In occasione dell'anniversario della strage di Capaci, Report ritorna sulla trattativa stato-mafia e su quella zona grigia tra le istituzioni e la mafia, quelle “menti raffinatissime” che hanno portato avanti la campagna di delegittimazione contro Falcone e il pool antimafia, che hanno pianificato le stragi terroristico-mafiose della stagione 1992-1993 e, negli anni precedenti, i delitti politici di magistrati e politici (da Dalla Chiesa a Mattarella).
Un omaggio a tutte le donne e uomini che hanno lottato contro la mafia senza ambiguità, consapevoli di quello che rischiavano e che oggi, celebrazione dopo celebrazione, rischiamo di trasformare in santini, solo dei nomi che non ci dicono più nulla.
Il servizio di Paolo Mondani toccherà diversi punti oscuri nella storia della lotta alla mafia: la mancata cattura di Provenzano grazie alle rivelazioni del pentito Ilardo (per primo aveva raccontato della convergenza di interessi dietro certi delitti politici, delle connivenze tra mafiosi ed esponenti dei servizi), la mancata perquisizione del covo di Riina nel gennaio 1993. Secondo diversi collaboratori di giustizia nel covo Riina aveva documenti che avrebbero fatto saltare lo stato e che sarebbero stati consegnati a Messina Denaro, documenti che oggi gli darebbero quel suo potere di ricatto.
C'è dell'altro, un documento fatto recapitare al giudice Di Matteo, dal titolo “Protocollo fantasma”, dice invece che quella perquisizione fu fatta. Ma i documenti non furono sequestrati.
Nel servizio si parlerà anche di verbali sequestrati dal Ros nel 1998 e lasciati dentro cassetti chiusi, documenti riportati alla luce durante il dibattimento del processo d'appello sulla trattativa: in quei documenti era disegnato l'impero finanziario di Bernardo Provenzano.
Di un libro uscito nel 2008, Lettere a Svetonio, contenente delle lettere di Messina Denaro, che contenevano dei messaggi precisi per i sui interlocutori.
La scheda della puntata: Il vertice delle stragi di Paolo Mondani con la collaborazione di Roberto Persia e Simona Zecchi, immagini di Alessandro Spinnato, Dario D'India, Alfredo Farina e Andrea Lilli
Dopo la puntata speciale intitolata "Le menti raffinatissime" del 4 gennaio scorso, Report torna sulla trattativa Stato-mafia e sulle stragi del 1992 e del 1993 con testimonianze inedite e documenti esclusivi. Mafia, massoneria deviata, estrema destra e servizi segreti avrebbero contribuito a organizzare e ad alimentare una strategia stragista che puntava alla destabilizzazione della democrazia nel nostro paese. Strategia sulla quale permane il grande mistero di chi siano i mandanti esterni alle stragi. Lo raccontano a Report magistrati, collaboratori di giustizia e protagonisti dei piani eversivi. Report continua a fare luce sul ruolo ricoperto da uomini dello Stato nella pianificazione e nell'esecuzione delle stragi del 1992 e del 1993. Il 23 maggio si celebra il 29° anniversario della strage di Capaci. Ma Report non vuole imbalsamare i morti nelle commemorazioni. Solo la verità li onora. Per questo torniamo a parlare dei presunti rapporti tra i fratelli Graviano e la politica; di Antonino Gioè e di Paolo Bellini; di Matteo Messina Denaro e di chi nello Stato tutela i suoi segreti, del processo sulla trattativa fra Stato e mafia giunto alla fase dell'appello. Ma soprattutto parleremo di molti verbali dimenticati.
Chi gestisce i diritti televisivi
Il servizio sull'Imaie, l'ente che gestisce i diritti televisivi in Italia è stato rimandato più volte per dare spazio ad altri servizi più attinenti all'attualità.
E' l'ente che incassa i diritti ogni volta che le immagini di Padre Pio passano in televisione, ma è anche l'ente che è in debito col santo, anzi, con la sua televisione.
Le registrazioni padre Pio sono state raccolte in dischi e diffuse per radio e TV, che hanno pagato alla Imaie i contributi per l'opera, come anche per spezzoni di film e di video: sono diritti che, secondo la legge, non devono essere pagati agli artisti ma a questo ente preposto.
Ente che deve 1835 euro a Padre Pio, ovvero a Tele radio Pio, titolare dei diritti: ma l'ente non aveva comunicato l'esistenza di questi crediti, come nemmeno di quelli dovuti alla banda dei Carabinieri o della Guardia di Finanza.
Il direttore generale dell'ente Maila Sansaini ha replicato che, secondo la legge, era sufficiente pubblicare sulla Gazzetta questi crediti col nominativo del titolare dei diritti, “se il titolare richiedeva i diritti, l'istituto pagava, se nessuno si faceva vivo, i soldi erano persi dopo 3 anni.”
In realtà la legge del 1992 diceva altro: Imaie avrebbe dovuto contattare direttamente il creditore all'inizio di ogni trimestre e comunicare loro l'ammontare dei compensi dovuti.
La scheda del servizio: Il vecchio e il nuovo di Emanuele Bellano con la collaborazione di Greta Orsi, immagini di Matteo Delbò e Cristiano Forti, ricerca immagini di Paola Gottardi, montaggio di Igor Ceselli
Ogni volta che vediamo un film o una fiction in televisione o ascoltiamo un brano alla radio gli attori, i musicisti e i cantanti che hanno interpretato quell'opera maturano dei diritti: si chiamano diritti connessi al diritto d'autore e vengono pagati da canali televisivi, network radiofonici o piattaforme streaming. Non vengono versati direttamente ai loro proprietari, cioè agli artisti, ma a soggetti intermediari che devono provvedere a ripartirli con precisione e poi a distribuirli. Fino al 2009 il soggetto intermediario era unico e si chiamava Imaie (Istituto per la tutela degli artisti, interpreti ed esecutori). Dopo trent’anni di attività è stato estinto. Chiudendolo la prefettura di Roma ha stabilito che l'Imaie non è stato in grado di svolgere il compito per cui era stato creato. Al momento della chiusura aveva in pancia cento milioni di euro di diritti incassati e mai versati agli artisti legittimi proprietari. Estinto l'Imaie nel 2010 è stato costituito il Nuovo Imaie, stesso direttore generale e stessi dipendenti. Come sta andando la sua gestione e quanti diritti riesce davvero a distribuire ai legittimi proprietari?
Lo stato dei tubi
Con che criteri di sicurezza sono posati i tubi del gas posati sotto le strade?
Il servizio di Report racconterà di quanto sia impostante che siano posti alla giusta profondità, che siano ben segnalati, per evitare problemi di fuoriuscita di gas per interventi sul manto stradale. Ma non sempre queste regole sono rispettate.
La scheda del servizio: Giù per il tubo di Max Brod in collaborazione di Greta Orsi con immagini di Paolo Palermo, Fabio Martinelli, Cristiano Forti e Andrea Lilli, ricerche immagini di Eva Georganopoulou, montaggio di Andrea Masella
Vicino alle nostre case, sotto il manto stradale, passano chilometri di tubazioni del gas. Quando si verificano delle perdite da queste condotte, il metano può arrivare anche dentro alle abitazioni e provocare gravi incidenti. Per questo motivo i tubi vanno posati a profondità di legge e gli scavi per ripararli vanno poi riempiti con materiali specifici. Ma avviene sempre così? Report ha girato l'Italia per capire come stanno le cose, scoprendo tubazioni superficiali e gestori che hanno dovuto correre ai ripari dopo la posa delle condotte. E i Comuni quanto controllano? Il problema della profondità sembra importare a pochi nonostante ciò che racconta chi sulle strade lavora tutti i giorni: le tubazioni superficiali sono all'ordine del giorno.
Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.
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