30 giugno 2020

Il cacciatore di anime di Romano De Marco

 

Alzano Lombardo, ventitré anni fa

Corro con la forza della disperazione. Ogni passo rimbomba nel vuoto gelido di quest’area industriale. Gli echi si rincorrono mentre alle spalle mi lascio una nuvola di polvere grigia. Laggiù, eccola. Una porta, sotto alle capriate in ferro del vecchio cementificio. L'aria mi brucia nel petto, le gambe straziate da fitte dolorose, il sudore gelato lungo la schiena.

Angelo Crespi anni fa era un poliziotto, uno di quelli che danno la caccia ai serial killer, quegli assassini che scelgono le proprie vittime, le seguono e le uccidono seguendo un proprio rituale. Era uno dei migliori, Crespi, tanto da scrivere dei libri su cui generazioni di investigatori hanno basato i loro studi di criminologia.

Finché un giorno un assassino non lo ha colpito nei suoi affetti più cari.
Da allora ha deciso di non esistere più, cambiare nome, cambiare casa, cambiare vita. Ma forse al proprio destino, non si può proprio scappare..

Valdera, Pisa. Oggi

Il capitano Rambaldi limitò la pressione sul pedale dell’acceleratore mentre la Jeep Renegade attraversava la statale 64, una strada larga e dritta che tagliava in due la valle ..

Ventitre anni dopo quei fatti avvenuti a metà anni novanta, il capitano dei carabinieri Mauro Rambaldi viene chiamato a risolvere un delitto “particolare” nella piccola cittadina di Pecciolli, nella campagna pisana.
Dovrebbe essere a Roma, a prendere il nuovo incarico (nell'unità di scienze comportamentali) per quella promozione meritata, dopo anni di successi a Pisa, merito delle sue capacità di investigatore.

Ma una telefonata del procuratore Brogi, lo ha portato qui, in questa cittadina graziosa, che ha puntato molto sul suo patrimonio culturale, attraverso una fondazione, che gestisce anche il museo locale.
Che è diventato però una scena di un delitto:

.. c’era una teca orizzontale lunga poco meno di due metri. Il corpo della ragazza era stato ricomposto con cura. Era distesa con le mani raccolte sul petto e i lunghi capelli castani ordinati in maniera impeccabile, sulle spalle. Sembrava viva.

La ragazza si chiama Roberta Savio, era la custode del museo: l'assassino l'ha strangolata e poi ha composto il cadavere nella teca di Isadora. E' una teca dedicata ai resti di una ragazza morta nel trecento, i cui arredi funebri sono stati recuperati dagli archeologi.

Non è un delitto comune: non c'è solo quel cadavere, come un messaggio che l'assassino ha voluto lanciare (ma a chi?). A rendere il lavoro difficile a Rambaldi e agli uomini della stazione dei carabinieri locale c'è anche l'assenza delle registrazioni delle telecamere interne, la scomparsa del cellulare e del tablet della ragazza (rubati dall'assassino?).
C'è anche il fatto che la ragazza conducesse una vita normale, non un fidanzato, non delle amiche con cui uscire la sera. Chi poteva volerle del male?

Rambaldi capisce che la risposta a tutti i perché può arrivare solo andando ad indagare all'interno di quel piccolo microcosmo che è il paese di Peccioli. Un paese dove si conoscono tutti e dove tutti sembrano avere qualcosa da nascondere.

Il sindaco, la direttrice della fondazione a capo del museo, la sua collaboratrice.

Quell'uomo di mezz'età che gioca fare il selvaggio, il cavaliere in sella alla sua moto, libero di girare il mondo.

In quel paese devono cavarsela quasi da soli, Rambaldi e gli uomini del maresciallo Santamaria: l'unico aiuto arriva da Daria Del Colle, una ricercatrice che collabora con diverse soprintendenze e che ha seguito gli scavi che hanno portato alla scoperta della tomba di Isadora.

Il paese gli stava mostrando un lato nascosto di sé stesso. Più che in un luogo fisico, Mauro sentiva di trovarsi in un luogo dell’anima. C’era il pensiero di suo padre, che tornava spesso a turbarlo.

E poi quell'altra persona, un volto noto per Rambaldi: si fa chiamare Valerio Albis, oggi, fa il pittore ma nessuno ha visto i suoi quadri. Perché dopo averli dipinti, li brucia nel fuoco, perché ancora oggi quel dolore, quell'abisso partorito dalla sua mente e messo su tela, non è sopportabile.

Quell'uomo è in realtà proprio Angelo Crespi: a lui si rivolge il capitano Rambaldi, per chiedere aiuto. Nessuno saprà mai la sua identità – lo rassicura l'ufficiale – sarà una cosa tra me e te.
Alla prima morte, ne seguirà una seconda, sempre secondo un rituale difficile da decifrare ma che sembra legato al patrimonio artistico locale. Gli occhi del paese sono tutti su Rampaldi e la sua indagine su quello che i giornali chiamano il mostro di Peccioli.


Ma altri occhi stanno seguendo il capitano. Sono occhi che lo scrutano nell'ombra, che sembrano conoscere le sue mosse:

Ben arrivato, detective. Sei sbarcato nel paesino di provincia e ti starai domandando che diavolo ci fa una superstar come te in questo buco di posto. Lo so che sei abituato ad altri palcoscenici, ad altre platee e ti ritrovi a indagare sull'omicidio della guardiana di un piccolo museo.

Che piano ha in mente questo assassino dagli occhi scuri e profondi come l'abisso?

Sei un topo nel mio labirinto, capitano Mauro Rambaldi, e finirai proprio dove ho deciso di inchiodarti. In un vicolo cieco.

Che legame c'è tra queste morti e la presenza in paese del “cacciatore di anime”? Si tratta solo di un caso?

Ancora una volta Romano De Marco è bravo nell'imbastire una trama piena di enigmi e di trappole, dove la tensione cresce capitolo dopo capitolo, in cui tutto si mescola tra presente e passato e dove il protagonista dovrà combattere una gara contro il tempo per salvare una persona a lui cara.

Tutto questo ambientato in questo piccolo borgo di cinquemila anime nella provincia pisana, nella Valle dell'Era, Peccioli: un paese virtuoso, per come ha deciso di valorizzare le sue bellezze artistiche (e che anche solo per questo merita una visita in questa estate di vacanze italiane).

Buona lettura!

La scheda del libro sul sito di Piemme (e su youtube, la lettura di un brano del libro da parte di Pierfrancesco Favino).

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon


29 giugno 2020

C'era un movimento

Nonostante i sondaggi siano positivi, la questione dei transfughi nel movimento 5 stelle è un problema: coi sondaggi non approvi le tue proposte, specie in momenti come questi, con questa opposizione così poco collaborativa.
Questo spiega certi cambiamenti di verso del movimento (e anche di Conte): per esempio sulla questione della fornitura delle armi all'Egitto, su cui sia Di Maio sia Conte hanno spiegato come sia proprio tenendo in piedi i rapporti commerciali con Al Sisi che aiuterà a trovare la verità su Regeni. 
Come se fosse solo quello, come se in Egitto non ci fosse un grave problema di diritti umani non rispettati.

C'è stato poi l'ammiccamento al ponte di Genova da parte di Conte: quel ponte è una sorta di cartina al tornasole per capire le cose.
Se sei un amico del partito del cemento e dei grandi costruttori o se vuoi cambiare le cose, non cementificando, pensando alle piccole opere sul territorio ..

Di Maio, che dovrebbe occuparsi di politica estera, ha incontrato Salini alla Farnesina, dove si è fatto raccontare della bellezza del modello Genova. Un modello che ora parte del movimento vorrebbe usare per tutti i grandi cantieri da aprire nel paese.
Lo stesso Salini che è in causa con lo Stato per la mancata realizzazione del ponte sullo Stretto. Che fine han fatto le analisi costi benefici prima di decidere se procedere con un progetto?

In fondo questo governo, sebbene si sia discostato dai precedenti per alcune questioni (penso alla Giustizia, al tema delle intercettazioni, alla prescrizione), nei mesi dell'emergenza ha accontentato tutte le lobby, senza riuscire a cambiare il verso alle cose.
La sanità pubblica, la scuola da potenziare (e gli edifici da mettere a norma), gli sgravi a pioggia alle imprese.

C'era un tempo in cui si parlava di acqua pubblica, di energia verde. Certo rimane la lotta alla Casta (quella alla povertà è stata archiviata in parte, per come è stato gestito il reddito di cittadinanza): la trasparenza delle fondazioni, il talgio ai vitalizi pregressi e il taglio dei parlamentari. Leggi fatte in fretta o da sistemare: Report ha raccontato i problemi della legge sulle fondazioni voluta da Bonafede; il taglio dei parlamentari fa risparmiare soldi ma rischia di incidere sulla rappresentatività degli elettori in Parlamento.

28 giugno 2020

Rassegna stampa domenicale

Archiviato il caso Ustica (e l'indignazione del momento) possiamo dedicarci ai temi che urgenti per rilanciare il paese.
La scuola: mancano insegnanti (anche di sostegno), le aule, i dettagli delle linee guida per le lezioni. Non possiamo scaricare tutte le colpe sulla ministra Azzolina, ma nemmeno possiamo permetterci di fallire: il futuro passa per il ritorno in aula (in sicurezza) degli alunni.

Gli investimenti: arriveranno i soldi, a chi darli? E con che garanzie?
Marianna Mazzuccato e Antonio Andreoini sul Fatto Quotidiano parlano di come in altri paesi si siano vincolati gli aiuti ai privati a condizioni su posti di lavoro, sul divieto di fare dividenti, evitare di fare outsourcing e invstimenti puliti. In Francia la Renault dovrà arrivare al 2025 ad 1 milione di auto ad energia pulita.

Le infrastrutture: oltre alle grandi opere, ci sarebbero anche le attuali strade e cavalcavia da mettere in sicurezza. Per evitare un'altra tragedia come quella di Genova. Il modello Genova non deve nascondere i 43 morti e le responsabilità di chi non ha controllato o investito in sicurezza.

La sanità: interessante l'articolo di Barbacetto, sugli ex politici (Alfano, Maroni..) assunti dal gruppo San Donato dei Rotelli. Ma non dovevamo potenziare la sanità pubblica e controllare meglio quella privata?

Infine, l'inchiesta di Paolo Berizzi sugli NCC, con la storia dell'autista che ha scarrozzato gli imprenditori della Var Seriana di ritorno dalla Cina, senza che fossero posti sotto controllo.


27 giugno 2020

La vergogna di Stato (a quarant'anni dalla strage di Ustica)

Cosa rimane dopo quarant'anni dalla strage di Ustica? Dall'abbattimento dell'aero dell'Itavia IH870 nei cieli del Tirreno tra le isole di Ponza e Ustica? 
81 morti, tra cui due neonati, 11 bambini.
E poi le altre morti strane, strani suicidi, strani incidenti. Controllori di volo, i due piloti italiani in volo quella notte.

Rimane una verità giudiziaria che assolve i generali, non ci sono prove che abbiano depistato, che non abbiano vigilato.

Rimane poi la sentenza in sede civile del processo per i risarcimenti: il ministero della Difesa e dei Trasporti condannati a risarcire le vittime per non aver protetto quelle persone in volo la sera del 27 giugno 1980.

E poi ci sono le inchieste dei giornalisti, tra le tante quelle di Fabrizio Colarieti, di AndreaPurgatori e il lavoro teatrale di Marco Paolini.

Inchieste che ci portano ad un passo dalla verità: manca ancora la bandierina, il responsabile, chissà forse se ora qualcuno vorrà parlare. Il reato di strage non va in prescrizione, i procuratori oggi hanno materiale su cui lavorare, il nastro del voice recorder e quelle ultime parole “guarda cos'è”, il troncone di indagine sulla base Nato di Grazzanise e il comando West Star in Veneto.

Se la memoria rischia di sfilacciarsi, di perdersi via, i parenti delle vittime però sono ancora là, a chiedere verità per loro, una verità su quella notte di guerra neicieli del Tirreno.

Perché ancora oggi ci si ostina a raccontare (anche da parte di personaggi con ruoli istituzionali) le bugie della bomba, dell'attentato, dell'areo che viaggiava solitario sul Tirreno?

Forse perché bisogna tacere quell'ovvia verità emersa in parte dalla sentenza civile: non abbiamo saputo proteggere quelle persone. Perché l'Italia non era padrona dei nostri cieli.

Perché la nostra politica estera era ambigua, tra fedeltà atlantica e gli accordi commerciali con la Libia.

Perché sarebbe una vergogna imbarazzante per il nostro paese, per quei governi a trazione DC, per quei generali, per quei pezzi dei servizi segreti che non si capisce a servizio di chi siano (della Costituzione no di certo), per quei ministri dalla memoria tardiva (come Cossiga che solo dopo anni tirò fuori la storia dei francesi).


26 giugno 2020

La destra sovranista e gli invisibili di Mondragone

La destra italiana (sovranista o meno, oggi fa poca differenza) è questa: finché i romeni (chiamati rom, per far più effetto) e i bulgari erano invisibili, andava bene. Oggi che si permettono di protestare, perché per iò Covid non possono andare a lavorare nei campi, sfruttati anche da noi italiani, è tutto un dagli all'untore.

Eppure, come scrivono in tanti (Zancan su La Stampa, Fierro sul Fatto Quotidiano) tutti a Mondragone sapevano: del caporalato, del lavoro nero, delle case ex Cirio occupate (e con affitti in nero). 
Cos'ha fatto lo Stato fino a ieri per contrastare la situazione? E la Regione di De Luca?

L'impressione è che a questa destra i clandestini, gli invisibili vadano bene: quando stanno zitti perché ingrassano gli imprenditori furbetti che non si preoccupano di come vengono raccolti i pomodori o le fragole.
Quando lanciano le sedie, perché ingrassano la loro propaganda...

25 giugno 2020

La salita dei saponari, di Cristina Cassar Scalia



Lella Canton staccò il naso dal finestrino e controllò le foto appena scattate sul telefono. Ce n'erano un paio che su Instagram avrebbero fatto schiattare d'invidia tutte le sue colleghe. Cielo terso, nessuna nuvola, orizzonte perfetto. Negli ultimi dieci minuti sotto i suoi occhi erano passati prima le isole Eolie, poi lo stretto di Sicilia, infine lo scenario più fantastico che le fosse mai capitato davanti. La montagna maestosa, la roccia nera spruzzata di neve e il pennacchio di fumo sulla sommità. Metteva quasi soggezione..
Uno scenario da favola apre il terzo romanzo della scrittrice siciliana Cristina Cassar Scalia che mette la sua protagonista, il vicequestore di polizia Vanina Guarrasi al centro niente di meno che di un “intrigo internazionale”.
Intrigo che parte con la scoperta di un cadavere all'interno del parcheggio dell'aeroporto di Catania Fontanarossa: si tratta di un uomo, di una settantina d'anni, sparato al cuore nella sua auto.
La notizia raggiunge Vanina al termine di un blitz fallito per la cattura del boss Salvatore Fratta, detto Bazzuca, un mafioso di piccolo calibro che è riuscito a farsi largo dentro Cosa nostra. Ma per Vanina è qualcosa di più, quasi una sfida personale: per vendicare suo padre, l'ispettore di polizia Giovanni Guarrasi ucciso in un agguato. Per superare quel ricordo doloroso, quando dovette uccidere i killer che stavano sparando al pm antimafia, Paolo Malfitano.
Da Palermo, dall'antimafia, da Paolo, con cui ha avuto una relazione, Vanina è scappata a Catania, dove è dirigente della sezione dei reati contro la persona. Omicidi, come quello contro Esteban Torres, appunto.
Così si chiama il morto: nato a Cuba ma poi scappato negli anni sessanta in America, doppia cittadinanza italiana e americana, ma residente in Svizzera. Tre mogli, nessun figlio, un lavoro nel ramo import export. E una casa vicino Catania, sulla salita dei Saponari, per salire sull'Etna.
Manco il tempo di arrivare e Vanina era già in movimento. Di corsa per giunta, come piaceva a lei. Aveva ragione Adriano: per entusiasmarla veramente, per sentirselo suo, un caso doveva avere un indice di «rognosità» tale da occuparle la mente per giorni, fino alla totale risoluzione. L'omicidio di Esteban Torres, a occhio e croce, prometteva bene.
Al delitto si dedica tutta la squadra: Spanò, il suo braccio destro (alle prese con i suoi problemi personali), Fragapane, la nordica Bonazzoli, Nunnari e l'agente Lo Faro.
Come negli altri casi, al gruppo si unirà anche l'ex commissario Biagio Patanè, ora in pensione, che ebbe un ruolo importante nella risoluzione del caso del cadavere mummificato (“Sabbia nera” Einaudi).
Per scoprire l'assassino, bisogna partire dal movente: indagando sugli affari del morto, tra America e Italia, nasce il sospetto che fosse implicato in traffici sporchi, soldi o forse droga.
Anche la scoperta dell'arma usata, una Makarov russa, un'arma da guerra fredda, aggiunge una nota internazionale al caso.
Caso che si complica ulteriormente quando a Taormina viene ritrovato un cadavere, morto da diversi giorni, di una donna, Roberta Geraci, l'amante siciliana del morto, con cui si dovevano vedere proprio a Taormina, in un hotel famoso.
Di professione, organizzatrice di eventi, ma anche per lei, diversi lati oscuri nella vita privata.

C'è un legame tra i due delitti? Forse. Ma quale può essere la causa: la distanza di giorni tra la prima morte e la seconda esclude la pista passionale.
E' forse una storia in cui c'entra la mafia? E perché quella pistola russa?Tante cose non tornano, alcuni dettagli non si riescono a chiarire: per esempio quella persona che è stata vista assieme alla Geraci negli ultimi giorni..
L'arrivo di notizie sul morto dall'America, grazie al supporto di un collega milanese di Vanina, completa il quadro del morto, ma non da contributi per far andar avanti l'indagine: Esteban Torres era noto all'FBI, per i suoi legami con le famiglie mafiose, legami insufficienti per portarlo in prigione però.
Sapeva muoversi, Torres, senza lasciare tracce, nel mondo del gioco e in quello della finanza.
Non è un'indagine facile. Nonostante tutte queste informazioni, le tracce dei telefoni, i tabulati, il contributo della scienza.L'impressione è in questa storia ci sia qualcosa di personale, che viene da lontano, alla causa del delitto del cubano.
Non è un'indagine facile per Vanina: nonostante siano passati anni, non riesce a chiudere definitivamente la storia con Paolo, il pm antimafia con cui ha avuto una storia importante. Non riesce a chiudere con la sua vecchia vita, con quella fogna in cui aveva dovuto scavare negli anni all'antimafia a Palermo:
La febbre che l'aveva accompagnata per anni, giorno e notte, costringendola a scavare, scavare anche a mani nude, per abbrancare qualunque traccia che fetesse dalla fogna contro cui lei combatteva ogni giorno, e smontarla e rimontarla finché non l'avesse portata dritta da qualcuno [..] quella febbre non l'aveva mai davvero abbandonata. Era lì, latente, pronta a risalire, ad armarle la mano e a caricarla d'odio. Un odio così profondo che avrebbe annientato per prima lei stessa.
Ancora una volta l'ex commissario Patané, ritornato in servizio (con grande dispiacere della moglie Angelina), darà il suo contributo alla soluzione del caso, per arrivare all'assassino che, paradossalmente, è sia un colpevole che una vittima.
Come nei procedenti romanzi, anche in questo le pagine dedicate all'indagine si alternano a quelle dove si racconta il privato dei personaggi. A cominciare da Vanina, la sbirra con la pistola sempre appresso, tenace e capace di grandi intuizioni, ma una frana ai fornelli e con un fardello pesante sulle spalle per quel passato che non riesce a chiudere definitivamente.
Per andare poi alla sua cerchia personale, la vicina di casa Bettina, una seconda madre, l'avvocato Giulia De Rosa, il medico legale Adriano Calì.
E poi ancora la Sicilia orientale, che a Catania lega assieme montagna e mare, l'odore degli agrumi e l'aria frizzante della montagna, “un'isola nell'isola, con una doppia anima”.

Su Facebook sulla pagina di Einaudi, potete ascoltare Alessio Boni che legge un passaggio del libro.

La scheda del libro sul sito dell'editore EinaudiI link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

Quarant'anni di bugie

Andrea Purgatori è un giornalista che ha seguito la vicenda di Ustica sin dall'inizio, dal giorno successivo a quel 27 giugno 1980 quando un aereo civile dell'Itavia fu abbattuto sui cieli del Tirreno. A metà tra l'isola di Ustica e quella di Ponza. 


Ustica vuol dire 81 morti: i due piloti, i due assistenti e altre 77 persone tra cui molti bambini.

Ustica vuol dire anche i quarant'anni di bugie, depistaggi, le nuove rivelazioni che per anni uscivano fuori ad ogni anniversario per poi rivelarsi inutili.

L'atteggiamento dei generali dell'aviazione italiana, a cui spettava il compito di vigilare sulla sicurezza di quelle persone in volo, che si sono sempre trincerati dietro una verità di comodo: quella sera l'aereo è caduto da solo (senza portare alcuna evidenza se non l'incredibile bugia della corrosione per sale), nessun radar militare ha visto nulla, tracciati radar spariti, documenti parziali consegnati ai magistrati (l'elenco dei controllori di volo con dentro persone in ferie). Si è parlato di muro di gomma, per indicare un atteggiamento omertoso, chiuso a riccio, a difesa di una verità, poi venuta fuori, che si doveva proteggere a qualunque costo.

Ieri sera ad Atlantide Andrea Purgatori ha ricostruito la storia dell'I-Tigi, il volo IH870 della compagnia Itavia, fallita anche a causa di quell'evento.

Le sentenze della corte d'Appello di Palermo e della Cassazione, che assolvono (art 530 comma 2, la vecchia insufficienza di prove) i generali, che non dicono se sia stato un missile o una bomba. La sentenza della Cassazione però ritiene che sia molto improbabile l'ipotesi della bomba, il volo era in ritardo di due ore, a bordo non risultava essere presente un kamikaze, se la bomba fosse esplosa nel bagno come si spiega che la tavoletta sia rimasta integra?

In studio ieri sera era presente un telefono per raccogliere le testimonianze di chi oggi ha, tardivamente, qualcosa da dire su quella sera. Come quella famosa telefonata del giugno 1988 durante Telefono Giallo, la trasmissione di Augias quando chiamò un aviere di Marsala “abbiamo visto tutto ma ci hanno detto di stare zitti”. Non era vero che i radar militari non avevano visto nulla: il giudice Borsellino sequestrò la telefonata, voleva riaprire le indagini, arrivando a minacciare l'uso dei carabinieri per circondare la base, se l'aeronautica non gli avesse dato l'elenco dei presenti alla base quella sera.


Dopo tanti anni, possiamo dire di essere ad un passo dalla verità dopo essere stati quella notte ad un passo dalla guerra, come il titolo di un libro scritto da Purgatori coi giornalisti Miggiano e Lucca: questo anche grazie al lavoro del giornalista di Rainews Pino Finocchiaro che ha ripulito il nastro del voice recorder, dove il copilota, prima dell'esplosione, dice “guarda cos'è”.

Potrebbe essere una svolta nelle indagini, riaperte a Roma: i due piloti si erano accorti di un evento esterno (altro che bomba), qualcosa che veniva da destra rispetto all'aereo, ovvero ad ovest, proprio dalla direzione da cui proveniva il caccia in quella manovra di attacco spiegata anni (dall'analisi dei tabulati di Ciampino) dai due esperti americani, John Macidull e John Transue.

Perché quella sera sui cieli del Tirreno c'era una intensa attività volativa: lo dicono le telefonate dei controllori di volo di Roma anche all'ambasciata americana (dove si parla di razzolare, di un Phantom, un aereo americano). Lo dicono le analisi fatte dalla Nato sugli stessi nastri, su richiesta del giudice Priore negli anni novanta: gli aerei c'erano, ma molti avevano i transponder spenti, molti di questi atterravano sull'acqua, ovvero c'era anche una portaerei in mare.

La Saratoga, forse. O anche la Clemenceau francese.

C'è una registrazione, da Marsala, di un controllore che dice ad un altro, prima che l'aereo dell'Itavia venga abbattuto: “adesso vedi che questo fa il salto del canguro”.

A chi si riferisce? Ad un altro aereo che viaggiava accanto (sopra, sotto) il DC9 per non farsi vedere dai radar?

Eppure per anni è stato un continuo negare: a Marsala c'era la Synadex, l'esercitazione. Il registro della Saratoga, guarda caso proprio in quel giorno, è stato riscritto a mano da una stessa grafia (un militare che si è fatto 24 ore di turno da solo?). E' stato un cedimento strutturale (l'aereo trasportava pesce). No una bomba.

L'avvocato Davanzali, presidente della compagnia Itavia, fu incriminato dal giudice Santacroce per aver tirato fuori l'ipotesi del missile, che già girava all'indomani della strage sui giornali: non si potevano dare notizie false tese a turbare l'opinione pubblica.

Però si poteva parlare di bombe inesistenti o di un aereo che è caduto da solo.

Per capire cosa sia successo quella notte si deve ripartire dai tracciati, da quei plot doppi a fianco del DC9, come se ci fosse una doppia scia (spiegabile con due aerei che viaggiano vicini), ai plot che da sinistra destra attraversano la scia del DC9 e poi proseguono verso sud, verso la Calabria.

Verso la Sila, dove il 18 luglio 1980 fu rinvenuto (o fatto rinvenire) un Mig 23 libico, abbattuto sui nostri cieli, con dentro un pilota morto.

Pilota che, dicono le perizie di due medici, era morto da giorni, da almeno tre settimane.

Bisogna ripartire dal volo dei due piloti istruttori Ivo Nutarelli e Mario Naldini: sul loro caccia F104 erano in volo sull'Appenino e quella sera incrociarono il volo dell'Itavia. Non solo, lanciarono un segnale di allarme generale, al rientro alla base.

Cosa avevano visto, tanto da allarmarsi? Si erano accorti che un aereo si stava infilando sotto il DC9 (il Mig, un altro aereo)?

Sono morti in un incidente aereo, a Ramstein, pochi giorni prima di essere convocati a Bologna dal giudice Priore.

Come sono morte altre persone, legate a vario modo a questa storia: si muore anche per cause naturali, certo. Ma il suicidio di Mario Dettori è molto strano: era di turno a Poggio Ballone quella sera, aveva visto qualcosa che lo aveva turbato. Alla cognata disse “eravamo stati ad un passo dalla guerra”, e alla moglie “è successo un casino... qui vanno tutti in galera”.

Altro che volo solitario quella notte del 27 giugno 1980: era in corso anche un volo programmato dall'Inghilterra verso Il Cairo di aerei F111, con bombe tattiche. Volo che nell'ultimo tratto passava proprio per quella maledetta aerovia.

Dalla base di Solenzara, in Corsica, quella sera si alzarono in volo coppie di Mirage: lo dice la testimonianza di un ex ufficiale dei carabinieri, il generale Bozzo, collaboratore di Dalla Chiesa.

Viene fuori una situazione di guerra fredda sui nostri cieli che coinvolge la Francia, la Libia, l'Inghilterra e gli Stati Uniti. C'erano le tensioni tra la Francia e la Libia per la guerra in Ciad. C'erano le tensioni tra gli Usa e Gheddafi, per la vicenda del Billygate (gli affari del fratello del presidente Carter con la Libia). C'era poi l'Italia, con la sua ambigua politica internazionale, con la moglie americana e l'amante libica. La Libia possedeva una grossa fetta di azioni della Fiat, poteva ricattare i nostri servizi, che consentirono ai sicari libici di muoversi nel nostro paese per uccidere gli oppositori del regime.

Perché dopo tanti anni è così importante arrivare ad una verità chiara, senza zone d'ombra, sulla strage di Ustica? Perché c'è di mezzo la credibilità dello Stato, delle istituzioni.

Perché lo dobbiamo alle vittime, ai loro parenti che da troppo anno si aspettano giustizia – ha spiegato nel corso della puntata Daria Bonfietti a Purgatori.


24 giugno 2020

Tutto è finito



E' tutto finito, dicono alcuni scienziati italiani (tra cui il medico di Silvio, Zangrillo): possiamo tornare anche a baciarci.
Basta con questa pandemia che ci tiene lontani dai luoghi di lavoro, pare perfino di sentire Salvini (o Sala), "è finita la pacchia".

La pacchia di starsene a casa (per chi ha lo smart work), di non poter prenotare visite specialistiche perché non tutti gli ospedali hanno ripreso (ma puoi sempre andare per via privata..), di non sapere cosa ne sarà delle scuole a settembre, del proprio posto di lavoro tra qualche mese.

Questo virus ci ha mostrato tutta la nostra fragilità, anche e specie nelle regioni del nord.
E non basterà qualche inaugurazione in pompa magna, come quella al ponte di Genova, per darci una ripulita.

23 giugno 2020

Uscire dalla grotta

Il sindaco Sala ha voluto spiegare meglio il suo pensiero sullo smart working, dopo il post su Facebook, con una intervista al Corriere.
Basta con questo smart working, bisogna uscire dalla grotta, dalla comfort zone (così parlano quelli istruiti), bisogna riprendere a fare vita..

Chissà quante pressioni sta ricevendo dai commercianti milanesi, tutti grandi elettori (tendenzialmente di destra) per le prossime elezioni comunali.
Si ha l'impressione che al sindaco gli impiegati milanesi interessi più come consumatori (degli aperitivi della Milano da bere) che non come persone.
A me, per esempio, preme capire quale sia la situazione sui treni e sui mezzi.
Che controlli ci sono prima di entrare nei luoghi di lavoro (ci faranno il test a tutti?). 

Altrimenti molto meglio la grotta, al sicuro dai problemi.
Perché nonostante ormai si parli d'altro, non è mica finita, il virus non è sparito.
In Cina, in Germania.
E anche in Calabria a Palmi.
Quanti casi ci sono a Milano?

22 giugno 2020

Ragionare per slogan

La logica dei social ci porta a ragionare per slogan, per spot, che vanno bene per fare chiacchiere da bar, senza bisogno di approfondire i concetti. D'altronde, chi ha tempo oggi di andare oltre i 200 e passa caratteri di twitter e leggersi qualche articolo di giornale o, peggio ancora, qualche saggio.

Così oggi è tutto un trionfare di sburocratizzazione, 5G, intelligenza artificiale, green economy, smart working (ma sta calando nel gradimento), cantieri e alta velocità e via discorrendo.

Attaccare la burocrazia significa non aver compreso a cosa serve: sono le regole che dicono come deve essere fatta una cosa.

In un paese dove crollano i ponti, i viadotti, le strade sono da sistemare dopo pochi mesi dal taglio del nastro, non possiamo accettare che si tirino su infrastrutture senza fare controlli preventivi (non ex post, come i fan della mano libera). Controlli sui lavori e sulle aziende che li fanno, perché non dobbiamo dimenticarci del problema mafia (che fine ha fatto il contrasto alle mafie?) e delle morti sul lavoro.

La green economy dovrebbe essere un nuovo modo di concepire le filiere produttive, dalle imprese al consumatore finale.

Come si produce e distribuisce l'energia, quali settori industriali privilegiare, come impacchettare i prodotti, come trasportarli e come venderli nei supermercati o negozi.

Parliamo della plastica e del packaging (e della polemica nata lo scorso anno quando si trattò di tassare di più la plastica), di mettere assieme ricerca (e università) con le imprese che lavorano su eolico, fotovoltaico, geotermico. Parliamo di riciclo dei materiali, di andare a toccare interessi economici delle aziende di Stato, Eni ed Enel, della lobby della plastica, molto influente, di aiutare le imprese agricole che non devono essere strozzate dai prezzi imposti dalla grande distribuzione.

Vanno poi ripensate le città, dove dobbiamo togliere il traffico delle auto, sia per renderle più vivibili che per un discorso ambientale. Il che vuol dire piste ciclabili, trasporto pubblico (con bus ecologici).

Dunque cosa facciamo per sburocratizzare? Serve personale nella pubblica amministrazione preparato e formato (e non è vero che sono troppi), ma serve rivedere le norme per rendere semplici ed efficaci.

La palla torna al decisore politico, quello che fa le norme per appalti e per tutte le operazioni che quotidianamente facciamo col pubblico.

Per esempio, perché si deve andare dal medico per una ricetta che può essere inviata per mail o per un medicinale che devi prendere sempre?
Per questo serve completare la banda larga per tutto il territorio.

Siamo sicuri che l'alta velocità serva sempre? Servono i collegamenti nord sud, quelli che attraversano trasversalmente il paese. Ma poi si deve potenziare anche al collegamento locale ferroviario, che oggi specie al sud è carente (fino a poco tempo fa per andare a Matera c'era solo un trenino dalla Puglia e i bus).

Le grandi opere non sono sempre utili, non creano posti lavoro proporzionali alla spesa (quella effettiva, non quella a piano) e ai tempi di realizzazione (che spesso si allungano).

Servirebbe la messa in sicurezza del paese, degli edifici pubblici, partendo dalle scuole: è così utopistico immaginare dei pannelli solari per ogni edificio pubblico?

Non è semplice: si tratta di rivedere i rapporti stato regioni e stato enti locali.

Tutti chiedono il modello Genova, ma si tratta di andare in deroga alle norme (a Genova non è stata fatta una gara) per tutti i lavori che passano per i comuni, una toppa peggiore del buco.

Si tratta di rivedere processi produttivi, toccare interessi privati (le concessioni autostradali, la sanità privata convenzionata).

Ieri da Conte erano presenti esponenti del mondo della cultura, scrittori e artisti: chiedevano al presidente di considerare di più la cultura in questo paese dove, cosa incredibile, il personale nei musei, nelle sovrintendenze, sono considerati lavoratori di serie B (come promemoria, la storia degli scontrinisti alla Biblioteca Nazionale a Roma).


21 giugno 2020

Non vogliamo tornare a come eravamo prima

Ora che anche il calcio sta ripartendo, il rischio di dimenenticare quanto è successo è sempre più concreto.
Dimenticarci del piano pandemico non aggiornato (cosa stanno facendo Sileri e Speranza?).
Dimenticarci delle comunicazioni dai medici di base, che già da fine dicembre avevano segnalato queste strane polmoniti alle ASL o ASST, ignorate.
Dimenticarci delle pressioni per non creare la zona rossa nel bergamasco.
Dimenticarci della mancata chiusura dell'ospedale di Alzano il 23 febbraio.
Dimenticarci dell'affidamento senza gara della regione Lombardia alla Diasorin dei test sierologici.
Dimenticarci degli inviti a non chiudere Milano e Bergamo (ve lo ricordate cari sindaci Gori e Sala?).
Dimenticarci della delibera regionale di Gallera e Fontana per spostare i malati di Covid nelle RSA.
Dimenticarci dei tamponi non fatti (se non a pagamento, come a raccontato Report), delle persone che sono morte in casa senza supporto.
Dimenticarci della polemica sulle mascherine, che non avevamo, di cui non abbiamo fatto scorta per tempo (né a livello nazionale ma nemmeno a livello regionale), dei furbetti che hanno speculato sui bandi Consip per procurarsele (vedi vicenda Pivetti).
Dimenticarci della riforma della sanità lombarda, che è un'eccellenza forse sulle grandi strutture sanitarie, sui grandi ospedali, mentre si è rivelata carente per la sanità territoriale.
Immagine presa da Repubblica Milano

Ieri, mentre Fontana era a Roma a omaggiare quel papa Francesco che la base leghista attacca un giorno sì l'altro pure, a Milano decine di associazioni si sono ritrovate in Duomo e sotto palazzo Lombardia per chiedere il commissariamento della sanità, un cambiamento nel modello lombardo.
Sarà una lotta dura perché dietro la sanità (che si prende i tre quarti del bilancio regionale) ci sono forti interessi economici: sempre Report ci ha raccontato come il business più importante dei fratelli Rocca non sia l'acciaio, oggi, ma la sanità convenzionata.
Quella che decide che servizi offrire e quali no, quella che viene pagata a prestazione senza problemi e che durante l'emergenza non sempre ha dato il contributo come posti letti per la rianimazione.

Serviranno mesi, sulle pagine dei giornali leggeremo articoli infuocati per non toccare il modello lombardo (ma vale lo stesso nel Lazio e in altre regioni), quello che accoglie tanti malati dalle regioni del sud (come se dietro questo non ci fosse una distorsione sui livelli di servizio offerti), quello di una regione dove sono stati registrati la metà dei morti totali per Covid.
Solo sfortuna? 

Se non lo faremo adesso non lo faremo più: va riformata la sanità (a livello nazionale e regionale), la divisione delle competenze, le nomine dei vertici sanitari regionali, il ruolo dei medici di base.

E tutto questo in un discorso di riforme (di cui al momento nemmeno se ne parla) che include la scuola, la ricerca, la giustizia, il lavoro, la politica energetica.
Non vogliamo tornare a come eravamo prima.

20 giugno 2020

Conosci l'estate? Di Simona Tanzini

Martedì 1 agosto
Tre per tre. Qui dicono che la regola sia questa: tre giorni di scirocco, tre volte l’anno. Vivo a Palermo da undici mesi – undici mesi fra tre giorni – e so di non avere la sapienza e l’esperienza per contestare la saggezza locale. Magari capiterà pure solo tre volte l’anno, lo scirocco. Me lo auguro.
Nei giorni di Scirocco a Palermo (dove non è vero che il vento soffia solo per tre giorni), a Palermo viene uccisa una ragazza, Romina. Strangolata e gettata in un vicolo. Non è una delle tante donne uccise, che fanno notizia solo per poche ore, coi soliti commenti di denuncia dei troppi femminicidi registrati in Italia. Anzi, potrebbe anche non essere nemmeno un caso di femminicidio.
Romina era giovane, voleva fare la cantante, aveva fatto anche la modella, perché era molto bella. Ma soprattutto aveva una relazione con un cantante palermitano famoso, Zefir, uno di quelli che portano alta la bandiera della Sicilia nel paese.Quello di Romina, dunque, diventa un caso che interessa i media, i giornalisti della carta e quelli della televisione.
Come Viola, anchorwoman dell'ADI (canale televisivo all news, di cui è uno dei volti), romana ma a Palermo da un anno in un tragitto personale che dovrebbe un giorno portarla a Milano. Un percorso contorto, ma anche Viola è una persona speciale.
Sinestesia” è il disturbo di cui soffre: Viola vede i colori associati alle persone e ai suoni, si tratta di un disturbo neurologico che la porta a non sentire il caldo e il freddo (“ma non vorremo mica formalizzarci per qualche neurone un tantino danneggiato qua e là”), il che comporta qualche problema nella vita di tutti i giorni.
In neurologia, è quando uno stimolo sensoriale produce una reazione a un altro livello sensoriale. Tipo, senti l’odore del mare e ti squilla in testa una nota musicale..
Per esempio Santo, l'ex caporedattore ora in aspettativa, ha un color celeste; quello della redazione cultura Ocra; Zefir, il cantante che ha conosciuto questo inverno, color carta da zucchero. E Gaetano, il suo dirimpettaio non ché fratello di Zefir, color marrone bruciato.
Ho imparato che i colori delle persone non devono essere necessariamente associati al carattere e tanto più ai miei gusti cromatici
Sellerio, presentando questo giallo, scrive “un nuovo personaggio letterario si affianca ai detective di casa Sellerio”.
Ma Viola in questo romanzo non porta avanti una sua indagine. Non lo potrebbe perché è solo una giornalista televisiva e anche in ferie, in quei giorni di Scirocco in cui sembra di stare in un forno.Non lo è, una indagine, perché lei osserva, guarda, prende nota, si fa prendere da questo delitto per curiosità, perché aveva conosciuto il cantante e anche la ragazza (color rosso sangue) mesi prima, perché conosce Gaetano, un artista che ha cresciuto Zefir come un padre dopo la perdita dei genitori.
Ce lo racconta lei stessa, Viola, in prima persona, questo girovagare come una improbabile turista per Palermo, “una somma pazzesca di straordinarie culture diverse, con il risultato finale che poco si incastra e quasi niente funziona”.
La Cattedrale normanna, uno dei siti del percorso arabo-normanno dell’Unesco, il quartiere della Kalsa coi suoi vicoli, la chiesa di Santa Maria dello Spasimo, la cappella Palatina, via Maqueda, il Politeama, i quartieri che sono anche i mandamenti delle famiglie mafiose.
La mafia, già, una presenza che si sente ma che non si vede se uno viene da fuori e non la sa riconoscere:
Perché sapevo che esiste un’entità vaga chiamata mafia che non mi riguardava in alcun modo, non era tangibile, faceva girare soldi e droga
Ma tangibili sono i morti per la mafia, come e lapidi delle vittime, Cesare Terranova, Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Paolo Borsellino..
Chi ha ucciso Romina? Tutta la stampa, compresi i colleghi dell'ADI, si buttano sul cantante Zefir, colpevole perfetto: famoso a sufficienza da stuzzicare gli appetiti delle persone, senza un alibi, sparito dalla sera del delitto.
Ma l'assassino non è lui, questo pensa Viola e lo dice anche a Santo, il suo ex capo che la indirizza anche in questa specie di indagine non indagine per Palermo (una città dove tutti conoscono tutti), procurandogli anche i contatti giusti.Un “carta da zucchero” non ha la forza di uccidere una persona: “ci vuole troppa energia. Entusiasmo, in una sua certa forma distorta.”Ma c'è la testimonianza della compagna di casa di Romina, che sembra inchiodarlo senza scampo.
La svolta, arriva da una vecchia foto, scattata quasi trent'anni prima, un bianco e nero che Viola vede come color seppia.Il perché di quella morte, che non sarà l'unica in questa storia, sono legati alle ferite rimaste aperte nel passato.
Conosci l'estate? - è un punto di osservazione su Palermo, città dei mille contrasti, nelle persone convivono un estremo cinismo verso i problemi ma anche gesti di accoglienza spontanea verso gli altri.
Una città dove, separati, trovi la nobiltà e la borghesia delle villette liberty, e la working class (“che poi working si fa per dire”) con dentro una nobiltà culturale che appassiona Viola.Che invece detesta l'ipocrisia di quella parte della società civile che organizza manifestazioni (come quelle per la difesa delle donne) fini a sé stesse.Altre tema toccato dal romanzo è quello dei sensi di colpa, che possono pesare sulla vita delle persone come macigni, un peso da cui non si può più liberarsene.
Come il peso che grava su Viola stessa, non solo per lo scirocco, ma per quel “buio” (il nero espanso, la negazione dei colori e dei suoni) che si sta allargando e che la costringe, paradossalmente, ad attraversare ancor di più questa città, i suoi odori, i suoi rumori, i suoi colori.
La scheda del libro sul sito di SellerioI link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

19 giugno 2020

I due partiti di governo

Alla fine arriva il momento in cui i nodi arrivano al pettine: è quanto sta succedendo adesso all'anomala maggioranza di governo su due tra i temi oggi in discussione, il lavoro e i decreti sicurezza (con tutto il corollario su come usare i soldi dall'Europa, quando arriveranno).

Da una parte il PD che è ancora il partito del jobs act, incapace di avere una sua linea sul mondo del lavoro, di aprire un fronte contro Confindustria.
Dall'altra il m5s che dovrebbe ora sconfessare una parte del decreto dignità, che ha regolamentato il rinnovo dei contratti a termine, dando molto fastidio ai fan del precariato per sempre, con contratti che si rinnovano di sei mesi in sei mesi, di anno in anno.

C'è poi la questione dei decreti sicurezza: il m5s dovrebbe rivedere i decreti fatti assieme all'allora alleato Salvini (vi ricordate lo spot in conferenza stampa fatto da Conte con Salvini?).
Il PD sarebbe anche favorevole a parole, ma ci sono di mezzo sondaggi, la pancia del paese, lo strizzare l'occhio al centro moderato, la gestione Minniti.

Ci sono poi tante altre questioni su cui potrebbero nascere attriti: i soldi alle scuole private, una riforma della sanità, il modello Genova per le grandi opere. Su quelle forse tutta la voglia di cambiare, di rinforzare il sistema pubblica è già finita nel dimenticatoio.

Abbiamo visto Di Maio e Conte ammettere che non si possono interrompere le relazioni commerciali con Al Sisi anzi, proprio queste aiuteranno a trovare la verità sul caso Regeni.
Abbiamo sentito Conte dire che non ha pregiudizi sul Ponte sullo Stretto..

Prima o poi si dovranno prendere delle decisioni e vedremo.

17 giugno 2020

Regressione Italia

Quando il saggio indica la luna lo stolto guarda il dito.
E noi qui stiamo passando giorni attorno alla patacca venezuelana (come se non avessimo dato abbastanza già con le varie commissioni Mitrokhin e Telekom Serbia), alle grandi idee del centro destra (condoni e cemento), di Forza Italia Viva (cemento per cantieri e scuole private). Oggi Confindustria presenterà il suo piano dettagliato al governo per la ripresa: basta soldi ai poveri ma soldi alle imprese (ma senza controlli, che pare brutto).
E senza nemmeno controlli a chi prenderà questi fondi (che fine ha fatto la notizia dei furbetti che avevano tirato su assunzioni fittizie per chiedere soldi all'inps?).

Dopo mesi a discutere di scuole chiuse (e a ridere della ministra Azzolina con le sue gaffe), dovremmo parlare del piano per rendere sicure le scuole pubbliche, di come reclutare gli insegnanti per tempo.

Dopo le morti nelle RSA, negli ospedali, dopo la scomparsa della sanità di base (almeno qui in Lombardia), dovremmo ripensare la sanità pubblica, spazzando via le nomine politiche di fedelissimi ai vertici delle strutture, concordando coi provati convenzionati cosa possono fare e cosa no (e lo decide il pubblico).

E invece ci ostiniamo a vedere sto dito.
Montanelli, Salvini e le ciliegie, i cantieri volano dell'economia, la patacche sui giornali ..

15 giugno 2020

A chi vendiamo le armi - l'Egitto e le fregate che stiamo vendendo al regime di Al Sisi

Oggi sul blog confini di Rainews, Giorgio Beretta commenta la brutta vicenda della vendita delle armi all'Egitto.
Brutta a prescindere dall'atteggiamento di Al Sisi sulle indagini (ostacolate) sulla morte di Giulio Regeni
     
Non esiste Stato al mondo che accetti di fornire armamenti ad un regime che è in qualche modo coinvolto nell’omicidio di un suo cittadino: se quindi, come viene detto, il premier Conte ha ricevuto dal presidente al-Sisi specifiche garanzie riguardo al caso Regeni, sarebbe innanzitutto opportuno vedere dei passi concreti da parte delle autorità egiziane. Ma c’è un altro aspetto che mi preme evidenziare… 
Dica pure.

Ho notato che c’è la tendenza nella stampa italiana a parlare della questione della vendita delle navi militari all’Egitto mettendola in relazione solo al caso Regeni quasi che sia l’unico o il principale problema nei rapporti con l’Egitto. Lo trovo limitativo e anche pericoloso per due motivi: il primo perché, come ho detto, questo affare militare va esaminato nelle sedi istituzionali con massimo rigore e trasparenza in tutti i suoi aspetti, in particolare nelle sue implicazioni sulla politica estera del nostro Paese. Ma soprattutto perché è inaccettabile considerare tutta la problematica come se dipendesse solo da qualche progresso sul caso Regeni, quasi che le migliaia di prigionieri politici e attivisti incarcerati non esistessero. Questa nuova fornitura di armamenti, dopo gli oltre 871 milioni di euro di esportazioni militari autorizzate nel 2019, non solo è in aperto contrasto con le norme vigenti, ma costituisce un esplicito sostegno al regime repressivo instaurato dal generale al-Sisi all’indomani del colpo di Stato del luglio 2013. Questo è bene dirlo con chiarezza per non finire con l’addossare ai genitori di Giulio Regeni anche il compito della protesta.

Le vedove del decisionismo

Sul corriere di oggi, 15 giugno, potete leggere l'editoriale di Panebianco, sugli Stati Generali: solo una passerella perché l'Italia è bloccata dai veti (di impiegati e funzionari pubblici). 
Nel duello fra «l’Italia della decisione» e «l’Italia dei veti» (dell’immobilismo assicurato dalla forza e dal numero dei poteri di veto), la seconda Italia è, da tanto tempo, molto più forte della prima. Non è un caso che tutte le volte che si è cercato di rafforzare l’Italia della decisione tramite riforme costituzionali, l’Italia dei veti sia riuscita a sconfiggere tali tentativi. Da ultimo è accaduto con il referendum costituzionale del 2016 (la riforma Renzi). L’Italia dei veti capì benissimo quale fosse il «succo» della riforma: dare più potere al governo ridimensionando almeno in parte quantità e vitalità dei poteri di veto. Capì, si mobilitò e vinse. 
Qui ci vorrebbe un vero governo decisionista, par di capire.
Strano che tra i veti non si inserisca tra chi ha potere di veto gli avvocati, contrari ad alcune proposte di riforma del processo telematico.
Gli impiegati pubblici col potere di bloccare le potenti riforme costituzionali (come quella di Renzi, perché sempre lì si cade) è una frase senza senso.
Il paese è bloccato perché manca una dorsale informatica all'altezza, colpa di Tim e di Open Fiber.
Il paese è bloccato perché le varie riforme della giustizia hanno ingolfato i tribunali, a cui manca il personale.
Il paese è bloccato perché i servizi dello Stato non sono allo stesso livello in tutte le regioni.
Il paese è bloccato dalle mafie, dall'evasione che tutti vogliono combattere a parole, ma poi si torna sempre ai soliti condoni.

Certo, combattere mafie, evasione, lobby e consorterie varie è difficile, mentre parlare di burocrazia negli uffici pubblici è così facile.

14 giugno 2020

I valori che contano (avrei preferito non scoprirli), di Diego De Silva


Santuario Malinconico

Uno dice: «Accogli». E va be', figuriamoci. Solidarietà, prima di tutto. Empatia e umanità. Non scherziamo. Apri all'estraneo che bussa alla tua porta in cerca di aiuto, non stare lì a domandarti chi è, cosa ha fatto, da chi fugge. Non badare all'età, al colore della pelle e neanche a quello delle mutande, specie se ha addosso solo quelle. Intanto, salvalo. Anzi, salvala. Esci da quel guscio piccolo borghese che ti separa dal mondo reale dove la gente vera lotta per vivere. Liberati dalla paura di perdere i tuoi meschini privilegi. Di comprometterti. Per una volta, fa' qualcosa di giusto, accidenti.

Avvocato Vincenzo Malinconico, non ancora associato allo studio Lacalamita, passato (grazie all'incontro e all'amicizia con Benny il titolare) dallo studio arredato con mobili Ikea ad uno studio con sei vani, una segretaria e diversi praticanti.
Una ex moglie Nives, una relazione durata a lungo e poi finita e, ora, una rapporto non ancora stabile (da “amanti di albergo”) con una ex cliente, Veronica Starace Tarallo, di cui aveva curato la causa di separazione (leggetevi Divorziare con stile).

Due figli, uno suo e uno della prima moglie, Alagia e Alfredo. Un gatto, Alfonso, che ha preso possesso del suo appartamento. Sapete come fanno i gatti, no?
In questo romanzo lo vediamo alle prese con una storia di ricatti politici e di rapporti familiari e di incomprensioni che non si vogliono ricucire.

E, tra un'udienza di separazione e questa storia di ricatti, dovrà affrontare una prova importante, che lo porterà a scoprire quei “valori che contano”, che forse non avrebbe voluto scoprire in quel modo, così duro. 
Ma andiamo per ordine.
A chi non è mai capitato di trovarsi di fronte alla porta, una sera, una ragazza in mutande? Si tratta della ragazza al centro del discorsetto morale che leggiamo nell'incipit.

- Devi aiutarmi, - ha detto ansimando.

E' stato allora che, voltandomi, ho capito che era nuda. Una ventina d'anni, sì e no. Magra, rossa, lentigginosa. Una Pippi Calzelunghe lievemente attempata, col taglio nazi al posto delle trecce.

La Pippi non più giovane è una escort (se volete trovate voi un'altra espressione) che sta sfuggendo dalla retata dei carabinieri nella casa di tolleranza che si trova pochi piani sopra casa Malinconico (ma non se ne era mai accorto?).
Alla porta, dopo aver dato rifugio alla ragazza (bravo Vincenzo), un carabiniere che assomiglia tanto all'attore Aldo Maccione

- Per caso ha visto una ragazza in mutande, con i capelli corti e il seno pronunciato, diciamo una terza?

La ragazza si chiama Venere ed è soprattutto la figlia del sindaco della città Mario Dasporto.
Ma tutte queste cose Vincenzo le scoprirà solo in seguito alla telefonata dalla segreteria del sindaco (con grande rosicamento dell'amico Benny): la ragazza, che si presenterà allo studio col padre, è stata fermata dalla polizia in un successivo controllo in un hotel (specializzato nell'affittare camere a professioniste) e ora teme che il suo nome esca dai giornali.
Tra padre e figlia c'è un rapporto difficile, ai limiti dell'insofferenza. Tanto ribelle lei, tanto distante lui, preoccupato per le ripercussioni politiche se quella notizia dovesse diventare pubblica

Le incomprensioni sono estenuanti perché sono fatte di punti che restano attaccati. L'unica è aspettare che cadano da sé, come quelli di certe ferite che non ti tolgono i medici.

Ma per far cadere questi punti ci vorrà del tempo, del tempo al padre per capire l'importanza nel voler proteggere la figlia, perché queste sono le cose (i valori) che contano, non le ambizioni di carriera. E del tempo alla figlia per capire il gesto del padre.

Ma a questo si arriverà alla fine di tutta il romanzo che ci regala anche una parentesi tra il comico e il drammatico legata alla causa di separazione Sgherzi – Panimolle.
Di tutta una vita assieme, alla fine rimangono le parole tecniche, forse anche incomprensibili, nel ricorso per la causa di separazione: i “titoli di coda di una vita in comune”, spiega Malinconico alla donna, che rimane colpita da questa espressione. Così tanto da mandargli all'aria la causa davanti al giudice ..

Ma c'è dell'altro.
Vincenzo dovrà affrontare un problema di salute, scoperto per caso una mattina, che lo porterà a prendere familiarità con medici e medicine, a scoprire parole nuove (linfoma, nodulo) e a scoprire un mondo di persone che soffrono. Come se fossero soldati in trincea, solo che la trincea è un reparto di un'ospedale dove si scopre tanta umanità e solidarietà:

In trincea dopo un po' il tumore diventa una faccenda politica. Il tuo dramma non riguarda solo te. E volete saperne un'altra? Ci vedo un senso nell'essere qui, proprio adesso che ho più paura. Mi piace l'idea che siamo in tanti nello stesso recinto, è che possiamo farcela.

Come finirà la storia del sindaco e della figlia? E come finirà la sfida tra Vincenzo Malinconico, uomo, e il suo male?
La vita andrà avanti anche senza di lui, gli spiega, forse cinicamente, un dottore, nel tentativo di fargli vedere la sua malattia in un modo diverso. 

Ma questa malattia, e le lunghe ed estenuanti cure, diventano l'occasione per scoprire quei “valori che contano” e che, come recita il sottotitolo “avrei preferito non scoprirli”.

.. contemplare gli intonaci è una forma di meditazione. Che gli intonaci hanno diversi tipi di avvallamenti, a ognuno dei quali corrisponde uno stato emotivo differente. Praticamente, in controluce rivelano una mappa psichica.

Il primo avvallamento è quello dell'autocommiserazione. Lì, dopo aver piagnucolato un po', vai in modalità propositiva e ti dici che devi cercare di dare un senso alla malattia, perché solo adesso (non prima) hai l'occasione di scoprire i valori che contano, e dunque di vivere ogni giorno che ti viene regalato con intensità e riconoscenza, circondato dalle persone che ami e dagli amici..

Anche questa è la vita: le gioie, le risate, gli amori, le cose che sfuggono e a cui paradossalmente siamo più legati, ma anche la malattia, il dolore, la sofferenza, la paura del poi...
E Diego De Silva è bravo a raccontarcela, questa vita, col suo sarcasmo e la sua ironia.

La scheda del libro sul sito di Einaudi
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon


13 giugno 2020

Il nume della borghesia conservatrice

Nel suo libro La città degli untori, Corrado Stajano dedica un passaggio a Indro Montanelli, il giornalista de Il Corriere e fondatore de Il giornale, tornato d'attualità a seguito delle polemiche per la sua statua, simbolo da abbattere oppure un pezzo della nostra storia. 
Indro Montanelli, il giornalista principe della nazione, stella polare della città - Milano gli ha dedicato nel 2006 una statua dorata, seduto in un tempietto ai giardini pubblici con la sua lettera 22 sulle ginocchia - è il nume della borghesia conservatrice che un quarto di secolo dopo lo tradirà. Forcaiolo anarcoide, modello del fascista che in un fantasioso Domino di date apocrife cancella il suo passato, reazionario travestito da vecchio saggio, abile nell'apparire controcorrente, italiano selvaggio e acuto, giornalista di arcani istinti, è riuscito a rendere credibile la favola di essere uno che gliele canta chiare potenti dei quali al servizio. Venerato dal suo pubblico, capace di dar di sé un immagine di uomo libero, ha saputo mascherare con la sua bellissima verve e con un uso sapiente spregiudicato e delle bugie, la verità dei fatti Secondo i desideri padronali. _Conservando la sua fama di anticonformista naturale.

Sulla terza pagina del Corriere della Sera il 21 marzo 1972 scrive un elzeviro, Lettera Camilla, dedicata a Camilla cederna giornalista che sull'Espresso ha condotto negli anni di Piazza Fontana una battaglia appassionata il nome della giustizia. E' un articolo violento, nutrito di maschilismo impudico dov'è la volgarità si sposa all'insulto della più becera camerata di caserma:

C’è chi parla di un retour d’âge, ma questo lo escludo senz’altro, visti i tuoi giovanissimi quarant’anni portati in modo che sembrano trenta. C’è chi dice che, più delle bombe, ti sei innamorata dei bombaroli, e questo, conoscendo i tuoi rigorosi e severi costumi, posso accettarlo solo se alla parola “amore” si dia il suo significato cristiano di fratellanza […]. Fino a ieri testimone furtiva o relatrice discreta di trame e tresche salottiere, arbitra di mode, maestra di sfumature, fustigatrice di vizi armata di cipria e piumino, ora si direbbe che tu abbia sempre parlato il gergo dei comizi e non sappia più respirare che l’aria del Circo. Ti capisco. Deve essere inebriante, per una che lo fu della mondanità, ritrovarsi regina della dinamite e sentirsi investita del suo alto patronato. Che dopo aver tanto frequentato il mondo delle contesse, tu abbia optato per quello degli anarchici, o meglio abbia cercato di miscelarli, facendo anche del povero Pinelli un personaggio della café society, non mi stupisce: gli anarchici perlomeno odorano d’uomo anche se forse un po’ troppo. Sul tuo perbenismo di signorina di buona famiglia, il loro afrore, il loro linguaggio, le loro maniere, devono sortire effetti afrodisiaci. 
Camilla Cederna gli rispose sull'Espresso:
"Può darsi che rispetto a te abbia perso credibilità, ma l’importante è combattere una battaglia giusta e non avere la stima dei soliti benpensanti".

12 giugno 2020

Sullo smart working

Chissà se agli stati generali si parlerà delle aziende furbette che hanno chiesto la cassa integrazione all'Inps, grazie a finte assunzioni di parenti.

E chissà se qualcuno tirerà fuori l'altro virus che infetta il paese e la sua economia: non il Covid, ma le mafie, un'emergenza non solo al sud ma in tutto il paese.

Di certo si parlerà di smart working, la "nuova" (per modo di dire) forma di lavoro che ha consentito a molte aziende di continuare il lavoro nonostante il lockdown.
Ecco, vivendolo in prima persona, vorrei dire la mia.
Partiamo da questa foto (presa da Repubblica).


La posizione dello schermo del portatile non va bene.
Servono schermi ampi e posizionati ad altezza occhi, per non incurvare la schiena.
Servono sedie comode, dove non si deve stare "svaccati".
Serve poi un minimo di organizzazione: ad oggi si passa metà giornata al telefono e l'altra metà cercando di lavorare.
Stando a casa è bene mettere dei paletti: quando si inizia e quando si stacca per il pranzo, per le pause, per il fine lavoro.
Non è che siccome stai a casa puoi rispondere sempre.

E, infine, un'altra cosa.
Lo smart working così com'è toglie il contatto umano, che è una componente importante del lavoro.
Si può fare per pochi giorni alla settimana, ma non per sempre.

11 giugno 2020

La battaglia sulle statue

Temo che la battaglia attorno alle statue, che sembra diventato il tema della giornata (come anche gli Stati Generali a Roma), rischi di diventare la solita polemica che ci farà compagnia per pochi giorni, per poi finire nel dimenticatoio.
Oggi tutti sanno che nel Colosseo si svolgevano i giochi coi gladiatori, dove la gente moriva per accontentare il popolino.
Sappiamo anche che per realizzare le piramidi in Egitto sono stati impiegati centinaia di schiavi.

Per questo guardiamo a questi monumenti con rispetto, ma anche nella loro interezza.
Quanti sapevano che Colston era un mercante di schiavi? 
Su wikipedia alla sua voce si può leggere "Edward Colston .. è stato un mercante e filantropo britannico".

Quanti sanno che Montanelli è stato sì un giornalista importante, ma anche con molte ombre: non solo per la sposa bambina (che in molti giustificano dicendo che era uso comune), ma anche per la sua stessa attività di giornalista.
Sciacalli - così aveva definito la collega dell'Unità Merlin, perché dopo la tragedia del Vajont aveva osato puntare il dito con la Sade.

Ecco, da questa polemica se ne esce solo con la consapevolezza del nostro passato. Lasciamo pure sui piedistalli certi personaggi, ma non trasformiamoli in miti.