29 aprile 2023

Città di sogni, di Don Winslow


 

Canto le armi e l'eroe, che per primo dalle coste di Troia
profugo per fato toccò l'Italia e le spiagge
lavinie, lui molto sbattuto e per terre e per mare
dalla forza degli dei, per l'ira memore di Giunone crudele,
e tribolato molto anche da guerra, finchè fondasse la città 
e portasse gli dei per il Lazio; donde (venne) la razza latina
i padri albani e le mura dell'alta Roma.

Virgilio, Eneide, Libro

Città dei sogni è il secondo capitolo della trilogia di Don Winslow ispirata ai classici della mitologia antica, partita con il primo “Città in fiamme” (le fiamme di Troia, raccontata da Omero nell’Iliade) dove la guerra tra Achei e Troiani diventa la guerra tra la mafia italiana e la criminalità irlandese a Providence, qualche migliaio km più in là dalla piana di Troia e qualche migliaio di anni più tardi.

Questo secondo invece parte dai capitoli dell’Eneide di Virgilio: l’uomo in fuga si chiama Danny Ryan ed è scappato dalla sua città, dal suo quartiere, Dogtown, col padre e col piccolo figlio, dopo aver perso la guerra (e dopo esser finito in una trappola per l’astuto inganno di un consigliere della mafia).

Questa guerra tra irlandesi e italiani era scoppiata per una donna, la bellissima e fatale Pam (nel ruolo di Elena di Troia), circuita dal giovane Liam Murphy, capo della famiglia irlandese che controllava i porti di Providence.

Ma forse questo è stato solo un pretesto: gli italiani, i mafiosi della famiglia Moretti che fino a ieri andavano d’amore e d’accordo con gli irlandesi, cercavano solo un pretesto per mettere le mani sui docks, sugli affari nel porto.

Dunque la guerra, il sangue, i morti: l’eroe troiano, o irlandese, ucciso per vendetta da un capitano della famiglia Moretti a cui hanno ucciso l’uomo che amava (vi ricorda per caso Achille e Patroclo) e che trascina il corpo dell’uomo legato alla sua auto.
E poi l’astuto inganno, che mise fine alla guerra, costringendo alla fuga i pochi superstiti della famiglia Ryan, Danny con pochi fidati uomini, il padre Marty e il piccolo Ian.

L’alba

Deserto Anza-Borrego, California, aprile 1991

Danny avrebbe dovuto ucciderli tutti. Ora lo sa. E avrebbe dovuto saperlo anche allora. Se fai una rapina a mano armata da quaranta milioni di dollari, non devi lasciare che i proprietari possano inseguirti. Devi prendergli i soldi e la vita.

Nel prologo del romanzo incontriamo Danny Ryan legato e con una pistola puntata alla testa: come ha fatto a finire nel deserto e chi sono queste persone (che Danny avrebbe dovuto uccidere) che ora lo vogliono morto?
Dobbiamo fare un salto indietro di qualche anno, seguendo la fuga di Ryan dalla città in fiamme, Providence, mentre si spinge ad ovest, seguendo quello che dovrebbe essere il sogno americano, mentre per lui è solo un desiderio di salvezza.

Devono mettere più distanza possibile tra loro e l’organizzazione criminale dei Moretti, la polizia cittadina, quella statale, i federali… insomma, tutti quanti.

Tante persone desiderano la sua morte: ci sono i Moretti, che hanno usato l’esca della droga per attirare i Ryan e i Murphy nella trappola, usando un agende dell’FBI corrotto a cui ora però manca qualche kilo di cocaina che pensano sia in possesso dell’irlandese.

Ci sono le accuse per quei morti, quei delitti della guerra e ci sono anche i federali, per il traffico di droga: in particolare c’è una donna che, come Giunone nel libro di Virgilio, prova molta “ira” nei suoi confronti. Si chiama Reggie Moneta e non è una dea dell’Olimpo ma la vicedirettrice dell’Olimpo che ha deciso che deve vendicarsi di Ryan:

«Perché Moneta ha questa fissazione per Ryan?» chiede Harris.
«Andava a letto con Phil Jardine.»
«Merda.»

E poi c’è il vecchio capo mafia oggi in pensione, Pasco Ferri, oggi rimasto lontano dalla guerra ma sempre informato su tutto. Su quel pacco di droga dal Messico che aveva fregato gli irlandesi e che oggi è sparito, e Danny sapeva che quella droga gli avrebbe procurato solo problemi.

Aveva sempre voluto visitare la California, parlava con Terri di trasferirsi lì, ma lei lo liquidava sempre come un sogno utopistico.

Così, lungo la strada del sogno americano, Danny, l’amico di infanzia Jimmy Mac, i due Chierichetti Sean e Kevin approdano a San Diego.

Così inizia la seconda vita di Danny, che si ritrova a dover fare da padre col piccolo Ian a riscoprire un rapporto col suo di padre, il vecchio Marty, per la prima volta dopo tanti anni. Ma non è facile: anche se tiene un profilo basso, c’è sempre uno sguardo che lo fa trasalire, qualcuno che sembra fissarlo un po’ più a lungo. Non è facile vivere da profugo, col pensiero di essere braccato.

Come nei libri del mito, agli eroi arrivano in soccorso i sogni, a mandargli dei messaggi che dovranno decifrare:

E cosa voleva dire che quel posto non era per lui? E cosa c’entra Pasco? E come mai non riusciva a trovare la tomba di Terri?

Ma dall’altra parte, a Providence, le cose nella famiglia vincente dei Moretti non vanno meglio: come racconta Omero, gli Achei avevano vinto ma non avevano rispettato il volere degli Dei, non si erano comportati in modo degno.

La casa è costata un occhio della testa, senza parlare delle spese di mantenimento. Peter è sotto di milioni, e Celia continua a dare feste come in quel film, come si chiama, con Robert Redford

Altri lutti arriveranno, altre morti, un nuovo re nella famiglia dei Moretti (come successe qualche migliaio di anni prima ad Agamennone).

Ma non si può sfuggire al passato per sempre: il male che hai fatto, prima o poi ti si ritorce contro e, per quanto puoi andare lontano, qualcuno busserà alla tua porta.

Ma questa volta non saranno solo i sicari dei Moretti o dell’FBI: qualcuno in alto nell’Olimpo (o di Washington) propone a Danny un’operazione con cui in cambio avrà la sua libertà. Meglio uno come Ryan vivo, da impiegare in una operazione “poco pulita” di autofinanziamento:

«Noi invece possiamo fare un uso migliore di Ryan.»
Penner guarda il monumento a Washington, in basso.
Sospira e dice: «Il pubblico americano vuole tutto, energia, protezione, rispetto della legalità.

Il popolo americano vuole tutta l’omelette, ma non vuol saperne di rompere le uova».

La città dei sogni che da il titolo alla storia è Los Angeles a cui Danny si presenta, in questa sua seconda vita di uomo benestante: una nuova vita, certo, anche se “il suo passato resta con lui. Gli omicidi, i morti, le persone care che ha perduto..”.

Città dei sogni perché da a tutti la possibilità di sognare, il sogno americano di potercela fare coi tuoi mezzi e diventare qualcuno, essere importante.
Qui per un momento Danny riscopre un momento di felicità, proprio a Hollywood nei cui studios stanno girando un film sulla guerra di Providence, partendo dalle memorie di un personaggio minore.

Era stata una lettura affascinante. E aveva imparato un passaggio a memoria. «“Eravamo come fratelli, cuccioli di lupo della stessa cucciolata. Ridevamo insieme, mangiavamo insieme, vivevamo e sanguinavamo e morivamo insieme.”

Con le sue capacità potresti fondare un impero – gli racconta quella madre, Madeleine che l’aveva abbandonato da piccolo: ma al momento Danny si accontenta dell’amore con un’attrice del film, anche lei come lui con un passato ingombrante e pericoloso.

Ma non è quello il destino di Danny: perché, come l’Enea di Virgilio, per lui gli dei hanno un progetto più importante, non è ancora il momento di fermarsi.
Perché anche lì negli studios, dove girano le star, i soldi, dove brillano le luci, c’è la lunga mano della mafia. Perché l’ira degli dei ancora non si è placata. Per salvare sé stesso, dovrà fuggire nuovamente, lasciandosi alle spalle nuovi lutti.

Più che per la storia che racconta, questo libro mi ha appassionato per il contesto che disegna alle spalle: la guerra interna alla mafia e i precari equilibri che devono essere rispettati (perché anche la mafia fa parte del sogno americano). Per come racconta il mondo del cinema, l’illusione del sogno americano tanto bello quanto distruttivo. Per come racconta il mondo della politica, dei segreti e dei ricatti nelle agenzie governative. Nessuno è innocente dentro il sogno americano.

Infine questo protagonista, inquieto, indurito dalle morti che ancora gli pesano sulla coscienza, che da semplice soldato si ritrova generale di un esercito in fuga, un uomo che ora si chiede cosa vogliano da lui le anime dei morti e quale debba essere il suo futuro

Cosa significa questa folla verso il fiume? Cosa vogliono le anime dei morti? Virgilio, Eneide, Libro VI

Come il precedente, anche questo romanzo è scritto con uno stile asciutto, con dialoghi veloci che catturano il lettore: rispetto a Città in fiamme, però, il respiro si allarga per gli ampi spazi in cui si muovono i protagonisti di questa epopea di guerre, di tradimenti, di agguati e di scontri: non c’è solo la città dei sogni Los Angeles (con tanto di citazione della Dalia Nera di Ellroy), c’è il l’infinito deserto del Nevada, caldo di giorno e freddo all’alba, c’è l’infinito dell’oceano Pacifico coi suoi tramonti.
Scommetto che anche a voi, arrivati alla fine di questo romanzo, verrà voglia di leggervi le imprese di Enea, raccontate da Virgilio

La scheda del libro sul sito di Harpes Collins

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

25 aprile 2023

Il senso del 25 aprile (nell’anno primo del governo di destra)

Sono appena tornato dal discorso di commemorazione del 25 aprile fatto dal sindaco del mio paese: sarà una cerimonia sobria – l’esordio – perché abbiamo scelto di dividere le celebrazioni il 28, con gli studenti.. Un discorso in cui ha fatica si coglieva un riferimento storico a quanto successo 78 anni fa: certo si parlava di valori da tramandare ai giovani, valori imprescindibili oggi messi in discussione, le libertà.

A fatica si capiva che si parlava del fascismo, parola che non mi pare sia stata pronunciata.

Ecco: la memoria, i valori, questi discorsi “sobri” che raccontano poco ai cittadini di oggi di quanto successo agli italiani di ieri.

Si parla di libertà (e giusto en passant di liberazione): ma perché, cosa c’era in Italia prima dell’aprile 1945?

Ecco a cosa serve la memoria, conoscere la storia, in tutti i suoi risvolti: ad avere gli strumenti per saper decifrare il presente, per capire i segnali dei tempi moderni.

Il 25 aprile 1945 il CLNAI, il comitato di liberazione che riuniva tutti i partiti e i movimenti antifascisti in Italia, proclamò l’insurrezione nazionale: il 25 aprile non si festeggia la fine della guerra, ma l’inizio della fine, l’inizio della liberazione. Ma liberazione da cosa?

Da un regime che soffocava le libertà personali, che perseguitava gli oppositori, che aveva partecipato coi nazisti alla cattura degli ebrei, finiti nelle camere a gas.
Questo si festeggia oggi: la liberazione e la fine di un regime che ha portato questo paese alla rovina, all’infamia delle leggi razziali, delle leggi fascistissime che oggi pochi ricordano (le limitazioni alla libertà di stampa tra le altre cose).

Avete presente quando si sente dire, ma dov’è questo fascismo oggi? La memoria serve a questo, a saper riconoscere i segnali che ci consentono di capire. Il fascismo non è la camicia nera, non è il folklore dei nostalgici. È l’impedire che un giornalista scriva notizie scomode contro quel potente. È ogni volta che si impedisce alle persone di manifestare (nei modi e nelle regole previste) pubblicamente. È ogni volta che si strattona la giustizia affinché non valga più il principio della legge uguale per tutti, ma sia solo la legge del più forte.

Questo è il fascismo: la violenza e il sopruso dei potenti che diventano legge, l’oppressione nei confronti delle minoranze, degli ultimi, dei diversi che diventano “nemici del paese”.

Non mi fa paura questo governo per quello che dice, almeno non solo quello: è quello che non dice, per i principi che non rispetta, per esempio quelli sanciti dalla nostra Costituzione. Costituzione nata dall’antifascismo, che non è né di destra né di sinistra, ma valore fondante della nostra democrazia.

Certo che è divisivo l’antifascismo: sancisce chi sta dentro le regole della democrazia e chi sta fuori. Non si può essere ambigui come non si può essere ambigui su terrorismo (nero o rosso) o di mafia.

Oggi sui giornali si parlerà delle polemiche per il viaggio di La Russa (seconda carica dello Stato) a Praga (e come mai non ad Atene, a ricordare il golpe del 1967 o nella Spagna di Franco?). Si parlerà della lettera di Meloni che non ha perso occasione per tirare in ballo il regime comunista: siamo contro il fascismo ma anche del comunismo, come se in Italia avessimo avuto un regime dei soviet. Come se i comunisti in Italia non avessero contribuito alla scrittura della Costituzione, alla creazione di queste istituzioni. Libere, democratiche. Non mancheranno le solite polemiche contro i fischi ai vari ministri, alla brigata ebraica. Quelli che “e allora l’Ucraina?”, mettendo assieme storie diverse che poco hanno a che fare.

Perderemo oggi l’occasione per ricordare: lo faranno in pochi, purtroppo e saranno sempre meno.

Ricordare il sacrificio dei tanti, di tutti i colori, di tutte le estrazioni sociali, contribuirono a questa liberazione: operai, preti, ex soldati, insegnanti, industriali (come Carlo Bianchi), studenti (come Carlo Puecher). E altri giovani, delle forze alleate (ragazzi americani, inglesi, polacchi, francesi, indiani..) che dalla Sicilia risalirono la penisola per scacciar via l’esercito tedesco che dopo l’8 settembre avevano occupato il paese.



A loro dobbiamo la nostra libertà nata da quella guerra di liberazione. Ragazzi come Bruno Ballabio che a vent’anni andò a combattere i fascisti in Val d’Ossola dove morì in un combattimento a 21 anni. La sua lapide è davanti il comune del mio paese, era davanti al sindaco mentre pronunciava il suo discorso. Poteva ricordare chi fosse il partigiano Ballabio, peccato.
Poco più in là, un’altra lapide, ricorda il luogo dove i genitori della senatrice Liliana Segre furono catturati il 18 maggio 1944 da un reparto di SS guidato da fascisti italiani. Nemmeno loro tornarono a casa, morirono ad Auschwitz il 30 giugno 1944.

Per questo si ricorda il 25 aprile: per ricordare queste storie, per ricordare cosa è stato, qui in Italia, non in Russia o a Praga. Tutti i regimi vanno condannati certo, ma mettere tutto assieme, mettere assieme i morti per la liberazione coi morti delle altre guerre, serve solo ad annacquare, a voler dimenticare la dittatura, l'Italia prima della liberazione, l'Italia prima della Costituzione.


Report – la rete energetica europea (e il processo contro la mafia a Venezia)

In Veneto la mafia c’è e si è infiltrata nel Veneto: Report ha seguito il processo contro il clan di Eraclea, che avrebbe piegato l’amministrazione ai suoi voleri.

Dal tribunale al locale dove si è festeggiato il carnevale di Venezia: il sindaco Brugnaro ha dato in concessione la scuola della misericordia alla società di cui possiede le quote. Ma Brugnaro nel progetto Scuola Grande di Misericordia era anche in società con Pietro Tindaro Mollica, un imprenditore collegato alla mafia.
La prefettura sapeva, spiega Brugnaro: la finanza aveva seguito l’indagine, un’ex investigatrice racconta a Report dei contraccolpi subiti dai finanzieri che avevano seguito il caso.

Tutto a posto? In un paese democratico un giornalista fa delle domande e l’amministratore risponde, specie se riguarda la sua attività economica. Eppure Brugnaro ha offeso Report, “siete lo schifo dell’Italia”, le persone nell’aula assieme al sindaco hanno perfino applaudito.
Quanto è difficile fare inchieste in Italia, anche quando si parla di mafia e politica.

Una rete elettrica per l’Europa – Michele Buono

Nel mare del nord esiste un parco eolico collegato non solo alla Germania ma anche alla Danimarca e altri paesi dell’Europa del nord: se vuoi coltivare il vento qui fai un affare – racconta Michele Buono nell’anteprima del servizio – perché questo parco eolico potrebbe diventare la centrale elettrica pulita di tutta l’Europa.
Dall’oceano Atlantico alle coste dell’Irlanda, anche qui tira forte il vento: l’AD di Supernode racconta che qui hanno usato il vento per produrre parte dell’energia, ma non sempre basta, bisognerebbe portare l’energia pulita del sole e portarla qui.
Per esempio dalla Sicilia, come racconta l’amministratore di C&C Engineering: servono autostrade per portare l’energia dove serve, batterie per accumularla.

Più i paesi sono collegati, più l’energia è bene distribuita, ci sono meno rischi di rimanere al buio se ci sono problemi di luce: servirebbe un’Europa connessa, Roberta Battaglini, AD di Renewables Grid, un’Europa solidale. Un’Europa dove l’energia costerebbe la metà rispetto al prezzo medio di questo periodo.

In Europa si discute di energia pulita, ma non di farla girare: anche se producessimo più energia di quanta ne avremmo bisogno, poi cosa ce ne faremmo? L’energia non ammette ingorghi, il sistema andrebbe in tilt, sarebbe uno spreco specie dopo aver visto le speculazioni dopo la guerra.
I paesi hanno speso 700 miliardi di euro per calmierare le bollette: ma che succederebbe se i 27 paesi mettessero a fattor comune l’energia, se i pannelli in Sicilia contribuirebbero a ricaricare un’auto a Copenaghen?
Servirebbe una rete intelligente, interconnessa, che sa dove prendere l’energia dove ce n’è di più e la manda dove manca.

Basta oscillazioni dell’energia fossile, basta dipendenza da paesi extra europei: oggi abbiamo 27 reti nazionali nemmeno ben collegate, poteva andar bene nel secolo scorso.
Oggi con le rinnovabili non basta: l’energia deve essere trasportata in modo efficiente da paese a paese, come vogliono fare in Irlanda, prendere il sole dal sud e portare il vento.
Nessun paese è auto sufficiente: ogni paese gioca in casa proprio e, al limite, si va nei paesi a fare shopping di petrolio o gas, facendo salire il prezzo complessivo per tutti.

In Germania stanno costruendo un mega impianto che collega l’energia che arriva dai paesi del nord agli impianti della Germania del sud: il nord linke collega la Germania alla Norvegia, un cavo che attraversa canali, il mare del Nord fino ad arrivare alla Norvegia dove l’energia è prodotta dai bacini idrici.
Ma l’energia viaggia anche nell’altro senso, dalla Germania alla Norvegia, quando il sole e il vento abbondano in Germania.

Con questo sistema si riesce a soddisfare la domanda di 3 ml di persone: per soddisfare la richiesta di energia delle regioni del sud, si sta costruendo un nuovo canale, il sud linke, che fa dialogare sud e nord. Più interconnessioni ci sono, più impianti sono collegati sul territorio e, dunque, meno turbamenti ci sono nel sistema perché le fonti di rinnovabili sono distanti e risentono di meno delle differenze del meteo.

Alla Kraftwerke hanno collegato migliaia di impianti, eolico, biogas, incrociando la produzione degli impianti col meteo e con la domanda per capire come far girare l’energia: la chiave è aggregare tante cellule che lavorano tra di loro, non più pochi mega impianti ma tanti che parlano lo stesso linguaggio.
La Energiekoppler ha generato un unico box per far parlare questi impianti di energia rinnovabile: il box si chiama “schiame di api” e oggi è adottato dalla Leag, che sta dismettendo le vecchie centrali a carbone. Una centrale virtuale unica a Colonia collega assieme questi impianti (anche familiari), cogeneratori, batterie, assicurando agli utenti energia, in modo continuo.

Perché non si potrebbe fare anche tra paesi? Estendendo quanto fatto dalla Norvegia e dalla Germania all’Italia, la Francia, il Belgio?

Se allarghiamo il campo da gioco, si garantisce la continuità di rifornimento di energia pulita, che è uno dei problemi più grandi delle rinnovabili.

In Italia abbiamo già le tecnologie: a Siracusa abbiamo società come Baxenergy dove si monitora la produzione di energia degli impianti eolici e sarebbero pronti a gestire il flusso di elettroni verso il nord. Ma qui a Siracusa stanno lavorando a prototipi di auto che sono anche produttori di energia dalla loro carrozzeria, auto fotovoltaiche che producono energia mentre sono in circolazione.
In Sicilia ci sono campi fotovoltaici e impianti termodinamici che si combinano perfettamente per generare energia sia di giorno che di notte: già oggi l’energia in alcune zone costa zero, perché eolico e solare producono più energia di quello che serve.
Perché non portare questa energia in più dove serve?

Al Politecnico di Torino lavorano alle super reti ad alto voltaggio per portare l’energia dal nord, specie in inverno quando il vento è forte ma manca il sole. Ci sarebbe una complementarietà perfetta tra nord e sud, sole e vento.
Ma la super rete costa: ecco perché in Irlanda stanno lavorando a dei cavi senza rame, meno costosi, che contengono superconduttori che sappiano portare dieci volte la potenza di oggi, usando materiale ceramico.
Questi studi li sta facendo un italiano a Dublino: il cavo in ceramica funziona – spiega Emanuele Frullon – sono gli oleodotti del futuro.

Ma tutta la rete deve essere intelligente: al momento la più grande rete intelligente è quella in Puglia, di proprietà della Enel, della e-distribuzione.

Nella super rete di Enel viaggia sua l’informazione, della domanda e dell’offerta, sia l’energia: l’energia rinnovabile deve sempre circolare, non devono esserci sprechi.
Gridspertice è una società partecipata da Enel: qui controllano la rete, la distribuzione, i consumi, in remoto.

Se si arrivasse a questo sistema potremmo arrivare al 75% di rinnovabili: energia più stabile, con meno costi, con minori impatti sull’ambiente.

Si parla di 1200 miliardi di investimento: ma la riduzione dei costi di approvvigionamento (stimato in 400 miliardi) ci dice che ritorneremo dall’investimento in 4 anni – raccontano dal Politecnico di Milano.
Meno dipendenze dagli sceicchi, dall’Algeria, dall’Egitto, dal gas liquido americano (e dal gas Russo).
Si deve mettere tutto assieme: la rete intelligente in Puglia, il sistema virtuoso del campus visto in Sicilia, con il fotovoltaico che lavora in simbiosi col termodinamico giorno e notte.

Si potrebbero usare le miniere come sistema di accumulo: in Svizzera l’energia in eccesso viene usata per sollevare pesi, quando serve i pesi scendono e creano energia, con lo scendere dei pesi. Si tratta di un impianto di accumulo semplice, con un sistema di masse mobili dentro cui si usano anche materiali di rifiuti, un sistema di stoccaggio di energia gravitazionale.
E se usassimo le miniere per mandare in profondità i pesi? Potremmo farlo in Sardegna nelle vecchie miniere di carbone: i pesi che scendono per creare energia andrebbero sempre più in basso, qualcosa di più efficiente.
Report ha presentato questo progetto alla Carbosulcis SPA: sarebbero pronti per iniziare a costruire questi impianti di stoccaggio gravitazionale, collegati agli impianti eolici o fotovoltaici, anche subito.

L’energia in eccesso arriverebbe dalla Sardegna al continente passando per i cavi che Terna sta costruendo oggi.

Se in Sardegna si usano le vecchie miniere, in Germania stanno pensando di riconvertire le ex aree militari per costruire impianti eolici.

Anche a Frosinone si pensa di usare l’ex aeroporto militare per costruire un parco fotovoltaico: non si deve sacrificare del terreno verde, sarebbe tutto perfetto ma manca un decreto dal ministero della Difesa che deve decidere dove trasferire il 72 esimo stormo.

Ferrovie dello Stato ha individuato le aree da valorizzare per questi impianti: si tratta della rete elettrica che segue la rete ferroviaria, verrebbe usata per raccogliere l’energia rinnovabile che si produce attorno alla ferrovie, non solo dagli impianti di proprietà di FS. Si creerebbe una comunità energetica dove trasportare GW di energia per tutta la nazione senza creare nuove infrastrutture elettriche.
Potremmo scambiare l’energia anche fuori dal paese, se tutti i paesi europei seguissero questa strada.

Serve la volontà politica di rifondare l’Europa: come successo quando abbiamo creato lo scambio libero di carbone, oggi dobbiamo scambiare le energie rinnovabili. L’energia pulita come collante di una nuova Europa – questa la visione di un ricercatore dell'istituto per gli studi e la sicurezza internazionale SWP a Berlino (italiano anche lui).

Ma il nostro paese quale partita sta giocando? La transizione l’abbiamo messa nelle mani dei lobbisti del gas e del petrolio, nonostante abbiamo tutte le idee e le tecnologie (compresa la rete di FS, che ha pure in pancia tanti fondi del PNRR).
Si darebbe nuova speranza ai territori, oggi abbandonati, deindustrializzati, come la Sardegna e la Sicilia, con nuovi posti di lavoro.
Non possiamo aspettare il ministero della Difesa, che ancora deve indicare le aree da dismettere.

24 aprile 2023

Anteprima inchieste di Report – energie (pulite) per l’Europa

Questa sera Report si occuperà di indipendenza energetica, quella che potremmo avere se l’Europa si muovesse come un entità politica indipendente (e non come oggi, dove ogni paese segue i suoi interessi).

Questa indipendenza potrebbe arrivare se ci fosse una rete energetica europea interconnessa dove ogni paese dovrebbe essere in grado di mettere in comune l’energia prodotta (da fonti rinnovabili), con sistemi comuni di produzione, trasmissione e di stoccaggio.
Ci sarebbe un notevole impatto economico e ambientale: perché non lo facciamo?

Il canone dei campanili

Nell’anteprima della puntata verrà trasmesso un servizio sul canone che incassa la Chiesa per ospitare sui campanili le antenne per la telefonia.

Per far installare le antenne sui campanili l’ente ecclesiastico incassa l’affitto di locazione dal gestore telefonico. Questo però comporta l’uso del campanile per finalità commerciali. Come spiega a Report l’avvocato Dario Capotorto esperto di contrattualistica pubblica, “gli immobili destinati al culto non possono essere destinati per finalità commerciali. La locazione implica invece l’uso del bene per finalità commerciali ..”
Dunque su quegli edifici la chiesa dovrebbe pagare le tasse allo stato italiano.

Ma qual è la posizione delle varie diocesi in Italia su questo punto: Chiara De Luca ha intervistato il vescovo di Acireale, contrario all’affitto dei campanili, “innestare un ripetitore significa un po’ violentare un tipo di architettura che rappresenta prima di tutto una cultura, un’epoca. Lì devi pagare l’imu, perché cambia la natura dell’istituzione dell’ente che sta usufruendo del bene..”

La scheda del servizio: SEGNALI DIVINI di Chiara De Luca
Collaborazione Marzia Amico

L’Italia è nota come il paese dei mille campanili. Per la loro altezza e la posizione centrale dagli anni 2000 sono stati scelti per l’installazione di antenne telefoniche. L’ente ecclesiastico incassa un canone dalle aziende di telecomunicazioni: questo comporterebbe l’uso del campanile per finalità commerciali e la perdita dell’esenzione fiscale dedicata agli immobili della chiesa destinati al culto. Come si sono comportate le diocesi italiane?


La rete energetica europea

In questi anni, sia il governo Draghi che il governo Meloni hanno stretto accordi con diversi paesi, africani e asiatici, per l’importazione del gas, per rendere l’Italia indipendente dal gas russo (a cui ci eravamo legati con accordi stretti tra Eni e Gazprom), con l’obiettivo di rendere l’Italia l’hub del gas nel Mediterraneo.

Altri accordi commerciali sono stati presi con produttori di gas liquido dall’America.

Ogni paese europeo, compresa l’Italia, sta trovando la sua strada per l’indipendenza energetica che passa ancora per il fossile e per il carbone: il risultato è procrastinare ancora per anni una vera transizione verso le fonti rinnovabili e, di fatto, renderci ricattabili da paesi stranieri che non sempre sono delle democrazie (difficile pensarlo dell’Egitto o del Qatar).


Ma esiste anche un’altra strada. Nel mare del nord esiste un parco eolico collegato non solo alla Germania ma anche alla Danimarca e altri paesi dell’Europa del nord: se vuoi coltivare il vento qui fai un affare – racconta Michele Buono nell’anteprima del servizio – perché questo parco eolico potrebbe diventare la centrale elettrica pulita di tutta l’Europa.
In questa regione il vento tira forte, fino all’Irlanda dove si sposta il servizio: anche qui si coltiva il vento con grandi soddisfazioni, il 35% dell’elettricità è stata prodotta dal vento lo scorso anno, nei momenti in cui non bastava si è dovuto ricorrere al gas naturale e al carbone e questa non è una cosa buona, racconta al giornalista
John Fitzgerald, AD di Supernode (azienda specializzata nel settore dei conduttori di energia prodotta da fonti rinnovabili) , “dovremmo importare anche il sole ma occorrono collegamenti migliori con l’Europa continentale per esportare la nostra energia e importarla quando necessaria.”
Dove sta il sole e l’energia solare? In Sicilia ad esempio: qui c’è chi coltiva il sole e l’elettricità solare, e quella in più potrebbe prendere la strada del nord quando in eccesso perché gli elettroni vanno dove li facciamo andare, anche fuori dalla rete elettrica nazionale
spiega a Report Aurelio Campanella di C&C Engineering.
Ci vogliono le strade per far correre gli elettroni, una rete intelligente che sappia sempre quale fonte rinnovabile stia producendo in abbondanza per inviare l’elettricità a chi ne ha poca in quel momento, batterie di vario tipo per conservarla l’energia pulita.
Ci sarebbero dei vantaggi per tutti con queste reti, come spiega Hendrik Samish fondatore di Next Kraftwerke Più i mercati sono grandi e legati tra di loro, più sono bilanciati i prezzi dell’elettricità”: nessun sistema in mano a pochi monopolisti che dettano i prezzi dell’energia.
A lungo termine avremo un’energia più economica le cui fonti appartengono all’Europa – continua il presidente di Supernode: “se i 27 paesi membri si mettessero insieme restando uniti sarebbe come giocare in un torneo ma nella stessa squadra.”

Se tutto questo non succede è perché le reti non sono interconnesse tra di loro e manca “l’intelligenza” per spostare l’energia prodotta laddove serve.
In un’Europa connessa si parla di scambi, non si parla di importazioni o esportazioni perché si è alla pari, si è solidali, “perché un sistema comune significa un beneficio comune” racconta Robberta Battaglini, AD di Renewables Grid.

La scheda del servizio: UNA RETE ELETTRICA PER L’EUROPA di Michele Buono
Collaborazione Edoardo Garibaldi, Filippo Proiett
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Se ci fosse una super rete elettrica europea, l’energia sarebbe conveniente, sicura e i suoi approvvigionamenti sarebbero stabili. Il dibattito odierno si sviluppa però su uno solo degli ingredienti della decarbonizzazione: l’installazione di nuova capacità energetica da fonti rinnovabili. Non si parla di come far viaggiare l’energia tra i singoli Stati europei e di come accumularla. Se infatti le rinnovabili sono energie non programmabili, mettendo insieme il vento dei paesi del nord e il sole dei paesi del sud, si potrebbe compensare questo effetto rendendo il Vecchio continente un’unica grande centrale elettrica da fonti rinnovabili. Per far questo è necessario migliorare le infrastrutture su cui viaggia l’energia per non perdere quella prodotta in eccesso in alcuni momenti dell’anno. Le tecnologie ci sono e le materie prime non potranno esserci sottratte da nessun dittatore, ci vuole solo la volontà politica. L’Europa ha conosciuto la pace dopo la creazione della Comunità del carbone e dell’acciaio. Potrebbe conoscere nuovamente un periodo di grande prosperità. Basterebbe volerlo, per davvero.

I beni della curia di Napoli

Danilo Procaccianti è tornato a Napoli, riprendendo il servizio dove raccontava dei beni che la curia ha dato in gestione ai privati, con risultati non proprio encomiabili.
Come la storia della canonica della chiesa di San Biagio ai Taffettanari occupata abusivamente da una famiglia nota alle forze dell’ordine.

Se volete fare un report che vuole indicare delle verità, dite la verità” esorta don Emanuele Casole, della chiesa di San Biagio: quell’immobile non è della curia, secondo il prete, il giornalista farà dunque delle verifiche “ma a me che me ne importa..”

In effetti sul sito della curia stessa la proprietà della chiesa dei San Coffettanari viene attribuita ad una confraternita e se così fosse, in punta di diritto canonico, a vigilare sul bene sarebbe appunto la curia. Poi c’è la delibera del 2005 della regione Campania che eroga dei contributi per i luoghi di culto e a chiederli per la chiesa di San Biagio sarebbe stato proprio don Emanuele Casole. Un ex dipendente della curia ha inviato un foglio excel a Report in cui compaiono i locatari morosi degli immobili della curia, e compare almeno fino al 2008 il nome di Margherita Macor, indicata come abitante al primo piano di via dei Taffettanari.
Procacciati ha chiesto alla famiglia Cortese (che abita in questo stabile) se esiste un rapporto o un contratto con la curia: hanno chiesto un contratto alla curia ma non c’è stato dato, “perché si dice che queste case non sanno di chi sono, come se non avessero padrone, però noi per vent’anni chi abbiamo pagato?”
Perché la curia non ha fatto chiarezza, perché non se ne è occupata prima di queste situazioni? “Perché spesso è molto più facile girare la testa dall’altra parte che far rispettare le regole” spiega a Report il deputato Daniele Borrelli di Alleanza Verdi Sinistra.

La scheda del servizio: ANDATE IN PACE di Danilo Procaccianti
collaborazione Goffredo De Pascale, Andrea Tornago

Una parrocchia cinquecentesca in pieno centro storico occupata da anni abusivamente da una famiglia, una parte della quale ha scontato lì anche gli arresti domiciliari; il borbonico Cimitero monumentale delle 366 fosse che è stato modificato, seppur vincolato dalla Soprintendenza…
Prosegue così l’inchiesta di Report sulla gestione dei beni della Curia di Napoli, tra assenza di controlli, singolari attività imprenditoriali e cospicui lasciti gestiti senza tenere conto delle volontà testamentarie, come è accaduto per il maestoso complesso immobiliare che domina la collina di Posillipo, lasciato alla Curia purché destinato a scopi di beneficenza, istruzione ed educazione, ma messo in vendita con il nulla osta dell’Arcivescovo Emerito di Napoli, Crescenzio Sepe.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

22 aprile 2023

Una questione di equilibrio di Gaspare Grammatico

 


Prologo

Per quelle strade non ci passava da una vita. Non c’era un motivo in particolare. Forse perché era una zona troppo a ridosso della montagna. Forse perché era troppo silenziosa. O forse solo perché era distante dal mare della Tonnara Tipa, dove era cresciuto e dove sua madre, da piccolo, lo portava ogni benedetto giorno d’estate..

Una questione d’equilibrio è il romanzo d’esordio dell’autore televisivo (e da ora scrittore) Gaspare Grammatico, ambientato a Trapani, città di mare, di antiche bellezze e carica di profumi.
È anche la città di Antonio Indelicato per gli amici Nenè, commissario di polizia con un cognome simile a quello di un’altra investigatrice Petra Delicado (della scrittrice spagnola Gimènez Bartlett, ma nessuna parentela.

«Dicevo che lei si chiama come quell’ispettrice dei romanzi gialli, quella... Pietra Indelicato». Nenè storse la bocca.

Dopo anni passati a lavorare al nord, Antonio Indelicato ha scelto di tornare a casa sua, nella sua città, per ritrovare quelle certezze e per crescere la sua amata figlia Sara, compito difficile come può esserlo per ogni adolescente, con l’aggiunta di doverlo fare da solo, perché la madre aveva scelto che non era quella la sua vita..

Per distendere i suoi nervi, per rilassarsi, l’unica ricetta che funziona è quella di cucinare qualcosa di buono e così lo incontriamo, nelle prime pagine (a proposito, a fine libro ci stavano bene tutte le ricette citate nelle pagine):

.. per fare il cuscusu di pesce la semola deve cuocere a vapore, e se quel vapore è aromatizzato è tutta un’altra cosa: ogni singolo granello dentro c’ha il mare, poi.

Purtroppo a metà preparazione di questo cuscusu gli arriva una telefonata che, come spesso accade, è portatrice di guai, “o lavoro o fimmine”, in questo caso la telefonata dalla vice Salvina Russo è di lavoro: un importante enologo, Platimiro Greco, famoso per le sue recensioni sui vini locali, molte delle quali nelle sue apparizioni televisive sul canale Wine Channell. Recensioni che avevano causato diversi attrici coi produttori, anche per il suo carattere e atteggiamento caustico.

Ma tutto questo non giustifica la morte, specie quella morte: Greco è stato ucciso al culmine di una tortura lunga e dolorosa nella sua cantina.

Aveva un potere immenso, Greco, grazie alla sua visibilità, ma nulla che potrebbe giustificare questo: le indagine di Nenè e della vice Salvina Russo partono da pochi elementi, la testimonianza di un vicino impiccione che aveva visto arrivare una macchina grossa alla villa domenica sera.
Dalla perquisizione della casa emerge solo un particolare “una vecchia chiave e un anello di ferro che non aveva affatto l’aria di essere prezioso”: la prima viene conservata dal commissario stesso, per trovare la serratura giusta, mentre l’anello viene consegnato al capo della scientifica, un curioso personaggio, piccolo di statura ma grande di cervello, che dovrà capirne la funzione.
Nello studio una fotografia che colpisce il commissario per l’espressione della donna ritratta, molto bella ma con una espressione annoiata, che sembrava scrutare chi le passasse davanti con una espressione inquieta.

Chi era questo Platimiro Greco? Le indagini si spostano nel mondo del canale televisivo di cui era spesso ospite per fare le sue recensioni sui vini nella trasmissione condotta dalla giornalista Monica Gentili: era una prima donna, nessuno lo sopportava ma era alla fine tollerato solo perché portava grandi ascolti – questa la descrizione che tutti fanno al commissario, anche la bellissima giornalista che si presenta in Questura suscitando fin da subito l’attenzione per la sua bellezza, “..era talmente bella che Nenè dovette rallentare il passo”.

Oltre a confermare il suo comportamento spigoloso, Monica Gentili porta al commissario un piccolo particolare interessante: nel corso di una puntata Greco aveva litigato con un produttore di vino, tale La Barbera, padre e figlio e con quest’ultimo erano arrivati fino alle minacce.
Dunque dietro il delitto una questione personale? Ma questo giustificherebbe una tortura che riporta ai tempi della Santa Inquisizione?

La cosa più inquietante era la condanna a morte che era stata scelta per lui. Una condanna lenta e dolorosa. Nenè aveva già visto da qualche parte quella forma di tortura. Forse in un film dove la Santa Inquisizione sottoponeva a quel rito l’imputato con l’intento di fargli confessare i propri peccati.

Quali peccati mortali poteva aver commesso questo personaggio che aveva tanti nemici, certo, ma nessuno tale da portare a questa morte? Le varie piste seguite dal commissario si dimostreranno tanti portoni chiusi, fino alla svolta che arriva grazie al supporto della scientifica e del suo capo, il “ventriloquo” Massari che consentirà a tutti i pezzi del puzzle (quella tortura, l’anello, la chiave) di trovare la loro giusta collocazione.

Questo esordio “Una questione di equilibrio” è un giallo in cui la componente personale del personaggio principale trova un suo spazio, accanto alle indagini sul delitto e al racconto della città, dei suoi luoghi, le sue bellezze. Nenè Indelicato è un investigatore che non nasconde la sua umanità e nemmeno le sue fragilità: in primis la figlia Sara, che deve crescere da solo e aiutarla a superare i tanti problemi dell’adolescenza l’affrontare i primi amori.

«Perché i maschi sono così idioti? Non parlo di te, naturalmente...». «Be’, intanto grazie, amore, della puntualizzazione.»

Ce la mette tutta, Nenè Indelicato, ad essere un buon padre, ad essere una brava persona (forse eccetto che con quell’impicciona della portinaia), nonostante le difficoltà della vita, le tante distrazioni (come quella bella donna con cui inizia a fantasticare per una relazione) e quel lavoro faticoso e senza orari.
La ricetta per arrivare a tutto questo, per arrivare a quel “giusto equilibrio” che ti fa vivere la vita con serenità, è tenersi accanto tutte le cose buone della vita e le persone a cui si vuole bene: la cucina, la musica, la figlia, il ricordo del padre, che ritrova non andando al cimitero ma ricercando la sua memoria nella vita di tutti i giorni

Suo padre era nei movimenti, negli odori, nei gusti, suo padre era in cucina – proprio dove voleva stare lui per le prossime ore.

Il romanzo si riprende, dopo un momento interlocutorio centrale, nel finale, dove tutti i pezzi si incastrano e dove si scopre il perché del delitto, che sarà un’altra storia amara di rimorsi e di vendetta.

Nel romanzo, che ha nella parte centrale un momento interlocutorio, come di sospensione dell’indagine, per poi riprendersi nel toccante finale fa capolino il romanzo di Leonardo Sciascia Una storia semplice:

È impressionante la lucidità con cui Sciascia parla di cose complesse come l’omertà, la corruzione e il depistaggio nascondendole all’interno di una trama semplice.
La scheda del libro sul sito di Mondadori e l’intervista all’autore.
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon


20 aprile 2023

Anno prima era Meloni

Quest'anno sarà un 25 aprile nell'anno primo dell'era Meloni. Dell'era di questo governo di destra, anche estrema, che sta cercando in tutti i modi di riscrivere la storia, annacquando le parti scomode per il loro passato. Il 25 aprile non sarà più una data fondante di questa repubblica, la lotta contro il fascismo e il nazismo deve essere dimenticata in nome della pacificazione. Siamo tutti uguali, tutti sullo stesso piano, quelli che hanno combattuto il fascismo (in tutti i modi possibili), e i fascisti, quelli che di fronte al fascismo si sono adeguati perché in fondo un regime che comprimeva i diritti non dava fastidio.

Quando sentite parlare un esponente di questa destra dovete sempre ribaltare il senso della frase.

Lo pensano veramente che sia in corso una sostituzione etnica, come ha candidamente ammesso il ministro cognato (o cognato ministro) Lollobrigida, per poi tornare indietro e dare la colpa alla sinistra che ha frainteso il senso, col solito giochetto dello scaricabarile.

Questa destra di governo non si riconosce in alcun modo con l'antifascismo, non ha nulla a che vedere con questo valore fondante: prendete la lettera del ministro Valditara (quello dell'umiltà) scritta al Corriere, "non bisogna fare abuso dell'antifascismo" per non correre il rischio di creare un clima di scontro con quanti non sono di sinistra. No, caro ministro, l'antifascismo è un valore di tutti, destra e sinistra. Di tutti i democratici. Chi non lo riconosce non si si riconosce nella nostra democrazia, semplice.

Ma nell'anno primo di questa era Meloni si sta cercando di iniettare, goccia dopo goccia, tanti altri pezzi dell'ideologia di destra.

I migranti devono essere criminalizzati, non gli devono essere riconosciuti diritti, devono scomparire dai radar delle istituzioni, in modo che siano poi ricattabili e disposti a tutto per tenersi un lavoro. E magari finire nei campi per essere sfruttati, come racconta la storia dei braccianti indiani nell'agro pontino (quelli che raccolgono i Kiwi).

Questo governo si è occupato del tema della natalità non aumentando salari, welfare, investendo in asili e servizi pubblici, ma dando dei sussidi a chi fa figli.

Questo governo si occupa della siccità (che questa primavera metterà in crisi tutto il sistema agricolo) nominando un commissario e creando una scatola vuota.

Questo governo sta criminalizzando le proteste dei ragazzi di Ultima generazione, che vengono considerati come associazioni criminali, ma non sta facendo nulla per rendere green le città, per spingere verso una transizione ecologica.

Da una parte via le regole sugli appalti, la pacificazione sul mancato versamento delle tasse. Dall'altra nulla per le morti sul lavoro, sulla sanità al collasso, sulla scuola pubblica.

18 aprile 2023

Report – diciassette anni dopo calciopoli

La puntata di ieri sera è partita dal servizio “Ombre nere” sul 41 bis: il passaggio del servizio in cui si faceva riferimento ad avvocati che assistono tanti boss mafiosi al 41 bis, cosa non vietata dalla legge ma che ha suscitato l’interesse anche della stessa commissione Antimafia.

Le camere penali di Roma ha deciso di querelare Report e Ranucci: i penalisti hanno anche accusato di aver divulgato documenti secretati, ma, ha risposto Ranucci stesso, non era in alcun modo secretato. Ed era la commissione parlamentare antimafia ad aver ritenuto poco normale avere tanti assistiti al 41 bis: sono informazioni che non dovrebbero essere ritenute calunniose e non è nemmeno vero che Report non ha a cuore la situazione nelle carceri.
Report si batterà anche contro i vincoli sull’uso delle intercettazioni che stanno a cuore alle Camere Penali, che però non si stanno ancora battendo contro le querele temerarie.

C’ERA UNA VOLTA CALCIOPOLI di Daniele Autieri

Il cattivo del calcio, fino al 2006, era Luciano Moggi, l’anima nera del calcio italiano, l’uomo dalle mille relazioni, dalla politica ai servizi.

Moggi ha mandato una chiavetta a Report, chiavetta che girava da anni: da qui è partita Report per fare nuove indagini sull’inchiesta di Calciopoli, che hanno svelato il lato oscuro dell’inchiesta.
Moggi aveva messo in piedi un vero sistema di potere assieme a Giraudo: predisponevano le griglie arbitrali per favorire la Juventus. Ma dopo 17 anni è emerso che nessuna partita che era stata considerata era stata poi condizionata, la giustizia sportiva ha radiato Moggi mentre quella penale è finita in nulla.
Ma Calciopoli ha portato ad un calcio più pulito, oppure è stato solo un passaggio tra prima e seconda repubblica del calcio.

Il 5 maggio 2002 l’Inter perde lo scudetto a Roma: da questa sconfitta e da una cena poi avvenuta a Milano partirebbe l’inchiesta calciopoli – come racconta oggi Paolo Bergamo a Report.
Cena in cui l’ex disegnatore venne invitato da Moratti, quest’ultimo si lamenta degli arbitraggi contro l’Inter. Moratti si sarebbe poi rivolto a Tavaroli e alla Polis Distinto: serviva una operazione di intelligence sulle rivelazioni di un arbitro, Nucini, poi ripetute al processo contro Moggi.

Tavaroli da poi una informativa ai carabinieri di Roma, che poi arriva sulla scrivania della pm Boccassini: la denuncia cade nel vuoto ma l’attività di Tavaroli non si ferma, continuando a scavare nella vita di Bergamo e di altri arbitri. L’inter dovette poi risarcire questi arbitri per quelle indagini illegali.
Ad alimentare però l’inchiesta dei pm di Napoli, da cui partì Calciopoli sarebbe nata da un astio calcistico – racconta Report: la squadra era finita in serie B e i tifosi davano la colpa a Carraro.
In tanti vogliono scardinare il sistema Moggi: i pm di Napoli, l’Inter e la Roma di Sensi.
A maggio al governo arriva il centro sinistra, al Coni arriva Guido Rossi al posto di Carraro
(futuro presidente di Telecom, della gestione Tronchetti Provera), che voleva escludere dalla nazionale il blocco Juventus.
Secondo Bergamo a far cadere Moggi ci fu un accordo industriale tra Montezemolo e Grande Stevens, Gabetti, Elkann: stava finendo la prima repubblica del calcio, come racconta in una telefonata l’ex deputato Latorre a Bergamo.
Moggi sarebbe stato fatto fuori dal fuoco amico degli Agnelli?
Il club accettò la retrocessione in serie B, per timore dell’esclusione dal calcio internazionale come aveva ventilato Blatter.
L’avvocato degli Agnelli, Galasso, chiamò Bergamo e gli raccontò che quello che era successo, contro Moggi e Giraudo, due personaggi ingombranti, era avvenuto sopra le loro teste.

Dopo il commissariamento di Rossi, cambiano i vertici del calcio: arriva il giovane presidente Cellino a capo della Lega calcio, a cercare di sistemare i dossier scomodi delle squadre di calcio.
Un bel falò e tutti era sistemato, ammette ridendo oggi il presidente del Brescia.
La vittoria ai campionati del 2006 fece dimenticare tutto lo scandalo.

C’è poi il dossier Palazzi, contro l’Inter di Moratti: su questo dossier non fu fatto alcun accertamento, nemmeno sullo scudetto vinto dalla squadra milanese.

Nel mondo del calcio di Moggi non c’erano né santi né eroi: è l’epoca dei presidenti Berlusconi, Lotito, Sensi, Moratti e del banchiere Geronzi con una mano sul calcio.
Un mondo in cui calcio e politica si intrecciano: lo racconta Massimo Cellino parlando della candidatura alla regione Sardegna proposta da Berlusconi.
Nella casa di Berlusconi, col ministro Pisanu, Cellino parlò degli arbitri: il ministro disse “chiamo Moggi che è meglio” per favorire Cellino.
Questo era il potere di Moggi: aveva dato schede telefoniche svizzere per parlare con gli arbitri senza avere problemi di intercettazioni.
I dati di queste sim, le prove del sistema Moggi, vennero sequestrati in modo illegittimo, senza rogatoria: queste furono poi le prove – racconta Report – della condanna di Moggi.

Ma quante partite sono state alterate? Alla fine, leggendo le carte dell’inchiesta sportiva, le partite condizionate sono poche, come gli arbitri condannati.
Le indagini della procura sportiva furono bruciate dall’uscita delle intercettazioni poi pubblicate dall’Espresso in un libro: le notizie uscirono dal nucleo dei carabinieri e impedirono potenziali indagini su altri club, racconta oggi Lepore.
Le pressioni arrivano da tutte le squadre racconta oggi Paolo Bergamo: c’erano le telefonate di Carraro che temeva errori a favore della Juve, senno scoppia un casino.
Sono pressioni per cui alla fine Bergamo chiamò poi l’arbitro di Inter Juventus, Rodomonti: “se hai un dubbio pensa a chi sta indietro..”.

Anche il Milan brigava per avere arbitraggi amici: l’uomo dei rapporti con la classe arbitrale era
l’ex dirigente Meani, anche lui rinviato a giudizio per frode sportiva.
La sua vicenda finì in prescrizione: Meani fece da tramite tra Galliani e l’ex arbitro Collina, che si incontrarono a cena, per la nomina da designatore di quest’ultimo.
Anche qui calcio e politica si intrecciano: in una intercettazione si sente parlare di un dossier su Paparesta nelle mani di Gianni Letta
(per curare gli affari personali dell’arbitro che è anche commercialista), una cosa inopportuna.

Il servizio di Report ha poi raccontato della Fiorentina, della Lazio: altre squadre dovevano essere coinvolte, racconta oggi Lepore, ma poi la soffiata delle indagini finita su l’Espresso fermò tutto.
C’è una intercettazione in cui emerge l’inedita alleanza tra Milan e l’Inter contro la Juve.
Ci sono le telefonate tra l’ex dirigente Facchetti e Bergamo, “mi raccomando facciamo in modo che le vittorie siano 5..”

Ci sono altre telefonate di Carraro sulla Fiorentina, che stava rischiando la B, sulla Lazio (“che aveva subito delle ingiustizie” si difende oggi).

Ma dopo Calciopoli il calcio è cambiato? Al procuratore sportivo Lepore è passata la passione per il calcio, i dubbi sul sistema calcio rimangono. Nonostante la prescrizione che ha spazzato via tutto.

17 aprile 2023

Una storia semplice di Leonardo Sciascia

 

La telefonata arrivò alle 9 e 37 della sera del 18 marzo, sabato, vigilia della rutilante e rombante festa che la città dedicava a san Giuseppe falegname: e al falegname appunto erano offerti i roghi di mobili vecchi che quella sera si accendevano nei quartieri popolari, quasi promessa ai falegnami ancora in esercizio, e ormai pochi, di un lavoro che non sarebbe mancato. Gli uffici erano, più delle altre sere a quell’ora, quasi deserti: anche se illuminati, l’illuminazione serale e notturna degli uffici di polizia tacitamente prescritta per dare impressione ai cittadini che in quegli uffici sempre sulla loro sicurezza si vegliava.

Il telefonista annotò l’ora e il nome della persona che telefonava: Giorgio Roccella. Aveva una voce educata, calma, suadente. ‘Come tutti i folli’ pensò il telefonista. Chiedeva infatti, il signor Roccella, del questore: una follia, specialmente a quell’ora e in quella particolare serata.

Una storia semplice eppure intricata, dove, in poco più di sessanta pagina troviamo un giallo, un omicidio fatto passare per suicidio, dei depistaggi e dell'omertà che copre la mafia e i suoi affari sporchi, dalla droga fino al traffico di opere d’arte (si fa riferimento ad un’opera di Caravaggio sparita da una chiesa di Palermo, “Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi”), senza che né le parole mafia che droga siano men che meno sussurrate dai protagonisti di questo libretto così prezioso.
Una trama semplice per una storia che in realtà è complessa.

Troviamo dentro tutti i personaggi che hanno caratterizzato l’universo letterario del maestro di Racalmuto: l’ingenuo brigadiere di polizia che vuole dimostrare di sapere fare il suo mestiere, mettere assieme pezzi scollati per risolvere un enigma; il presuntuoso magistrato che si vanta di essere arrivato a tal punto pur avendo preso sempre 3 in italiano. E che si sente rispondere dal professor Franzò (nel film tratto dal libro interpretato dal grande Gian Maria Volontè)

Nei componimenti d’italiano lei mi assegnava sempre un tre, perché copiavo. Ma una volta mi ha dato un cinque: perché?».

«Perché aveva copiato da un autore più intelligente».

«L’italiano: ero piuttosto debole in italiano. Ma, come vede, non è poi stato un gran guaio: sono qui, procuratore della Repubblica...».

«L’italiano non è l’italiano: è il ragionare» disse il professore. «Con meno italiano, lei sarebbe forse ancora più in alto». La battuta era feroce.

E ingenuo anche il povero e inconsapevole testimone di un omicidio, l’agente farmaceutico che si presenta a fare il suo dovere di cittadino rischiando quasi di finire in galera, in quel mondo all’incontrario che è quella Sicilia (tanto simile all’Italia della giustizia all’incontrario).
Giustizia tanto amara da digerire da farlo pentire di quel gesto così civile:

Pensò di tornare indietro, alla questura. Ma un momento dopo: «E che, vado di nuovo a cacciarmi in un guaio, e più grosso ancora?».

Riprese cantando la strada verso casa.


Tutti personaggi che indossano la propria maschera, come i personaggi dei romanzi di Pirandello, che in questo romanzo appare in più vesti: la vittima del delitto, un diplomatico che era tornato nella sua casa di campagna dopo tanti anni, non cercava proprio le lettere che il nonno aveva scritto a Pirandello (“che a sedici anni già sapeva cosa avrebbe scritto a sessanta”)?
Il responsabile di questo delitto non viene forse smascherato dal brigadiere per un errore in cui incorre, perché all’improvviso in lui è come se avvenisse uno sdoppiamento:

«Incredibile errore, da parte sua» disse il professore.
«Ma come ha potuto farlo, che cosa gli è accaduto in quel momento?».
«Forse un fenomeno di improvviso sdoppiamento: in quel momento è diventato il poliziotto che dava la caccia a se stesso». Ed enigmaticamente, come parlando tra sé, aggiunse: «Pirandello».

Quanta amarezza, quanto sconforto leggiamo dalle pagine di questo romanzo, sulla Sicilia di ieri che forse è una stampa e una figura (per dirla alla Camilleri che tanto ha preso da Sciascia) con l’Italia di oggi.

Sorprende come, in o

La scheda del libro sul sito di Adelphi

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Anteprima inchieste di Report – il processo agli Agnelli, Calciopoli e i canoni per i campanili

Questa sera Report torna ad occuparsi dello scandalo di Calciopoli che nel 2006 colpì diverse squadre di calcio, tra cui la Juventus. Poi un servizio che tocca una famiglia importante non solo nel mondo dell’imprenditoria, gli Agnelli e un processo per l’eredità di cui poco si parla.

Nell’anteprima un servizio sul canone che incassa la Chiesa per ospitare sui campanili le antenne per la telefonia.

Il canone per i campanili

La scheda del servizio: SEGNALE DIVINO di Chiara De Luca

Collaborazione Marzia Amico

L’Italia è nota come il paese dei 1000 campanili. Per la loro altezza e la posizione centrale dagli anni 2000 sono stati scelti per l’installazione di antenne telefoniche. L’ente ecclesiastico incassa un canone dalle aziende di telecomunicazioni: questo comporterebbe l’uso del campanile per finalità commerciali e la perdita dell’esenzione fiscale dedicata agli immobili della chiesa destinati al culto. Come si sono comportate le diocesi italiane?

17 anni anni fa Calciopoli

17 anni fa l’inchiesta di Calciopoli che coinvolse la Juve e sconvolto il mondo del calcio italiano: a distanza di tanti anni Report nel servizio di Daniele Autieri mostrerà intercettazioni inedite, documenti e testimonianze che non sono mai entrate nelle aule giudiziarie.
“Chi salva il calcio italiano è la vittoria ai mondiali” racconta a Report Massimo Cellino presidente del Brescia “che in quel merdaio più totale vinciamo il mondiale e risorgiamo come calcio..”.


Risorgiamo dallo scandalo che aveva al centro Luciano Moggi, l’uomo ovunque – come lo definisce l’ex designatore degli arbitri Paolo Bergamo, “ma non l’avevamo deciso noi, Moggi era Moggi, era quello che dava timore”, perché se sbagliavi in favore della Juve andavi in serie A, se sbagliavi contro la Juve andavi in serie B, sono le parole di un ex arbitro Danilo Nucini.
Un timore che emerge anche da una intercettazione in cui parlano Franco Carraro e Paolo Bergamo: “chi c’è lì a Juventus ..” “Rodomonti”, “mi raccomando che non aiuti la Juventus per carità di Dio” si sente dire da Carraro, ex presidente della Federcalcio dal 2001 al 2006 che, ad anni di distanza ammette di aver una sola intercettazione dove parla a favore di una squadra, la Lazio.
Tante squadre erano coinvolte in questo andazzo, andare a condizionare gli arbitri per favorire un club oppure un altro: “era un momento di terrore nel calcio, me lo ricordo” spiega oggi Cellino “però almeno sapevi che è il tuo nemico, sapevi da che parte stare, o coi buoni o coi cattivi”..
Quello che indicavano come il cattivo numero uno era Moggi il potente direttore sportivo della Juve, l’uomo dalle mille relazioni, politici, industriali, poliziotti, finanzieri, uomini dei servizi, l’anima nera del calcio italiano
.
Moggi ha consegnato a Report (e ad Andrea Agnelli) una chiavetta: io qui ho portato le voci di chi, nella sostanza, è intercettato con quello che dice.. di 170mila intercettazioni solo 25 sono finite a processo, quelle che riguardavano la Juventus:
tra queste una tra l’ex designatore degli arbitri Paolo Bergamo e l’arbitro De Santis dopo Juve Inter del 2005

Mamma mia..
Comunque l’importante è che questa sia andata bene senno sai che casino succedeva
Eh Massimo, tu te ne esci con quello .. quello col campionato no d’oro.. tipo eh

Cosa intendeva dire Paolo Bergamo? A Report spiega che era soddisfatto che fosse andato tutto bene, che nessuno potesse attaccarli. Alla fine, chi ha pagato per questo scandalo: come racconta l’anticipazione l'unico arbitro condannato è Massimo De Santis ma la pena è sospesa dalla Cassazione. Sospesi per pochi mesi Claudio Lotito, Adriano Galliani, Diego e Andrea Della Valle. Moggi e l’ad della Juve Giraudo sono radiati dal calcio ”.
Alla fine la Juve viene penalizzata finendo retrocessa in serie B mentre a Fiorentina, Milan, Lazio, Reggina e Arezzo vengono dati punti di penalità.

La scheda del servizio: C’ERA UNA VOLTA CALCIOPOLI di Daniele Autieri

Collaborazione Federico Marconi

Cosa c’è dentro la pennetta USB che Luciano Moggi ha consegnato nelle mani di Andrea Agnelli durante l’Assemblea degli azionisti della Juventus del gennaio scorso? Report ha ottenuto il contenuto di quella pennetta, il totale delle 170mila intercettazioni, molte rimaste inedite, registrate durante l’inchiesta “offside”, che 17 anni fa diede vita allo scandalo di Calciopoli. Tutti gli arbitri coinvolti, tranne uno, sono stati assolti, così come la quasi totalità dei dirigenti sportivi rinviati a giudizio. Per quelli non assolti, come Luciano Moggi, il potente direttore sportivo della Juventus condannato in appello per associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva, è intervenuta la prescrizione. Per la prima volta Report raccoglie le testimonianze e le rivelazioni dei protagonisti di quella vicenda: lo stesso Moggi, l’allora presidente della Federcalcio Franco Carraro, il designatore degli arbitri Paolo Bergamo, l’allora presidente della Lega Calcio Massimo Cellino, l’allenatore della Nazionale Campione del Mondo Marcello Lippi. Interviste che ricostruiscono un quadro del tutto inedito su quali furono le forze che si misero in moto per scardinare quel sistema di potere, accompagnate ad atti giudiziari ancora inediti che offrono la prova delle attività di spionaggio condotte da altri club nei confronti dei dirigenti della Juventus, oltre che di alcuni arbitri. Alle spalle una battaglia di potere tra i grandi padroni del calcio, da Silvio Berlusconi a Massimo Moratti, dalla famiglia Agnelli a Franco Sensi, dai fratelli Della Valle alle banche che avevano messo un piede nel calcio italiano.

L’eredità degli Agnelli

Lingotti d’oro, opere d’arte, conti miliardari celati in paradisi fiscali: dov’è finito il tesoro di Gianni Agnelli, chi è riuscito ad entrarne in possesso: il sedi Srvizio di Manuele Bonaccorsi cercherà di svelare i segreti del tesoro della famiglia più importante d’Italia.
Villar Perosa è un comune di 4000 abitanti alle pendici delle Alpi, in cima al paese c’è la villa dove hanno vissuto Gianni Agnelli e la moglie Marella, ancora oggi a vent’anni dalla morte la comunità vive nel ricordo dell’avvocato, venerato come una istituzione.
La sala consiliare è dedicata all’avvocato Giovanni Agnelli – racconta a Report il sindaco della cittadina – visto che lui ha ricoperto la carica di sindaco per tanti anni: nella sala, al posto del presidente della Repubblica due ritratti, dell’avvocato e del nonno ma, rassicura il sindaco, è perché hanno fatto il restauro da poco e “quindi bisogna ancora metterlo”.
“La famiglia Agnelli per Villar Perosa è stato un punto di riferimento ma anche delle personalità che hanno portato ricchezza” – prosegue il sindaco.
Come un feudatario? “Il termine feudatario non mi piace, è una persona che ci teneva al territorio”.

Nella valle del Pinerolo risiedeva il capostipite della dinastia, il senatore Giovanni, colui che nel 1900 fondò la Fiat, a Villar Perosa aveva costruito un grande stabilimento che produceva cuscinetti a sfera: qui vent’anni fa c’erano ventimila persone, operai, adesso ce ne sono mille.
Il sindaco ha portato le telecamere di Report di fronte alla chiesa di San Pietro, un gioiello barocco con degli affreschi fantastici: questa chiesa si trova dietro la villa degli Agnelli e al cimitero dove è stata seppellita Marella Agnelli, nella cappella di famiglia.
Dal 1953 Marella Caracciolo è stata moglie di Giovanni Agnelli, era di origine nobile, poteva fregiarsi del titolo di principessa, la sua villa era una residenza da re.
I suoi averi sono stati suddivisi ai tre nipoti John, Lapo e Ginevra:
su questa eredità e sul testamento di Marella Agnelli è in corso a Torino in processo che non è solo una questione privata della famiglia, ma riguarda anche le casse dello stato italiano.

La scheda del servizio: L'EREDITIERA SVIZZERA di Manuele Bonaccorsi e Federico Marconi

collaborazione Madi Ferrucci

A Torino è in corso il processo che potrebbe cambiare le sorti di una delle famiglie più importanti del capitalismo europeo: gli Agnelli. La contesa è sul testamento della principessa Marella Caracciolo, moglie dell'Avvocato Gianni Agnelli. Davanti ai giudici sono contrapposti la figlia di Gianni e Marella, Margherita, contro i figli Ginevra, Lapo e John Elkann. Margherita Agnelli sostiene che i testamenti svizzeri siano falsi e che il patto successorio da lei firmato a Ginevra nel 2004, con cui accettava 1,2 miliardi di euro di patrimonio paterno rinunciando all'eredità della madre, sia da invalidare. Il motivo: la residenza in Svizzera della madre era fittizia. Non è solo una questione di soldi. In ballo ci sono le quote della Dicembre, la holding della Famiglia Agnelli, che controlla Exor, Stellantis, Ferrari, Iveco, Cnh, la Juventus, i quotidiani Repubblica e La Stampa: un patrimonio di 25,5 miliardi di euro e i destini di migliaia di lavoratori. Quella davanti ai giudici di Torino non è però solo una vicenda privata: nelle casse dello Stato potrebbero rientrare decine di milioni di euro di imposte non pagate. Attraverso interviste esclusive e documenti inediti, Report è in grado di ricostruire la storia del patrimonio, della residenza e del testamento svizzero della principessa Caracciolo.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.