino Di Matteo). l'hanno invece considerato un abbassarsi alle richieste della mafia, un cedere al ricatto nato dalla bomba di Capaci.

Ad un certo punto abbiamo avuto il sospetto che non si rispettassero le regole del codice di procedura penale, non ci fosse quella collaborazione leale tra la polizia giudiziaria e la magistratura inquirente” è il ricordo di Luigi Patronaggio, procuratore della repubblica ad Agrigento.

Borsellino fu informato della trattativa in corso dal Ros quasi per caso, lo ha ricordato anni dopo Liliana Ferraro, la magistrata che prese il posto di Falcone al ministero: la Ferraro fu informata dagli ufficiali del Ros, che cercavano una sponda politica per avere le spalle coperte per quanto stavano facendo, la Ferraro li invitò a contattare Borsellino stesso.

Tante sono ancora le domande a cui dare risposta: dietro Capaci c'è stata solo la mafia? Stessa domanda per la strage di via D'Amelio 57 giorni dopo, dove la presenza di persone non mafiose nella preparazione dell'attentato è riferita da Gaspare Spatuzza, il pentito che ha consentito di smontare il depistaggio di stato, col finto pentito Scarantino.

Se fu solo mafia a che servì la sceneggiata organizzata da Arnaldo La Barbera, avallata da magistrati su più gradi di giudizio (tra questi anche lo stesso Di Matteo)? Forse per allontanare gli investigatori dai Graviano e dai loro contatti politici?

Se fu solo mafia, come mai quelle telefonate tra l'ex ministro Mancino (che Scalfaro mise al posto di Scotti dopo Capaci), e il presidente Napolitano per il processo dove era imputato per falsa testimonianza?

Chi indicò a Riina e all'ala stragista di cosa nostra gli obiettivi per gli attentati in Italia? E perché le stragi cessarono nel 1994, col fallito attentato all'Olimpico a Roma?

Cosa sappiamo di cosa nostra oggi? Falcone ebbe bisogno di un mafioso come Buscetta per farsi raccontare l'organizzazione di cosa nostra, i suoi meccanismi, i suoi ragionamenti.

Chi è il vero capo dei capi oggi? E' ancora Matteo Messina Denaro? E chi protegge la sua latitanza dopo tutti questi anni?

Le stesse forze che per anni hanno protetto Riina nel suo covo a Palermo (fino a che qualcuno lo ha venduto allo stato, come Riina stesso fa capire) o che hanno protetto Provenzano nella sua latitanza finita nel 2006?


Stava per essere arrestato, Provenzano, nel 1996, quando si nascondeva in un casolare nella località di Mezzojuso: era stato il collaboratore Luigi Ilardo ad indicare il posto al colonnello Michele Riccio, del Ros.

Il Ros di Mori potrebbe arrestare Provenzano, sa dove si nasconde, eppure non fa nulla: “il casolare non lo troviamo” dicono al Ros (che ricorda un po' quando lo stato non sapeva dell'esistenza di una via Gradoli a Roma, nei giorni del sequestro Moro, ma questa forse è un'altra storia).

Per tre volte Ilardo e Riccio diedero le coordinare del covo ma il Ros non entrò mai in azione e Provenzano rimase in clandestinità per altri 11 anni.

Carabinieri distratti, Mori e De Donno, non perquisirono il covo di Riina per un disguido con la procura, non fecero il blitz contro Provenzano. Nessun reato, hanno stabilito i giudici nei processi che li hanno coinvolti. Solo sbadati.

Il processo sulla trattativa ha fatto luce, finalmente, sulle connessioni tra mafia e politica, argomento che ancora oggi è tabù: Borsellino ne aveva parlato in una intervista, pochi giorni prima di morire, fatta a due giornalisti francesi di Canal +, dove parlava dei rapporti tra mafia, Mangano e Dell'Utri, fondatore del partito Forza Italia.

Intervista ritrovata anni dopo dallo stesso Ranucci e di cui ne ha parlato recentemente in occasione del ricordo del giornalista Premio Morrione: si parla di Mangano e del suo ruolo di pontiere tra la mafia e l'imprenditoria che la mafia cercava per riciclare i grandi capitali fatti col traffico della droga.

Ranucci ricorda la difficoltà nel parlare di queste connessioni nel 2000, alla vigilia delle elezioni che avrebbero dato la vittoria proprio a Berlusconi, il premier con più consenso nella storia della repubblica.

Secondo Roberto Morrione è questa una delle cause della sua morte, l'accelerazione voluta da Riina (e non solo): ne parla in una puntata de Il raggio verde, la trasmissione di Santoro, nel 2001.

“E' stata ritenuta questa intervista, lo cito testualmente dagli atti processuali, una delle concause che hanno accelerato l'attentato nella persona di Paolo Borsellino.”

Durante questa trasmissione ci fu la telefonata in diretta di Berlusconi a Santoro che fu l'annuncio della sua cacciata dalla Rai, assieme a Biagi e Luttazzi.

Lei è un dipendente pubblico, si contenga..

Io non sono un suo dipendente”

Ci piace tanto l'informazione libera, il giornalismo di inchiesta, il giornalismo cane da guardia contro i soprusi di chi ha il potere. Tranne quando fa le pulci a casa nostra.

Tranne quando parla di argomenti ancora tabù, come i rapporti tra mafia e politica, tra mafia e pezzi dei servizi, tra pezzi dello stato ed estremisti di destra foraggiati dalla massoneria coperta come la Loggia P2.

Un antistato che è stato protagonista in altri fatti di sangue della nostra storia, dalle stragi fasciste degli anni '70 alla bomba alla stazione di Bologna fino alle stragi del biennio 1992-1993, quando un mondo finiva (quello della contrapposizione dei blocchi est ovest, quello dei partiti della prima repubblica) e tutto doveva cambiare affinché nulla cambiasse.

Oggi è il giorno in cui si celebreranno le vittime di Capaci, ostentando i santini di Falcone e di Borsellino, dimenticandosi di tutto il fango che da vivo è stato gettato addosso al giudice.

Il giudice che attaccava la DC perché comunista, che cercava solo la celebrità, il giudice che attaccava la classe imprenditoriale siciliana.

Il giudice che fu bocciato alla successione di Caponnetto, al ruolo di alto commissario per la lotta alla mafia, da consigliere del CSM. Il giudice che si era fatto da solo l'attentato all'Addaura per prendersi la nomina di procuratore aggiunto.

La scheda della puntata: Il vertice delle stragi di Paolo Mondani con la collaborazione di Roberto Persia e Simona Zecchi, immagini di Alessandro Spinnato, Dario D'India, Alfredo Farina e Andrea Lilli

Dopo la puntata speciale intitolata "Le menti raffinatissime" del 4 gennaio scorso, Report torna sulla trattativa Stato-mafia e sulle stragi del 1992 e del 1993 con testimonianze inedite e documenti esclusivi. Mafia, massoneria deviata, estrema destra e servizi segreti avrebbero contribuito a organizzare e ad alimentare una strategia stragista che puntava alla destabilizzazione della democrazia nel nostro paese. Strategia sulla quale permane il grande mistero di chi siano i mandanti esterni alle stragi. Lo raccontano a Report magistrati, collaboratori di giustizia e protagonisti dei piani eversivi. Report continua a fare luce sul ruolo ricoperto da uomini dello Stato nella pianificazione e nell'esecuzione delle stragi del 1992 e del 1993. Il 23 maggio si celebra il 29° anniversario della strage di Capaci. Ma Report non vuole imbalsamare i morti nelle commemorazioni. Solo la verità li onora. Per questo torniamo a parlare dei presunti rapporti tra i fratelli Graviano e la politica; di Antonino Gioè e di Paolo Bellini; di Matteo Messina Denaro e di chi nello Stato tutela i suoi segreti, del processo sulla trattativa fra Stato e mafia giunto alla fase dell'appello. Ma soprattutto parleremo di molti verbali dimenticati.

19 maggio 2021

Proviamola sta destra

Leggendo le interviste, sui giornali e in televisione, della auto candidata alla presidenza del Consiglio, Giorgia Meloni, mi viene in mente il finale del film di Risi, La marcia su Roma.

«Ammiraglio, spassionatamente, cosa ne pensa di questi fascisti? Crede che mettiamo il paese in buone mani? Mi dica fuori dai denti qual è il suo parere, perché siamo ancora in tempo a sbatterli fuori, néh!»

«Spassionatamente, Maestà, mi sembra gente seria.» 

«Ma sì, proviamoli per qualche mese!»

Ecco, proviamoli questi fratelli d'Italia, proviamola questa Giorgia, donna, madre e italiana.

Che volete che sia, sarebbe la giusta conclusione dello spostamento a destra del baricentro politico in atto da anni.

Lasciamo perdere salario minimo, ambiente, scuola e sanità. Qui ci vuole gente seria, che parli di cose che gli italiani vogliono sentire. Per esempio andare a cena liberi dal coprifuoco. Oppure fare il blocco navale davanti le nostre coste per fermare i flussi migratori dai paesi dell'Africa.

Questo spostamento si renderà necessario anche alla luce di quanto potrebbe accadere: con lo sblocco dei licenziamenti è presumibile che molte aziende faranno le loro "ristrutturazioni", termine tecnico per indicare che si lasceranno a casa i dipendenti con contratti di un certo tipo per essere sostituiti da contratti a tempo.

Chi meglio di una leader law and order per gestire la piazza, che potrebbe essere veramente calda nel prossimo semestre?