31 luglio 2020

Di fronte al tribunale del popolo

L'unico tribunale è quello del popolo - questo è un passaggio della difesa del senatore Salvini ieri in Senato.
Che non potrà ripetere davanti al vero Tribunale, quello del sistema giudiziario italiano, che Salvini in quanto esponente delle istituzioni dovrebbe conoscere.

Piacerebbe capire a quale tribunale del popolo fa riferimento Salvini: quello dei suoi elettori (secondo i sondaggi o secondo le elezioni)?, oppure un tribunale di persone prese dal popolo secondo sorteggio.

E piacerebbe capire in che modo Salvini pensa di aver difeso il paese: i porti non sono mai stati chiusi, quelle persone fermate in mare per giorni sono poi sbarbate dopo tante sofferenze.
In che modo alzare la voce ha aiutato a fermare l'immigrazione? Si è semplicemente eretto un muro, virtuale non come la grande Muraglia (che pure non è servita), tra noi e loro. L'Europa, e anche paesi come la Germania e l'Italia, pagano altri paesi per fare da gendarme, come sta facendo la Turchia o la Libia per noi.

Cosa potrebbe spiegare Salvini a questo Tribunale del popolo?
Che ha usato la vicenda di Open Arms per farsi propaganda?
Che il sacro cuore di Maria gli aveva detto che quelle persone erano meno civili, meno persone di noi?
Che bisogna punirne pochi per educare gli altri immigrati pronti a partire per la civile Europa in cerca di una vita migliore?

30 luglio 2020

La memoria del nostro passato

Ci avviciniamo al quarantennale della strage di
Da una parte la magistratura sta facendo un ennesimo sforzo per cercare di arrivare ai mandati della strage, individuati in quel grumo di potere opaco ed eversivo della Loggia P2, i loro appoggi oltre oceano e i servizi segreti (che chiamiamo deviati, anche se sempre loro sono).

Dall'altra parte la destra fascista che nemmeno si preoccupa di nascondersi anzi, proprio il 2 agosto ha deciso di manifestare a Roma.
Ogni anno, ad ogni anniversario spuntano nuove piste per la strage, che portano verso la pista straniera: piste che poi, passati quei giorni, svaniscono al sole.

Eppure ci sono le sentenze della magistratura, ci sono le carte, tenute nascoste per anni ai magistrati (ma anche oggi, gli atti desecretati sono pieni di omissis): carte che riportano i
C'è poi l'intercettazione di
Una strage per distogliere l'attenzione da un'altra strage, una battaglia aerea nei cieli del Tirreno che coinvolse aerei di diverse nazioni.

L’inchiesta sull’Italicus, Gelli e la P2 va riaperta di Sandra Bonsanti e Stefania Limiti 

4 agosto 1974: l’Italia è di nuovo in lutto. La mano stragista colpisce il treno Italicus nei pressi di San Benedetto Val di Sambro, nel Bolognese. Dodici morti e 40 feriti, ma solo perché il treno porta sei provvidenziali minuti di ritardo, altrimenti la bomba sarebbe scoppiata dentro una galleria e l’effetto detonante sarebbe stato orribile.

Aldo Moro sale a Roma su quel treno. Richiamato prima della partenza alla Farnesina, evita quella condanna a morte da cui non avrà scampo quattro anni dopo.

La strage non ha colpevoli per la nostra giustizia, né esecutivi né mandanti. Il principale indagato, poi definitivamente assolto, fu Mario Tuti, insieme a Luciano Franci e Piero Malentacchi. Per l’eccidio di Piazza Fontana, Franco Freda e Giovanni Ventura vennero e assolti e mai più toccati – per il famoso principio del ne bis in idem – eppure sappiamo tanto del 12 dicembre: chi architettò la strage, perché, il ruolo centrale di Ordine Nuovo, le deviazioni. Insomma, è chiara la cornice delle responsabilità. Ora occorre consegnare alle future generazioni una visione chiara di quel che accadde quell’agosto e non sarebbe oggi impensabile la riapertura di una indagine sui suoi mandanti.

Per la strage dell’Italicus è già stato accertato in sede parlamentare il diretto coinvolgimento della P2. La Commissione sulla P2 guidata da Tina Anselmi, sulla base degli elementi emersi dalle indagini delle autorità giudiziarie bolognesi, lo disse chiaro e tondo nella sua relazione finale: 1) la strage dell’Italicus è ascrivibile a un’organizzazione terroristica di ispirazione neofascista o neonazista operante in Toscana; 2) la Loggia P2 svolse opera di istigazione agli attentati e di finanziamento nei confronti dei gruppi della destra extraparlamentare toscana; 3) la Loggia P2 è gravemente coinvolta nella strage dell’Italicus e può ritenersene anzi addirittura responsabile in termini non giudiziari ma storico-politici, quale essenziale retroterra economico, organizzativo e morale. Eppure i fascisti che misero quelle bombe non poterono essere condannati così come i mandanti della P2 perché tutti i fili che conducevano alle loro responsabilità vennero spezzati grazie al “circuito della morte”: si organizza una strage insieme al suo depistaggio, e il pacchetto è chiuso. Tina Anselmi si chiese poi come fosse possibile, dopo la sua relazione, che non si muovesse nulla nel sistema giudiziario.

Il fatto è che le indagini erano state immediatamente sbaragliate dal meticoloso lavoro di disturbo degli uomini della P2. Il teste-chiave Aurelio Fianchini, principale accusatore di Tuti, Franci e Malentacchi, si è inabissato chissà dove: detenuto comune, aveva appreso in carcere da Luciano Franci i particolari dell’operazione Italicus e di come Malentacchi avesse disposto l’ordigno alla stazione di Firenze mentre Franci gli copriva le spalle. Non si presentò al processo, sparì dalla circolazione e smise di “cantare”. Una donna disse a un giudice che l’autore della strage era proprio Tuti, ma la sua denuncia fu archiviata e lei spedita in una casa di cura per mitomania: il giudice era Mario Marsili ed era il genero di Licio Gelli, il gran venerabile della Loggia massonica P2. Quanto poi all’imputazione di favoreggiamento aggravato nei confronti del colonnello Domenico Tuminello, comandante del gruppo carabinieri di Arezzo, iscritto alla P2, cadde in prescrizione: Tuminello aveva ignorato la segnalazione fatta nell’agosto-settembre del 1974 dal generale Bittoni, comandante dell’VIII brigata carabinieri di Firenze, relativa ai nomi (Franci, Malentacchi e Batani) di tre soggetti che secondo informazioni provenienti dalla federazione Msi di Arezzo sarebbero stati implicati nella strage. E poi: quando i giudici bolognesi chiesero notizie su Licio Gelli al Sid (che ne aveva in abbondanza) il comandante del servizio, l’ammiraglio Casardi, rispose inviando una misera rassegna stampa.

La bomba era stata collocata sul treno, nella carrozza numero 5, in prima classe, durante la sosta alla stazione di Firenze. Firmò la perizia balistica e chimica il colonnello Spampinato che, qualche anno più tardi, violando qualsiasi riservatezza, rivelerà al Sismi di Firenze la composizione dell’esplosivo utilizzato nella strage di Bologna, informazione che consentì a Gelli e ai suoi sodali di realizzare i depistaggi piazzando esplosivo analogo sul treno Taranto-Milano del 13 gennaio 1981. Nel maggio del ’74 il generale Gianadelio Maletti, capo del controspionaggio, piduista poi condannato per le protezioni ai fascisti che avevano organizzato la strage di Piazza Fontana, aveva redatto una dettagliata annotazione, grazie alla famigerata Fonte Tritone (Maurizio Tramonte, di recente condannato per la strage di Piazza della Loggia) che spiegava le connessioni tra il gruppo storico di Ordine nuovo, la sua diramazione toscana e la strage dell’Italicus. Maletti si guardò bene dal passare agli investigatori la breve nota. I processi si svolsero quasi al buio e furono “smembrati”: quelli per gli attentati ai treni realizzati nell’aprile del 1973, di sicuro finanziati da Licio Gelli, presero strade diverse, il terrorista nero Augusto Cauchi, allevato da Gelli personalmente, ricercato per quello e altri attentati ai treni in Toscana, fu avvertito dall’imminente cattura. Cauchi aveva potuto rifornirsi di armi ed esplosivo grazie a un assegno che il Venerabile Licio gli mise in tasca proprio nella sua comoda Villa Wanda. Insomma, la P2 di Licio Gelli realizzò la strage dell’Italicus e diede protezione ai suoi responsabili. Tanti documenti lo affermano. Il piano è noto: l’Italia non doveva essere un Paese democratico e le forze autoritarie della destra, attorno al sistema P2, tentarono prima il golpe, poi la via del presidenzialismo autoritario. Fallirono, lasciando tuttavia un Paese ferito. Stanno emergendo con chiarezza le nefandezze stragiste della P2 grazie alle indagini della Procura generale di Bologna: anche se il giudizio politico e storico è scolpito nella pietra, c’è quanto basta perché si riapra il processo giudiziario per i mandanti della strage dell’Italicus.

27 luglio 2020

Bugiardi (esempi di cattivo giornalismo)

Vi ricordate la battaglia contro l'anonimato in rete, contro le fake news?

Ecco, lasciamo perdere.
Se sono i giornali stessi che le creano le fake news con articoli con tanto di nome e cognome.

Per esempio sul caso Fontana (ovvero Lega in regione Lombardia):

Il giornale 27/7/2020

La verità 27/7

Fontana non è indagato per un regalo e quello che sta succedendo non è un linciaggio (semmai il linciaggio lo abbiamo subito noi, ma è un discorso che affronteremo alle prossime elezioni).

Notate una cosa leggendo come viene raccontata la vicenda del compagno di Rocco Casalino (il portavoce di Conte): ecco come funziona il garantismo a seconda della convenienza politica.

26 luglio 2020

Esempi di buon giornalismo


Sono due le notizie che mi hanno colpito e che è opportuno sottolineare: sono notizie che in questi giorni stanno facendo rumore mediaticamente ma che sono uscite mesi fa e che sono riferite a fatti avvenuti nel passato, anche lontano.

L'inchiesta sui finanziamenti di Gelli all'estrema destra, su cui sta indagando la Procura Generale di Bologna, come nuovo filo di indagine sulla strage di Bologna. La bomba per cui sono stati ritenuti responsabili i neofascisti dei Nar (Mambro, Fioravanti e Cavallini), su cui sono stati condannati per depistaggio Gelli e due ufficiali dei servizi (Santovito e Belmonte) e su cui ogni tanto torna a spuntare la pista internazionale (come anche per Ustica).

Esiste una traccia di soldi usciti dall'Ambrosiano di Calvi, passati per i conti di Gelli e finiti ai neofascisti nei giorni della strage e usati anche per proteggerne la latitanza a Londra.
Forse la nostra storia è veramente da riscrivere, ma non per tirare in ballo le toghe rosse come sostengono i giornali della destra, ma per ricordarci quando la nostra democrazia sia fragile e legata ad interessi che si muovono al di fuori delle regole e delle leggi.

La seconda notizia, di cui oggi parlano tutti i giornali, è l'inchiesta che tocca il presidente della Lombardia Attilio Fontana, per l'inchiesta sui camici.
Una donazione, non una vendita, no ma io non ne sapevo niente, no ma poi ho ripagato io a mio cognato, con soldi provenienti da un conto svizzero, frutto di una eredità che stava in due trust nascosti al fisco alle Bahamas, poi scudati grazie alla volontary disclosure di Renzi nel 2015.

La solita giustizia ad orologeria, violazione del segreto istruttorio, la regione non ha cacciato un euro, sono indagato per una donazione … queste le scuse puerili con cui la Lega e i suoi esponenti, cominciando da Salvini, sperano di difendersi.
Di mezzo però ci sono le morti per Covid, il personale medico che non aveva dispositivi e camici nelle settimane del picco del virus, un presidente di regione che non è trasparente, che racconta bugie.
Anche questa storia è stata raccontata per la prima volta da Report, a giugno, in una puntata che non aveva suscitato tante reazione, se non il solito annuncio di querela.

Ecco, questo è il giornalismo vero, quello che informa, che parte da un fatto per raccontare una storia per informare i lettori.
Su quella che è stata l'Italia negli anni settanta, ottanta, terreno di scontro per la guerra fredda, un paese dove la democrazia era bloccata per l'impossibilità di una alternanza politica tra destra e sinistra.
Un paese sotto forte influenza dell'alleato americano.

E sull'Italia di oggi, un paese con regioni che vantano buon governo e reclamano autonomia per gestirsi i soldi pubblici su sanità, scuola, sicurezza e che poi non sanno essere trasparenti né efficienti per tutelare la nostra salute.

25 luglio 2020

Riccardino di Andrea Camilleri



Il tilefono sonò che era appena appena arrinisciuto a pigliari sonno, o almeno accussì gli parsi, doppo ore e ore passate ad arramazzarisi ammatula dintra al letto. Le aviva spirimintate tutte, dalla conta delle pecore alla conta senza pecore, dal tintari d’arricordarisi come faciva il primo canto dell’Iliade a quello che Cicerone aviva scrivuto al comincio delle Catilinari. Nenti, non c’era stato verso. Doppo il Quousque tandem, Catilina, nebbia fitta. Era ’na botta d’insonnia senza rimeddio, pirchì non scascionata da un eccesso di mangiatina o da un assuglio di mali pinseri.
Addrumò la luci, taliò il ralogio: non erano ancora le cinco del matino. Di certo l’acchiamavano dal commissariato, doviva essiri capitata qualichicosa di grosso. Si susì senza nisciuna prescia per annare ad arrispunniri.
 
Aviva ’na presa tilefonica macari allato al commodino, ma da tempo non l’adopirava pirchì si era fatto pirsuaso che quella piccola caminata da ’na càmmara all’autra, in caso di chiamata notturna, gli dava la possibilità di libbirarisi dalle filinie del sonno che si ostinavano a ristarigli ’mpiccicate nel ciriveddro. 
«Pronto?». 
Gli era nisciuta ’na voci non sulo arragatata, ma che pariva macari ’mpastata con la coddra. 
«Riccardino sono!» fici ’na voci che, al contrario della sò, era squillanti e fistevoli.

Riccardino è l'ultimo romanzo di Camilleri, l'ultimo giallo col commissario Montalbano: il maestro ci ha lasciati così, con questo giallo che è anche qualcosa in più.
Non doveva essere questo il titolo, è rimasto così fin dalla prima stesura del 2005 (poi rivista nel 2016), Riccardino e basta: in questo Camilleri è sia autore che protagonista della storia, così come Montalbano è sia protagonista del racconto (per cui personaggio reale di una storia inventata) che personaggio della serie televisiva (personaggio inventato di una storia inventata), creando uno sdoppiamento che mette in difficoltà non solo il lettore, ma anche i cittadini vigatesi, quando se lo ritrovano di fronte.
«Talè! Talè! ‘U commissariu arrivò!» 
«Montalbano è!» 
«Cu? Montalbanu? Chiddro di la televisioni?» 
«No, chiddro vero».

C'è un Montalbano che ragiona e un Montalbano che si osserva, compiaciuto nei suoi confronti per la recita che ha messo di fronte a dei testimoni, di cui sospetta che nascondano qualcosa.
C'è un Montalbano che viene svegliato alle cinque di mattina da una telefonata che non era diretta a lui e c'è anche un Montalbano che si trova a discutere dell'indagine, di come deve andare avanti il suo lavoro di sbirro con l'Autore, che cerca di imporgli una sua soluzione.
E' un continuo scontrarsi tra l'autore, inventato ma reale, e il commissario, reale nella storia ma inventato pure lui, un duello in cui il primo rinfaccia al secondo la sua stanchezza, la confusione che crea nel lettore per le troppe piste mentre il secondo rinfaccia all'autore il volersi intromettere:
Bel duello, Commissario. Però finiamola qua, io non posso sfoggiare molta cultura, sono considerato uno scrittore di genere. Anzi, di genere di consumo. Tant'è vero che i miei libri si vendono macari nei supermercati.

In questo romanzo Camilleri fa tornare anche il ricordo della madre di Montalbano, morta quando lui era nicareddro e di cui gli rimanevano pochi ricordi. Il colore dei capelli, la gioia nell'aspettare il regalo che la madre gli avrebbe portato il 2 novembre (una volta i regali li portavano i morti)
Ma di subito gli vinni un pinsero: se arrinisciva a ristari vigliante, sicuramenti avrebbi viduto a sò matre.Di lei non s'arricordava nenti, tranne 'na speci di luci biunna 'n movimento, come le spiche di frumento quanno supra ci batte il soli, e delle spiche di frumento cataminate dal vento faciva lo stisso fruscio liggero liggero.

Ma questo è anche un racconto giallo anche se, una volta arrivati all'ultima pagina, vi rimarrà in bocca un sapore strano.

Un uomo viene ucciso davanti ai propri amici, mentre si stanno preparando per una gita in montagna.
Il morto è proprio quel Riccardo, o Riccardino, aveva telefonato a Montalbano a cui quest'ultimo, maligno, aveva nascosto l'errore nella chiamata.
Un motociclista spuntato da una stradina gli ha sparato, appena completata la telefonata: per sottrarli alla curiosità morbosa della folla, Montalbano li convoca in ufficio, per iniziare a capirci qualcosa di questo delitto che, per sua stessa ammissione, non ha voglia di affrontare.

I tre, o i quattro, erano molto amici, i “quattro moschettieri” si chiamavano tra di loro: un rapporto molto stretto, dai tempi della scuola. Le risposte alle sue domande non persuadono Montalbano che ingegna un tranello, una messinscena, per aprire una crepa nel muro, forse omertoso, che i tre hanno costruito.

Per quale motivo è stato ucciso Riccardo o Riccardino? L'indagine viene prima sottratta e poi riassegnata a Montalbano, perché qualcuno in alto loco spinge affinché torni al commissario.
E non è l'unica cosa strana: c'è uno strano interessamento da parte del vescovo di Montelusa (zio di uno dei tre moschettieri) sull'indagine. Il morto che era un fimminaro peggio di Augello, con una moglie pacenziosa che accettava le sue corna e le tante amanti, tutte all'interno della cerchia delle mogli dei suoi amici. Corna confermate dalla solita, immancabile lettera anonima.
Perché i tre moschettieri accettavano quelle corna? Che rapporto avevano con Riccardo o Riccardino?
E poi c'è il mistero del camion notturno, che ogni notte disturba il sonno (oltreché i tubi dell'acqua) della chiromante Tina Macca: un camion che arriva, scarica un pacco, lo getta nell'immondezzaio dall'altra parte di un muro. Pacco che viene poi recuperato poco dopo.

Ma allora, per cosa è morto Riccardino? Per una storia di corna, come sembra chiaro a tutti, ma non a Montalbano? E che ci trase questo camion, che è guidato proprio da un autista della miniera presso cui lavoravano, come impiegati, tre dei “quattro moschettieri”?
A tia non ti nni futti nenti né della logica dell'indagini né delle regole da seguiri. Parlamonni chiaro: tu mi vuoi solo sputtanare, Montalbà. Vuoi fari tirreno abbrusciato torno torno a mia. Vuoi che i miei romanzi su di te diventino illeggibili.

Il fiuto del Montalbano sbirro si è acceso: dietro quei quattro personaggi, le cui vite sono tutte intrecciate tra loro come la “corona dei surci” (un'altra efficace metafora di Camilleri, quella dei topi con le code intrecciate tra loro che non possono separarsi), c'è qualcosa di molto più grosso, che porta ad un costruttore nonché trafficante di droga su su fino ad un deputato in odore (o puzza) di mafia e per questo promosso al ruolo di sottosegretario.

«Che è 'sta curuna, dottore?» 
«'Na cosa che vitti quanno ero picciliddro e che non ho cchiù scordata, tanto mi 'mpressionò. Mè nonno aviva addiciduto d'abbattiri il forno di casa, che era 'na speci di cammareddra allato alla casina di campagna, e acchiamò i muratori. Chisti accomenzaro a picconari e avivano abbattuto squasi mezzo muro quanno da un pirtuso scapparo 'na decina di surci bastevolmentei grossi. Era 'na tana e dintra ci stavano sei surci con le code longhe longhe 'nturciuniate tra loro, a formari 'na speci di coruna, appunto. Le code erano accussì stritte stritte che i surci non potevano cataminarisi perché ognuno tintava di fuìri in una direzione diversa ..»

Ma questa è una pista che non piace al vescovo, non piace al “signori e questori” e, cosa che fa girare i cabasisi al Montalbano personaggio, nemmeno all'autore:
.. stai lustrando i soliti pupi del tuo consueto teatrino dell'opera dei pupi. E cioè quello dove s'inscena il fritto e rifritto rapporto mafia e politica sul quale i miei lettori cominciano a dare più che giustificabili segni di stanchezza. Sai quanti mi chiedono «una semplice storia gialla» che sia semplicemente tale, vale a dire senza che c'entri la politica o la mafia?

Un maestro, come Camilleri, sa quando è il momento di uscire di scena, quando non hai più la libertà e la serenità di scrivere quello che vuoi, quando sente di non aver più nulla di interessante, quando sente di essere vittima del suo stesso genere letterario, del suo personaggio..
Ed ecco allora la gomma, per cancellare la pagina, per scomparire, per andarsene.
E per lasciarsi, come eredità per noi e per chi verrà dopo di noi, la sua enorme opera letteraria.

La scheda del libro sul sito di Sellerio.
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23 luglio 2020

Poche mele marce

Erano poche mele marce a Genova, al 2001.
Erano poche mele marce anche nel caso dell'ex presidente Marrazzo.
Come poche mele marce quelle in cui si è imbattuto Stefano Cucchi.


Forse anche a Piacenza, dopo i casi nelle caserme della Lunigiana, sono solo poche mele marce.
Un anno fa veniva arrestato il presidente del Consiglio Comunale, oggi una caserma intera dei carabinieri è stata messa sotto sequestro.
No, non sono i personaggi della serie dei Bastardi, di Maurizio De Giovanni, che tra l'altro erano poliziotti.
Questa è la realtà.
La realtà che ci racconta della presenza, della colonizzazione della criminalità organizzata nelle province del nord (e oggi sentiamo al nord le frasi sentite decine di anni fa in Sicilia, la mafia non esiste).
La realtà che ci dice che forse il problema non è solo di poche mele marce: le storie citate sopra (e che Bonini racconta oggi sul suo articolo su Repubblica) parlano di violenza, di omertà coinvolgendo non solo militari di grado inferiore, ma anche ufficiali.

Come ci si arriva a questo?
Come succede che una persona in divisa decida di attraversare il confine tra cosa si può fare e cosa no?

Per Genova, per le violenze, per le torture (in cui anche la polizia era coinvolta) hanno pagato solo i vertici e solo dopo anni.
Sul caso Cucchi ha dovuto lottare con forza la sorella di Stefano, Ilaria, per avere giustizia in un processo che ha smascherato la vergogna.
Ora tocca ancora alla magistratura fare chiarezza, dare giustizia alle vittime e dare speranza a noi sul fatto che lo stato è in grado di fare pulizia al suo interno. 
Che nessuna mela marcia è tollerata.
Che nessuna violenza è tollerata, nemmeno se si tratta di spacciatori o persone deboli.
Anche se il clima politico di questi anni va in direzione contraria, quella che bisogna essere forti coi deboli e deboli coi forti.

22 luglio 2020

Ora la palla passa a noi

In fondo quello che è successo l'altra notte al consiglio europeo, importa a nessuno.
L'accordo per i 750 miliardi del recovery fund, di cui alcuni a fondo perduto viene visto come un successo incredibile da parte dei tifosi del governo Conte e come un'operazione di indebitamento (e solo di facciata) da parte dei giornali di destra (da Libero a Repubblica).

Capiremo se sarà una operazione storica (visto anche l'atteggiamento di Merkel e del governo tedesco, che ha abbandonato l'austerità) quando arriveranno i soldi, quando avremo un piano concreto e una squadra che prenderà una decisione su come spenderli.

Al momento siamo solo alle buone intenzioni: piano green, scuola, ricerca (della sanità ce ne siamo già dimenticati)...
Rimane il tifo, rimane l'incoerenza di fondo di tutte le frasi sentite nei giorni passati.
Il tifo per i paesi frugali che poi tanto frugali nel welfare non lo sono, da parte dei liberisti nostrani che si lamentano sempre dei soldi dati alle persone in difficoltà (la guerra al reddito di cittadinanza).
La bufala dei sovranisti olandesi, o danesi, che non vogliono pagare le pensioni generose agli italiani. A meno che si riferiscano alle pensioni d'oro o ai vitalizi.
L'età media delle pensioni (e il valore medio delle pensioni) in Italia è, dopo le riforme fatte, in linea con gli altri paesi europei.
I sovranisti olandesi non vogliono pagare l'abbassamento delle tasse che oggi i politici italiani chiedono? Beh, che si mettano d'accordo tra sovranisti (è Salvini che vuole la flat tax).

Ora la palla passa a noi: che dobbiamo capire se vogliamo salvaguardare questo modello basato sul basso costo del lavoro, sul cemento, sulle auto, sull'intasamento dei centri urbani, sia per i turisti che per i pendolari che devono muoversi e non stare a casa a fare i lazzaroni, sulla tutela delle nostre opere d'arte che hanno bisogno di una influencer per fare cassa (come se l'arte fosse solo questo, biglietti staccati, incassi e non un patrimonio da tramandare di generazione in generazione).

20 luglio 2020

I tifosi dei frugali

Ma i tanti tifosi dei paesi chiamati "frugali" sanno che una delle richieste fatte all'Italia è combattere l'evasione?
Che la frugale Svezia ha un sistema di welfare che noi ci sogniamo, un sistema scolastico che investe nelle scuole pubbliche specie nelle zone disagiate?
Che in Olanda esiste un reddito di cittadinanza da anni che ammonta a 900 euro e un reddito minimo da 1600 euro.
E che si spende il 5% del PIL in istruzione.
Vogliamo diventare frugali anche noi?
Bene, iniziamo a toccare tutte le rendite parassitarie, cominciando dalle concessioni generose concesse nel passato, dalle pensioni d'oro e via discorrendo..
E poi ci metteremo anche noi a fare dumping fiscale all'Olanda e agli altri paesi.
E poi chiederemo all'Olanda di farsi carico dei migranti (perché solo noi) e della cassa integrazione delle aziende che hanno sede fiscale da loro.

Vi rendere conto che di questo passo non si va lontano?
Che è facile fare il tifo per i frugali rimanendo un un paese pieno di disuguaglianze come questo?

19 luglio 2020

Borsellino, la trattativa, la credibilità di uno Stato



Immagine presa dal sito Abbanews
Palermo, luglio 1992Preparativi e uccisione di Paolo Borsellino 
Lo prenderanno quando va a trovare la vecchia madre, in via D'Amelio. Lo fa sempre e le modalità sono sempre le stesse. Arriva con la scorta, scende e suona il citofono. Si può parcheggiare un'automobile imbottita di tritolo lì davanti, nessuno ha pensato di vietare il parcheggio per sicurezza. Poi la si a esplodere con il telecomando. Sarà un'esplosione terribile, salteranno i vetri di tutti i palazzi, bisognerà fare attenzione a non rimanere colpiti dai frammenti o dall'onda d'urto.
Una Fiat 126 viene rubata, allestita con l'esplosivo e parcheggiata davanti al portone di via D'Amelio. Nel pomeriggio Borsellino arriva con le modalità previste: oltre a Paolo Borsellino muoiono gli agenti di scorta Agostino Catalano (capo scorta), Emanuela Loi (la prima donna a far parte di una scorta e a cadere in servizio), Vincenzo Li Miuli, Walter Eddie Crosina e Claudio Traina. L'unico sopravvissuto è Antonio Vullo.La detonazione si sente in tutta Palermo, così come si vede la nuvola d fumo che ha provocato. Il blocco motore della Fiat 126, sbalzato, viene ritrovato intero e con il numero di telaio. Una ricognizione indica come possibile luogo da cui è stato azionato il telecomando il Castel Utveggio, una struttura alberghiera costruita sul monte Pellegrino negli anni trenta e diventata poi sede del Sisde. I tabulati telefonici mostrano che tra il Castello e i cellulari coinvolti nella strage sono avvenute alcune chiamate. I carabinieri, subito arrivati sul posto, prendono la borsa del magistrato ucciso, che contiene un'agenda rossa su cui Borsellino scriva i suoi appuntamenti e le annotazioni più riservate. L'agenda scompare.
 
Patria - Enrico Deaglio

Quando Deaglio scrisse questo enorme saggio sulla storia italiana recente, alcuni nuovi fatti sulla strage di via D'Amelio dove fu ammazzato Paolo Borsellino assieme alla sua scorta, non erano noti o non del tutto chiariti.
Il pentimento di Gaspare Spatuzza che si è autoaccusato della preparazione della strage, ha raccontato delle strane presente (servizi?) nel garage dove la 126 fu imbottita di esplosivo, ha riportato ai magistrati le parole dei fratelli Graviano, “abbiamo il paese in mano”, grazie a Berlusconi, quello di canale 5 e al nostro compaesano.

Non era ancora del tutto chiaro il quadro della trattativa stato-mafia, dentro cui Borsellino si erano trovato, informato da Liliana Ferraro, la collaboratrice di Falcone che ne prese il posto al ministero dopo Capaci.
Sapeva degli incontri tra esponenti del Ros e Ciancimino per capire “questi” (i mafiosi) cosa volevano, per fermare le stragi e i delitti minacciati ai politici.

Non era ancora emerso, in tutto il suo squallore, il depistaggio di Stato da parte dei poliziotti della squadra di Arnaldo La Barbera, questore di Palermo, che crearono il pentito fantoccio, Vincenzo Scarantino, che si autoaccusò della strage a suon di violenze, per poi ritrattare e infine ammettere tutto.
Il pentito finto che serviva a placare l'ansia di giustizia del paese, ma anche ad allontanare le indagini da persone e trame che dovevano rimanere nascoste.

La strage di via D'Amelio, con le sue false verità, col falso pentito che è stato ritenuto credibile da tanti magistrati (come la procura di Caltanissetta di Tinebra), coi suoi tanti misteri (perché quel secondo botto a soli 55 giorni da Capaci), coi suoi pezzi mancanti (l'agenda rossa di Borsellino sparita, il traffico telefonico del suo cellulare), è una macchia per le nostre istituzioni: perché mette in luce i rapporti tra la mafia e pezzi dello stato, le collusioni, i ricatti e, dall'altra parte, ci ricorda ancora una volta di più il debito che abbiamo nei confronti delle vittime della stagione delle stragi, poliziotti, magistrati, civili, uccisi in una guerra scatenata per fare la pace.
Per trovare nuovamente quell'accordo tra cosa nostra e quella parte delle istituzioni che è sempre andata a braccetto con essa, sin dai tempi della strage di Portella e del caffè avvelenato che uccise Pisciotta in carcere all'Ucciardone.

Ed è qualcosa di poche settimane fa l'uscita, nel corso della trasmissione Atlantide, di Alfredo Morvillo, fratello di Francesca, sulle menti raffinatissime dietro l'attentato a Falcone all'Addaura, dietro la campagna di discredito fatta ai suoi danni con le lettere del corvo, con gli articoli sui giornali e gli attacchi personali.
Una di queste menti sarebbe l'ex agente del Sisde Bruno Contrada.

La strage di via d'Amelio, e le bombe della stagione stragista della mafia del 1992-1993 ci portano dentro il lato oscuro della nostra storia, portando alla luce mostri che credevamo sepolti nel passato.
Gladio i suoi segreti e i suoi uomini,messi alla porta col crollo del muro di Berlino che reclamavano ai loro padroni una buonuscita per i loro servigi (le telefonate di rivendicazione fatta a nome della sigla Falange Armata, da luoghi dove erano presenti sedi del Sismi.

La nascita delle leghe meridionali, il ruolo della massoneria deviata, la mafia che voleva fondare il suo partito al sud, il crollo dei partiti per mano delle inchieste dei giudici milanesi, della sentenza della Cassazione che metteva nero su bianco l'esistenza di Cosa nostra come struttura unitaria e verticistica, che mandava in carcere i boss mafiosi con fine pena mai o a condanne per decine di anni..
Stava crollando un mondo di potere, di omertà, di carriere politiche costruite sul ricatto, sul compromesso, di ricchezza per quella marea di soldi guadagnati illecitamente con gli appalti pubblici prima e con la droga poi. Soldi riciclati grazie alla compiacenza di finanzieri come Sindona e Calvi, di banche siciliane e non, che non si sono fatti problemi perché pecunia non olet.

Le bombe della mafia, quelle in Sicilia del maggio luglio 1992 e quelle del 1993 sono parte di un dialogo, per condizionare la politica dei governi italiani che si sono succeduti in quegli anni: ammorbidire la situazione nelle carceri, tornare indietro dalle leggi approvate sull'onda delle stragi (il decreto Falcone, l'istituzione delle super carceri a Pianosa e l'Asinara), frenare l'emorragia dei pentiti.
È chiaro che l’eventuale revoca, anche solo parziale, dei decreti che dispongono l’applicazione dell’articolo 41 bis potrebbe rappresentare il primo concreto cedimento dello Stato, intimidito dalla stagione delle bombe. (Nota Dia al ministro dell’Interno, 10 agosto 1993, classificazione: RISERVATO)

Trovare nuovi referenti nel mondo politico, per far finta che tutto cambiasse ma per non cambiare nulla.
Ogni anno, ad ogni anniversario delle stragi, seguiamo lo stesso cerimoniale in ricordo delle vittime, con le stesse parole che si ripetono. Ci dovremmo consolare del fatto che i mandanti delle stragi, i boss mafiosi, sono morti o in carcere, che l'ala stragista della mafia è stata sconfitta.
Dovremmo prendere per buona la tesi che, sì, forse la trattativa c'è stata ma lo stato alla fine ha vinto.

E a chi importa se, per quella trattativa, sono morte delle persone..
Quale stato, però ha vinto?
Quello di Berlusconi e Dell'Utri? Quello di Contrada che ancora oggi reclama la sua innocenza?
Quello emerso dalle telefonate tra Mancino, l'ex presidente Napolitano e il suo consigliere D'Ambrosio che, in una intercettazione esprimeva tutti i suoi dubbi su quei giorni “lei sa ciò che ho scritto … episodi che mi preoccupano .. considerato di essere scriba per indicibili accordi”.

Borsellino, come Falcone, come Dalla Chiesa, come Cesare Terranova, come don Pino Puglisi, come Mario Francese e tanti altri, forse avrebbero preferito rimanere vivi e non diventare eroi, specie in questo paese dove spesso gli eroi sono usati come figurine e non come un modello da seguire.
Uno strano garantismo viene usato come arma di difesa nei confronti dei potenti coinvolti nelle inchieste su mafia e politica, i negazionisti della trattativa si ostinano a volerci far credere che a Capaci, in via D'Amelio (e a Firenze alla Torre dei Pulci, al Pac a Milano) sia solo mafia.
Dovremmo fermarci a Riina e Provenzano, senza allargare lo sguardo alle complicità istituzionali che hanno goduto per anni: i figli di Riina fatti nascere alla clinica Noto, i 43 anni di latitanza di Provenzano e i 21 di Matteo Messina Denaro per rimanere ai tempi moderni.

No, se vogliamo veramente tornare a respirare quel “fresco profumo di libertà” (usando le parole di Borsellino) serve uno scatto di coraggio, da parte delle istituzioni, serve uno Spatuzza all'interno dello Stato,
proprio per la salvezza dello Stato.

17 luglio 2020

Riccardino sono (l'incipit dell'ultimo romanzo di Camilleri)

E' uscito ieri, postumo, il romanzo Riccardino di Andrea Camilleri.


L'incipit del romanzo, che comincia con una telefonata da un numero sconosciuto al commissario Montalbano, di prima mattina, dopo una notte insonne.
Il tilefono sonò che era appena appena arrinisciuto a pigliari sonno, o almeno accussì gli parsi, doppo ore e ore passate ad arramazzarisi ammatula dintra al letto. Le aviva spirimintate tutte, dalla conta delle pecore alla conta senza pecore, dal tintari d’arricordarisi come faciva il primo canto dell’Iliade a quello che Cicerone aviva scrivuto al comincio delle Catilinari. Nenti, non c’era stato verso. Doppo il Quousque tandem, Catilina, nebbia fitta. Era ’na botta d’insonnia senza rimeddio, pirchì non scascionata da un eccesso di mangiatina o da un assuglio di mali pinseri. 
Addrumò la luci, taliò il ralogio: non erano ancora le cinco del matino. Di certo l’acchiamavano dal commissariato, doviva essiri capitata qualichicosa di grosso. Si susì senza nisciuna prescia per annare ad arrispunniri. 
Aviva ’na presa tilefonica macari allato al commodino, ma da tempo non l’adopirava pirchì si era fatto pirsuaso che quella piccola caminata da ’na càmmara all’autra, in caso di chiamata notturna, gli dava la possibilità di libbirarisi dalle filinie del sonno che si ostinavano a ristarigli ’mpiccicate nel ciriveddro. 
“Pronto?”. 
Gli era nisciuta ’na voci non sulo arragatata, ma che pariva macari ’mpastata con la coddra. 
“Riccardino sono!” fici ’na voci che, al contrario della sò, era squillanti e fistevoli. 
La cosa l’irritò. Come minchia si fa ad essiri squillanti e fistevoli alle cinco del matino? E inoltre c’era un dettaglio non trascurabile: non accanosciva a nisciun Riccardino. Raprì la vucca per mannarlo a pigliarisilla in quel posto, ma Riccardino non gliene detti tempo. 
“Ma come? Te lo scordasti l’appuntamento? Siamo già tutti ccà, davanti al bar Aurora, ci ammanchi sulo tu! È tanticchia nuvolo, ma cchiù tardo sarà ’na jornata bellissima!”. 
“Scusatimi, scusatimi… tra deci minuti, un quarto d’ura massimo, arrivo”. 
E riattaccò, tornanno a corcarisi. 
D’accordo, era ’na carognata, avrebbi dovuto diri la virità: avivano fatto il nummaro sbagliato, ’nveci accussì quelli davanti al bar Aurora ci avrebbiro pirduto ’na mezza matinata aspittanno a vacante. 
D’autra parti, a voliri essiri giusti, non è consintito a nisciuno di sbagliari nummaro alle cinco del matino e po’ passarisilla liscia.
Il sonno era oramà perso senza rimeddio. Meno mali che Riccardino gli aviva ditto che la jornata sarebbi stata bona. Si sintì racconsolato.

Come la pioggia sul cellofan di Grazia Verasani


 
Due settimane fa

Sia messo agli atti che non mi ubriacavo in modo così esagerato da tempo e che avevo un’ottima ragione per farlo. Non molte ore prima Luca Bruni aveva radunato le sue poche cose mentre io non c’ero e se n’era andato senza lasciare un biglietto, solo la sua copia delle chiavi di casa sul tavolo. Mai stato tipo da scrivere biglietti, del resto, e poi non c'erano spiegazioni da dare..

Sapendo dell'uscita di questo nuovo romanzo, il mese scorso mi sono riletto il primo romanzo di Grazia Verasani con protagonista l'investigatrice bolognese Giorgia Cantini, Quo Vadis, baby?
Sono passato così, in un balzo solo di più di dieci anni, dal principio alla fine (per il momento): in questi anni Giorgia non ha ancora fatto del tutto i conti con la morte della sorella Ada (suicidatasi senza un biglietto a Roma, dove inseguiva il suo sogno di fare l'attrice); il padre non è più una presenza burbera nell'agenzia; Lucio, il suo assistente, è stato sostituito da Genzianella, una florida ragazzotta di campagna cresciuta in una famiglia di donne (che ha volte la sorprende per la sua ingenuità).
E in quanto all'amore, la relazione col capo della Mobile Bruni è finita nel modo più difficile da digerire: mollata da un giorno all'altro, dopo che il poliziotto ha deciso di tornare dalla ex moglie, dopo un riavvicinamento nato dall'incidente del figlio.

Per questo (e per le altre ferite sul suo corpo), la troviamo ubriaca in un bar, nel tentativo di distrarsi dalla verità, dalla fine di quella relazione che sembrava funzionare bene, perché libera da tante paure che possono bloccare un rapporto.
Non rimane che il bere e il tempo, come dice quella massima: “niente può immunizzarci da un amore finito tranne il tempo che passa (il più è sapere quanto ci mette)”.

Ma prima che il tempo faccia il suo corso, in soccorso arriva un nuovo lavoro, direttamente da Mel, il suo amico amante dei vinili d'epoca: si tratta di un caso di stalking dove, diversamente dalla maggioranza dei casi, la vittima è un uomo, Furio Salvadei, cantante ancora famoso, ma ormai sul viale del tramonto, qualche buon disco tanti anni fa e, oggi, una ex compagna e due figli alle spalle .
Una donna lo perseguita, presentandosi ovunque vada: è una sua fan, conosciuta nel camerino per caso, un malore alla fine di un concerto.
Furio le chiede di aiutarla per mettere fine a questa storia: capire chi sia questa donna e cosa voglia, prima che la cosa possa precipitare.
Si chiama Adele Fossan ed è di Mestre, ma a parte questo e una foto che la ritrae chiusa nel suo cappotto scuro, non c'è altro, nemmeno è iscritta sui social.
Non so quando il centro di Bologna si è trasformato in un grande bar-ristorante, ma così mi appare da tempo: buono per tutte le tasche, per gli studenti come per i liberi professionisti.

Un cantante che ha barattato il suo talento musicale per il successo, che ora gli ha girato le spalle.
Gettando a mare il rapporto con la ex compagna e col fratello, Rocco, più grande di lui, che di professione fa il fotografo. Una donna misteriosa che Giorgia incontra un giorno, per un caso fortuito: ma c'è un piccolo problema, questa donna questa volta è bruna e non è bionda.

Sembra di rivedere la stessa scena dove James Stewart incontra Kim Novak, per le strade di San Francisco, credendo di rivedere Madeleine, che lui credeva morta …
Il richiamo a Hitchcock e al suo capolavoro “La donna che visse due volte” (tratto dal romanzo francese D'entre les morts scritto nel 1954 da Pierre Boileau e Thomas Narcejac) è presente più volte in questa storia.
Giorgia, che come lo Scottie del film porta ancora addosso le ferite per la fine della sua storia d'amore, inizia a chiedersi chi sia questa persona che ha davanti: è la stessa persona che perseguita Furio oppure è un'altra persona.
Adele Fossan e Miriam Florio sono la stessa persona? Sono due persone diverse?
E' solo un caso aver incontrato due donne che si somigliano nell'arco di pochi giorni?
Ed è ancora un caso che, sempre all'agenzia di Giorgia Cantini, arrivi un nuovo incarico, una signora âgée che non si fida della futura nuora. Che guarda caso si chiama proprio Adele Fossan da Mestre....

Cosa è vero e cosa è falso in questa storia, come i prigionieri nella caverna di Platone, l'investigatrice è costretta ad interpretare le ombre di questa storia di ossessioni, di amori non corrisposti, di ambizioni non raggiunte e di rimpianti.

Rimpianti e dolori che fanno piangere, che ci fanno comprendere quanto siamo fragili, anche se ci nascondiamo dentro le nostre vite, dentro la nostra realtà virtuale.
Ma le lacrime, quelle sono reali, e se si mescolano le une con gli altri sono indistinguibili: “questo ce l'ha insegnato il replicante di un vecchio cult movie..”

Termina ancora con una citazione dal film di Hitchcock, “non avresti dovuto essere romantica”: così dice Scottie alla sua Madeleine. Così si sente la nostra Giorgia: fragile ma non pentita, nemmeno delle sue lacrime.

La scheda del libro sul sito di Marsilio
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

16 luglio 2020

La sinistra riparta da?

Da dove dovrebbe ripartire la sinistra?
Da quell'area politica che vorrebbe l'alleanza con Berlusconi, invocata da De Benedetti in un'intervista al Foglio (ex giornale berlusconiano poi renziano)?
Dal sindaco di Milano Sala che si lamenta dello smart working perché gli toglie dei consumatori dalla sua città: che deve essere green, ma senza esagerare. 
Da quelli che dovevano cambiare i decreti sicurezza, perché non possiamo dimenticarci del rispetto dei diritti umani.
Da quelli che, vergogna, vendiamo armi all'Egitto nonostante non abbia aiutato i magistrati nel caso Regeni (torturato dai servizi egiziani).
Da quelli che si fanno vanto delle leggi fatte sul lavoro, quel mondo dove ci sono persone pagate pochi euro all'ora in un call center in un sottoscala.
Da quelli che oggi si lamentano della soluzione trovata dal governo su Aspi e sul Ponte Morandi a Genova (che consente a tutti di festeggiare eccetto forse i parenti delle vittime), perché torna lo stato imprenditore, perché tanto paga sempre pantalone ...

Ecco: sono morte 43 persone, per un incidente causato dalla cattiva manutenzione non fatta dal gestore privato che si è preso le quote di Aspi a debito, non facendo un vero investimento e guadagnando profitti milionari sfruttando anche i contratti vergognosi firmati da diversi governi (l'ultimo dei quali del governo Berlusconi nel 2008).

Servirebbe un maggior nei confronti degli italiani e dei parenti delle vittime.
Perché non è un esproprio, come si lamentano oggi i Benetton su Repubblica: è una concessione, non è roba loro.
L'espressione usata  "siamo stati trattati peggio di una cameriera" dice molto sulla visione classista della nostra classe dirigente.

Ecco, la sinistra riparta da? Da chi?

15 luglio 2020

Prepariamoci ora per l'autunno - la lettera dei medici di base

Mentre nel paese si discute se sia lecito o meno consentire ad un privato in concessione continuare a fare i suoi guadagni miliardari fuori mercato (perché è di questo che si parla quando si parla di Aspi e dei Benetton), in Italia ci stiamo predisponendo ad una nuova fase (dopo la 2 e la 3).
Da oggi basta mascherine all'aperto, pur mantenendo le distanze: il rischio è che per molti sia un tana libera tutti, la pandemia è finita, possiamo fare quello che vogliamo.

Non è così, piccoli focolai continuano a venir fuori, nei settori produttivi legati alla logistica.
C'è poi l'avvertimenti dei medici di base, con la lettera che trovate pubblicata sui vari giornali: è un grido d'allarme in previsione di quanto potrebbe succedere in autunno, quando riapriranno le scuole, quando probabilmente le aziende private termineranno con lo smart working.

In questa lettera si chiede al governo di rafforzare la medicina territoriale, di assumere nuovo personale adesso per gli USCA.
Di essere pronti per la possibile nuova ondata di Covid, recuperando medicinali e dispositivi, dei tamponi per poter distinguere le influenze dal Covid (per evitare cioè che hai primi sintomi le persone siano messe in quarantena per giorni).

13 luglio 2020

10 anni dal crimine infinito

Dieci anni fa, nella mattina del 13 luglio 2010 uscirono i primi lanci d'agenzia: 300 persone venivano arrestate per i reati di usura, traffico di stupefacenti tra Lombardia e Calabria.
La più grande operazione contro la ndrangheta qui al nord: la mappa delle ndrine qui (fino a Mariano Comense, Desio, Canzo), nelle province lombarde portò in molti a dire che non si doveva più parlare di penetrazione mafiosa, ma di colonizzazione.
Colonizzazione che toccava l'imprenditoria, il mondo dei professionisti, il mondo della politica.

Ma nonostante gli arresti, i contatti, l'ultimo velo che cadeva sul segreto di Pulcinella, la presenza delle mafie al nord, la classe politica lombarda cercò di minimizzare la portata dell'operazione. Parlo del sindaco di Milano Moratti e del prefetto Lombardi. 
Parlo del ministro dell'interno Maroni che pretese un posto in prima fila in Rai per rispondere alle parole di Saviano, che aveva detto una cosa ovvia, le mafie al nord parlano con tutti i partiti.

"Non c'è la mafia, ci sono solo singoli mafiosi" .. "non c'è mafia, c'è la criminalità organizzata".
C'era proprio un tabù nel pronunciare la parola mafia: ma dopo quell'inchiesta cambiò tutto.
Non si poteva più negare nulla, dopo aver letto le carte sulla vicenda di Perego Strade, un'azienda nota qui in Brianza, finita nelle mani della ndrangheta.
Non si poteva negare nulla dopo le intercettazioni che inchiodavano l'assessore Zambetti, definito pisciaturo.

Attenzione, della presenza della mafia al nord lo si sapeva da anni, almeno dagli anni ottanta, con le inchieste sulla Duomo Connection, l'inchiesta Wall Street.

Imprenditori che non vedevano i mafiosi o che li vedevano ma non denunciavano per paura o convenienza.
Politici locali che facevano campagna non con l'antimafia ma sulla connivenza, accettando pacchetti di voti sporchi.
La procuratrice Alessandra Dolci oggi alla DDA di Milano, dieci anni fa era nel pool che aveva condotto l'inchiesta: a Rafdio Popolare ha commentato l'inchiesta crimine infinito spiegando che è cambiato poco, dopo dieci anni, non c'è la fila di imprenditri che vengono a denunciare il pizzo, il racket. E nemmeno c'è la fila di politici che denunciano contatti tra esponenti dei loro partiti con la mafia.

In dieci anni le cose sono cambiate poco: i boss della famiglia Moscatello, a Mariano, fino a ieri, ricevevano a casa i politici che chiedevano loro i voti dei mafiosi.
E oggi le mafie sono ben mimetizzate nell'hinterland milanese e nelle altre province, le nuove leve sanno essere bilingui, scriveva ieri Davide Milosa sul Fatto Quotidiano: sanno parlare lumbard ai tavoli che contano e sanno essere compari coi loro compari.
Ricchissimi al Nord, ma quando tornano in Calabria curano l’orto e guidano il trattore?
Una doppia faccia, certamente. Dico sempre che i nuovi mafiosi sono bilingui. Bravissimi a parlare lombardo quando devono sedersi ai tavoli che contano, e di nuovo compari con i compari, parlando il dialetto dell’Aspromonte.
 
Tra tutti gli eredi su cui ha avuto la possibilità di investigare, chi ha mostrato di avere queste capacità?
Alessio Novella, uno dei figli di Carmelo Novella, il boss che per anni, prima di essere ucciso, ha comandato la Lombardia. Più di altri ha mostrato una grande abilità nei rapporti con il “mondo di sopra”, che resta sempre di più l’obiettivo principale dei clan. Oggi sono tanti gli affari leciti nel mirino della ’ndrangheta lombarda. Dal settore del turismo, a quello dei rifiuti. In tutto questo, è certamente cambiata la percezione della società civile e delle istituzioni. Oggi certo nessuno può più negare l’esistenza della mafia a Milano. Questo però non significa che i mafiosi e i loro emissari siano tenuti a debita distanza da politici e imprenditori.
Con la crisi del Covid oggi le mafie al nord aspettano i soldi dall'Europa per la ripartenza e, soprattutto, sono pronte a vendere i loro servizi, i loro pacchetti di voti, al miglior offerente.

Fino a quando continueremo a far finta di niente?
In gioco c'è la salute della nostra democrazia, della nostra imprenditoria locale.

12 luglio 2020

Canto della pianura di Kent Haruf




Canto della pianura è il primo romanzo della trilogia della pianura di Kent Haruf, tutti ambientate nella città inventata di Holt, nel Colorado. In questa città vivono persone come ne troveresti tante, in altrettante città: un padre di famiglia, Tom Guthrie, insegnate di storia americana al liceo, con due figli piccoli e una moglie che passa le sue giornate a letto, alle prese con la sua malattia.

Guthrie 
A Holt c'era quest'uomo, Tom Guthrie, se ne stava alla finestra della cucina, sul retro di casa sua, fumava una sigaretta e guardava fuori, verso il cortile posteriore su cui proprio in quel momento stava spuntando il giorno. Quando il sole ebbe raggiunto la sommità del mulino a vento, l'uomo rimase a guardare la luce che si faceva sempre più rossa sulle alette d'acciaio e sulla coda, alte sulla piattaforma in legno.

C'è poi una ragazza, studentessa al liceo dove insegna Guthrie, che aspetta un figlio, da un ragazzo conosciuto ad una festa.
Victoria Robideaux 
Ancora non era sveglia e se lo sentì arrivare nel petto e in gola. Quindi si alzò in fretta da letto, con le mutande bianche e l'enorme maglietta bianca che indossava di notte, corse in bagno, si accovacciò sulle piastrelle del pavimento, togliendosi i lunghi capelli dalla faccia e dalla bocca con una mano e aggrappandosi con l'altra al bordo della tazza, scossa dai conati di vomito.

Il padre se ne è andato e la madre, indifferente alla sua situazione, l'ha messa alla porta.
Sai cosa penso, signorina? Chiese la donna. 
La ragazza si passò di nuovo sul viso la salvietta umida. 
Penso che tu ti sia fatta mettere incinta. Penso hge tu abbia un bambino in pancia e sia questo che ti a vomitare. 
Sempre tenendosi la salvietta sul volto, la ragazza guardò la madre allo specchio. 
E' così. 
Mamma. 
E' così, non è vero? 
Mamma, basta. 
Ma brava, stupida puttanella.

I due figli di Tom si chiamano Ike e Bobby e sono già molto più adulti della loro età di quanto dovrebbero essere, per la malattia della madre, per la cattiveria gratuita delle persone con cui hanno a che fare quando consegnano i giornali in città, il Denver news: il barbiere che non li vuole pagare, la vecchia signora Stearns che ha solo bisogno di compagnia, il bigliettaio della stazione con le sue fissazioni ..
Ike e Bobby 
Montarono in bicicletta, dal vialetto uscirono sulla ghiaia di Railroad Street e si diressero a est, verso la cittadina. L'aria era ancora fresca, odorava di letame di cavallo e alberi e erbacce secche e polvere nell'aria e qualcos'altro che non avrebbero saputo definire. Sopra di loro, un paio di gazze si dondolavano schiamazzando sul ramo di un pioppo nero..

Sono questi i protagonisti principali delle storie raccontate in questo romanzo, storie semplici ma non storie banali: la difficile prova nell'affrontare una gravidanza e i pregiudizi di una piccola cittadina di provincia:
Ah, i giovani. La notte devi andare a letto. Prese le monete e le mise nei diversi scomparti. E sto parlando del tuo letto. 
E' quello che faccio, rispose la ragazza. 
Certo, disse Alice. So come vanno queste cose.

La fatica nell'affrontare studenti come quel Russell Beckman, indifferenti allo studio, che in molti insegnanti vorrebbero promuovere solo per non vederselo più tra i banchi.
La difficoltà nel crescere senza un madre, senza una carezza, senza un sorriso dolce.

Ma in questo piccolo paese, ci sono ancora persone disposte ad aiutare il prossimo: come Maggie Jones, insegnante come Guthrie, che accoglie Victoria in casa e la ascolta: la storia di quella estate, di quel ballo con quel ragazzo, le sere passate andando in giro con la sua macchina

E poi l'amore. Ne parlò molto brevemente. L'odore di lui vicinissimo, il suo dopobarba, il tocco delle sue mani e l'urgenza in ciò che facevano e dopo, qualche volta, una breve, tranquilla chiacchierata. E poi, sempre, il ritorno a casa. 
Si, disse Maggie. Ma lui chi era? 
Un ragazzo. 
Certo, tesoro. Ma chi? 
Non mi va di dirlo, rispose la ragazza. Ad ogni modo lui non lo vorrà. Non lo riconoscerà. Non è quel genere di persona.

Un romanzo di storie semplici, storie di dolore, di vuoti che non si colmano, di persone che mancano e anche storie di solitudini. Come la vita che fanno i due fratelli McPheron, Harol e Raymond, fattori con una fattoria a poche miglia dalla città. Una vita da soli dopo la morte dei genitori cinquantanni prima.
Una vita senza aver la possibilità di preoccuparsi di altre persone se non loro stessi: ma forse la vita può riservare a loro una seconda possibilità

Maggie Jones si abbottonò il cappotto e si sedette 
- Sono venuta a chiedervi un favore. 
Ah sì? Disse Harold. Be', fai bene a provarci. 
Di che si tratta? Domandò Raymond. 
Una ragazza che conosco ha bisogno di una mano, disse Maggie. E' una brava ragazza, ma si è messa nei guai. Credo che potreste aiutarla. Vorrei che ci pensante e mi faceste sapere. 
[..]Ha diciassette anni, disse Maggie Jones. E' incinta di quattro mesi e non ha marito. 
Be' in effetti, disse Harold. In effetti pare proprio un guaio.

Due fratelli che nella loro vita non hanno visto altro che vacche, vitellini, mercati e poco altro e una ragazzina di diciassette anni, con un bambino in grembo.
Oh, so che sembra una pazzia, disse lei. Suppongo che lo sia. Non so. E nemmeno mi importa. Ma quella ragazza ha bisogno di qualcuno e sono pronta a fare qualsiasi cosa. Ha bisogno di una casa per questi mesi. 
E anche voi – sorrise – dannati vecchi solitari, avete bisogno di qualcuno. Qualcuno o qualcosa di cui prendervi cura, per cui preoccuparvi, oltre a una vacca fulva. C'è troppa solitudine qui. Prima o poi morirete senza aver avuto neppure un problema in vita vostra. Non del tipo giusto, comunque. Questa è la vostra occasione.

Una follia, ma una follia che cambierà le vite di tutti i protagonisti, dai due vecchi che impareranno a prendersi cura di una persona e diventeranno quasi padri. Nonostante le maldicenze in paese, nonostante non sappiano nemmeno come comportarsi con una donna, di cosa parlarle.
Cambierà la vita di Tom, anche lui di fronte ad una seconda possibilità di amare una donna.
Cambierà, portandoli nel mondo degli adulti, la vita dei due bambini e di Victoria.
Mi sembra una follia andare a vivere laggiù con due vecchi.E' vero, disse Maggie. Ma questi sono tempi folli. Certe volte penso che ci siano mai stati tempi più folli di questi.

Sono storie semplici quelle raccontate da Kent Haruf con la sua scrittura delicata, mai sopra i toni, sia quando deve parlare d'amore, in tutte le sue sfaccettature, sia quando deve parlare della natura attorno ad Holt, del bestiame, del tramonto sulla campagna, delle notti invernali sferzate dal vento.
Un stile lineare, che si accende solo nei dialoghi e che talvolta appesantisce la scrittura (nei successivi romanzi, Haruf ha imparato anche a togliere, da quanto scrive).
Un romanzo corale, a più voci, come il canto medioevale che sta dietro il titolo del libro, “plain song”: tutti i problemi delle nostre vite possono essere risolti solo se stiamo insieme, senza rancori, senza pregiudizi, senza vivere le proprie vite in modo superficiale.
Buona lettura!

La scheda del libro sul sito di NN Editore
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