24 marzo 2020

Il declino industriale italiano

Come siamo arrivati a questo, al declino industriale, alla perdita di posizioni nella ricerca scientifica, all'essere una nazione con un'industria manufatturiera senza ricerca e sviluppo?
E' una storia che parte da lontano, come il nostro declino, precisamente dall'inizio degli anni sessanta, quando il paese avrebbe potuto risorgere pienamente (dal punto di vista della ricerca sul nucleare, sull'informatica, sulle scienze medicali, sulla chimica): il romanzo di Bruno Arpaia parte dalla storia di tre italiani, poco noti ai più, che col loro lavoro volevano dare al nostro paese quell'autonomia industriale, tecnologica che ci avrebbe reso una nazione più forte.
Si tratta del pioniere dell'informatica Mario Tchou, dei ricercatori Felice Ippolito e Domenico Marotta.
E poi Enrico Mattei, presidente dell'Eni, morto a seguito dell'attentato sul suo aereo personale, nell'ottobre 1962.
Resta il fatto che, nel giro di soli due o tre anni, ogni tentativo di autonomia scientifica ed energetica dell'Italia è stato frustrato. Genetica, biologia molecolare, elettronica fisica nucleare: tutto azzerato, a vantaggio di altri, di paesi più potenti. E a questi settori andrebbe aggiunta anche la chimica, che aveva visto il nostro predominio nel campo delle materie plastiche con i brevetti e il Nobel di Giulio Natta.Invece proprio in quegli anni, in Montedison le scelte del nuovo Management imposto da Enrico cuccia e Giorgio Valerio gettano le basi per una crisi verticale della nostra industria chimica. Ha ragione Edoardo Amaldi: per l'Italia è una sconfitta grave quanto quella di Caporetto. 
E' infatti in quel brevissimo lasso di tempo, a cavallo fra la morte di Mario Tchou e l'arresto di Domenico Marotta, che l'Italia unica tra i paesi industrializzati, sceglie un «modello di sviluppo senza ricerca», fondato sui prodotti a bassa o media tecnologia (tessuti, mobili, scarpe, vestiti, frigoriferi, lavatrici, automobili, cibo..) in cui le innovazioni più avanzate vengono semplicemente importate dall'estero. Made in Italy. Ma nell'attuale «società della conoscenza», fondata sulla scienza e sui quel tipo di tecnologia che, a detta di Luciano Gallino «incorpora volumi senza fine crescenti di Conoscenza scientifica», i limiti di quel modello sono venuti pian piano a galla e il nostro paese si è avviato da parecchi anni verso un declino di cui sembra più sempre di più difficile risalire. Insomma, checché se ne dica oggi, il nostro declino, il nostro tasso di crescita molto inferiore a quello degli altri paesi, viene da lontano, dagli inizi degli anni 60. Da allora, niente ricerca hi-tech, niente innovazione, sempre più scarsa istruzione media e universitaria. 
Difficile competere con nazioni che hanno il 65% di laureati contro il nostro 19%. Difficile stare al passo di chi investe in ricerca almeno il triplo o il quadruplo dell'Italia. Eppure nel dopoguerra il livello delle capacità scientifiche e tecnologiche del nostro paese era fra i più alti in Europa e nel mondo. Qualcosa in quei due o tre anni cruciali, in quel turning-point della nostra storia, è andato decisamente storto. Colpa del caso, del «destino cinico e baro», come avrebbe detto Giuseppe Saragat, oppure Pietro Greco faceva bene a sospettare che dietro quegli eventi, apparentemente isolati, ci fossero un piano, un ordine, una ragione? Magari una lunghissima mano americana? mMagari la mano di Thomas Hercules Karamessines?Da Il fantasma dei fatti - Bruno Arpaia Guanda Editore

Chi erano Mario Tchou, Felice Ippolito e Domenico Marotta (Enrico Mattei non dovrebbe aver bisogno di presentazioni)?
Cosa avrebbero potuto fare per il nostro paese?
E, poi, il fantasma che aleggia su tutte queste storie, Thomas K, Thom il greco. Chi era? Qual è stata l'influenza americana sulla nostra storia?
Buona investigazione, col libro di Bruno Arpaia.

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