Sabato
«Cosa ci fa qui? Esca immediatamente o chiamerò la sicurezza!»
L’infermiera era diventata rossa paonazza, incredula dinanzi alla sagoma dell’intrusa. Le due braccia, simili a delle spade affilate, mulinarono più volte verso la ragazza che non osò proferire parola, consapevole di essere in torto marcio.
Per sua fortuna l’estranea era riuscita, con un’occhiata fugace, a sbirciare la lista dei pazienti affissa all’entrata del pronto soccorso. Lui non c’era. Questo stava a significare una cosa sola: era già stato trasferito in reparto.
Nello stesso istante una seconda infermiera, udendo le urla della collega, stava accorrendo per darle man forte; era tempo per l’ospite inatteso di andare via. Alzò la mano per attivare il sensore della porta scorrevole, sgusciò dall’edificio e affrettò il passo verso il reparto di neurologia, senza voltarsi indietro.
Le luci del soffitto all’entrata del padiglione Lancisi vennero assorbite dal suo abbigliamento interamente nero; la donna inghiottì le scale due a due per raggiungere il primo piano.
Formule mortali è
la prima indagine dei cinque di Monteverde, il gruppo di agenti agli
ordini del commissario Ansaldi che incontriamo subito nelle prime
pagine ricoverato in ospedale.
Se, dopo aver letto gli ultimi
due capitoli della serie dello scrittore italo francese Francois
Morlupi, avessimo delle curiosità sui suoi protagonisti, questo è
il libro che spiega tanti perché.
Da dove arrivano le ansie di
Biagio Maria Ansaldi, dalla sua non sempre felice adolescenza. Dove
ha lavorato prima di ritornare a Roma nel suo quartiere. Come mai la
passione per l’arte e in special modo sui quadri, come Nighthawks
di Hopper che “aveva un potere di rilassamento totale su di
lui”.
Ma ci sono anche gli altri: il duo Leoncini Di Chiara, i
“ringo boys” chiamati così perché sempre assieme e perché il
primo, William Leoncini, dalla pelle di color scuro ma con degli
occhi verdi così magnetici per le donne. L’altro, Marco Di Chiara,
appassionato di film coreani, di calcio (“magica Roma”):
“In loro non c’era né sostanza né continuità, e questo Ansaldi lo sapeva. Ma entrambi potevano avere dei lampi di genialità”.
C’è poi l’agente Caldara, che colma il suo non essere proprio un investigatore brillante con la sua tenacia, il cercare di essere sempre di aiuto agli altri.
Dell’ispettrice Virginie Loy sappiamo qualcosa di più dall’ultimo romanzo dell’autore “Nel nero degli abissi”: le cause della sua perenne tristezza a causa di quella corazza che deve indossare ogni giorno per difendersi dal male subito.
La mancanza totale di trucco, i piercing viola appuntiti al naso e una tuta di almeno due taglie più larga, non aiutavano di certo a renderla più femminile. Eppure era nel fiore dell’età, ..
Il cercare di
isolarsi dal mondo, per trovare un proprio spazio dove sentirsi al
sicuro è un qualcosa che unisce la vice ispettrice e il commissario
Ansaldi che è a capo del commissariato di Monteverde da pochi anni,
senza aver mai svolto un’indagine importante. Anzi, nessuno del suo
gruppo fino a quel momento in cui tutta la storia parte, aveva mai
fatto un’indagine così dura.
Un’indagine che ha a che fare
con una serie di delitti feroci, bestiali, che avvengono proprio nel
suo quartiere (e non solo) e che colpiscono una serie di professori
universitari, all’apparenza senza alcun legate tra di loro. Anzi,
l’unico legame, almeno in base alla scena del crimine, è un
macabro segnale che l’assassino, o gli assassini, ha lasciato. Ma
andiamo per ordine
Si accorse di aver calpestato una mano, a cui mancavano tutte le dita. La testa cominciava a girargli, non riusciva a capire cosa stesse succedendo.
A
Villa Sciarra, uno dei tanti parchetti di Roma con dietro un pezzo
della storia antica della città, un pensionato alle prese con la sua
passeggiata mattutina, si imbatte nella prima vittima: si tratta di
un uomo il cui busto è stato impalato (su una picca, come se fosse
passato Vlad l’impalatore). Le mani della vittima sono state usate
per disegnare la celebre formula di Einstein, E = mc².
Non si
tratta di un delitto a sangue freddo: chi lo ha fatto, sicuramente
più di uno, deve aver pianificato e pensato ogni dettaglio per
tempo, la scelta della vittima, il luogo, i dettagli del rituale
messo in piedi nel parco, le lunghe torture inflitte a quell’uomo.
Che solo poi si scoprirà essere un insegnante di fisica, Franco
Valoti, (forse questo il legame con quella formula così famosa?)
che, però, non aveva nemici, non aveva avuto screzi con nessuno in
particolare.
Appena la notizia diventa di dominio
pubblico, sulla testa del commissariato e di Ansaldi e della sua
squadra, che ancora non è una squadra, iniziano a calare le prime
rogne. Una conferenza stampa dove Ansaldi deve rispondere alle
domande, anche morbose, anche inutilmente polemiche, dei giornalisti.
Ma non è solo la pressione dall’altro a preoccupare il
commissario: i suoi agenti per la prima volta dovranno lavorare ad un
caso di omicidio che sicuramente lascerà un segno
Questa indagine avrebbe lasciato degli strascichi in tutti loro, lui ne era consapevole e lo aveva accettato.
Eppure, nonostante la fatica, il dover affrontare un caso difficile e senza appigli a cui aggrapparsi, la squadra agisce bene: Leoncini e Di Chiara si mettono sulle tracce dei pochi testimoni e dell’unico amico della vittima, un altro insegnante di chimica a cui viene in mente uno scontro avuto dal professore di fisica con uno studente.
«Ecco, questo studente, prima di salutarlo, gli aveva chiesto se credesse in Dio e se ammettesse che non tutto è spiegabile tramite la scienza e la fisica in particolare. [..]
Il
professore aveva risposto in modo netto
«La scienza ha fatto progressi solo dopo aver eliminato Dio».
Purtroppo
non sarà l’unica vittima, e l’unico rituale di morte, su cui i
cinque del Monteverde dovranno indagare: in che modo queste bestie
feroci, questi diavoli venuti dall’inferno, scelgono le loro
vittime? Perché quelle torture, che fanno tornare la mente ai tempi
bui della Santa Inquisizione, che fanno pensare ad una pena da
scontare? Perché quelle formule, le “formule mortali” che danno
il titolo al libro, lasciate come un segnale per qualcuno?
Con
una grande tenacia, i cinque del Monteverde scopriranno per la prima
volta il piacere di essere poliziotti per davvero, non solo agenti
dediti a compiti amministrativi come era successo fino a quel
momento.
Rispetto
agli ultimi due romanzi della serie, “Come
delfini tra pescecani” e “Nel
nero degli abissi”, in questo il racconto delle vicende
personali dei protagonisti è quasi prevalente sull’indagine in sé,
rendendo a volte un po’ pesante la lettura. L’autore voleva
sottolineare l’umanità di ognuno del gruppo, quello che ci si deve
lasciare alle spalle quando si deve guardare il fondo oscuro
dell’abisso, “se scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso
scruterà dentro di te’”.
Le ansie e la solitudine di
Ansaldi e di Loy. I problemi familiari dell’agente Caldara che mal
si conciliano con un lavoro che ti costringe ad orari assurdi, anche
nel fine settimana.
Anche i due “ringo boys” scopriranno il
piacere di lavorare in gruppo, quel piacere che ti fa sopportare
tutte le fatiche, anche andando a sacrificare quella parte di vita
privata, qualcosa di inconcepibile prima per i due agenti.
Nel
libro si toccano anche altri argomenti (oltre a raccontare un
rocambolesco viaggio in Corsica, durato ore, una pena per il povero
commissario): la zona oscura del web, dove trovano sfogo i peggiori
istinti della nostra società, una società dove non ci si può
fermare, dove l’ozio è considerato un fallimento.
Una
società in bilico tra scienza, raziocinio e un misticismo che va
oltre la fede, sfociando nella pazzia, nella malvagità.
I
precedenti romanzi della serie sui cinque del Monteverde
Come
delfini tra pescecani
Nel
nero degli abissi
La scheda del libro sul sito di Salani e il primo capitolo
I link per ordinarlo su Amazon e Ibs
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