30 marzo 2020

Report – la puntata speciale sul coronavirus

Nel 2015 Bill Gates, il fondatore di Microsoft parlava in video del rischio pandemia.
“Se qualcosa ucciderà 10 milioni di persone è probabile che sia un virus e non un missile”: si era investito poco nella sanità, nel prevenire una pandemia.
Non abbiamo imparato nulla dalla lezione su Ebola, sulla Sars.
E oggi è pure peggio: ci sono gli asintomatici, si sta bene anche se si è contagiosi, il contagio è arrivato nelle aree urbane.
“Oggi abbiamo la tecnologia, vediamo la gente come si muove, gli strumenti ci sono ma devono essere inseriti in un piano sanitario mondiale”.

Era il 2015 e sono passati cinque anni.
Abbiamo fatto tagli alla sanità, non abbiamo investito nel capitale umano e così oggi non abbiamo saputo o voluto proteggere la nostra prima linea, medici e infermieri, chi è più fragile.

MA un detective dei virus l'aveva capito: si chiama David Quammen, autore di Spillover un saggio uscito anni fa che è tornato in cima alle vendite proprio per la pandemia, dove si parla di cacciatori di virus.

Giulio Valesini è il giornalista che lo ha intervistato: come ha fatto ad anticipare quello che sarebbe successo?
Lavorando a stretto contatto coi ricercatori in tutto il mondo - ha risposto: "con loro mi sono calato nelle caverne in Cina, alla ricerca di pipistrelli, cercando gli animali che portano i nuovi virus, li catturano, li analizzano e gli prendono il sangue".
"Uno di questi ricercatori ha detto dobbiamo stare attenti, il prossimo big one, sarà probabilmente un virus proveniente da un animale selvatico, altamente capace di adattarsi, come il Coronavirus e passerà da animali selvatici a umani, probabilmente in un mercato di animali selvatici vivi in Cina, se attecchisce sarà particolarmente pericoloso, se il contagio avviene tra asintomatici".

Il contagio è nato in un mercato umido in Cina, dove gli animali sono macellati vivi, anche i pipistrelli: ci si imbratta le mani col loro sangue.

Al Campus Biomedico hanno studiato il virus, sono riusciti a datare la mutazione dal pipistrello all'uomo, il paziente zero: qui Report ha intervista l'epidemiologo Massimo Ciccozzi che ha spiegato "se tu hai il genoma completo, sulla base del numero di mutazioni a livello temporale posso anche andare indietro e datare esattamente l'inizio di una epidemia".

Al Campus Biomedico risulta dunque che l'epidemia sia iniziata a metà novembre: questo virus era dentro il pipistrello, ma ha fatto anche altre due mutazioni che sono state studiate.
Queste due proteine che hanno studiato, che sono proteine strutturali, una destabilizza e l'altra stabilizza il virus: questo spiega il medico, ci fa capire come il virus sia molto più contagioso della Sars del 2002. Ci ha messo anni per fare una mutazione come questa.
Dai tre pipistrelli originari, si può risalire a tutta l'epidemia del ceppo di coronavirus.
La mutazione - ha proseguito - gli ha fatto riconoscere un recettore delle basse/alte vie respiratorie, Ace 2, e questo recettore noi ce l'abbiamo per tanti motivi, ipertensione per esempio.
Il virus prende questo recettore, si aggancia, si fondono le membrane e così il virus entra e comincia a parassitare la cellula.

Anche al Politecnico di Zurigo conferma i dati del Campus, il virus circolava già da novembre: hanno ricostruito come il virus si è mosso a Wuhan, dai loro calcoli c'erano già 2000 casi in quella città a gennaio.

Sempre David Quammen, intervistato da Giulio Valesini:

Cosa rende le pandemie, che sono sempre esistite, oggi più pericolose?
"Primo, le pandemie tendono ad essere di origine virale non batterica. Secondo viaggiano per il mondo sempre più velocemente, un virus può viaggiare dalla Cina a Roma in quindici ore. Poi viviamo in città sempre più affollate, 7,7 miliardi di umani vivono in grandi città. Questo rende le pandemie peggiori".
Chi poteva intervenire in anticipo e non l'ha fatto?
"Gli scienziati sapevano da ben diciassette anni, dall'epidemia della Sars, che i coronavirus possono essere molto pericolosi; i dirigenti della sanità pubblica sapevano che era fondamentale la preparazione, sapevano già che avevamo bisogno di diagnostica veloce, di test validi, mascherine, guanti, ventilatori, letti in isolamento, capienza ospedaliera. Chi non lo sapeva? Chi non era preparato? I politici."

IL virus proviene dal pipistrello ed è passato all'uomo nei primi giorni di novembre: quanti passeggeri hanno viaggiati dalla Cina e da quei posti nei mesi di novembre e dicembre? 203894 persone, 125mila da Shangai e Pechino.
Sono diciassette anni che i dirigenti della sanità sanno che i coronavirus sono pericolosi, dovevano fare scorta di mascherine e respiratori, aumentare la capienza negli ospedali e per le cure intensive.
Avevamo un piano per le pandemie, ma chi doveva applicarlo?

Piacenza forno crematorio: una sequenza di carri funebri entra nella struttura, anche qui sono ad un passo dall'emergenza, così è arrivato in soccorso la Croce Rossa militare che ha montato celle da campo, come si fa in una guerra.
Sono immagini che non avremmo mai voluto vedere, il commento di Ranucci: il virus probabilmente girava da prima di febbraio, prima del 23 quando si riscontrò il caso 1.
Si erano registrati tanti casi di polmonite, casi di persone con tosse, ma non arrivavano dalla Cina: Report ha trovato un altro caso numero uno, forse il paziente zero, infettato ben prima di febbraio.

L'ospedale pubblico ha sette reparti tutti occupati per malati di Covid-19, 200 operatori infettati dal virus, perché non protetti.
Anzi, un infermieri ha raccontato che l'uso delle mascherine era quasi negato, nei primi giorni, perché non si voleva spaventare le persone.
A molti operatori non è stato fatto il tampone, anche se erano stati a contatto con infetti: solo dopo rimostranze e lamentele sono arrivati i tamponi.
E per curare pazienti infetti, solo una mascherina chirurgica: l'infermiera che è stata intervistata da Giulio Valesini ha lavorato da infetta per nove giorni e potrebbe aver anche infettato altre persone.

Il direttore dell'AUSL di Piacenza ha cercato di spiegare, minimizzare: i tamponi? Inutili se i laboratori non sono in grado di analizzarli.
Molti pazienti sono stati spostati in una clinica privata del gruppo Sanna: un medico di questa struttura era ammalato già il 21 febbraio, aveva visitato molti pazienti di Codogno ma non il paziente uno,
l'untore lo chiamano oggi in clinica.

Vajani, presidente dell'ordine dei medici di Lodi racconta a Report di casi di polmoniti lunghe, violente: anomalie polmonari, su cui in pochi si sono preoccupati.
Hanno riscontrato polmoniti anomale, ma nessuno cercava il covid nei malati: il 22 gennaio il ministero della salute indica i criteri per individuare i casi sospetti, ma il 27 gennaio si limitava solo a chi veniva dalla Cina.

Franco Locatelli, consulente del ministero, intervistato da Giulia Presutti, ha però spiegato che si sono tenuti in considerazione anche i malati non dalla Cina.
La circolare più restrittiva del 27 febbraio (poi ricambiata a marzo) non ha fatto dunque perdere dei casi, i casi uno.
MA i medici di Lodi e Piacenza hanno comunque riferito di aver cercato solo link con la Cina, nella ricerca del virus.

Dobbiamo ringraziare l'anestesista di Codogno che, non seguendo i protocolli, ha permesso di scoprire il virus in Italia: magari sarebbe emerso ma in maniera peggiore.
Il problema è che ci sono tanti protocolli, racconta in medico: un conto è scrivere regole a centinaia di km di distanza, altro conto è passare le notti con malati di Covid.

E' l'organizzazione mondiale per la sanità che deve dare l'input per fare i tamponi: ma OMS recepisce tutte le segnalazioni dei vari ministeri della salute (per esempio se ci sono virus che circolano).
Il nostro ministero aveva il polso dei dati sul territorio, dei casi di polmoniti strani?
Cosa abbiamo comunicato all'OMS, come ministero italiano?

30 dicembre 2019: al pronto soccorso di Piacenza, 40 caso di polmonite.
Milano, gennaio: aumentano i casi di polmonite, si cercano nuovi posti negli ospedali.
Tanti casi di polmonite anche a Como.
Lo stesso anche all'estero, a New York per esempio.

Bastava leggere i casi di cronaca: focolai di polmonite sono stati scoperti anche in Germania a e in Francia.
Non saremmo arrivati alla situazione di oggi, dove il virus si è infilato anche nel 118 di Roma: anche l'ospedale Gemelli (che doveva gestire i casi di Covid a Roma) è ora saturo, decine di ambulanze con pazienti in isolamento a bordo, sono in attesa del personale medico per le visite. I pazienti non possono scendere perché mancano i posti.
Non solo la capitale, nemmeno il Lazio come regione era pronto a gestire questa emergenza, negli ospedali come quello di Anzio, mancano i respiratori, che sono presi in prestito dalle auto mediche che, in questo modo, non sono in grado di soccorrere pazienti gravi da intubare.

Nell'emergenza la guerra è tra poveri di mezzi: respiratori che si rubano tra ambulanze, lasciando sguarniti i mezzi.

Eppure il 15 febbraio siamo andati a riprenderci dei malati in Cina, con mezzi high tech: l'ambulanza ad auto-contenimento usata in quel giorno è lì ferma, mai stata usata.
Anche le barelle in auto-contenimento (dove il paziente è isolato) della Croce Rossa sono sparse nel territorio: queste sono comunque in uso per Ares Lazio, che non le aveva.

L'Agenzia del 118 della regione Lazio ne ha comprate due ora che è scoppiato il problema e ne è arrivata solo una.
Come lavorano gli operatori nel Lazio?
LA sanificazione dei mezzi è fatta dagli operatori stessi, molti operatori non sono protetti e non possono proteggere i pazienti.
A Latina il servizio è dato in appalto alla Croce Bianca e Claudia Di Pasquale ha intervistato un operatore del 118, le prime linee nella lotta al virus: quando devono muoversi per andare a visitare un sospetto, come si vestono?
Secondo il protocollo ci vestiamo con una mascherina e una tuta fornita dall'azienda che ha il servizio del 118 in appalto(non l'ASL).
Vinicio Amici è segretario di Latina della confederazione A.I.L.: ha spiegato alla giornalista come le tute plastificate, dove non filtra nulla.
Ma sono tute non a norma ha contestato la giornalista : “a noi queste ci forniscono, per questo siamo in mobilitazione con la regione” la risposta dell'operatore.
Il problema è che se non interviene la regione Lazio o ARES, nelle prossime settimane queste aziende del 118 andranno in default, perché mancano dei DPI (i dispositivi) per gli operatori.

Nella circolare ministeriale del 22 febbraio 2020 indica quali sono i dispositivi che devono indossare gli operatori: maschere con filtro ffp2, protezione facciale, tuta protettiva, doppi guanti non sterili, protezione per gli occhi..
Mario Balzanelli è presidente nazionale del Sis 118, la consulta dei dirigenti responsabili del servizio 118: le tute da usare devono essere identificate da un simbolo internazionale e da una certificazione, deve coprire anche i piedi, altrimenti sono necessari i calzari.
Peccato però che poi ognuno faccia di testa sua: alla centrale operativa del 118 di Benevento gli operatori indossano le tute ma non i calzari, “abbiamo tutti le scarpe infortunistiche certificate CE”.
Ma non la pensano così i medici del 118 di Benevento che hanno inventato un escamotage, al posto dei calzari indossano dei sacchetti di plastica.
Lo racconta Emilio Tazza, medico e sindacalista del 118: ha raccontato alla giornalista la denuncia dei sindacati su un caso di un paziente trasferito in una struttura senza che gli operatori avessero tutti i dispositivi, “avevano solo il camice della sala operatoria .. il nostro responsabile sosteneva che le tute non ci spettavano, sebbene ci fosse una circolare che le prevedesse esplicitamente”.
La tuta è poi arrivata in dotazione a Benevento, ma leggendo le sue specifiche, protegge solo da polvere e schizzi liquidi e non da agenti infettivi, in quanto non è conforme alla normativa EN14126.
Solo dopo le proteste degli operatori sono arrivate le tute a norma.

E' stato fatto un corso di formazione agli operatori per dirgli come vestirsi e svestirsi?
Nemmeno questo, nemmeno agli infermieri, agli autisti dei mezzi, che dipendono dalla società Misericordie d'Italia: anche a loro inizialmente non erano state date tute idonee, nemmeno dispositivi per sanificare le ambulanze.
Le tute fornite per le persone che lavorano al primo soccorso erano buone per l'industria alimentare, ma l'ASL di Benevento le ha dichiarate idonee.
“Nelle guerre c'è una trincea e delle truppe che stanno al fronte: noi medici del 118, gli infermieri, gli autisti, sono in questa trincea” l'amara conclusione del medico Emilio Tazza.

A Benevento il primo morto per covid è stato il caposala del 118, aveva solo 58 anni: il personale che era in contatto con questa persona non è andato in quarantena.

A Lecce gli operatori del 118 hanno denunciato le tute non idonee, le mascherine senza filtro: in compenso i malati di Covid saranno spostato in un ospedale nuovo di zecca.
Qui lavoreranno 12 medici per piano, al netto degli anestesisti che dovrebbero essere altrettanti, ma mancano per tutti piani.
I sindacati hanno denunciato la carenza di dispositivi di protezione e della sanificazione: ospedale nuovo, ma potrà lavorare solo per pochi giorni.

Il 14 marzo l'ISS ha stilato un rapporto per gli operatori in cui sono ammessi tute e maschere senza filtri, senza consultare i tecnici del 118, senza tener conto delle centinaia di infetti in questo settore.

Adele Grossi è andata al sud, a mostrare qual è lo stato della sanità. E' scesa fin giù in Calabria, per capire quale sia la situazione:
l'ospedale di Castrovillari è stato identificato dalla regione come struttura per gestire l'emergenza Covid-19.
E la situazione non sembra bella: siamo disorganizzati, non si capisce chi comanda, non ci sono percorsi stabiliti .. dicono gli operatori. Mentre la giornalista faceva le sue domande all'ingresso dell'ospedale un paziente forse colpito dal virus era lasciato dentro l'ambulanza per due ore.
Nell'ospedale attrezzato per il Covid ci sono le tute e le mascherine, almeno all'apparenza, mancano le regole e i protocolli forse.
La tenda pretriage (per non intasare il Pronto Soccorso) non è mai entrata in funzione, non si sa chi debba prendere in carico questa funzione, il percorso per “accettare” i pazienti col Covid non è chiaro, tra personale medico e personale del 118.
L'ospedale ha assolto la sua funzione per soli sette giorni (c'è stato un equivoco, dice il direttore dell'ASL di Cosenza) per poi essere liquidato: così oggi nella provincia di Cosenza, la più grande nella regione e non è chiaro quale sia la struttura dedicata all'emergenza.

Sia Cetraro che Paola non sono pronti e così i pazienti nella provincia devono farsi centinaia di km di strada, le strutture non sono a norma.
A Reggio c'è l'ospedale di Gerace, 5 ml spesi per metterlo in piedi e oggi abbandonato.
A Rosarno sono stati spesi miliardi in lire per un vecchio ospedale: sono i simboli del fallimento della sanità calabra.
Colpa della cattiva politica, che però oggi pare non abbia un nome e un cognome.

A Scalea i medici lavorano in smart working, fanno diagnosi al telefono e al limite poi arriva il 118.

Mancano i posti letto, mancano ospedali, manca l'agibilità, ci sono strutture covid fantasma ma questo non preoccupa Belcastro, oggi delegato della governatrice per il Covid 19.
La sanità è già in emergenza anche senza il virus.

Il capo della protezione civile regionale deve affrontare tanti problemi, i lavori pubblici, il virus, i rifiuti, le mascherine che sono arrivate ma che sono state rifiutate dalle Asl.
Il responsabile della protezione civile è a rischio processo ma è stato confermato dalla governatrice (anche se non sa cosa sia un ventilatore): speriamo che il contagio non si diffonda, per il bene dei cittadini calabresi.

Paolo Mondani è andato in Sicilia, a Catania: qui stavano sperimentando nuove camere di contenimento, ma poi nel 2018 non se ne è fatto niente.
Oggi anno c'è una malattia racconta Sergio Pintaudi: Catania poteva essere il terzo polo per il contenimento dei virus, ma è mancata la sensibilità politica per far andare avanti il progetto.

Anche in Sicilia c'è carenza di dispositivi di protezione, mascherine, visiere, tute.
Mancano anestesisti, posti letto, mancano mezzi.
I posti letto per la terapia intensiva sono stati tagliati (oggi siamo ad un posto ogni 1500 abitanti), per drenare risorse su altre strutture, redditizie, legate a situazioni clientelari, massoniche.
Qui sono in una situazione di caos calmo, stanno aspettando i pazienti..

15 anni di politica clientelare, degli sperperi, manca una centrale appaltante, che ha favorito la frammentazione dei piccoli ospedali, che oggi sono incubatori di virus, perché impreparati a gestire il Covid.
Strutture che non possono essere tagliate perché ci sono primari legati alle cooperative che fanno le pulizie, primari che gestiscono anche gli appalti.

Altro personale in trincea, non solo oggi, è quello dei vigili del fuoco: che tutele hanno ha chiesto la giornalista Rosamaria Aquino ?
Anche da qui arrivano notizie allarmanti, su 35 tamponi fatti, sette sono positivi, al comando di Padova: “credo che il comando sia altamente compromesso” racconta un vigile in un messaggio.
A Bresso è stata soccorsa una persona con dei sintomi e tutta l'autopompa è stata messa in quarantena.
Altri casi sono stati riportati da loro stessi: colleghi con dei sintomi da virus a cui non è stato fatto il tampone e che sono rimasti in contatto coi colleghi per giorni.
A cui sono arrivate poche informazioni dai comandi sui contagi: oggi i turni sono stati ridotti per la paura di contagiarsi a vicenda e così i vigili si sono affidati ai social con un messaggio, “attenzione il contagio possiamo essere noi”.
Alle scuole di Capannelle ci sono due contagiati, subito dopo la scoperta dei casi 120 allievi sono stati mandati a casa e, qualcuno di loro, tornato a casa, si è scoperto che era malato.
Ci sono vigili positivi al tampone, a cui il medico ha detto che potevano rientrare in servizio (perché il valore del tampone era basso).

Uno dei colleghi contagiati ha raccontato cosa sta succedendo in forma anonima, poco prima di essere ricoverato in ospedale: “il collega che è stato il primo caso fa parte della mia stessa squadra, il ragazzo è stato messo in quarantena in una stanza, per 24 ore, gli hanno fatto fare un primo tampone, è risultato positivo ma dopo l'hanno fatto rientrare in servizio”.
La persona intervistata dalla giornalista è stata in contatto con questa persona fino a venerdì, poi sabato si è ammalato: si doveva fare il tampone a tutta la squadra e mettere tutti in quarantena per settimane.

Il capo dipartimento dei Vigili del Fuoco ha risposto che quelle raccolte sono solo posizioni dei sindacati, già denunciate all'autorità giudiziaria.
Non mancano né mascherine né tute, come prevedeva il piano nazionale per le pandemie, che noi abbiamo fermo al 2010.

In esso sta scritto quello che serve per affrontare un'emergenza: laboratori clinici, personale formato, vigili del fuoco.
Avremmo dovuto avere una scorta di dispositivi da usare alla bisogna, le FFP2 e 3, andavano formati i medici: nel 2013 il Parlamento Europeo ci aveva chiesto di aggiornare questo piano nazionale, ma non lo abbiamo fatto.

Donato Greco, epidemiologo, spiega che in Italia mancano i piani di contingenza: da dove prendere gli infermieri, dove prendere i dispositivi, dove prendere i macchinari, il complesso di operazioni logistiche per affrontare una catastrofe in tempi brevi.

L'indice di sicurezza globale, ci mette al 31 esimo posto nel mondo: non siamo pronti a gestire l'epidemia.
Sapevamo quello che rischiavamo: mancano però le scorte di mascherine anche nel resto del mondo, così l'OMS autorizza l'utilizzo di materiale non idoneo (come le mascherine chirurgiche, che non sono buone per fermare le goccioline).

In Italia non abbiamo fatto scorta di mascherine ffp2 a gennaio: solo dopo il caso 1 a fine febbraio la protezione civile ha chiesto ai produttori di fornirle, quando però erano già state vendute in Francia e in Cina.
Perché il governo, il ministero della salute, le regioni, l'ente per la prevenzione per la salute (CCM) non ha chiesto di fare scorta per tempo?
E' mancato anche il coordinamento tra regione e stato, anche per logiche di orticello..

Report è andata dentro i compound di Wuhan, dentro il mercato dove si macellavano gli animali vivi: le persone in questi posti hanno vissuto come in carcere, pagando il cibo usando una app, niente contante.
Il cibo ordinato arriva da ragazzi con mascherina e tute e per ritirarlo ti misurano la febbre.
Si controlla chi esce e chi entra nel compound, chi vive qui ha diritto ad una mascherina al giorno, si fa la fila per tutto.
Repor ha mostrato una scena incredibile di una signora anziana che si calava dal balcone per scappare di casa; chi viene trovato senza mascherina viene portato via dalla polizia, senza tanti problemi.

La notte si accendono le luci dei negozi clandestini: prodotti alimentari, venditori di tabacco..
Grazie al cielo da noi c'è la democrazia, che si basa anche sul rispetto delle nostre libertà.
Che ora ci dobbiamo meritare, nonostante i 37 miliardi di tagli, la mancata preparazione di un piano per la pandemia, l'incapacità di raccogliere i dati digitali sul virus, sui malati..

Rimaniamo a casa, torneremo a fare quello che più ci manca – sono le ultime parole di Sigfrido Ranucci, che chiudono una puntata dedicata a coloro che sono morti senza nemmeno un saluto da parte dei più cari.

Le inchieste di Report - speciale coronavirus


Il mondo è immobilizzato dal #coronavirus, ma era tutto così imprevedibile? Ed eravamo pronti ad affrontare una pandemia?

La prima puntata di Report del 2020 sarà completamente dedicata al Coronavirus, cercando di mettere da parte gli aspetti emotivi (il numero di morti, la narrazione degli eroi) per andare più a fondo su alcuni aspetti di questa pandemia che meritano attenzione.
Come è nata?
Cosa stiamo facendo perché non ci sia più un'altra pandemia aggressiva e pericolosa come questa?
Come la stiamo affrontando ora (con che strumenti, secondo quali protocolli)?
Chi e perché ha sbagliato nell'affrontare questa pandemia?
Di seguito alcune anticipazioni che trovate sui canali social della trasmissione.

Tra le persone intervistate, il divulgatore scientifico David Quammen, autore di Spillover un saggio uscito anni fa che è tornato in cima alle vendite proprio per la pandemia, dove si parla di cacciatori di virus.
Quammen ha spiegato come i coronavirus fossero considerati un pericolo da quasi vent'anni, e molti paesi non hanno fatto abbastanza per prevenire la pandemia.
Giulio Valesini è il giornalista che lo ha intervistato: come ha fatto ad anticipare quello che sarebbe successo?
Lavorando a stretto contatto coi ricercatori in tutto il mondo - ha risposto: "con loro mi sono calato nelle caverne in Cina, alla ricerca di pipistrelli, cercando gli animali che portano i nuovi virus, li catturano, li analizzano e gli prendono il sangue".
"Uno di questi ricercatori ha detto dobbiamo stare attenti, il prossimo big one, sarà probabilmente un virus proveniente da un animale selvatico, altamente capace di adattarsi, come il Coronavirus e passerà da animali selvatici a umani, probabilmente in un mercato di animali selvatici vivi in Cina, se attecchisce sarà particolarmente pericoloso, se il contagio avviene tra asintomatici".
Cosa rende le pandemie, che sono sempre esistite, oggi più pericolose?
"Primo, le pandemie tendono ad essere di origine virale non batterica. Secondo viaggiano per il mondo sempre più velocemente, un virus può viaggiare dalla Cina a Roma in quindici ore. Poi viviamo in città sempre più affollate, 7,7 miliardi di umani vivono in grandi città. Questo rende le pandemie peggiori".
Chi poteva intervenire in anticipo e non l'ha fatto?
"Gli scienziati sapevano da ben diciassette anni, dall'epidemia della Sars, che i coronavirus possono essere molto pericolosi; i dirigenti della sanità pubblica sapevano che era fondamentale la preparazione, sapevano già che avevamo bisogno di diagnostica veloce, di test validi, mascherine, guanti, ventilatori, letti in isolamento, capienza ospedaliera. Chi non lo sapeva? Chi non era preparato? I politici."

Cosa può fare il mondo per evitare, per prevenire queste crisi pandemiche?
Terremo sotto controllo il Covid-19 e lo faremo.Ricordiamoci che non sarà l'ultima, la Covid-19, ce ne saranno altre, quello che dobbiamo fare è essere pronti, capire cosa sta succedendo, prima di tutto ad individuare il virus, contenerlo, controllarlo, identificarlo e preparare tutta le gente nel mondo al fatto che potrebbe spostarsi su un aereo.Dovremmo fare il controllo delle temperature in aeroporto, sviluppare strumenti diagnostici più veloci ed efficaci, dovremmo prepararci con più posti in ospedale e strutture di emergenza per prendere in carico pazienti in eccesso quando c'è una pandemia. Perché ce ne sarà un'altra.”


Il contagio potrebbe essere avvenuto in un mercato all'aperto, dove i pipistrelli sono esposti, dall'animale al paziente zero.
Sono chiamati wet market, mercati umidi, dove si macella sul posto, perché nella maggior parte dei mercati non hanno i frigoriferi per tenere la carne.
Per cui se devo vendere un pezzo di carne, lo devo vendere da vivo: in questi mercati - racconta il servizio - i cinesi macellano a mani nude e qundi si imbrattano continuamente di sangue.

Al Campus Biomedico hanno studiato il virus, sono riusciti a datare la mutazione dal pipistrello all'uomo, il paziente zero, qui Report ha intervista l'epidemiologo Massimo Ciccozzi che ha spiegato "se tu hai il genoma completo, sulla base del numero di mutazioni a livello temporale posso anche andare indietro e datare esattamente l'inizio di una epidemia".
Al Campus Biomedico risulta dunque che l'epidemia sia iniziata a metà novembre: questo virus era dentro il pipistrello, ma ha fatto anche altre due mutazioni che sono state studiate.
Queste due proteine che hanno studiato, che sono proteine strutturali, una destabilizza e l'altra stabilizza il virus: questo spiega il medico, ci fa capire come il virus sia molto più contagioso della Sars del 2002. Ci ha messo anni per fare una mutazione come questa.
Dai tre pipistrelli originari, si può risalire a tutta l'epidemia del ceppo di coronavirus.
La mutazione - ha proseguito - gli ha fatto riconoscere un recettore delle basse/alte vie respiratorie, Ace 2, e questo recettore noi ce l'abbiamo per tanti motivi, ipertensione per esempio.
Il virus prende questo recettore, si aggancia, si fondono le membrane e così il virus entra e comincia a parassitare la cellula.


Claudia Di Pasquale ha intervistato un operatore del 118, le prime linee nella lotta al virus: quando devono muoversi per andare a visitare un sospetto, come si vestono?
Secondo il protocollo ci vestiamo con una mascherina e una tuta fornita dall'azienda che ha il servizio del 118 in appalto(non l'ASL).
Vinicio Amici è segretario di Latina della confederazione A.I.L.: ha spiegato alla giornalista come le tute plastificate, dove non filtra nulla.
Ma sono tute non a norma ha contestato la giornalista : “a noi queste ci forniscono, per questo siamo in mobilitazione con la regione” la risposta dell'operatore.
Il problema è che se non interviene la regione Lazio o ARES, nelle prossime settimane queste aziende del 118 andranno in default, perché mancano dei DPI (i dispositivi) per gli operatori.
Nella circolare ministeriale del 23 febbraio 2020 indica quali sono i dispositivi che devono indossare gli operatori: maschere con filtro ffp2, protezione facciale, tuta protettiva, doppi guanti non sterili, protezione per gli occhi..
Mario Balzanelli è presidente nazionale del Sis 118, la consulta dei dirigenti responsabili del servizio 118: le tute da usare devono essere identificate da un simbolo internazionale e da una certificazione, deve coprire anche i piedi, altrimenti sono necessari i calzari.
Peccato però che poi ognuno faccia di testa sua: alla centrale operativa del 118 di Benevento gli operatori indossano le tute ma non i calzari, “abbiamo tutti le scarpe infortunistiche certificate CEE”.
Ma non la pensano così i medici del 118 di Benevento che hanno inventato un escamotage, al posto dei calzari indossano dei sacchetti di plastica.
Lo racconta Emilio Tazza, medico e sindacalista del 118: ha raccontato alla giornalista la denuncia dei sindacati su un caso di un paziente trasferito in una struttura senza che gli operatori avessero tutti i dispositivi, “avevano solo il camice della sala operatoria .. il nostro responsabile sosteneva che le tute non ci spettavano, sebbene ci fosse una circolare che le prevedesse esplicitamente”.
La tuta è poi arrivata in dotazione a Benevento, ma leggendo le sue specifiche, protegge solo da polvere e schizzi liquidi e non da agenti infettivi, in quanto manca la certificazione EN14126.
Solo dopo le proteste degli operatori sono arrivate le tute a norma.

E' stato fatto un corso di formazione agli operatori per dirgli come vestirsi e svestirsi?
Nemmeno questo, nemmeno agli infermieri, agli autisti dei mezzi, che dipendono dalla società Misericordia d'Italia: anche a loro inizialmente non erano state date tute idonee, nemmeno dispositivi per sanificare le ambulanze.
Le tute fornite per le persone che lavorano al primo soccorso erano buone per l'industria alimentare, ma l'ASL di Benevento le ha dichiarate idonee.
“Nelle guerre c'è una trincea e delle truppe che stanno al fronte: noi medici del 118, gli infermieri, gli autisti, sono in questa trincea” l'amara conclusione del medico Emilio Tazza.

Altro personale in trincea, non solo oggi, è quello dei vigili del fuoco: che tutele hanno ha chiesto la giornalista Rosamaria Aquino ?
Anche da qui arrivano notizie allarmanti, su 35 tamponi fatti, sette sono positivi, al comando di Padova: “credo che il comando sia altamente compromesso” racconta un vigile in un messaggio.
A Bresso è stata soccorsa una persona con dei sintomi e tutta l'autopompa è stata messa in quarantena.
Altri casi sono stati riportati: vigili con dei sintomi da virus a cui non è stato fatto il tampone e che sono rimasti in contatto coi colleghi per giorni.
A cui sono arrivate poche informazioni dai comandi sui contagi: oggi i turni sono stati ridotti per la paura di contagiarsi a vicenda e così i vigili si sono affidati ai social con un messaggio, “attenzione il contagio possiamo essere noi”.
Uno dei colleghi contagiati ha raccontato cosa sta succedendo in forma anonima, poco prima di essere ricoverato: “il collega che è stato il primo caso fa parte della mia stessa squadra, il ragazzo è stato messo in quarantena in una stanza, per 24 ore, gli hanno fatto fare un primo tampone, è risultato positivo ma dopo l'hanno fatto rientrare in servizio”.
La persona intervistata è stata in contatto con questa persona fino a venerdì, poi sabato si è ammalata.
Si doveva fare il tampone a tutta la squadra e mettere tutti in quarantena per settimane.

Giovanna Boursier è andata a Bergamo, al Policlinico San Marco dove ha intervistato il primario Matteo Giacomini: “il 23 febbraio è stato il giorno in cui abbiamo visto i primi malati, quello che ci ha messo in difficoltà è stata la mole di pazienti, io personalmente all'inizio ero spaventato dal ritmo con cui arrivavano... Avevamo il pronto soccorso pieno, erano pieni i reparti. L'idea non era di non farcela, ma di non avere il tempo per farcela ”.
Quindi è stata sottovalutata questa questione?
“Io penso che non era immaginabile che arrivassero 30 pazienti al giorno per insufficienza respiratoria”.
Tra di voi ci sono medici ammalati?
“Tra di noi c'è un collega ammalato ma grazie a Dio sta facendo il decorso a casa, qualcuno è stato intubato, qualcuno dei nostri colleghi è morto..”
Avete le attrezzature, come siete tutelati?
“Devo dire che qua le cose c'erano e c'erano per tutti.”
Quanti tamponi sono stati fatti da voi?
“Su un totale di 406 pazienti trattati, almeno seicento tamponi li abbiamo fatti, se non di più.”
Come se lo spiega, se può e se vuole, il caso Bergamo?
“Se fosse stata dichiarata subito zona rossa l'avremmo vissuta magari più facilmente, se fosse stata chiusa immediatamente. Anche in base all'esperienza dei colleghi che erano a Lodi e Codogno.”
“Come me la spiego [la situazione a Bergamo]? E' una zona ad alta densità, molto popolata, una grande socialità, sono paesi che vivono di una grande socialità.”
Errori ne sono stati fatti in questa vicenda?
“Secondo me, quello che non ha funzionato è che all'inizio la gente non ci ha creduto, non pensava che fosse una cosa così seria. Questo è l'errore grave: ancora adesso è difficile convincere la gente.”

Chiara De Luca ha intervistato Nino Cartabelotta, presidente della fondazione GIMBE: nell'intervista si è toccato il tema dei tagli alla sanità avvenuto in questi anni (tagli tenendo conto dell'aumento del costo della vita, non in termini assoluti di spesa).
“All'appello mancano 37 miliardi tagliati per esigenze di finanza pubblica”: tagli iniziati col governo Berlusconi nel 2010 e 2011, poi hanno fatto parte della spending review del governo Monti fino alla legge di stabilità del 2013.
Dal 2015 al 2019 sono avvenuti una serie di interventi che non si possono definire alla lettera tagli, ma sono dei mancati incrementi rispetto a quanto era stato promesso alla sanità pubblica, circa 12 miliardi.
Come si è detto, il ministero della Salute sostiene che in termini assoluti la spesa è cresciuta quasi costantemente negli ultimi 20 anni, da 71,3 miliardi nel 2001, 114,5 miliardi nel 2019: ma a vedere bene i conti non tornano. L'aumento assoluto in questi anni è stato di circa 8,8 miliardi, ma sarebbe dovuto aumentare di 37 miliardi- spiega il professor Cartabelotta, ma in ogni caso questi 8,8 miliardi corrispondono ad un aumento medio annuo inferiore all'1%, inferiore a quello che è l'inflazione media annua.
Di fronte a questi tagli, nessuna regione del centro sud sarebbe in grado di reggere uno tsunami come quello che si è abbattuto sulla Lombardia, sia dal punto di vista dell'offerta dei posti letto in terapia intensiva, sia per quelle che sono le modalità di erogazione dei servizi.

Nel frattempo il virus è arrivato anche a Roma: il Policlinico Gemelli che doveva gestire gli ammalati di Covid 19 è ormai saturo, decine di ambulanze con pazienti in isolamento a bordo, sono in attesa del personale medico per le visite. I pazienti non possono scendere perché mancano i posti.
Non solo la capitale, nemmeno il Lazio come regione era pronto a gestire questa emergenza, negli ospedali come quello di Anzio, mancano i respiratori, che sono presi in prestito dalle auto mediche che, in questo modo, non sono in grado di soccorrere pazienti gravi da intubare.


Dagli ospedali alle scuole: si è detto che gli studenti possono fare lezioni da casa, collegandosi in chat o in video conferenza coi loro professori. Ma la scuola e gli insegnanti erano pronti a questa emergenza?
Giuliano Marrucci è andato a Pisa, ad intervistare una studentessa del liceo scientifico Ulisse Dini, una delle più blasonate della città.
Marta riesce a fare tutte le lezioni ogni mattina, dalle otto all'una, tutti gli studenti riescono a seguire le lezioni.
Ma anche a Pisa non c'è solo l'elite: altra scuola altra storia, al liceo Artistico Russo, si sono riuscite ad organizzare poche lezioni, gli studenti sono lasciati soli coi loro cellulari (e poi Giga che ora stanno finendo).
Isaia si dovrebbe diplomare come meccanico specializzato: su 21 alunni, circa 12-13 riescono a seguire le lezioni.
Riccardo frequenza l'istituto tecnico Chiara Gambacorti: solo alcune delle lezioni si riescono a fare in modo “frontale”, davanti l'insegnante, ora dovrebbe prepararsi per l'esame e ha un po' di strizza.
Insomma, come per la sanità, come per i tamponi, (chi può farseli e chi no), anche la scuola rischia di diversi in questi mesi tra scuola di serie A e di serie B.

E qual è lo stato della sanità al sud? I giornalisti di Report sono scesi fin giù in Calabria, per capire quale sia la situazione. L'ospedale di Castrovillari è stato identificato dalla regione come struttura per gestire l'emergenza Covid-19.
E la situazione non sembra bella: siamo disorganizzati, non si capisce chi comanda, non ci sono percorsi stabiliti .. mentre la giornalista faceva le sue domande all'ingresso dell'ospedale un paziente forse colpito dal virus era lasciato dentro l'ambulanza per due ore.
Nell'ospedale attrezzato per il Covid ci sono le tute e le mascherine, almeno all'apparenza, mancano le regole e i protocolli forse.
La tenda pretriage (per non intasare il Pronto Soccorso) non è mai entrata in funzione, non si sa chi debba prendere in carico questa funzione, il percorso per “accettare” i pazienti col Covid non è chiaro, tra personale medico e personale del 118.
L'ospedale ha assolto la sua funzione per soli sette giorni, per poi essere liquidato e così oggi nella provincia di Cosenza, la più grande nella regione, non è chiaro quale sia la struttura dedicata all'emergenza.
All'ospedale di Castrovillari non c'è ancora un reparto dedicato ai malati di Covid-19.

C'è spazio anche per qualche buona notizia: come la sperimentazione in atto a Bologna, a San Lazzaro di Savena, per il tampone in auto, una tecnica già usata in Corea.
Report ha intervistato Paolo Pandolfi, direttore dip. Sanità pubblica Ausl Bologna: “lo scopo di questa tecnica è efficientare il sistema, fare in modo cioè che una sola squadra faccia molti più tamponi utilizzando un solo e unico dispositivo di protezione, fare più test e farli nel più breve tempo possibile.”
Come sono scelte le persone a cui fare i tamponi?
“I tamponi sono fatte a persone che non sono sintomatiche, non hanno febbre o altri sintomi, sono persone che sono state oggetto di quarantena, che sono state a casa e che, per una serie di condizioni, sono state a contatto con delle persone infette e dobbiamo misurare se si sono positivizzate“.
Che differenza c'è tra questo lavoro e quello che è stato fatto in Corea del Sud?
“Noi stiamo facendo un lavoro di assistenza su della popolazione ben definita, in Corea è stato fatto su una popolazione più ampia, per monitorare come è distribuito il contagio, come si distribuisce il virus. Questo ha permesso di anticipare focolai. Perché se io so che in quel luogo, in quel punto, c'è una concentrazione importante di soggetti positivi, posso anticipare interventi di prevenzione. E quindi non far circolare quelle persone, bloccare quelle aree, creare situazione di restrizione.”
Per prevenire nuovi focolai di Covid-19 cosa dovremmo fare?
“Dovremmo conoscere bene come si distribuisce tra le persone che hanno i sintomi ma soprattutto tra quelle che non li hanno.”
Quello che avete fatto oggi è una base per farlo?
“No, è un passo importante che va fatto solo se ci sono le risorse, ma in questo momento i tamponi servono per testare la contagiosità o meno degli operatori sanitari. La contagiosità di persone che sono state in contatto di casi veri.”

Il comunicato stampa dei giornalisti di Report
Tornano le inchieste della squadra di Report. La prima puntata è interamente dedicata alla pandemia di Covid-19. Andremo dove tutto è cominciato e dove il peggio sembra finalmente passato, a Wuhan, per mostrare con immagini esclusive cosa è realmente successo nei compound blindati durante l'emergenza.
Dopo Sars e Influenza aviaria, l’Oms ha raccomandato a tutti i paesi del mondo di mettere a punto un piano di prevenzione e risposta alle pandemie e di aggiornarlo costantemente. L’Italia lo ha fatto? E come? Racconteremo come è nato il contagio tra Lombardia, Veneto ed Emilia, prima e dopo la scoperta del “paziente 1” a Codogno. Sarebbe stato possibile fermarlo per tempo? Andremo poi a vedere come le regioni del Sud, dalla Campania alla Calabria, fino in Sicilia, stanno affrontando l’aumento dei casi.
Gli operatori del 118 sono la prima linea della lotta al coronavirus: una ricognizione sui territori per verificare quel che c’è e quello che manca perché lavorino in piena sicurezza. Ricostruiremo infine le difficoltà di un corpo dello Stato in prima linea nelle emergenze: i Vigili del fuoco, coinvolti anche loro nella diffusione del contagio.

29 marzo 2020

Cosa possiamo fare per evitare altre pandemie



Cosa può fare il mondo per evitare, per prevenire queste crisi pandemiche?
“Terremo sotto controllo il Codi 19 e lo faremo.Ricordiamoci che non sarà l'ultima, la Covid-19, ce ne saranno altre, quello che dobbiamo fare è essere pronti, capire cosa sta succedendo, prima di tutto ad individuare il virus, contenerlo, controllarlo, identificarlo e preparare tutta le gente nel mondo al fatto che potrebbe spostarsi su un aereo.Dovremmo fare il controllo delle temperature in aeroporto, sviluppare strumenti diagnostici più veloci ed efficaci, dovremmo prepararci con più posti in ospedale e strutture di emergenza per prendere in carico pazienti in eccesso quando c'è una pandemia. Perché ce ne sarà un'altra.”

Dall'intervista di Giulio Valesini, giornalista di Report, David Quammen, autore di Spillover.
Non so se avete capito, ma io mi fido molto di più di questo scrittore che non di molti nostri politici, come quelli che danno le date in cui far riaprire scuole e fabbriche.
Degli organi di Confindustria che si preoccupano di tenere aperte le aziende perché altrimenti la gente muore di fame, perché sono gli imprenditori a dar loro da mangiare.
Che visione vecchia.
Arriveranno altre pandemie e noi dobbiamo essere preparati, investendo su sanità e ricerca.  


28 marzo 2020

Il fantasma dei fatti di Bruno Arpaia



Incipit

Lac Grand, Québec, Canada, 3 settembre 1978 
Quando ci ha aperto, il Greco non ha mosso un muscolo.È rimasto piantato sulla porta, con la mano appoggiata alla maniglia, la pipa che gli pendeva dalle labbra, a scandagliarci da dietro le sue lenti con la montatura spessa, fuori moda, come non ne vedevo da anni e anni, finché non ha increspato gli angoli della bocca. 
« Vi hanno mandato loro? » ha chiesto. 
No, anzi, non è esatto. La verità è che non so nemmeno come pronunciarla, quella sua prima frase: punto interrogativo oppure no? Per quasi tutti, sarebbe stata una semplice domanda, però, per lui, molto probabilmente non lo era. Aveva già capito. Forse non fino in fondo, non proprio tutto tutto, ma aveva già capito. 
« Vi hanno mandato loro. » 
George è rimasto fermo, io ho annuito. Cosa potevo fare? Poi George gli ha detto i nostri nomi, gli ha detto che eravamo dell’Agenzia e infine gli ha spiegato che volevamo soltanto fare quattro chiacchiere prima che fosse interrogato dalla Commissione. Stavolta è stato lui ad annuire. 
« D’accordo, entrate. »

Avevo molto apprezzato uno dei precedenti romanzi, “Il passato davanti a noi”, la storia di una generazione di ragazzi del sud nei primi anni settanta, la passione politica, le lotte, i timori di una svolta autoritaria e poi gli sconti di piazza. Gli anni settanta non sono stati solo anni di piombo, ma anni di lotta politica in cui si era convinti di poter cambiare il mondo.
Quel libro era il tentativo, secondo me riuscito, di spiegare ad una generazione, quella di chi è nato dopo, le passioni di quell'epoca.
L'Italia che avrebbe potuto essere (più aperta, democratica) e che non è stata

In questo libro ho trovato la stessa scintilla: raccontare dell'Italia dei primi anni sessanta che è stata ad un passo dal compiere una svolta epocale, diventare un paese all'avanguardia nella ricerca scientifica, nella ricerca medica, nella chimica, nel campo energetico e, perfino, nell'ambito dell'informatica dei primordi.
Bruno Arpaia, partendo da fatti reali, storie di personaggi veri, racconta della rivoluzione che stava compiendo l'Olivetti di Adriano Olivetti e del fisico Mario Tchou che aveva progettato e realizzato un calcolatore, l'Elea 9003, che era perfino più avanzato del concorrente dell'americana IBM.
Negli anni tra il 1957 e i primi 1961 stavano per raggiungere una indipendenza tecnologica che però era temuta dagli USA e non pienamente compresa dalla politica italiana, che infatti lasciò solo Olivetti, isolato da Confindustria (“un neo da estirpare” lo considerava Vittorio Valletta) e perfino dai sindacati che lo consideravano troppo paternalista come imprenditore.
La morte di Tchou è il primo mistero di questa storia: il fisico italo cinese morì in un incidente d'auto, il 9 novembre del 1961. L'Olivetti viene presa da un consorzio con Fiat, Pirelli, Mediobanca, e la divisione elettronica, così all'avanguardia, vendita alla General Electric.

Della fine di Enrico Mattei oggi sappiamo tante cose: morto in un incidente aereo a seguito di un attentato provocato da una carica di esplosivo mentre stava per arrivare in aereo a Milano da Catania il 27 ottobre 1962.
Esplosivo piazzato da uno dei suoi tanti nemici: nemici esterni come le sette sorelle, gli inglesi, l'OAS e il governo francese (per il suo appoggio al movimento di liberazione algerino). Ma anche i tanti nemici interni: gli industriali del privato e la solita Confindustria, difensori delle rendite di posizione dei soliti nomi (Edison, Montecatini, Sade..), il Sifar, i partiti italiani e i loro capi corrente (che Mattei usava come un taxi).
Cefis, forse, il suo numero due che qualche mese prima aveva allontanato e che, in molti, considerano il vero fondatore della Loggia P2, la loggia massonica al centro di tanti misteri italiani-
Mattei voleva rendere l'Italia un paese libero dal punto di vista energetico, per dare agli italiani e alle imprese quella libertà che avrebbe dato un ulteriore impulso alla crescita del paese.
Si era fatto tanti nemici: ma chi ha piazzato la bomba?

Felice Ippolito era, nel 1964, il segretario del CNEN, il comitato per l'energia nucleare italiano: uno degli scienziati italiani che, in quegli anni, vedevano lungo: il suo pallino era il nucleare per uso civile, che avrebbe dovuto prendere il posto di carbone e petrolio.
Per le sue ricerche servivano fondi, l'appoggio della politica che avrebbe dovuto garantire l'indipendenza di questo centro di ricerca.
Fu anche lui osteggiato, nella sua battaglia contro le aziende private dell'elettico, che Ippolito consideva peggio dei tabaccai, perché operavano in un regime di semi monopolio, senza creare una vera concorrenza energetica.
Nel 1960 il governo mette la firma sull'atto che fa nascere questo ente, il CNEN, viene realizzata la prima centrale nucleare, ma gli attacchi al suo lavoro non smettono.
Dal giornale degli industriali, Il sole 24 ore, da Il Tempo e dai comunisti: Ippolito come Mattei viene accusato di sperperare tanti soldi pubblici.
Fino all'arresto, che segna la fine della sua carriera scientifica, 3 marzo 1964.
Fine del miraggio dell'indipendenza energetica italiana, fine anche di un'idea di politica energetica in mano al pubblico (erano gli anni della nazionalizzazione dell'energia, una cosa che secondo gli industriali italiani puzzava di sovietizzazione).

Domenico Marotta è stato uno dei fondatori dell'Istituto Superiore della Sanità, una padre della ricerca medica in Italia: anche la sua carriera viene interrotta da un arresto e da un processo, il 8 aprile del 1964 (poco dopo l'arresto di Ippolito).
Anche per lui l'accusa fu quella di aver usato in modo disinvolto i soldi pubblici che gli erano affidati, accuse arrivate da giornali, utili idioti in una battaglia contro il governo DC, ma attacchi arrivarono anche dal giornale di Saragat.

In due o tre anni, dalla fine di Mario Tchou, agli arresti di Ippolito e Marotta, 
“ogni tentativo di autonomia scientifica ed energetica dell'Italia è stato frustrato. Genetica, biologia molecolare, elettronica fisica nucleare: tutto azzerato, a vantaggio di altri, di paesi più potenti.”

Scrive Bruno Arpaia:
E' infatti in quel brevissimo lasso di tempo, a cavallo fra la morte di Mario Tchou e l'arresto di Domenico Marotta, che l'Italia unica tra i paesi industrializzati, sceglie un «modello di sviluppo senza ricerca», fondato sui prodotti a bassa o media tecnologia (tessuti, mobili, scarpe, vestiti, frigoriferi, lavatrici, automobili, cibo..) in cui le innovazioni più avanzate vengono semplicemente importate dall'estero. Made in Italy. Ma nell'attuale «società della conoscenza», fondata sulla scienza e sui quel tipo di tecnologia che, a detta di Luciano Gallino «incorpora volumi senza fine crescenti di Conoscenza scientifica», i limiti di quel modello sono venuti pian piano a galla e il nostro paese si è avviato da parecchi anni verso un declino di cui sembra più sempre di più difficile risalire. Insomma, checché se ne dica oggi, il nostro declino, il nostro tasso di crescita molto inferiore a quello degli altri paesi, viene da lontano, dagli inizi degli anni 60. Da allora, niente ricerca hi-tech, niente innovazione, sempre più scarsa istruzione media e universitaria.

Il declino industriale e scientifico (di cui oggi paghiamo il prezzo) è nato negli anni sessanta. E' stato solo un caso, oppure dietro queste storie c'è stata la lunga manus di qualcuno?
Sappiamo che tutti questi personaggi avevano molti nemici, nel nostro stesso paese: l'industria privata, la politica che non vedeva di buon occhio una certa indipendenza industriale o nella ricerca, i servizi segreti.
O forse c'è dell'altro?
Forse l'ingerenza americana, che considerava l'Italia terra di confine tra est ed ovest, un paese che la Cia considerava come un laboratorio dove sperimentare i suoi protocolli di controllo dell'opinione pubblica, di manipolazione dell'informazione, tutto per tener ben saldo l'equilibrio politico, con la DC al governo e i partiti di centro, tenendo i socialisti e i comunisti fuori dalle stanze dei bottoni.

Qui la storia ufficiale si mescola con la fiction, con quella ricostruzione della storia che solo uno scrittore può fare, facendo ricorso alla sua fantasia, per ricostruire i pezzi mancanti della storia.
Il fantasma dei fatti, a cui dare la caccia, per dare un senso alla mancata emancipazione (scientifica ed energetica) del paese è quello di Thomas Karamessines, direttore delle Covert Operation della CIA, morto ufficialmente per un infarto pochi giorni prima di deporre di fronte alla Commissione della Camera sugli omicidi di Kennedy e di King.
Nel 1942 nell'OSS, il servizio segreto americano creato durante la seconda guerra mondiale, padre della CIA; in Egitto a fianco dei cugini dell'MI6 nel 43, in Grecia alla fine della guerra per “gestire” la guerra civile contro i comunisti. Poi lo scioglimento del servizio, a fine guerra, perché l'OSS non lo voleva nessuno, né l'FBI né l'esercito, nel 45.
Infine, con la guerra fredda, la creazione della CIA, con l'approvazione del National Security Act nel settembre 1947: c'erano i russi là fuori, c'era il timore che i russi estendessero la loro influenza anche su alcuni paesi “amici” in occidente, come Italia.
Ecco, il primo atto del nuovo servizio, che aveva mandato di eseguire operazioni clandestine all'estero: le elezioni politiche in Italia del 1948.
L'Italia fu il laboratorio della Cia durante la guerra fredda” scrisse Tim Werner nel suo libro sull'agenzia: soldi ai partiti politici di centro, sottobanco o tramite il Sifar, il nostro servizio segreto, di fatto una dependance di quello americano e dell'ambasciata a Roma.
Soldi alla DC, ai giornali in funzione anticomunista e antisocialista, soldi anche ai groppuscoli di ex fascisti per operazioni sporche, soldi anche alle imprese private. Solo per le elezioni del 1948 arrivano in Italia 10 milioni di dollari.
Operazione Demagnetize – un piano segreto di cui il Parlamento non era informato e nemmeno tutti i ministri: stroncare i comunisti, discriminare le aziende che li assumevano, costringendoli a licenziarsi, far fallire le cooperative rosse, creare scandali sui dirigenti PCI, il tutto nell'ambito del progetto “Stay Behind” Nato...

Karamessines arrivò in Italia, come capo stazione Cia nel 1958 e vi restò fino al 1963, per poi tornare a Washington come vice direttore delle operazioni coperte, le “lo shit department”, dove gestì operazioni di disinformazione come quella sul Vietnam, la cattura di Che Guerava in Bolivia (consegnato dai Russi, perché il Che era un problema anche per loro?); i piani per uccidere Castro; la destabilizzazione del Cile dopo le elezioni del '70 vinte da Allende.
Il presidente Nixon considerava Allende “un figlio di puttana” di cui sbarazzarsi, non poteva essere un governo socialista nel giardino di casa degli Stati Uniti.
E non solo:
Quello che lo spaventava davvero era il messaggio che dal Cile poteva arrivare agli elettori italiani … Era l'Italia che lo terrorizzava ..

Il Cile fu il primo punto di attrito della sua carriera (e di quella del suo capo, Richard Helms), il Watergate il secondo: attrito con Nixon che voleva a tutti i costi la pelle di Allende e che, dopo il Watergate, voleva che fosse la Cia a prendersi la colpa di tutto (nascondendo così il vero scandalo, l'uso di fondi neri provenienti dal comitato per la rielezione per le operazioni sporche compiute durante la campagna presidenziale).
In trent'anni all'Agenzia, mai avute tante pressioni da parte della Casa Bianca, nemmeno durante la crisi dei missili a Cuba..

Infine le dimissioni dal servizio, nel 1972.
Tutte queste cose le sappiamo attraverso il racconto che ci fa, nell'immaginazione dell'autore, Tom K. stesso, nel 1978, nel suo ritiro sul lago Lac Grand, quando pochi giorni prima di deporre di fronte alla commissione della Camera sugli omicidi Kennedy e King, riceve la visita di due agenti della CIA.
La ricostruzione della vita di Tom K., per scriverci poi un libro, diventa un'ossessione per Arpaia: in giro oggi si trovano poche informazioni e pochi libri che parlano di questa persona (tra cui quelli della biblioteca dell'amico Giuseppe D'Avanzo, il giornalista di Repubblica morto nel 2011).

Forse avrei potuto, da un lato, raccontare le mi ricerche ed evidenziare i «fatti», e dall'altro, raccontare l'ultimo giorno di vita di Tom K, immaginando liberamente proprio a partire di quei «fatti» e cercando di seguirne il senso, di mettere in scena il fantasma dei fatti, come avrebbe detto Leonardo Sciascia. Sì, forse c'ero.

Ed ecco così, che alternate alle pagine dei «fatti», rivediamo la nostra storia come fosse un film attraverso i ricordi di Thomas Karamessines: lo scontro all'interno dell'amministrazione americana per le aperture verso un governo di centro sinistra in Italia (nei primi anni sessanta), l'ambiguità dell'amministrazione Kennedy in proposito (Kennedy stesso era circondato da collaboratori contrari a questa apertura), il Piano Solo del generale De Lorenzo (e il dossieraggio dei nemici a sinistra), i ricatti all'interno della DC, divisa in correnti l'una contro l'altra.

Rileggiamo i fatti di quegli anni secondo una nuova luce: la fine dell'esperimento di un governo di centro sinistra capace di fare quelle riforme necessarie per svecchiare il nostro paese, la nazionalizzazione dell'energia, il “tintinnar di sciabole” nel 1964.
La misteriosa fine di Enrico Mattei, di cui ancora non sappiamo il responsabile: la sua politica energetica viene qui riletta dal punto di vista politico. Dialogare coi paesi ex colonie, da trattare alla pari, andare oltre alla vecchia politica coloniale (che ancora l'Inghilterra portava avanti in Medio Oriente), aprire nuovi ponti verso l'Africa, verso l'est, perfino con la Russia.
Chissà, forse l'Italia avrebbe potuto essere per gli Stati Uniti quel partner politico , quell'alleato “così a lungo cercato” per portare avanti una nuova politica nel mondo (sono le parole di George Ball, sottosegretario di Stato dell'amministrazione Kennedy).
Un'Italia che stava acquisendo un forte riconoscimento come potenza internazionale?

Per questo che è stato ucciso, Mattei? Come Mario Tchou, come Ippolito, come Marotta, andava fermato perché l'Italia non poteva permettersi questa autonomia.
E i nemici di Mattei non stavano solo oltre oceano, si trovavano anche qui in Italia, troppo potente, troppo ingombrante, troppo autonomo dai partiti.

Le uniche storie che val la pena raccontare son quelle che non possono essere raccontate” scrive Javier Cercas.
E questa storia, un po' romanzo, un po' spy story, quella di Tom K., dell'ingerenza americana, dell'Italia che avrebbe potuto essere (potenza economica, all'avanguardia nella ricerca scientifica) e che non è stata, è una di queste.
Avvincente come un thriller o una spy story, preciso nelle ricostruzioni dei fatti come un saggio storico, questo romanzo colma una vuoto della nostra storia che merita di essere riportato in luce, anche per spiegare agli italiani di oggi come siamo arrivati alla situazione in qui siamo.
Un paese dove la ricerca scientifica viene rivalutata solo ora per colpa dell'emergenza del virus, di un capitalismo senza capitali che porta avanti uno sviluppo senza ricerca; un paese che ancora dipende da petrolio e carbone (e dove il nucleare “pulito” è naufragato tanti anni fa), un paese di scandali e di ricatti, dove vige lo scetticismo verso le istituzioni (“chissà cosa non ci raccontano”), le teorie di complotto. Un paese ancora immaturo, insomma.

La scheda del libro sul sito dell'editore Guanda e il pdf del primo capitolo.
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