01 giugno 2020

Io sono il castigo: Un caso per Manrico Spinori, di Giancarlo De Cataldo



Prologo  
Un uomo in redingote, con una penna d’oca in mano, verga righe frettolose su un foglio. Alle sue spalle una donna molto bella, in abito da sera. Sono in un ampio salotto, con un caminetto e una tavola imbandita. Mentre l’uomo scrive, la donna si avvicina alla tavola, prende un bicchiere e lo porta alle labbra.D'improvviso si accorge del coltello affilato che scintilla accanto ad un piatto di ceramica e, accertatasi che l'uomo non possa vederla, ghermisce lesta l'arma. L'uomo posa la penna, appone il sigillo sul foglio, lo ripiega e si dirige verso la donna per abbracciarla.

No, non è la scena di un delitto reale quella a cui stiamo assistendo.
Si tratta della Tosca, l'opera drammatica di Giacomo Puccini: la donna è proprio lei, Tosca, che armatasi di coltello, decide di vendicarsi pugnalando il cardinale Scarpia, che a sua volta la sta truffando ..
C'è un uomo in platea che si sta godendo la scena: un signore ben vestito, di mezz'età, appassionato di opera lirica, di origini nobili, il suo nome per esteso è Manrico Leopoldo Costante Severo Fruttuoso Spinori della Rocca dei conti di Albis e Santa Gioconda.
Ma di questa nobiltà è rimasta solo una parvenza, per vicissitudini di famiglia. E quel soprannome, che circola nell'ambiente della procura di Roma, “il contino”.
Perché Manrico Spinosi nella vita si occupa di cadaveri e di delitti reali, essendo un procuratore della Repubblica.
Il secondo atto si spense nel silenzio. Finalmente partí l’applauso. L’uomo dai capelli grigi si alzò e si diresse verso il foyer per un calice di vino. In quel momento gli vibrò il cellulare. Lesse il messaggio, sospirò, e scuotendo la testa uscí dall’edificio, avviandosi al vicino parcheggio di taxi. Il suo nome era Manrico Spinori, sostituto procuratore della Repubblica in Roma.
Quel mercoledí era di turno ed era stato convocato in ben altro teatro.

Si tratta di un incidente, un'auto che, perso il controllo, è andata a sbattere contro il muro, rischiando il frontale con una seconda macchina il cui conducente ha poi chiamato ambulanza e vigili.
L'autista dell'auto (una Iso Rivolta Fidia, un gioiellino d'epoca), miracolosamente, è riuscito ad uscirne vivo, sebbene ferito; sull'altro sedile invece, il morto
Il cadavere era di un maschio, bianco, sui settanta, probabilmente qualcosa di piú. Abiti un po’ stravaganti o forse soltanto antiquati..

Un viso che dice qualcosa al magistrato, come se l'avesse già incontrato in una vita passata.
Incidente oppure omicidio colposo? Comunque sempre una storia di soldi e di assicurazioni, «er priffe e ’r pelo», vale a dire l’oro e la passione, come aveva già sancito il Belli tanto tempo fa.

Ma non è il solito delitto stradale, uno dei tanti, perché prima di tutto il morto era qualcuno: il morto che stavano portando alla Morgue si faceva chiamare Mario Brans, nome d’arte dello Stefano Diotallevi, cantante famoso col soprannome di “ciuffo d'oro” negli anni settanta. Recentemente aveva scoperto una seconda giovinezza partecipando ad una trasmissione di talent in TV.

C'è poi un'altra scoperta, che non arriva dall'osservazione della scena, della dinamica dei fatti, dai resti dell'auto. La morte di un personaggio famoso ha subito una eco sia all'interno della procura (che da mano libera a Spinori, concedendogli perfino un'auto di servizio), sia sui giornali e sui blog.
Da uno di questi arriva la soffiata che l'auto di “ciuffo d'oro” sarebbe stata manomessa, qualcuno avrebbe tagliato il filo dei freni.
D'altronde la stessa testimonianza dell'autista, Mangili, conferma questo fatto: all'improvviso la macchina era diventata ingovernabile. Mangili era forse qualcosa di più di un autista per il morto: amico, confidente, “figaro” secondo la personale definizione di Manrico, per la sua fissazione di ricondurre tutte le storie e le persone con cui ha che fare, a personaggi del melodramma.
D'altronde, come ripete “non esiste esperienza umana che il melodramma non abbia già raccontato ”.

Capire le cause, i perché di questa morte, per arrivare al responsabile, è colpa della squadra di Manrico: una squadra tutta al femminile, in cui è appena entrata una nuova ispettrice, Deborah Cianchetti.
Forse l'esatto opposto del procuratore.
Colto, forbito, mai impulsivo, un soprannome fastidioso “il contino”, che vive con la madre e una specie di “valletto” in un palazzo d'epoca non più suo, perché la famiglia ha perso tutto per colpa della malattia del gioco della madre, la contessa Elena.
Impulsiva, diretta, con uno spiccato accento romanesco e con qualche anno sulla strada, all'antimafia, la Cianchetti, il cui ingresso nel gruppo susciterà all'inizio qualche problema.

Ma veniamo all'indagine: chi avrebbe avuto interesse ad uccidere il vecchio cantante?
Di sospettati in questa storia ce ne sono troppi.
A cominciare dalla moglie, la seconda moglie, una ex cantante arrivata in Italia dall'Albania sulla Flora, quando il regime comunista crollò. E che il vecchio Diotallevi sposò anni dopo.

Una storia di passione, dunque? Il morto, dietro la facciata di difensore della famiglia, nemico delle droghe, era un seduttore incallito, non solo da giovane ma anche adesso.
L'opera di riferimento poteva essere il Don Giovanni? - riflette a modo suo Spinosi.

A bene vedere anche il figlio di primo letto, Matteo Diotallevi, poteva avere tante ragioni per vedere morto il padre. L'odio per aver lasciato la madre, per averlo lasciato senza soldi.
Quale opera allora potrebbe rappresentare questo delitto?

Tosca?
La cavalleria rusticana?
Il Rigoletto?

E quale personaggio dell'opera avrebbe dovuto affibbiare alla conduttrice della trasmissione che si occupa di giudiziaria, delitti con lati oscuri, che sembrava avere come unico scopo quello di mettere in ridicolo la magistratura?

In questa storia c'è tutto il materiale con cui cucinare quelle storie che piacciono tanto ai commentatori da salotto, a quelli a cui piace sguazzare nel fango, per fare audience.
Un vip, una moglie attraente e un'amante giovane. Sesso e soldi.

Ma la polizia giudiziaria deve muoversi mantenendo i suoi ambiti, cercando il responsabile del delitto (e non il colpevole ideale), usando tutti i mezzi a disposizione: le intercettazioni (“croce e delizia dell’inquirente. Strumento a un tempo devastante per la sua attitudine a forzare anche la sfera piú intima delle relazioni umane”), le indagini patrimoniali (“er priffe”) e la classica indagine fatta andando a sentire tutte le persone della sfera personale di “ciuffo d'oro”.
In fondo, fra il tuo lavoro e il melodramma c’è un certo legame, Manrico. 
In che senso?  
– Il delitto è spesso il regno delle passioni, no? Mette a nudo le nostre pulsioni profonde.

Ecco, la soluzione del caso verrà portata sia dal duro lavoro di indagine, che da una ispirazione, che arriva dal piatto del giradischi. L'opera è Rigoletto, da cui è preso a prestito anche il titolo del libro.
.. non fu un caso se sul piatto prese a girare un Rigoletto del ’55, con Di Stefano, Tito Gobbi, Nicola Zaccaria e naturalmente Lei nella parte di Gilda.

Rispetto ad altri romanzi di Giancarlo De Cataldo, in questo Roma (i suoi quartieri, la sua bellezza, la sua decadenza) rimane un po' in disparte. In primo piano troviamo il dramma umano che viene raccontato usando come metri di riferimento l'opera: il delitto, il morto, gli indiziati, che sembrano recitare un ruolo in una “recita oscena”, falsi e doppi. Forse ha proprio ragione il procuratore Spinosi, non c'è dramma, non c'è delitto che l'opera non abbia già raccontato.

La scheda del libro sul sito di Einaudi e il pdf da scaricare col primo capitolo.
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