28 febbraio 2023

Presadiretta - Europa in vendita

Il Qatar si è infiltrato nel parlamento europeo? - è la domanda di una europarlamentare Aubry nell’intervista a Presadiretta: il servizio di questa sera cercherà di rispondere a questa domanda e anche ad altre, sulla politica industriale ed energetica europea.

L’arresto di Eva Kaili e del suo compagno Giorgi, assistente dell’europarlamentare Cozzolino ha dato il via all’inchiesta Qatar gate, soldi in cambio di un cambio della politica europea nei confronti del Qatar e del Marocco. Quel 9 dicembre viene arrestato anche il padre della Kaili mentre si spostava con una valigia piena di soldi, soldi trovati anche dentro la casa della vicepresidente.
Anche l’ex europarlamentare Panzeri, poi a capo di una ong che si doveva occupare di diritti umani, viene arrestato in questa inchiesta: sia Panzeri che Giorgi si erano occupati e si occupavano del tema dei diritti nei paesi del terzo mondo, ma secondo gli inquirenti avrebbero lavorato per ripulire l’immagine del Qatar e nascondere le violazioni sui diritti dei lavoratori in questo paese.
Gli investigatori hanno ripreso uno scambio tra Panzeri e un ministro dell’emirato, prima dei campionati di calcio: nella costruzione degli stadi sono morte migliaia di persone, ma il Qatar si rifiuta di risarcire le famiglie.
Al parlamento europeo il ministro del lavoro è stato chiamato per difendere la posizione del suo paese, mentre le ONG come la Human Right Watch non hanno avuto spazio per denunciare le dure condizioni di lavoro.
Nella stessa seduta, il deputato Cozzolino difendeva il Qatar, non possiamo fermare le sue riforme raccontava alla platea. Stesso tono del discorso del deputato Tarabella, sempre del gruppo socialista.
Alessandra Moretti a Giulia Bosetti ha raccontato di essersi confrontata con Giorgi, prima della conferenza del ministro del lavoro, ma di non essere stata imbeccata sulle domande da fare: al ministro ha chiesto conto della dichiarazione contro i gay dell’ambasciatore del Qatar, senza aver avuto poi risposta.
In Europa l’influenza del Qatar si è sentita sin dal 2019, andando ad avvicinare diversi deputati, a cui venivano offerti viaggi, biglietti per i mondiali.
Il risultato è che nell’europarlamento non si parlava più dei diritti dei lavoratori, ma dell’importanza del Qatar come paese esportatore di gas: il soft power dell’emirato stava funzionando bene.

Le parole di Eva Kaili usate nel suo intervento del novembre 2022 sono state ispirate dall’emirato stesso: “le accuse contro il Qatar sono frutto di una campagna diffamatoria” diceva un report del Qatar e sono le stesse parole della Kaili.
La delegazione che doveva occuparsi dei diritti civili in Qatar è stata bloccata dall’ambasciatore: doveva andare in quel paese per parlare coi lavoratori. La deputata Neumann, capo di questa delegazione è invece riuscita ad andare in questo paese, dove rilasciò interviste favorevoli al paese.

Il dossier dei visti era molto importante per il Qatar: nel parlamento volevano bloccare la liberalizzazione dei visti, senza riuscirci. I qatarini hanno fatto pressioni diversi parlamentari, ma c’è di peggio, secondo Georges Malbrunot, autore di Qatar Papers, l’emirato avrebbe finanziato progetti in Europa, anche in Italia, passando per delle ONG, milioni di euro finiti a gruppi islamici per costruire moschee e diffondere l’islam.
Soldi, regali, investimenti: il fondo sovrano del Qatar ha investito a Milano, in piazza Gae Aulenti, la Torre Unicredit, grazie ai ricavi per la vendita del gas naturale.
Con questi soldi e questi regali, il Qatar si è rifatto l’immagine, nascondendo i suoi legami coi fratelli musulmani. Oggi il suo ruolo è diventato ancora più importante con la guerra in Ucraina, perché sta vendendo il suo gas liquefatto in Europa in sostituzione del gas russo.
Anche l’Italia ha firmato accordi con Doha, non solo per l’importazione del gas ma anche per progetti in comune con Eni.
Il Qatar è il sesto paese che compra armi dall’Europa e in particolare dall’Italia: c’è una relazione tra armi e gas, non vale solo per il Qatar, anche dopo il Qatar gate queste relazioni commerciali ed economiche non si sono fermate.
Quando l’Europarlamento ha impedito agli emissari qatarini di entrare in parlamento, c’è stata una dichiarazione dura, quasi minacciosa: state attenti, noi siamo un partner importante per i paesi europei.
L’Italia e l’Europa hanno bisogno infatti del gas liquido e la corruzione e i diritti umani possono andare in secondo piano.

L’influenza del Marocco

Nell’inchiesta di Bruxelles c’è anche il Marocco: in Europa ci sono dossier importanti su questo paese, sul tema dell’agricoltura e della pesca in particolare.
In particolare si sono tolti i dazi ai prodotti dal Marocco: i loro prodotti hanno invaso il mercato italiano, noi non possiamo essere competitivi con questo paese, dove non ci sono controlli sui prodotti chimici e sul costo del lavoro.
L’Europa ha firmato l’accordo del libero scambio senza verificare la tracciabilità dei prodotti, sull’utilizzo di sostanze chimiche e sul diritto dei lavoratori: il servizio di Presadiretta ha raccontato delle dure condizioni di lavoro in questo paese, dove addirittura i caporali violentano le donne se vogliono essere pagate.

L’Europa ha firmato un accordo anche sul tema della pesca: questo accordo tocca la zona del Saharawi, una zona contesa che il Marocco rivendica. La corte di giustizia europea ha bocciato gli accordi di pesca nella zona del Sahara occidentale, sostenendo che bisognava coinvolgere il popolo del Saharawi: l’Europa è andata dunque contro i principi del diritto internazionale, senza che questo suscitasse qualche scandalo.
Il Marocco in Europa suscita una pressione alta, andando a contattare singolarmente i singoli deputati: Antonio Panzeri è stato uno dei principali sponsor di questi accordi nel 2017.
In una intervista del 2017 difendeva questi accordi, definendo il Marocco un garante dei diritti di queste persone, quelle che vivono nel Marocco occidentale.
Secondo la procura di Bruxelles, Panzeri sarebbe
stato l’uomo che avrebbe difeso gli interessi del Marocco nel parlamento europeo: i suoi viaggi in Marocco non erano per difendere i diritti umani, per la liberazione dei detenuti politici e dei desaparecidos. Ci sono stati 4500 casi di persone scomparse nella zona del Marocco occidentale: eppure l’Europa consente che il Marocco possa saccheggiare le acque reclamate dai Saharawi, finanziando la pesca per 150 ml.

Eppure nessuno ne parla da anni, perché il Marocco non vuole che si parli del Sahara occidentale: non vuole che si parli delle torture, dei detenuti politici, degli abusi.
In un documento riservato, l’ambasciatore marocchino scrive che avrebbe fatto uso della sua amicizia con Panzeri per migliorare l’immagine del paese, nascondendo le violazioni dei diritti umani al mondo.
Chi critica il Marocco, come l’europarlamentare Crespo, ha subito un furto in casa che è stata una minaccia subdola a lui e alla famiglia: ma senza prove non ha potuto fare nulla. L’impunità del Marocco è incredibile: per nascondere i campi profughi, il Marocco ha innalzato un muro nel deserto e riempito di mine il terreno, usano i droni per uccidere civili indifesi.

Solo a gennaio 2023 l’Europa ha condannato la violazione dei diritti umani da parte del governo di Rabat: ci sono voluti 25 anni e l’inchiesta sul Qatar gate, altrimenti nulla sarebbe cambiato.
Il Marocco è disposto a fare qualunque costa pur di nascondere i suoi crimini – racconta a Presadiretta l’attivista per i diritti Sultana Khaya.

Gli impatti della guerra sull’energia

Il Qatar gate arriva in un momento difficile per l’Europa che avrebbe bisogno di essere unita, in modo da avere un’unica politica energetica: invece ogni paese, col rincaro dell’energia a causa della guerra e delle speculazioni, ha portato ogni paese a fare le sue scelte.
In Italia a Città di Castello, gli operai del settore della ceramica di “Ceramiche noi” hanno deciso di incrementare i turni al mattino dove il costo dell’energia è inferiore, hanno deciso di lavorare gratis un sabato al mese, tutto pur di tenere in piedi la produzione.
Il costo dell’energia è cresciuto dieci volte tanto: se anche il 2023 dovesse essere uguale al 2022 coi rincari, tutti questi sacrifici saranno inutili.
Dopo la pandemia la guerra: i rincari dell’energia rendono difficile per queste aziende del settore della ceramica di essere competitivi con altri paesi.
Nel distretto di Faenza e Sassuolo in Emilia si produce il 90% delle ceramiche in Italia, oltre 400ml di metri quadrati di produzione essenziale per l’edilizia: con la volatilità del prezzo del gas che si è innescata nell’ultimo anno tutta questa produzione corre sul filo del rasoio. Ne parla a Presadiretta il presidente del settore ceramiche di Confindustria, che spiega come non tutte le imprese siano pronte a gestire questi rincari “il problema è di quel 20-25% di aziende che si indeboliscono perché perdere 20% o 25% di aziende è un disastro per un paese ”. Se il prezzo dell’energia tornasse a salire il comparto della ceramica non sarebbe pronto a pagare, perché le imprese hanno delle situazioni di cassa molto precarie.

Per ridurre il prezzo del gas il governo Meloni ha aggiunto 30 miliardi sul tavolo per tener fermi i prezzi del gas: ma non è abbastanza, come racconta la storia del petrolchimico in Sicilia, presso la Yara, azienda che produce fertilizzanti. La chiusura di questi impianti non è una buona notizia per l’industria italiana, perché Yara produceva l’ammoniaca per diverse imprese.

Produceva anche i fertilizzanti per gli agricoltori: alcuni di loro hanno deciso di aspettare prima di procedere con la distribuzione dell’urea sui campi, temendo un incremento dei costi.
Con l’ammoniaca si produce l’ADBlue, un additivo chimico usato nei motori dei camion: non si sta bloccando solo l’agricoltura, anche il settore dei trasporti si sta bloccando in Italia.
L’ammoniaca viene usata dallo stabilimento di Novara della Radici dove si producono i polimeri: senza ammoniaca, niente polimeri, quelli poi usati dentro le auto (per alleggerirne il peso).
Radici oggi subisce la concorrenza di altri paesi, come l’America, dove il costo del gas è inferiore: l’industria chimica ha 2800 imprese, la chimica ha creato maggiore occupazione in questi ultimi anni, ma sono posti di lavoro oggi a rischio.
Succede a Novara e anche in Val Brembana, dove non si erano fermati nemmeno col covid: hanno perso un terzo della produzione per colpa dei rincari del gas, se questi dovessero continuare a crescere sarebbe un problema.
Secondo l’analista Matteo Villa, il prezzo del gas è destinato ancora ad essere variabile, continuerà a crescere e a stabilizzarsi verso l’alto: tutto dipende dalla capacità di Norvegia e Algeria nel darci il gas ai livelli di cui ne abbiamo bisogno.

A rischio è la nostra industria: le misure del governo Meloni sono contingenti – spiega a Presadiretta il vicepresidente di Confindustria Baroni: rischiamo di perdere competitività in Europa.
Tutto questo perché poi in occidente siamo tutti disuniti come politiche energetiche, mentre in America non c’è stato alcuno shock energetico.
Il gas americano costa almeno il doppio di quello russo: i sussidi non bastano per gestire questo problema, spiega l’economista Brancaccio.
La deregolamentazione del sistema industriale è stata la causa di queste guerre – ha continuato l’economista: l’America oggi vuole smettere col liberalismo, ma puntando col protezionismo aggressivo, bloccando le esportazioni dai paesi nemici come la Cina.
Dietro la battaglia in Ucraina non ci sono solo i territori contesi, c’è anche una guerra economica dietro, come il conflitto tra debitori e creditori, ovvero Cina e Stati Uniti.

L’Europa non ha trovato una risposta comune al problema dei rincari del gas: ognuno fa per se, chi ha più soldi farà meglio degli altri. Nessun price cap: chi usa i propri soldi per aiutare la propria economia non fa aiuti di stato (condannati dalle leggi europee).
In Germania il governo ha deciso di spegnere le luci dei propri monumenti, per affrontare il primo inverno senza il gas russo: fino al 2021 era il maggior importatore del gas russo, questo inverno ha varato un aiuto di stato da 365 miliardi per aiutare le proprie imprese.
Ma anche questi soldi non bastano: anche in Germania esiste uno stabilimento del gruppo Radici ma è fermo per colpa dei rincari.
Il lungo inverno dell’Europa non durerà poco, ci aspetteranno almeno altri due inverni di crisi energetica: la Germania oltre agli, aiuti di Stato, ha investito in infrastrutture per i rigassificatori.

Ma molte aziende hanno dovuto fare delle scelte difficili: Abbiamo dovuto cambiare completamente la nostra politica energetica” spiega a Presadiretta Heike Mennerich responsabile settore energia di Evonik (un’importante azienda nel settore Chimico in Germania): “l’anno scorso avremmo dovuto spegnere i nostri impianti a carbone per inaugurare due impianti a gas, ma il gas è venuto a mancare e abbiamo deciso di prolungare la vita degli impianti a carbone e questo alla fine ha consentito da salvare le riserve energetiche nostre e di tutta la regione, perché con il carbone abbiamo energia sicura aiutando tutta la Germania a ridurre il consumo di gas. Non è stata una scelta facile, abbiamo dovuto investire in manutenzione, ma era necessario.”

La Germania ha autorizzato l’incremento delle centrali a carbone, tutto pur di salvare le proprie aziende. Ma ci sono aziende tedesche che hanno deciso di andare via, come la Basf, che ha scelto di investire in Cina e disinvestire in Germania.
La vicenda Basf è un brutto segnale per il settore chimico, che richiede molta energia per funzionare: significa perdita di posti di lavoro e di competitività nei confronti di Cina e Stati Uniti.
Ma la deindustrializzazione è già arrivata nel settore delle auto: la Volkswagen ha deciso che non produrrà le sue batterie in Germania ma andrà dove il costo dell’energia è più basso, Asia o Stati Uniti.
Non avendo creato una politica economica comune in Europa, oggi rischiamo di perdere l’industria europea, non solo quella tedesca.

Gli Americani hanno investito 738 miliardi in incentivi per le aziende americane: per avere questi incentivi le imprese dovranno però rifornirsi solo da aziende americane, una forma di protezionismo tesa ad attirare aziende da altri paesi.

Forse ha ragione l’economista Emiliano Brancaccio: dietro questa guerra in Ucraina si può leggere anche una motivazione economica, per il dumping dell’alleato americano e la sua politica di protezionismo selvaggio che sta portando ad una de industrializzazione di settori industriali qui da noi.

Nel frattempo si sta preparando una nuova guerra con la Cina: l’America sta armando l’esercito di Taiwan in modo che possa resistere alla minaccia cinese e ad un possibile blocco navale.

Non è un caso che Taiwan sia un paese dove si producono i chip presenti nei nostri computer.

Si discute delle guerre ma non delle motivazioni e delle questioni economiche: per poter avviare un processo di pacificazione USA ed Europa dovrebbero rivedere questa onda protezionistica che sarà foriera di conflitti – è il parere dell’economista Brancaccio. Dall’altra parte anche la Cina dovrebbe predisposti a rivedere la sua economia: più politica e meno mercato senza regole.
L’Europa è crocevia di questi conflitti: l’Europa avrebbe l’interesse a diventare agente di pace ma si sta accodando ad un processo di militarizzazione dell’economia che non ha senso.

27 febbraio 2023

Anteprima Presadiretta - Europa in vendita

Che cos’è l’Europa, per noi italiani e per i cittadini europei? Per anni è stata usata come grimaldello per portare avanti politiche di parte come l’austerity, con la scusa “ce lo chiede l’Europa”.

La recente pandemia, la guerra hanno evidenziato che, andando oltre le posizioni unitarie di facciata, non esiste un’unica politica sanitaria, un’unica politica europea, un’unica visione sui diritti civili, sul lavoro. Mandiamo armi in Ucraina per difendere i diritti di autodeterminazione di una nazione ai confini dell’Europa (di cui accogliamo i profughi) e poi finanziamo lager, muri, strumenti di difesa nei confronti di altri profughi in fuga da altre guerre. Guerre e profughi che non vogliamo vedere.
Ma questa sera Presadiretta si occuperà di Europa partendo dallo scandalo Qatar gate: racconta l’anticipazione del servizio di come la corruzione sia entrata dentro il parlamento europeo, Qatar (organizzatore dei mondiali di questo inverno) e Marocco avrebbero pagato alcuni parlamentari ed ex parlamentari per influenzare le scelte dell’Europa.

“Il parlamento europeo è sotto attacco” dice la presidente Metsola: l’Europa si scopre all’improvviso debole e vulnerabile proprio nel momento in cui a causa della guerra dovrebbe affrontare la sfida economica più alta: l’aumento dei prezzi dell’energia sta mettendo in crisi le singole famiglie e il nostro sistema industriale, se non prendiamo delle decisioni ora potrebbe essere troppo tardi.


Nel distretto di Faenza e Sassuolo in Emilia si produce il 90% delle ceramiche in Italia, oltre 400ml di metri quadrati di produzione essenziale per l’edilizia: con la volatilità del prezzo del gas che si è innescata nell’ultimo anno tutta questa produzione corre sul filo del rasoio. Ne parla a Presadiretta il presidente del settore ceramiche di Confindustria, che spiega come non tutte le imprese siano pronte a gestire questi rincari “il problema è di quel 20-25% di aziende che si indeboliscono perché perdere 20% o 25% di aziende è un disastro per un paese ”. Se il prezzo dell’energia tornasse a salire il comparto della ceramica non sarebbe pronto a pagare, perché le imprese hanno delle situazioni di cassa molto precarie.


Non è un problema solo italiano:Abbiamo dovuto cambiare completamente la nostra politica energetica” spiega a Presadiretta Heike Mennerich responsabile settore energia di Evonik (un’importante azienda nel settore Chimico in Germania): “l’anno scorso avremmo dovuto spegnere i nostri impianti a carbone per inaugurare due impianti a gas, ma il gas è venuto a mancare e abbiamo deciso di prolungare la vita degli impianti a carbone e questo alla fine ha consentito da salvare le riserve energetiche nostre e di tutta la regione, perché con il carbone abbiamo energia sicura aiutando tutta la Germania a ridurre il consumo di gas. Non è stata una scelta facile, abbiamo dovuto investire in manutenzione, ma era necessario.”

La scheda del servizio:

Il Parlamento e la democrazia europei sotto attacco. A “PresaDiretta” in onda lunedì 27 febbraio alle 21.20 su Rai 3, un’inchiesta dal titolo "Europa in vendita" - di Riccardo Iacona, con Giulia Bosetti, Raffaele Marco Della Monica, Eleonora Tundo, Andrea Vignali, Eugenio Catalani per raccontare la corruzione e l’ingerenza di Stati stranieri che hanno colpito il cuore delle istituzioni comunitarie, il Qatar Gate e il Marocco Gate. Con interviste e documenti esclusivi, le analisi degli esperti e le voci dall’interno dei palazzi europei.
Quali erano le strategie messe in atto a Bruxelles dal piccolo e ricchissimo emirato del Qatar per affermare i propri interessi sul fronte del gas, delle armi e dei diritti umani violati? Quanti favori ha ottenuto il Qatar in questi anni? E in cambio di cosa? L’altro importante filone d’inchiesta della magistratura belga è il Marocco e la sua forte attività di lobbying.
Per vedere da vicino "PresaDiretta" è andata nel Sahara occidentale occupato dal Marocco, dove ci sono i campi dei Saharawi e dove da anni le organizzazioni internazionali denunciano violazioni dei diritti umani, sparizioni forzate, torture. Come mai allora l’Europa ha continuato a firmare accordi commerciali col Marocco, nonostante le sentenze della Corte Europea che li dichiaravano illegali? E poi c’è la sfida della crisi economica che l’Europa è chiamata ad affrontare: lo shock energetico causato dalla guerra in Ucraina e l’aumento del prezzo del gas, l’aumento delle materie prime e il rischio di perdere competitività sui mercati globali. Basteranno gli aiuti pubblici dei governi a risolvere questi problemi? Un viaggio di "PresaDiretta" in Italia, attraverso la filiera della ceramica e della chimica e poi in Germania, tra i suoi più importanti comparti industriali per capire se l’Europa ce la farà a ripartire. Ed è proprio dalla Germania che arriva l’allarme: la deindustrializzazione è già arrivata, è necessario trovare una politica industriale comune perché nessuno ce la farà da solo. In studio con Riccardo Iacona: Emiliano Brancaccio economista e saggista per rispondere a queste cruciali domande.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

25 febbraio 2023

L'incertezza della rana di Giorgio Bastonini


 

Prologo

Non aveva paura, forse. Si ripeté ancora una volta che le informazioni che custodiva erano così preziose da escludere che gli potessero fare del male. Sarebbero stati autolesionisti. Sorrise, senza riuscire però a mettere completamente a tacere la sottile inquietudine che gli guizzava sottopelle.

«A noi interessa solo quella caz.. di droga» aveva ripetuto Spaghetto, sordo ad ogni tentativo da parte sua di chiarire. Stavano prendendo una colossale cantonata, c’era in ballo molto di più..

Ritorna lo “strano pm” di Latina, Paolo Santarelli magistrato presso la procura di Latina che avevamo conosciuto nel precedente giallo uscito ormai quasi due anni fa: strano perché molto distante dall’immagine seriosa che possiamo avere di un magistrato. Paolo è uno di quelli che arriva in ufficio, presso la procura di Latina, con le Converse e una felpa. La macchina di servizio? Macché, già nello scorso racconto (dove aveva risolto un complicato delitto avvenuto dentro una famiglia tunisina) lo avevamo visto sfrecciare per le vie della cittadina con la sua bici: in questo romanzo lo vedremo persino sfrecciare sopra un Malaguti 50, ottenuto gentilmente in prestito da un vecchio signore conosciuto nel corso dell’indagine.

Strano, o forse sarebbe meglio dire complesso, il rapporto con le donne: una ex alle spalle e una fidanzata con cui ha un rapporto a distanza, fatto anche di messaggi agli orari più strani della giornata.

Pochi amici, anche in città, tra cui Livio, il proprietatrio del bar dove raccoglie le voci che arrivano dalla strada di questa città che lo considera ancora un alieno, per le sue origini campane. Una città che conserva ancora i segni del suo passato, e presente, fascista:

Alla sua destra il Palazzo Emme, edificio storico costruito al momento della fondazione della città, che all’epoca si chiamava Littoria.

Proprio dentro il bar di Livio viene a sapere di una sparatoria:

«Pochi minuti fa hanno ammazzato a pistolettate Gianluca Romano. In una piazzola sul lungomare di Rio Martino.»
«Minchia.»
«Hai lasciato il cellulare in ufficio?»

Ecco, l’indagine che dovrà affrontare questa volta strana non lo è, almeno all’apparenza: sul litorale, in uno spiazzale, qualcuno ha sparato al giovane rampollo del clan Romano “una famiglia malavitosa di rom stanziali che aveva il monopolio di spaccio, usura ed estorsioni”.
Il responsabile del delitto viene scoperto quasi subito, non svelo nulla della trama né dell’intrigo che si svelerà solo alla fine: si tratta di Emanuele
Locatelli, un giovane chimico che era in società proprio con “Spaghetto” e con cui aveva litigato quella sera sulla piazzola. Emanuele avvicina in un vicolo il procuratore rivelandogli di quei colpi di pistola e anche della sua paura per la vendetta del clan Romano.

«Lei è il dottor Santarelli, vero? Ho bisogno di parlarle.» L’uomo grassottello gli comparve davanti come per magia, sbucato dalla stradina laterale..

Non fa in tempo a raccontare nulla a Santarelli, oltre ad ammettere della lite a causa della loro società, parlare di un casale, dei risultati delle sue ricerche. Da una 500 bianca sbucata all’improvviso qualcuno si mette a sparare al ragazzo, uccidendolo davanti ai suoi occhi.

Due delitti e due responsabili che vengono individuati quasi subito: il primo, Emanuele per sua stessa ammissione, assassino a sua volta assassinato. Il secondo, quello di Emanuele, verrà individuato grazie alle intercettazioni sugli esponenti del clan.
Due omicidi risolti in poco tempo, tutto facile: molti magistrati farebbero carte false per chiudere entrambi i fascicoli senza troppi problemi. Ma Paolo Santarelli è “uno strano pubblico ministero”: non è solo l’essere anticonformista, poco attento alle gerarchie coi superiori e anche a qualche parola di troppo che si fa scappare ogni tanto.
Santarelli vuole vederci chiaro: cosa ci faceva questo giovane chimico in società col clan Romano, che campa con l’usura e la vendita della droga?
La perquisizione della casa del chimico non porta a nulla: nessun computer e nessun documento sulle sue ricerche, a cui doveva tener molto, come aveva fatto capire in quel vicolo allo stesso pm. La vicina di casa, invece, si rivela molto più interessante: vive facendo la cartomante, era forse la persona più vicina ad Emanuele. Ma Santarelli dovrà faticare prima di vincere la sua diffidenza, nei confronti della legge e dei suoi rappresentanti.

Ancora più interessante l’azienda agricola di cui Emanuele era titolare: all’interno gli investigatori scoprono una serra dentro cui trovano un pezzo di Amazzonia portato nell’Agro Pontino

.. piccoli stagni disseminati ovunque con una rigogliosa vegetazione esotica: piante a basso fusto, cespugli dai fiori colorati e sconosciuti, flora acquatica.

Negli stagni tante rane, prese a dar la caccia al loro cibo preferito, i grilli. Sdraiato su una amaca, un indio “come quelli che si vedono nei documentari o nei film. Mission ..”.
Cosa se ne facevano i romano di quel pezzo di foresta portano nella loro campagna e che razza di ricerche faceva Emanuele? Stava facendo degli esperimenti sulle rane? O su quell’ecosistema che sembrava mantenersi in perfetto equilibrio?
Cassandra, la vicina di casa, sembra sapere qualcosa di più di quello che inizialmente racconta,
tanto che la sua abitazione subisce un furto.
La scoperta della verità, sulle cause del primo delitto e sul perché di quella serra, arriverà dopo
la conoscenza con un indio di nome Carlos, dopo un’esperienza extra corporea (con sostanze poco legali) e alla fine di un viaggio in America fatto in compagnia di una ragazza troppo bella e anche troppo seducente. Una a cui la vita aveva insegnato a difendersi e a dover pianificare tutto, anche le relazioni.

Emanuele era finito dentro un gioco molto più grande di lui, di gente che pur di mettere le mani su certe scoperte scientifiche è disposta a tutto. Peggio dei criminali.

Arrivati alla fine, potrà sembrare ancora più “strano” scoprire quanto questa storia sia ispirata a fatti reali e non è solo la storia della rana e delle sostanze psicotrope che si ricavano da questi anfibi (potrete scoprire tutto solo nelle note a fine libro).
Santarelli verrà chiamare a presenziare ad un processo in cui sono imputati alcuni ragazzi accusati di aver pestato a morte un ragazzo, colpevole di aver fatto da paciere in una rissa: non è difficile scorgere i riferimenti alla storia del povero Willi Monteiro, ucciso a Colleferro due anni fa.

Brillante la trama come brillante e ironico è anche il protagonista di questo romanzo: un giovane quarantenne colto, con un rapporto complesso con le donne della sua vita e che alla fine del romanzo si porterà in casa anche un nuovo amico, un cane di nome Emma.

Santarelli è un magistrato capace di vedere la vita con occhi diversi, capace di applicare la legge e di saperla anche interpretare alle volte, perché giudicare la vita degli altri, le loro azioni non è un semplice calcolo aritmetico.

«Ha presente la rana?» le chiese.
[..] «Ha mai osservato la loro modalità di muoversi? Saltano, certo, ma appena hanno compiuto il salto e se ne stanno ferme è come rimanessero indecise sul da farsi.

Come se si chiedessero: “Dove vado? A destra o sinistra?”. Credo che l’incertezza della rana sia paradigmatica dell’umana esistenza, e di quella dei magistrati in particolare. Per cui le auguro una buona giornata.»

La scheda del libro sul sito di Mondadori

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon


24 febbraio 2023

Un anno di guerra

24 febbraio 2022, 24 febbraio 2023: è passato un anno dall'operazione speciale di Putin, la sua guerra di invasione dei territori dell'Ucraina con la scusa della denazificazione e per proteggere la popolazione russofona nelle regioni dell'est del paese.

Dopo un anno la guerra è in una situazione di stallo: i russi non hanno sfondato, hanno distrutto città, commesso crimini di guerra, cambiato comandanti. 

Dall'altra parte l'esercito ucraino, supportato con le armi dall'America e da diversi paesi europei è riuscito a resistere.

Questa guerra è stata raccontata (e continua ad essere raccontata) in modo binario: buoni contro cattivi, resistenti contro putiniani, quelli a favori delle armi senza se e senza ma e dall'altra parte i traditori.

A me personalmente la retorica degli eroi, delle armi, della guerra come qualcosa di ineluttabile, qualcosa che serve per risolvere i conflitti, fa paura.

A Presadiretta lunedì scorso Mario Giro della Comunità di Sant’Egidio raccontava di come non ci si debba arrendere a questa narrazione della guerra, come qualcosa di necessario: non sono coloro che chiedono la pace ad essere deboli, ma è vero il contrario, voler proseguire un negoziato per arrivare ad una pace (che sia giusta, che riconosca le colpe) è un segno della forza delle nazioni.

Dietro all'eroismo dei resistenti, ci sono le persone sotto le bombe, c'è un paese in cui serviranno anni per ricostruirlo. C'è l'industria delle armi, che si arricchisce oggi con lo svuotamento degli arsenali (e con le richieste della Nato di investire ancora risorse in armamenti).

Dietro questa guerra c'è l'ipocrisia di molti politici, specie in Italia che con la guerra si sono riposizionate sul fronte atlantico: il mostro Putin l'abbiamo creato noi, quando abbiamo stretto accordi vincolanti per il gas (per esempio). Quando lo abbiamo visto distruggere la Cecenia (perché combatteva contro Al Qaeda), quando lo abbiamo visto incarcerare giornalisti, quando ha invaso la Crimea..

Oggi non sembrano esserci sbocchi, a questa guerra, c'è giusto la proposta della Cina (che ha i suoi interessi in Taiwan): sia Putin che Biden hanno espresso le loro volontà di andare avanti. Nessuno può tornare indietro, né Putin, né Biden e nemmeno Zelensky (ci sarebbero ripercussioni sul fronte interno, gli ucraini non vogliono finire nella mani del regime russo). Speriamo che dietro questi annunci, continuino sottotraccia dei negoziati per trovare una soluzione che, sempre come raccontava Presadiretta, non vuol dire cedere dei territori.

Perché l'alternativa è, per noi, rimanere qui a guardare l'evoluzione di questa guerra senza porci domande: fino a dove vogliamo arrivare? Possiamo accettare il rischio che si arrivi alle armi nucleari?

21 febbraio 2023

Presadiretta – Costruttori di pace

Ad un anno dall’invasione dei russi la guerra non è terminata, sta diventando più feroce e più internazionale, ci siamo dentro anche noi che stiamo aiutando gli ucraini. Bakhmut è diventato uno dei punti più caldi del conflitto, sarebbe la prima vittoria da mesi e per lo stesso motivo l’Ucraina sta difendendo questa città per far partire da qui la controffensiva.

Questo è lo scandalo della guerra, la follia della guerra: ci si uccide per pochi metri, pensando che da qui passi il destino della guerra. La follia di pensare che la pace si possa costruire con una vittoria chiara: questo è il messaggio d’altronde di Zelensky che agli italiani chiede “non abbiate paura, datemi armi e vincerò la guerra”.
Biden è andato oggi nel centro della guerra, dove ha promesso al presidente ucraino tutti gli aiuti per vincere questa guerra, a breve arriverà anche la presidente Meloni.
Dal fronte è arrivata la testimonianza di Nello Scavo: siamo in un inverno durissimo, con la neve, il freddo, l’acqua che manca, il logoramento si sente nella gente. L’arrivo di Biden – racconta Scavo – ha motivato gli ucraini, ha ridato forza alle persone, che comunque manifestano sempre la volontà di difendersi.
Oltre alle armi serve una controffensiva di pace: oggi Putin non ha accolto con le bombe Biden, almeno questo. Ci muoviamo sul filo del rasoio, ad un passo da un conflitto mondiale col rischio di una escalation nucleare.
Si potrà arrivare ad una vittoria? Senza una opzione diplomatica, altrimenti la guerra andrà oltre il 2023: qualche segnale potrebbe arrivare oltre che da Putin anche dalla Cina – ha concluso Nello Scavo.

Questa guerra si può vincere sul campo e la pace si può ottenere solo con una vittoria militare? Presadiretta è andata in Svezia a Uppsala dove si studiano le guerra, nella più antica università del paese, al dipartimento di ricerca sulla pace e sui conflitti.

L’università della pace

La pace è un argomento di ricerca - Peter Wallenstein docente del Dipartimento di Ricerca sulla Pace e sui Conflitti – ha fondato il suo dipartimento dopo la crisi dei missili di Cuba, quando il paese è stato ad un passo di un conflitto nucleare. “Abbiamo ritenuto che fosse importante studiare le guerre e la pace”: qui hanno analizzato tutti i conflitti dalla seconda guerra mondiale, “Le vittorie militari spesso hanno portato a nuovi conflitti dieci, venti anni dopo, mentre gli accordi di pace, se attuati correttamente, ci consegnano una pace molto più duratura nel tempo”. Perché chi vince una guerra instaura un regime che poi fa scaturire nuove tensioni e nuove guerra, come in Afghanistan. La via per la pace è quella negoziale – racconta.

La ricetta della pace passa per il compromesso, anche dicendo che nessuno dei due contendenti si prende il territorio conteso, come successo in diversi conflitti tra Egitto e Israele ,questo è il potere della negoziazione.
Grazie al loro database i ricercatori di Uppsala hanno studiato tutti i recenti conflitti: non ci sono solo i paesi contendenti, ma ci sono anche i paesi coinvolti indirettamente, come oggi in Ucraina.
Questi significa che i conflitti siano difficili da risolvere, durano di più e ne provocano di nuovi. Questa internazionalizzazione dei conflitti dura ancora oggi, con la guerra all’Isis ad esempio: la guerra è oggi diventato uno strumento per risolvere i conflitti, anche in Europa come in Kosovo.
Si usano le armi per difendere le sfere di influenza, vale per la Nato come la Russia.
Gli studiosi sono preoccupati anche dalla minaccia nucleare: il conflitto nucleare è vicino e concreto, per la minaccia di Putin che oggi non sta vincendo con armi tradizionali. Altri paesi sarebbero poi spinti per rinforzare i loro arsenali e così via ancora altri. Tanti paesi potrebbero pensare che l’unico modo per proteggersi è usare armi nucleari: il nucleare è un altro tabù saltato con la guerra in Ucraina.

Questo conflitto unilaterale in cui Putin non consente all’Ucraina il diritto di esistere, è difficile da risolvere coi negoziati, ma questi si devono trovare perché serve trovare una pace che valga per i prossimi anni, che sia duratura.

In studio era presente Mario Giro della Comunità di Sant’Egidio: un costruttore di pace che ha girato tutta l’Africa e il mondo per risolvere i tanti conflitti.

La guerra in Ucraina nasce da lontano: anni fa si fecero gli accordi di Minsk per evitare la guerra, occorre oggi capire come mai hanno fallito, in modo da poter avere strumenti per trovarne di nuovi di accordi.

La pace mancata

Kiev 21 novembre 2013: i cittadini in piazza chiedono di entrare in Europa, nel giorno in il presidente Janukovyc decise di rafforzare i legami con la Russia. La piazza Maidan diventa il centro delle proteste, dove si ritrovano studenti e anche i nazionalisti anti russi.
Si arriva al 18 febbraio 2014 quando le truppe speciali spararono sulla folla che aveva tenuto la piazza per tre mesi: centinaia di feriti e altrettanti morti fu il bilancio di quella repressione.
Il presidente Janukovyc fu costretto alla fuga, la folla fece irruzione nella sua villa, pochi mesi dopo arrivò il nuovo presidente che firmò gli accordi con l’Europa spingendo l’Ucraina lontano dalla Russia. Fu un passaggio inaspettato per Mosca, dimostrò che i cittadini potevano cambiare la situazione in un paese filo russo – racconta l’analista Fabbri.
Quei tre mesi hanno cambiato i rapporti tra Ucraina e Russia: le cancellerie europee si mossero per trovare un accordo che non scontentasse né Russia né gli Ucraini, mentre gli Stati Uniti avevano puntato tutto sull’Ucraina. L’inviata di Obama Nolan fece una battuta passata alla storia “fuck UE”.
La Germania e la Francia non volevano rompere i rapporti con la Russia mentre l’Italia aveva rapporti commerciali come per il gas con Putin, dunque non alzò la voce, non fu considerata per le trattative.
Nel 2014 La Russia occupò la Crimea, poi referendum per trasformare questa regione in una repubblica a sé stante sotto il controllo della Russia.

Sempre nel 2014 cominciano gli scontri tra milizie ucraine e quelle filo russe nelle regione del Donbass, con armi vere, morti veri e sfollati.
Gli accordi di Minsk dovevano servire ad arrivare ad una pace tra Ucraina e Russia: l’amministrazione Obama era preoccupata da questa guerra, controllava le armi che inviava alle milizie filo ucraine, ma gli Stati Uniti non si sono mai spesi nelle trattative, assieme a Germania e Francia.
Il trattato prevedeva il cessate il fuoco bilaterale, impegnava l’Ucraina a fare una riforma che avrebbe trasformato le regione separatiste come regioni speciali con poteri speciali: ma l’accordo non fu mai rispettato, né da una parte né dall’altra- racconta l’ambasciatore turco che aveva un ruolo come osservatore dell’OCSE nel Donbass.
Gli accordi di Minsk falliscono perché l’Ucraina li considerava come il prodromo della secessione, la Russia li vedeva come l’occasione per prendersi di più.
Così questi accordi falliscono, portando ad una guerra a bassa intensità, con 14mila morti, con villaggi distrutti e con la fine della possibilità di un dialogo tra le parti.
Con l’invasione del 24 febbraio scorso la tensione si trasforma in guerra totale: ancora oggi non ci conoscono i numeri dei morti e dei feriti, intere città sono state distrutte.
L’occidente è oggi coinvolto nella guerra con l’invio di armi e istruttori, col sostegno allo sforzo bellico: oggi parole come cessate il fuoco, negoziati sono tabù.
La pace viene vista come la pace del vincitore, solo dopo che la Russia verrà sconfitta arriverà la pace raccontano dall’Ucraina. Unica voce di pace rimane quella di Yuri Sheliazenko, del movimento pacifista: a Putin chiederei di ascoltare le esigenze della gente, che non vuole la guerra – racconta a Presadiretta – dobbiamo resistere all’idea che l’unica strada sia quella delle armi. Il movimento pacifista ucraino è in contatto con gli obiettori in Russia.
Ma fare i pacifisti oggi in Ucraina è difficile: chi scappa dalla chiamata alle armi viene preso alla frontiera e mandato al fronte contro la sua volontà.
Nel Donbass la Russia si gioca la sua difesa, perché allontana il nemico dalle sue frontiere: questo spiega l’importanza di questa regione per Putin.

Medinskij è capo dei negoziatori russi in Ucraina: a Presadiretta aveva raccontato di come l’allargamento della Nato ad est aveva allarmato e umiliato la Russia e Putin. Della stessa opinione l’ex consulente di Clinton Charles Kupchan e l’ex ambasciatore Burms in Russia: quest’ultimo aveva avvisato la presidenza Bush che l’adesione dell’Ucraina, ventilata nel 2008, potevano creare problemi nei rapporti con la Russia, potevano portare a nuove tensioni.
L’occidente dovrebbe occuparsi anche di creare un tavolo di pace, oltre che inviare armi – continua l’ex consulente Kupchan: sul tavolo si potrebbe mettere la neutralità dell’Ucraina, ma questa sarebbe una trasformazione molto forte per Zelensky, che non ammetterà mai la cessione di territori alla Russia, come la Crimea, per questo porterebbe ad un crollo del fronte interno.

Si potrà arrivare ad una pace per procura? Gli Stati Uniti traggono vantaggio da questa guerra, che ha rilanciato la Nato e indebolito la Russia, ma sono preoccupati dalla partita con la Cina e dai suoi rapporti con la Russia. Quest’ultima potrebbe essere usata poi in una futura guerra contro la Cina dunque – concludeva l’analista Fabbri – potrebbe succedere che tra qualche anno America e Russia arriveranno ad un tavolo di pace.

Ad oggi gli Stati Uniti non stanno costruendo alcun tavolo di pace: sono loro che hanno le chiavi per il negoziato – spiegava Mario Giro – anche la narrativa bellicista deve tener conto che prima o poi si arriverà a dei trattati, ripartendo da quanto fatto a Minsk, una “pace sprecata”. Dopo questi accordi l’Europa non si è sforzata affinché gli accordi fossero rispettati, accettando una guerra a bassa intensità e minimizzandone i rischi.

Negli ultimi 30 anno non ci sono guerre vinte, anzi le guerre si sono moltiplicate: la difesa dell’Ucraina è legittima ed eroica, ma con la stessa intensità con cui si sono aiutati gli ucraini a difendersi, si devono trovare gli accordi tra le parti. Anche la debolezza percepita dell’Italia potrebbe giocare a nostro favore: serve la volontà politica di tutti, anche di soggetti terzi di dire basta. Poi la retorica bellicista si sgonfierà da sola.

L’economia di guerra

Ogni giorno si consumano missili, proiettili, armi: la Nato sta chiedendo ai paesi dell’Europa di aumentare la produzione di armi, di arrivare al 2% della spesa militare sul PIL (noi siamo al 1,38%). Una soglia che per l’Italia è difficile da raggiungere, dovremmo arrivare ad una economia di guerra, per evitare che manchino armi per la confroffensiva russa.

Eppure secondo alcuni analisti del Pentagono, sarebbe meglio se la guerra non durasse a lungo, ci si dovrebbe curare degli altri interessi nazionali, come anche dell’egemonia cinese.
Secondo il capo dei generali americani, “sarà difficile cacciare dal territorio occupato la Russia”, secondo Stoltenberg l’opzione nucleare non è esclusa, l’unico rischio è quello della vittoria russa.

La pace in Sierra Leone

Come si è arrivati alla pace in Sierra Leone, dopo 11 anni di guerra civile? Qui si sono scontrate milizie anche civili e militari dell’esercito, le stime parlano di 50mila morti, oltre ai feriti e ai profughi. Si è però accettato di fermare la guerra e di arrivare ad una pace ad ogni costo, anche accettando una amnistia – racconta Patrick Fatoma dalla capitale Freetown. Nel museo della memoria si parla delle vittime della guerra, affinché nessuno si dimentichi. Anche degli episodi di cannibalismo. Eppure sono arrivati alla pace: “volete nel paese che succedano queste cose? Allora serve la pace, perché senza diritti umani, questo è quello che succede.”
La prima cosa da fare è la verità, raccontare i fatti e ricordarli. Poi la giustizia affinché i responsabili dei crimini di guerra fossero processati. Pace e giustizia sono correlate: senza giustizia non esiste pace, senza pace l’uomo scende ai livelli della bestia. La violenza è un atto di egoismo.

La commissione sulla pace e sulla verità che è stata creata ha coinvolto tutti quanti, vittime e ribelli, per riconciliare il popolo: tutti volevano la pace, ma che fosse duratura, conquistata dal lavoro di tutti i giorni dei membri della comunità.
La Sierra Leone è uno dei paesi più poveri nel mondo, nonostante sia un paese ricco di materie prime, come ferro e diamanti. La pandemia di Ebola ha poi peggiorato la situazione nel paese.
La pace in questo paese va costruita ogni giorno, per contrastare la malnutrizione, come fa Emergency, la corruzione, la disoccupazione.

“Ho visto bambini violentati, persone sparate, ma sono orgogliosa di quello che ha fatto il mio governo per la pace. Se usi la violenza per finire la guerra, questa in realtà non finirà mai, perché ci sarà sempre qualche vendetta, qualche rappresaglia. Mandare armi e soldi per combattere non credo sia la risposta giusta, bisogna negoziare ” - questa è la storia di Margaret, infermiera, dalla Sierra Leone nell’ospedale di Emergency dove si curano decine di migliaia di persone l’anno, gratis, nonostante manchino dottori, infermieri. Ma la pace passa anche da questo, dalla sanità per tutti.

Da Freetown Presadiretta si è spostata a Lundsa, nella sede dei padri Murialdini: qui hanno visto scene che nessuno dovrebbe mai nemmeno concepire, bambini amputati delle loro mani dai ribelli. Questa sede fu occupata dai ribelli: oggi è un centro dove i ragazzi imparano un mestiere, vanno a scuola. In questo centro, finita la guerra, stavano a fianco persone che prima erano in guerra tra loro, perché obbligati alla guerra.
L’educazione è importante oggi per rilanciare il paese, per formare quella generazione di ragazzi che non devono più vedere la guerra: perché ancora oggi c’è il rischio che nuove tensioni, per la povertà, portino a nuovi scontri.

Questo è un paese benedetto – racconta il vescovo Paganelli – i diamanti della Sierra Leone non portano ricchezza al paese: bisogna evitare che le tensioni tra le comunità portino a nuovi conflitti.

Le persone non devono smettere di parlarsi - spiegano i volontari di Fambul Tok, una ONG che gira il paese per raccogliere la verità sulla guerra, per creare un dialogo e riconciliazione all’interno delle varie comunità.

Quello di Fanbul Tok è stato un lavoro paziente di ricucitura tra vittime e carnefici, perché l’unico modo per spegnere il fuoco è il dialogo, la vendetta avrebbe portato ad altri conflitti e ad altri orrori.
La guerra perenne non deve essere accettata: mai più guerre, mai più conflitti tra le persone, mai più conflitti come strumento per risolvere i problemi e le diatribe.
Non è vero che la guerra è necessaria, che sia tristemente necessaria: abbiamo sprecato la pace e dobbiamo rimetterci a credere che la pace sia possibile, sia politicamente possibile. È una scelta politica – conclude Mario Giro.
L’Onu era intervenuto in Sierra Leone, ma non sta intervenendo in Ucraina: le guerre vanno spente, diventano un contagio.

Esther Oman è un’altra costruttrice di pace: nel Camerun dal 2016 c’è una guerra civile di cui nessuno parla, nata negli anni 60 con l’indipendenza del paese.

Di fronte a questa tragedia Esther ha deciso di portare la pace, villaggio dopo villaggio, con le donne: le donne sono madri, sorelle, mogli e riescono ad entrare in contatto con tutte le parti in conflitto, la donna è pace racconta a Presadiretta e ad Elena Stramentinoli.

La prima cosa da fare per la pace è riportare gli studenti nelle scuole: grazie al dialogo di Esther, le costruttrici di pace sono riuscite a far riaprire metà delle scuole chiuse, andando a parlare sia coi ribelli separatisti che coi governativi.
Queste donne sono andate a parlare all’Onu, non hanno paura delle minacce e continueranno ad andare avanti a parlare con le persone.

Ci aspettano giornate importanti: la Cina si sta impegnando nella risoluzione del conflitto ucraino, vede male questa guerra dove perde in commercio, non tutti sono d’accordo con la posizione cinese, ma l’importante è il dialogo. La presenza di Biden a Kiev è stata criticata dai cinesi: questo viaggio provocherà reazioni pericolose – riporta un tabloid cinese.
I cinesi hanno un problema di leadership con gli Stati Uniti, ognuno si guarda con sospetto in questo momento dove la pace viene mostrata debole, specie da chi ha interesse a portare avanti una guerra, ma invece è una dimostrazione di forza tra i paesi.

20 febbraio 2023

Anteprima Presadiretta – Costruttori di pace

Un anno fa scoppiava la guerra in Ucraina per l’invasione da parte dell’esercito russo su un fronte molto vasto, non solo le regioni russofone dove una guerra locale era in corso sin dal 2014.

Da un anno siamo spettatori di una guerra che ci coinvolge quasi direttamente, non solo perché inviamo armi per consentire all’esercito ucraino di resistere, ma anche perché mese dopo mese sta crescendo la sensazione che questo non sarà un conflitto che potrà terminare a breve. Non si vedono vie d’uscita anzi, rimanere sempre il timore di una escalation verso qualcosa di peggio. Sempre che sia corretto parlare di peggio in un conflitto che uccide migliaia di civili.
Da un anno parliamo di guerra con un approccio da tifo da stadio: se non sei per la guerra e per l’invio delle armi, senza se e senza ma, allora stai con Putin. E a finire marchiati da questa accusa infamanti sono proprio i sostenitori della pace, della rete di associazioni per il disarmi per tutti i paesi. Associazioni e persone che hanno criticato non solo Putin ma tutta questa pericolosa corsa alle armi in corso da tempo.

Se c’è una via diversa dalla guerra, per risolvere il conflitto si fa fatica a vederlo, ma va trovata: questa guerra uccide le persone e drena risorse che alimentano le lobby delle armi.
Il servizio di Presadiretta parlerà dell’Ucraina e degli altri conflitti nel mondo che, sebbene con tante difficoltà, si sono risolti con dei negoziati, quelli che oggi né Putin né Zelensky vogliono fare.

E nemmeno l’Europa che è entrata dentro questo conflitto e che dunque non può sedersi ad un eventuale tavolo dei negoziati (posto che abbiamo delegato ad Erdogan, non certo una colomba).
Le vittorie militari spesso hanno portato a nuovi conflitti dieci, venti anni dopo, mentre gli accordi di pace, se attuati correttamente, ci consegnano una pace molto più duratura nel tempo – a parlare così è Peter Wallenstein docente del Dipartimento di Ricerca sulla Pace e sui Conflitti dell'Università di Uppsala.

Fare una pace è diventata una alternativa migliore che vincere una guerra – racconta l’anteprima del servizio che andrà in onda questa sera: ma a quali condizioni ci potrebbe essere un cessate il fuoco?
Finché rimarrà Putin la Russia rimarrà uno stato canaglia, raccontava il politologo Ian Brenner intervistato su Rai3 da Marco Damilano, costringendoci a maggiori spese militari, causando un aumento delle spese per l’energia che gli europei dovranno acquistare da altri fornitori.
Peccato che la Russia di Putin fosse già uno stato canaglia a cui noi abbiamo contribuito al suo rafforzamento, coi contratti per il gas, bloccando (anche in Italia) qualsiasi piano per il passaggio alle rinnovabili.
La Russia non può vincere questa guerra, pena il rischio di un ritorno ad un mondo diviso in blocchi ai tempi della guerra fredda. Ma l’Ucraina può vincere la guerra, riconquistando i territori, senza un intervento della Nato? E con quali rischi? E che accadrebbe in Russia dopo una sconfitta militare in Ucraina?
Serve la pace e servono i costruttori della pace, come dice il titolo della puntata. Ma come si sono risolti dunque gli altri conflitti nel mondo? Presadiretta è andata in Africa a raccogliere le testimonianze di chi quelle guerre etniche le hanno viste e vissute: persone uccise e lasciate per strada, mutilate, bambini violentati, bambini torturati, gente che ha visto amici, parenti uccisi, villaggi bruciati. Come in Sudan, con la sua guerra civile terminata nel 2020. O come in Sierra Leone, dove la guerra civile è terminata col tavolo di pace tra le varie forze: “se usi la violenza per finire la guerra, questa in realtà non finirà mai, perché ci sarà sempre qualche vendetta, qualche rappresaglia. Mandare armi e soldi per combattere non credo sia la risposta giusta, bisogna negoziare ” - questa è la storia di Margaret, infermiera, dalla Sierra Leone un paese che è riuscito a mettere fine a una sanguinosa guerra civile.

La scheda del servizio:

A pochi giorni dal primo anniversario della guerra in Ucraina, “PresaDiretta” in onda lunedì 20 febbraio alle 21.20 su Rai 3 torna sul conflitto che sconvolge l’Europa e su chi, nonostante tutto, lavora per costruire la pace. Un’analisi non solo sui retroscena dell’aggressione russa contro l’Ucraina, ma anche sui tentativi fallimentari di trovare un accordo sul Donbas con gli Accordi di Minsk. “PresaDiretta” è andata in Svezia all’università di Uppsala, dove c’è chi studia i negoziati di pace e chi insegna come si fa a creare una convivenza pacifica e duratura; in Sierra Leone, per raccontare la realtà di un Paese africano che è riuscito a mettere fine a una sanguinosa guerra civile; infine, ha raccolto la testimonianza delle donne camerunensi, mediatrici di pace. Ospiti di Riccardo Iacona saranno Mario Giro, ex viceministro degli Esteri, membro della Comunità di Sant’Egidio ed esperto di relazioni internazionali, e Nello Scavo, inviato speciale di “Avvenire”, in collegamento dall’Ucraina.
“Costruttori di pace”  è un racconto di Riccardo Iacona con Luigi Mastropaolo, Roberta Pallotta, Elena Stramentinoli, Fabio Colazzo, Matteo Delbò, Massimiliano Torchia.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

19 febbraio 2023

Il trattamento del silenzio di Gian Andrea Cerone

 


Prologo
La prima volta percepisce una rugginosa frizione di metallo contro metallo. Poi il suono si trasforma in uno stridio feroce, come un artiglio che raschia una superficie d’acciaio. Il sibilo viene da fuori, da qualche lontano anfratto nel parco della villa. Il vecchio si arrende alla curiosità, alza il viso dalle pagine consunte e rimane in ascolto.

In una Milano tristemente (e stranamente) piovosa si aggira uno “spettro” vendicatore, che uccide le sue vittime in modo particolarmente efferato e teatrale, forse anche troppo. Prima un professore appassionato di libri antichi e di esoterismo, Niccolò Bessa Terzaghi, ucciso nella sua villa e crocifisso ad una parete.

Al centro di tutto, lui. Una specie di raro uccello antropomorfo inchiodato al mogano della libreria, giusto un metro sopra la linea del secondo ripiano.

Poi tocca ad un avvocato civilista, Claudio Cervignati, ucciso e inchiodato al pavimento del suo appartamento. Due delitti su cui deve indagare l’Unità Crimini Violenti della Questura Milano che, dopo la caccia al serial killer dei fiori (Le notti senza sonno Guanda editore) che li aveva impegnati in quei sei lunghi giorni di caccia, si stava godendo un momento di riposo.

Piove anche oggi. In realtà sembra che piova da sempre. Un autunno piscioso, a dir poco

Questi delitti, però, capitano in un momento difficile e non è solo perché quando ci sono delitti di questo tipo la polizia si deve muovere con cautela, cercando di non far trapelare nulla ad una certa stampa troppo morbosa nei confronti di queste storie. C’è anche che a morire in quel modo così teatrale, sono due persone importanti nella Milano che conta e questo significa ulteriori pressioni sugli investigatori.

A questo si aggiunge un altro problema: in questi giorni autunnali l’UACV è a ranghi ridotti per l’assenza di alcuni suoi membri. L’agente Marica Ambrosio, l’ex atleta dalla voce gentile ma dall’aspetto massiccio è in aspettativa, ancora turbata per l’esito della passata indagine.

Ma a mancare è soprattutto il commissario Mario Mandelli: si è preso un congedo parentale di sei mesi per prendersi una specializzazione in scienze storiche alla Statale:

«Ogni volta che ci mettiamo sulle tracce di qualche assassino o psicopatico mi resta nel naso il fetore della loro crudeltà. E non è una cosa che si può lasciare lì abbandonata sul pianerottolo accanto alla zerbino, come se fosse un sacchetto di spazzatura da gettare via il mattino dopo. Purtroppo quell’odore nauseabondo me lo porto fin dentro casa. ...»

Una scappatoia dal male che ha visto per il suo lavoro, un modo anche per stare vicino a Marisa, la moglie, che ha sacrificato tanto della sua vita per stare accanto ad un poliziotto.
L’esperienza da studente per Mandelli si dimostra diversa da quello che si aspettava: in mezzo a quei ragazzi si sente un pesce fuor d’acqua, a separarli non ci sono solo gli anni ci sono anche interessi diversi.

«Comunque mi chiamo Alba Locatelli e sono iscritta alla magistrale di politiche per la cooperazione internazionale.»

E poi c’è Alba: studentessa anche lei alla Statale, accorre in suo soccorso un giorno in cui Mandelli si trova particolarmente spaesato tra i corridoi dell’università. Alta, bionda, occhi azzurri, Alba è una ragazza che non passa inosservata: anche sul commissario fa colpo, non per una infatuazione senile, ma per quel fascino, quel magnetismo che la mette al centro dell’attenzione.

Ma non ci sono solo gli occhi di Mandelli che seguono Alba: anche un’altra persona la sta seguendo, non perdendola mai di vista, si chiama “il cacciatore” e per lui Alba è qualcosa di più di una bella ragazza. È la sua fata, la sua diva, la ragazza dei sogni. Sogni malati, sogni morbosi: una persona apparentemente come le altre ma che passa la giornata a

seguire le sue prede di nascosto, osservarne i comportamenti, spiarne la routine e i momenti di intimità: una telefonata, un bacio, le risate con gli amici.
Ma non durerà a molto l’esperienza da studente del commissario Mandelli, anche perché è rimasto comunque in contatto con l’unità grazie ad una sua fonte interna che gli racconta dell’ultimo caso, l’omicidio del bibliofilo Bessa Terzaghi e di come questo ora sia sulle spalle dell’ispettore Casalegno, che pure sta vivendo un momento difficile, anche dal punto di vista personale.
Mandelli viene poi tirato dentro un’indagine dalla stessa Alba: una sua compagna di corso, Carolina De Bellis, è sparita da qualche giorno, non risponde alle telefonate né ai messaggi. Alba sa qual è il mestiere di Mandelli, potrebbe allora fare una ricerca sulla sua amica? Quello che Mandelli non sa però, è che Alba non è una studentessa qualunque, perché i suoi genitori, suo padre, è una persona importante. Come anche la scomparsa di Carolina non è un caso qualunque: a Milano, nella Milano bene dei professionisti, degli influencer, delle persone che contano perché hanno tanti soldi in tasca, c’è un gruppo di studenti che si è lanciato in un business redditizio. Procacciare delle ragazze giovani da portare a delle feste private, diciamo delle cene eleganti, dove gira anche della droga.

Sono studenti giovani ma abbastanza intraprendenti, in senso criminale del termine, che alle spalle hanno una persona che li guida e li mette in contatto con le persone giuste, “il maestro”.

Lo spettro, il cacciatore e il maestro. Saranno loro al centro delle indagini degli uomini e delle donne dell’Unità Crimini Violenti di Milano al cui organico si aggiunge una nuova viceispettrice, Caterina Dei Cas, che viene dalla catturandi di Palermo ma cresciuta al nord

..crescere in Valtellina è molto impegnativo per una ragazza ambiziosa. Da quelle parti bisogna combattere per farsi strada.

Così Mandelli tornerà al suo lavoro, l’unica cosa che sa fare e che gli piace fare, nonostante la violenza, il sangue, il male, i sacrifici suoi e della sciura Marisa: prima informalmente, seguendo una sua pista, poi rientrerà in servizio in modo ufficiale per occuparsi di questi due delitti compiuti da uno spettro che sembra colpire le sue vittime seguendo un piano ben preciso. Mandelli, Casalegno e gli altri agenti devono scoprire cosa lega i due morti tra loro e qual è il motivo di questa violenza.
Ma il commissario, assieme all’agente Marica Ambrosio saranno coinvolti anche nell’altra indagine che all’improvviso, come scoprirete, da semplice scomparsa di una studentessa diventerà una caso estremamente delicato, coinvolgendo anche i servizi e che li porterà a collaborare con un ufficiale dei carabinieri, il maggiore Zurlo, con cui entrerà subito in sintonia.

Non fatevi spaventare dalla mole di questo secondo romanzo di Gian Andrea Cerone: sono quasi seicento pagine ma posso assicurarvi che una volta preso il ritmo non ci si potrà staccare dal libro. C’è l’adrenalina della caccia al mostro, questo spettro che sta seguendo un suo piano di vendetta le cui origini affondano nel passato delle vittime. Male che chiama altro male, delitti che chiamano altri delitti, a cui gli agenti possono solo cercare di fermare questa catena:

Non c’è mai soltanto un primo e solo responsabile per questo genere di delitti. Il male lascia sempre un’eredità di dolore, che a sua volta ne genera altro. A noi spesso capita di arrestare soltanto l’ultimo dei colpevoli.

Tutta questa violenza lascia tracce nelle persone, non solo nelle vittime e di chi rimane a piangerli. Sono tracce che rimangono addosso anche a chi investiga su questo male, che non si lava la sera quando si ritorna a casa, male che, come racconta Mandelli in una delle sue tante riflessioni, “fa sanguinare l’anima”.

Per tramite del suo personaggio principale, questo commissario Mandelli, pacato, istruito, mai impulsivo che qui incontriamo in un momento delicato della sua vita, l’autore ci racconta di Milano: una città con una ricca storia alle spalle di cui non tutti ne sono a conoscenza. Per esempio la colonna del diavolo a Sant’Ambrogio

È la Colonna del Diavolo, uno dei più antichi retaggi della città. Un monumento unico al mondo, [..] Gli imperatori che venivano incoronati re d’Italia avevano l’obbligo di abbracciarla per suggellare la loro elezione, e altrettanto.

Ma oggi quanti sanno, Mandelli a parte, queste storie? Oggi è una città dove ci si muove di fretta, non ci si ferma mai e si consuma tutto in fretta, le mode, i costumi, le tendenze:

Fino a qualche decennio fa, riflette Mario, a Milano c’era molto meno vento, molta meno gente e, in generale, molto meno di tutto. Nel bene e nel male.

Ora invece è diventata una città del troppo, governata da una bulimia sociale che si nutre di una quotidiana sovrabbondanza di idee, parole e tendenze. La città del trendismo.


Milano, palcoscenico del di queste due indagini, della furia vendicativa da “Grand Guignol” dello spettro, capitale morale del paese ma anche città dove il marcio si nasconde ovunque, non solo per le strade, ma anche nei quartieri del lusso, dove gira tanto denaro con cui si può comprare anche l’anima e l’etica delle persone.

La scheda del libro sul sito di Guanda e il pdf del primo capitolo

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon


15 febbraio 2023

La politica e la pancia delle persone

In fondo, l'unica spiegazione plausibile per l'astensione (alle passate elezioni regionali) è che il 50-60% delle persone in questo paese ritiene la politica (e dunque le istituzioni) come qualcosa da sopportare, da guardare con diffidenza da lontano. Qualcosa che, in ogni caso, non è in grado di darti le risposte per i problemi di tutti i giorni.

A pancia vuota si ragiona meglio - si dice: ecco, metafora della pancia vuota spiega bene perché le persone non hanno né tempo né voglia di riflettere presi come sono da questioni un pelino più stringenti rispetto al tema degli anarchici, dei rave party, della sovranità alimentare.

Ma poi c'è anche qualcos'altro: quanti sono consapevoli dei diritti che godiamo come cittadini? Abbiamo rinunciato alla lotta per la scuola, per la sanità, per un'aria pulita, per dei trasporti pubblici dignitosi, per salari dignitosi. C'è stato un lento ma continuo livellamento verso il basso che ha reso normale cose che non lo sono.

Di tutto questo è colpevole la politica e i partiti, che sono lo strumento con cui noi si esprime la nostra sovranità: anche qui in Lombardia, in fondo, il PD che opposizione ha fatto alla malagestione sanitaria? Cosa ha fatto contro la cementificazione selvaggia di pezzi del territorio (nulla, perché lo stesso succede in Emilia)? 

A pancia vuota non si può ragionare di politica, col risultato che la politica la faranno quelli con la pancia piena, che rappresenteranno interessi sempre più ristretti.

14 febbraio 2023

Presadiretta – i risultati delle elezioni e l’acqua che manca

Puntata dedicata ad una risorsa preziosa come l’acqua: Presadiretta nel secondo servizio racconterà di cosa va fatto per non sprecarne nemmeno un goccio.

Ma prima dell’acqua Presadiretta si occuperà del voto nel Lazio e nella Lombardia, col dato incredibile dell’astensione: la maggioranza degli elettori non ha vota, non ha fiducia in questa politica, in questi candidati.

In studio a commentare il voto Marco Damilano: il giornalista ha citato un saggio di Saramago, dove in un paese spuntano solo schede bianche, gli elettori non si interessano alla politica.
La cosa che preoccupa è quando l’elettore non crede più nella politica, nelle elezioni locali e in quelle nazionali.

È come se segassimo il ramo dove siamo seduti – il commento di Iacona: nella capitale solo il 33% ha votato, nei giorni in cui abbiamo festeggiato la nostra Costituzione.

Cosa ha portato a questo?
Giovanni Diamanti di Youtrend ha commentato il consenso nelle due regioni: dal 2016 al 2023 il centrosinistra è sparito nel Lazio, dopo dieci anni di governo nella regione. Stesso discorso anche nelle città, come Latina e Rieti.
Agli elettori è stato chiesto quanto è stata importante la scelta dei rifiuti nel voto: circa l’83% dei votanti ha detto che era importante, del resto il termovalorizzatore ha bloccato l’alleanza nel Lazio tra Pd e 5 stelle ed è stata una delle cause della caduta del governo Draghi.

I rifiuti a Roma

Con le elezioni le strade di Roma sono abbastanza pulite, ma nei mesi passati l’immagine di Roma è legata ai rifiuti: i cittadini di un quartiere della capitale è arrivata a voler fare una azione legare contro il comune per tutta la montagna di rifiuti.
Il termovalorizzatore è stato al centro della discordia: dovrebbe essere costruito tra i comuni di Pomezia e Albano Laziale e dovrebbe raccogliere tutti i rifiuti di Roma e delle periferie.
Oggi non è possibile fare a meno dell’inceneritore, forse in un futuro, ma al momento la raccoltsa differenziata non consente una scelta diversa.
Il problema è che comuni come Albano Laziale la differenziata la fanno al 70%, la presenza dell’inceneritore è una beffa per il sindaco della città: assieme ad altri sindaci della zona ha scritto a Gualtieri, dove esprime la sua preoccupazione di diventare la pattumiera di Roma.
Ad Albano c’è anche la discarica di Roncigliano, riaperta dalla Raggi dal 2021 che sta prendendo i rifiuti anche ora.
A Guidonia c’è l’impianto di trattamento rifiuti che ora è sotto collaudo dopo anni in cui è rimasto fermo: anche a Guidonia fanno la differenziata e non sono contenti di questo vecchio impianto che verrà ora aperto.
Il Lazio ha una % di differenziata del 53%: la metà dei rifiuti organici viene gestiti fuori regione che ha una ricaduta in termini di costi per i cittadini laziali.
Ad incidere sui costi dei rifiuti è il loro trasporto verso le altre regioni, fino in Olanda.
I rifiuti sono un problema vero: è uno scandalo che Roma non sia riuscito in questi anni a risolvere il problema, in questi anni non si è fatta alcuna politica in tal senso.
I rifiuti sono stati usati come arma politica, la politica ha abdicato al suo compito: i rifiuti sono l’oro per molte persone, che li usano per condizionare sindaci e amministratori.
Si doveva fare la sintesi di politica – racconta Damilano: si dovevano ritrovare sindaci per trovare una soluzione d’accordo, come nel caso del sindaco di Guidonia che ha scritto al sindaco di Roma senza avere risposta. Ma poi c’è anche qualcuno che deve prendere una decisione.

Il voto in Lombardia

Il centro sinistra non ha mai vinto in Lombardia, cinque anni fa – racconta Giovanni Diamanti – la partita sembrava contesa, oggi invece è una regione completamente a destra. La provincia di Milano è divisa a metà. C’è anche un solco tra le città e le province: nelle grandi città il centro sinistra è davanti, ma poi fuori dai capoluoghi aumenta il vantaggio del centro destra.
La domanda fatta da Youtrend riguardava la sanità: la sanità ha inciso il voto? Il 91% ha risposto si, in modo trasversale. Evidentemente molti lombardi che hanno votato sono soddisfatti da questo modello.
A Milano Letizia Moratti ha preso il 12% dei voti, molto poco.

La sanità in Lombardia

Anche la sanità, come i rifiuti, è un tema vero: nella mia regione la sanità sta diventando a pagamento. Per chi ha i soldi, per chi se lo può permettere. A Vimodrone 2000 cittadini non hanno un medico, né un pediatra e nemmeno la guardia medica.

In Lombardia c’è l’eccellenza sui grandi ospedali, mentre per le visite si deve andare nel privato, perché le agende degli ospedali pubblici sono chiuse, perché le liste d’attesa sono lunghe.
Provate voi a chiamare il numero verde del cup e ad ascoltare la musica fastidiosa.
Ma a parlare di questi argomenti, a parte Presadiretta e Report, c’è molta poca informazione: delle liste d’attesa ne parla ogni settimana il dottor Agnoletto nella trasmissione di Radio Popolare.
Ci sono esami in Lombardia che hanno tempi di attesa di più di 1 anno, come la colonscopia: ma se chiami il privato e paghi qualche centinaia di euro, basta aspettare pochi giorni.
La Lombardia ha tanti CUP, non c’è una sola struttura che vede tutte le agende pubbliche e private: questo produce il fatto che siamo prede dei privati accreditati - racconta la professoressa Sartor – ma sono i privati che scelgono loro quali esami fare e quali no, quelli più convenienti e remunerativi.
Sotto elezione però Fontana ha trovato i soldi per snellire le liste d’attesa, strano.

Se si vuole cambiare questo modello, bisogna far pagare ai privati, quelli che hanno aperto centri prelievi o di controllo perfino nelle metropolitane.
Caro cittadino sei insoddisfatto del servizio pubblico? Ci sono le smart clinic del privato, che decide lui quali servizi offrire al pubblico, decide lui quanto aprire delle sue agende.

Della sanità ne ha parlato il giornalista Michele Sasso: chi non può permettersi di spendere in Lombardia non può curarsi e questo aumenterà l’ingiustizia sociale.
Noi cittadini paghiamo le tasse affinché un sistema politico distruggesse i nostri diritti, il nostro sistema sanitario nazionale.

In Lombardia la coalizione di centro destra si è rafforzata, il PD ha rintuzzato l’attacco di Conte e dei 5 stelle, ma è una magra consolazione.
Stiamo arrivando ad una situazione di democrazia bloccata, una democrazia che esclude i molti a favore dei pochi, una democrazia per i clientes, per chi ha i danè.

Acqua meno 40%

Che bello il sole d’inverno: ma significa anche meno giornate di pioggia, le acque del fiume Po al minimo storico, la neve sulle montagne non placa la siccità del più grande fiume italiano.
I fiumi che scendono dal Monviso verso Torino sono desertificati: i segnali della siccità sono visibili da decenni, i nostri ambienti alpini sono caratterizzati da lunghe fasi di carenza idrica – racconta il professor Fenoglio a capo dell’osservatorio del Monviso.
Le Alpi non sono più un serbatoio alpino e così i fiumi diventano pericolosi anche dal punto di vista sanitario: le Alpi stanno sperimentando una crisi idrica senza precedenti.
Le nevicate sono poi spazzate via dal caldo, non si sciolgono più nella primavera: i ghiacciai sono arretrati anche di duecento metri.
A secco sono anche i laghi, come il Maggiore, come il Garda ai minimi storici: siamo a 70 cm in meno, acqua che non può entrare nei canali e nei campi da irrigare.
La prossima estate sarà difficile aprire il lago per dare acqua ai fiumi e ai canali: Michele Prunetti è un ricercatore del CNR, a Presadiretta racconta di come il 2022 sia stato l’anno con più siccità e anche l’anno più caldo, a soffrirne sono state le regioni del nord ovest.
Ma questo è un trend non una eccezione: negli ultimi 20 anni il nord si è scaldato sempre, ogni anno. L’inverno sarà sempre più corto, specie nelle montagne, stiamo perdendo la neve sulle montagne e questo significa meno acqua nei fiumi.
Il Po ha perso 5 mld di metri cubi di acqua: nel corso del fiume sorgono delle isole, tanto il fiume è basso. Le portate sempre inferiori del Po avranno un impatto sulla popolazione che vive attorno, sono 20 ml di abitanti di 4 regioni, che oggi dovrebbero occuparsi di questo problema andando nella stessa direzione.
Il Veneto ha 400 idrovore, migliaia di km di canali per portare l’acqua dove serve: la rete dell’acqua alimenta il territorio del Veneto, ma oggi le cattedrali dell’acqua sono in difficoltà.
Meno acqua, meno energia idroelettrica (come quella dalle turbine sul Brenta), meno acqua per i campi.
I consorzi agrari stanno pensando a ricaricare le valli con le risorgive, canali che imprigionano l’acqua.
Ma alla foce del Po si capisce bene l’entità del problema: qui l’acqua è infiltrata da quella salata del mare che crea problemi agli allevatori delle vongole e di altri molluschi.
I pescatori del consorzio del Po cosa faranno quando l’acqua del mare risalirà ancora di più verso il fiume?

A Porto Tolle hanno dovuto comprare un desalinizzatore dalla Spagna per avere acqua dolce: il riso è andato, racconta la sindaca, forse si salva qualcosa nell’entroterra.
Ma oltre che sensibilizzare la regione e Roma non possono fare nel comune di Porto Tolle: sanno che succederà di nuovo, questa estate, non avranno più acqua per le culture.

Il sale del mare brucia le campagne del Polesine: l’acqua dei canali è salata e le risaie così spariscono, arrivando alla desertificazione del territorio.
È un problema comune alle provincie di Rovigo e Ferrara: niente insalate IGP, niente radicchio, niente riso.

Senza acqua non possiamo fare niente, racconta a Presadiretta un agricoltore: dovrebbe essere un problema, anzi il problema di cui dovrebbero discutere i governanti alle varie COP.
A rischio sono anche le falde, anche loro sono a rischio, come i nostri consumi: già oggi i cambiamenti climatici, all’origine della siccità e della mancanza di pioggia e di neve, stanno creando problemi all’agricoltura.

A Pavia, zona di risaie, il paesaggio sta già cambiando: le tradizionali culture devono essere sostituite da nuove culture, meno idro-esigenti ma anche meno redditizie.

Alessandro Macina è andato a visitare l’azienda del signor Tacchini, che aveva 80 ettari di riso, “specialmente di qualità, come il riso Carnaroli, Volano, Arborio, che vengono usati specialmente nei ristoranti. Io ho perso nella mia azienda dal 65 al 70% di produzione lorda vendibile, non recuperabili. Io quest’anno ho già cambiato la mia produzione seminando dei cereali come l’orzo, la colza ..”
Questo scelta è fatta per cercare di far quadrare i conti, ma la resa non è la stessa: non è bastato nemmeno passare alla semina in asciutta del riso, con meno acqua, per salvare il raccolto.
“Il riso non si può fare senz’acqua: qui l’acqua arrivava con alla goccia oppure il canale era asciutto. Se vengono ancora annate così certe aziende chiudono. Vedendo le mie campagne bruciare e il secco, mi sentivo non in pianura Padana ma nel deserto. ”

Nella provincia di Lodi a fare le spese della siccità sono stati i campi di mais, che in estate hanno bisogno di tanta acqua.
I prati stabili della zona catturano la co2, danno foraggio di qualità per le mucche, che senza foraggio e acqua non produce latte e non si ingravida.
Meno cibo, meno latte, meno bovini: nel lodigiano potrebbero decidere di abbattere dei capi a causa della siccità: un problema rilevante per questa zona dove si produce il Grana Padano.
Il direttore del Consorzio del Grana Padano racconta che stanno addirittura pensando di riciclare l’acqua delle deiezioni.

In Emilia Romagna stanno studiando le irrigazioni intelligenti, con micro-irrigatori efficienti, controllati da remoto, per mantenere quell’agricoltura di qualità che avevano fino a qualche anno fa.

In Pianura Padana, al CREA, stanno già selezionando il grano che avrà bisogno di meno acqua: selezionano i geni delle piante che possano resistere alle maggiori temperature e alla minore irrigazione.
Piante pronte a tutto: il mondo della ricerca sta cercando il modo di selezionare piante che possano resistere domani. La stessa ricerca la fanno alla AgroInnova a Torino, con lavori di ricerca sui parassiti: qui raccontano di come le culture si sposteranno verso il nord, con un impatto importante sul PIL. Avremo le banane coltivate in Sicilia, ma anche l’avocado, il mango, che prendono il posto degli agrumeti, come se fossimo in un paese tropicale.

Quando piove, poco, perdiamo pure l’acqua dal cielo: tutta colpa della cementificazione dei campi per dar spazio alle autostrade, ai capannoni dei poli logistici che spuntano sempre più in Pianura Padana.
Il consumo di suolo è stato maggiore in Lombardia ed Emilia, le regioni che oggi soffrono di più della siccità: il suolo libero è capace di stoccare acqua – racconta il professor Sileri del Politecnico– acqua che viene poi distribuita alle falde. Ma con la cementificazione tutto questo è perso.

Non sappiamo quanta acqua consumiamo, non sappiamo quanta acqua cade sul territorio: conosciamo pochissimo una risorsa così preziosa, perché ci sono molti enti che non si scambiano dati, perché al sud ci sono molti enti privati che prelevano acqua direttamente dai bacini.
Dovremmo fare come in Umbria dove da 20 anni monitorano l’acqua consumata, l’acqua che esce dalle fonti, l’acqua che si perde nella rete di distribuzione.

L’idea della regione è collegare tutti i canali, le dighe, in una sola rete: la parola d’ordine è interconnessione, perché non esistono sorgenti infinite.

Che fare?

Secondo l’ANBI, l’associazione dei consorzi di bonifica, dobbiamo mettere le politiche di adattamento alla siccità in cima all’agenda politica: purtroppo delle acque se ne occupano tanti enti e diversi ministeri, non esiste una piano unico idrogeologico.

Il presidente di Anbi chiede che ci sia un solo ente che si occupi di questo problema, perché i cambiamenti climatici non aspettano i tempi della burocrazia.

Che proposte hanno fatto al governo? Il piano “laghetti” per creare riserve di acque nei momenti di siccità, piccoli invasi da creare sul territorio nazionale. Mancano i soldi però, sebbene l’idea funzioni, come si vede a Ravenna a Poggio san Ruffillo, dove i laghetti sono tutti collegati.
Potremmo fare lo stesso in Lombardia, nel bresciano nella zona dei fontanili: i laghetti li stanno costruendo nelle cave dismesse.
Si potrebbe recuperare l’acqua dalle acque reflue depurate, ma mancano gli impianti di recupero.

In Sardegna hanno fatto scorta di acqua col sistema delle dighe, gestite da un unico ente, la regione: l’acqua degli invasi serve poi nei periodi estivi, con meno precipitazioni. Le dighe sarde funzionano perché sono in comunicazione, possono trasferire l’acqua da un bacino all’altro, cosa importante quando piove in modo irregolare.

Nemmeno delle dighe abbiamo un censimento nazionale però, perché molte regioni non forniscono allo stato centrale tutte le informazioni: eppure come sanno in Spagna, le dighe sono fondamentali per contrastare la siccità.

In Olanda la sfida è oggi trattenere l’acqua, non tenerla fuori dai porti: a Rotterdam hanno realizzato dei laghetti urbani che raccolgono la pioggia, per non creare problemi alle case (e agli scantinati che si allagavano con la pioggia) e non disperderla.

Altra soluzione è aumentare le falde acquifere dei fiumi: usare il sottosuolo come una banca dove immagazzinare l’acqua, prendendola dai fiumi. Ci sono anche interventi di rimodulazione dell’alveo dei fiumi, sempre con l’obiettivo di tenerla nel sottosuolo ed evitare che arrivi nel mare.

Sono tutte tecniche che dovremmo mettere a fattor comune, senza dimenticarci poi l’obiettivo della lotta ai cambiamenti climatici, abbassando le emissioni, abbassando la temperatura del pianeta.