Il 10 giugno 1940 il governo
Mussolini dichiarava guerra a Francia e Germania in un discorso al
balcone di Palazzo Venezia di fronte ad una folla oceanica, “la
dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori
..”
Guerra che avrebbe smascherato per
sempre e in modo tragico, la bugia del fascismo di fronte agli
italiani: i milioni di baionette, l'impreparazione dell'esercito e
dei suoi generali (alcuni pure criminali di guerra, come Roatta e
Graziani), il cinismo di Mussolini che sacrificava migliaia di
italiani per la sua gloria al tavolo della pace.
Il fascismo è stato questo, una grande
bugia, una grande opera di propaganda per ingannare il paese,
puntando sui disvalori di noi italiani: il maschilismo, il plauso
dell'uomo forte, le pubbliche virtù (la sparizione di omicidi e
reati sui giornali) e i privati vizi (le ruberie dei gerarchi e dei
signorotti del regime).
E anche delitti politici, come la morte
dell'onorevole Giacomo Matteotti, ucciso il 19 giugno 1924 da
dei sicari fascisti, a Roma (dopo un discorso duro contro i brogli
alle elezioni, mentre stava raccogliendo prove per denunciare la mazzetta nera in cui erano coinvolte casa Savoia e i vertici del regime).
Piccola premessa storica necessaria,
per parlare dell'Italia di oggi, scampata alla pandemia (con migliaia
di lutti, problemi personali delle persone costrette a casa, imprese
in crisi, tanti dubbi sul futuro) e che ora deve decidere come
spendere e investire i miliardi dall'Europa.
Anche per un discorso personale Conte,
il generale senza esercito, ha inventato questa formula degli “stati
generali”, incontri con personalità politiche e imprenditoriali
per capire dove mettere i soldi.
Sarà purtroppo l'ennesimo occasione
persa, specie se leggiamo la proposta Colao presentata al governo:
tante promesse (gli asili), tante proposte che questa Confindustria
gradirà (i contratti a termine da prorogare, le concessioni, gli
sgravi e i soldi a pioggia).
E che ne sarà degli infermieri, dei
medici, della sanità sul territorio, di ambiente, della scuola,
della ricerca?
Report lunedì scorso ha
raccontato, in modo impietoso, quella parte di paese che non vorremmo
vedere più. Appalti senza gara a parenti (del presidente lombardo)
poi trasformati in donazioni, ma dopo un mese, quando Report iniziava
a fare delle domande, “perché sono lombardo”.
Test sierologici affidati a privati,
che poi possono usare i nostri dati senza informare troppo l'utente
ignaro.
Tamponi che non sono fatti, nemmeno
nelle zone più colpite dalla pandemia.
E persone lasciate a casa, qui in
Lombardia, in una sorta di quarantena volontaria, proprio per quei
tamponi che non ci sono.
Tutti a prendere in giro l'attuale
ministro dell'istruzione che però paga di tanti errori del passato:
scuole non a norma e con aule stipate di studenti.
Insegnanti che mancano, anche quelli di
sostegno, costringendo lo Stato a ricorrere a precari, rinnovati di
anno in anno.
Dovrebbe essere il Parlamento a
decidere, a proporre, di concerto col governo, come cambiare il
paese, come usare i miliardi in arrivo nei prossimi mesi. Non manager
prestati dal privato (e che speriamo verranno lì restituiti).
Mentre scopriamo che le ndrine arrivanoal nord, fino a Bolzano, noi siamo ancora qui a discutere di ponti
sullo stretto, di spirito anti lombardo, di recovery plan e recovery
fund.
Si imputa al governo l'assenza di una
visione, quando una visione industriale (energetica, sui trasporti,
sull'istruzione, sulla sanità) non l'ha nessuno.
Vogliamo ancora una sanità regionale in mano ai fedelissimi dei governatori, dove si lascia il privato decidere quali servizi offrire e quali no?
Vogliamo ancora una scuola pubblica non sempre eccellente, non in tutte le regioni uguale?
Vogliamo ancora un mondo del lavoro col problema dei mille contratti, delle morti bianche, che non copre tutte le categorie di lavoratori (si pensi ai rider)?
Peccato, avremo perso un'occasione.
Torneremo in peggio, al prima.
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