La logica dei social ci porta a ragionare per slogan, per spot, che vanno bene per fare chiacchiere da bar, senza bisogno di approfondire i concetti. D'altronde, chi ha tempo oggi di andare oltre i 200 e passa caratteri di twitter e leggersi qualche articolo di giornale o, peggio ancora, qualche saggio.
Così oggi è tutto un trionfare di sburocratizzazione, 5G, intelligenza artificiale, green economy, smart working (ma sta calando nel gradimento), cantieri e alta velocità e via discorrendo.
Attaccare la burocrazia significa non aver compreso a cosa serve: sono le regole che dicono come deve essere fatta una cosa.
In un paese dove crollano i ponti, i viadotti, le strade sono da sistemare dopo pochi mesi dal taglio del nastro, non possiamo accettare che si tirino su infrastrutture senza fare controlli preventivi (non ex post, come i fan della mano libera). Controlli sui lavori e sulle aziende che li fanno, perché non dobbiamo dimenticarci del problema mafia (che fine ha fatto il contrasto alle mafie?) e delle morti sul lavoro.
La green economy dovrebbe essere un nuovo modo di concepire le filiere produttive, dalle imprese al consumatore finale.
Come si produce e distribuisce l'energia, quali settori industriali privilegiare, come impacchettare i prodotti, come trasportarli e come venderli nei supermercati o negozi.
Parliamo della plastica e del packaging (e della polemica nata lo scorso anno quando si trattò di tassare di più la plastica), di mettere assieme ricerca (e università) con le imprese che lavorano su eolico, fotovoltaico, geotermico. Parliamo di riciclo dei materiali, di andare a toccare interessi economici delle aziende di Stato, Eni ed Enel, della lobby della plastica, molto influente, di aiutare le imprese agricole che non devono essere strozzate dai prezzi imposti dalla grande distribuzione.
Vanno poi ripensate le città, dove dobbiamo togliere il traffico delle auto, sia per renderle più vivibili che per un discorso ambientale. Il che vuol dire piste ciclabili, trasporto pubblico (con bus ecologici).
Dunque cosa facciamo per sburocratizzare? Serve personale nella pubblica amministrazione preparato e formato (e non è vero che sono troppi), ma serve rivedere le norme per rendere semplici ed efficaci.
La palla torna al decisore politico, quello che fa le norme per appalti e per tutte le operazioni che quotidianamente facciamo col pubblico.
Per esempio, perché si deve andare dal
medico per una ricetta che può essere inviata per mail o per un
medicinale che devi prendere sempre?
Per questo serve completare la banda
larga per tutto il territorio.
Siamo sicuri che l'alta velocità serva sempre? Servono i collegamenti nord sud, quelli che attraversano trasversalmente il paese. Ma poi si deve potenziare anche al collegamento locale ferroviario, che oggi specie al sud è carente (fino a poco tempo fa per andare a Matera c'era solo un trenino dalla Puglia e i bus).
Le grandi opere non sono sempre utili, non creano posti lavoro proporzionali alla spesa (quella effettiva, non quella a piano) e ai tempi di realizzazione (che spesso si allungano).
Servirebbe la messa in sicurezza del paese, degli edifici pubblici, partendo dalle scuole: è così utopistico immaginare dei pannelli solari per ogni edificio pubblico?
Non è semplice: si tratta di rivedere i rapporti stato regioni e stato enti locali.
Tutti chiedono il modello Genova, ma si tratta di andare in deroga alle norme (a Genova non è stata fatta una gara) per tutti i lavori che passano per i comuni, una toppa peggiore del buco.
Si tratta di rivedere processi produttivi, toccare interessi privati (le concessioni autostradali, la sanità privata convenzionata).
Ieri da Conte erano presenti esponenti del mondo della cultura, scrittori e artisti: chiedevano al presidente di considerare di più la cultura in questo paese dove, cosa incredibile, il personale nei musei, nelle sovrintendenze, sono considerati lavoratori di serie B (come promemoria, la storia degli scontrinisti alla Biblioteca Nazionale a Roma).
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