29 settembre 2023

Il saldatore del Vajont di Antonio Bortoluzzi

 

L’acqua

Stamattina, prima d’essere completamente sveglio, mi sono venute in mente le parole che un vecchio collega di lavoro, un superstite del Vajont, mi disse in un giorno di sole, mentre guardavamo la distesa di capannoni da sopra il tetto dello stabilimento lungo il Piave: «Qua, sotto la ghiaia, ci sono ancora i nostri morti, dico le famiglie e i bambini; per me non sarà mai una zona industriale come le altre .»
Lavoro da trent’anni nella zona industriale di Longarone. Ieri ho partecipato alla visita guidata alla centrale di Soverzere, alla diga, alla frana del Monte Toc. E l’acqua non mi esce più dalla testa.

Sessant’anni fa, la sera dell’8 ottobre 1963, dal monte Toc si staccarono 250 ml di metri cubi di rocce, fango che finirono nell’invaso della diga del Vajont, causando un’onda di 50 ml di metri cubi che per metà sorvolò la cima della struttura. Furono sufficienti a spazzar via Longarone, la città a pochi chilometri dalla valle del Vajont, assieme ad altri paesi.
Furono circa duemila le vittime di questa strage, la più grave catastrofe causata dall’uomo in epoca moderna. L’olocausto della povera gente, “contadin gnoranti”, come li aveva chiamati Marco Paolini nel suo teatro della memoria in quella sera del 1997.

La più grave catastrofe causata dall’uomo: perché non è vero, come scrissero tanti giornalisti accorsi sul luogo della tragedia, che fu un incidente causato dalla natura, che non è né buona né cattiva. Non è vero che “un sasso è caduto nel bicchiere”, come scrisse Buzzati sulle pagine del corriere: quella tragedia è stata una tragedia causata dall’uomo, dai responsabili della Sade, dai politici, dagli uomini dentro le istituzioni che non vollero leggere i segnali della tragedia che c’erano tutti. Bastava solo volerli leggere.

La frana avvenuta nel 1960, gli scossoni dal Monte Toc, le fessurazioni sulla montagna, la perizia del dottor Muller che aveva evidenziato un fronte franoso sulla montagna che si affacciava sul bacino artificiale del grande Vajont, la più grande diga al monto, a doppio arco, vanto della nostra ingegneria, un fiore all’occhiello di quell’Italia che si preparava ad entrare tra i grandi del mondo.

Peccato che fosse una diga costruita laddove non si doveva costruire.

La storia della diga, della battaglia degli abitanti di Erto e Casso, la cronaca degli ultimi giorni di pace prima della tragedia, l’ha già raccontata Marco Paolini nella sua orazione civile “Vajont” (edizioni Einaudi).

Leggetevi la storia, riguardatevi su Raiplay o su internet il suo spettacolo, perché lo merita veramente: la Rai ha deciso che non lo rimanderà in onda, evidentemente ancora oggi è tabù parlare di Vajont, dell’olocausto di 2000 persone, donne, uomini e bambini, morti perché si è voluto mettere il profitto davanti al rispetto della vita umana.

Il romanzo di Antonio Bortoluzzi è complementare al racconto di Paolini: è narrato in prima persona, il protagonista è un operaio che ha lavorato per tanti anni a Longarone e che, in questo anniversario, ha deciso di visitare la diga.

La visita diventa occasione per fare memoria, in ricordo delle vittime (di cui solo per la metà furono trovati i corpi, tanto enorme è stata la potenza dell’acqua sulle case e sui capannoni quella notte di sessant’anni fa).

.. il Grande Vajont, culminato con la diga che per qualche tempo fu la più alta del mondo, è stata il risultato di tanti piccoli gesti compiuti da uomini-formica, impegnati insieme, quasi fossero mossi da un’unica volontà, a edificare il paradiso dell’energia che invece sarebbe stato l’inferno della catastrofe.

C’è il ricordo dei tanti lavoratori che hanno contribuito alla costruzione dell’impianto: quelli che hanno spaccato le pietre, quelli che hanno costruito le torri del calcestruzzo, miscelando sabbia calce e cemento. L’ingresso nella sala comando ricorda un po’ quello della plancia del Nautilus, coi comandi per le 4 turbine, ancora operative, coi generatori dove sulla targhetta sta scritto “ERCOLE MARELLI, MILANO, 1950; GENERATORE SINCRONO TRIFASE”.
Come il dolore per la tragedia, anche l’impianto è destinato a durare per sempre. Diversamente dalle nostre vite, dalle vite dei cinquanta operai morti nella costruzione: perché anche allora come oggi si muore sul lavoro, per inesperienza, per un errore umano. O, come accade sempre più spesso, per mancanza di formazione, di dispositivi di sicurezza.

Nei giorni successivi altri racconti: dell’unico amico del paese che aveva studiato ed era diventato ragioniere, e che si era recato al bar di Longarone per guardare la partita, e non è rimasto nulla né del locale né degli avventori; del taxista di Longarone, sceso la sera a Vittorio per portare dei clienti e che al ritorno non trova più la casa e la famiglia; dell’uomo che vedendo la reazione anomala del suo canarino, ..

Il viaggio nel mondo dei ricordi passa poi ai soldati: nel 1963, all’indomani della tragedia arrivano i primi soccorsi da parte degli alpini della Brigata Cadore, non a dorso dei muli (nell’esercito italiano degli anni sessanta erano ancora presenti questi quadrupedi) ma coi camion a diseppellire cadaveri, recuperare i corpi nudi incastrati sugli alberi.

Ragazzi come lo zio del protagonista, pure lui alpino ma negli anni ottanta, pure lui passato attraverso l’esperienza della naja, dei “veci”, del nonnismo, a dover ubbidire ad ordini difficilmente comprensibili, come i soldati della fortezza Bastiani ad attendere i Tartari.

Nel frattempo prosegue la visita alla diga, nei suoi corridoi, all’interno di quella massa di cemento dove anche il tempo sembra congelato. Infine il coronamento della diga da cui si può osservare tutto, la valle là in fondo, l’invaso riempito dalla frana dall’altra parte, dove nel 1997 fu realizzato il teatro della memoria di Marco Paolini e Gabriele Vacis.

Il teatro della memoria: perché questo è mancato in questi anni in Italia e anche nel nordest, che negli anni novanta era la locomotiva d’Italia, illusa della sua ricchezza facile.

Abbiamo rimosso cosa è stato, prima della tragedia: i campi e i frutteti sul monte Toc (che in dialetto friulano suona come Patoc, pezzo marcio), poi le fessurazioni quando l’acqua iniziò a riempire la valle, le preoccupazioni dei contadini di Erto e Casso, gli articoli della giornalista Tina Merlin de l’Unità, finita a processo con l’accusa di «diffusione di notizie false, esagerate, tendenziose, capaci di turbare l’ordine pubblico».

Assolta, perché quelle notizie erano vere.

Perché le grida d’allarme dei contadini non sono state ascoltate? Si stava costruendo il futuro dell’Italia e tutti premevano perché nessuno ostacolasse questo progresso. Ma quale futuro, quale progresso?

L’industrializzazione selvaggia degli anni sessanta ha distrutto il paese, spazzando via costumi, costringendo milioni di persone a spostarsi nelle città. Era l’Italia del boom che, come in rito ancestrale offriva “agli dèi il sangue delle vittime innocenti”.

L’immenso disastro, la strage, incarna la massima sofferenza: quella di perdere i propri cari, i paesani, gli averi, ogni singola pietra che rappresentava tutto il mondo, tutto il passato e il presente di una persona

La storia del Vajont racconta di quell’Italia fatta da imprenditori spregiudicati, di politici compiacenti, di interessi superiori al bene comune, di opportunismi e furberie. L’Italia dei potenti e del potere – pubblico e privato – in alto e della povera gente in basso.

Siamo riusciti a concepire, in quella valle che era rimasta per secoli uguale a sé stessa un’opera straordinaria, la diga a doppio arco più alta al mondo. Ma non siamo riusciti a immaginare la tragedia: né in quel 8 ottobre, nemmeno tanti anni dopo a Stava, in Trentino. O in Molise nella scuola crollata nel 2004 a San Giuliano. Nemmeno a Genova, nel 2019, quando è crollato un ponte.

Eppure sarebbe bastato pensarci, prima e non dopo: fare i lavori di manutenzione per il ponte oppure chiuderlo (scelta impopolare e anti redditizia). Costruire la scuola secondo le norme, rispettando le leggi.
La storia del Vajont parla del nostro passato ma ci costringe a riflettere sul nostro presente e sul futuro: perché quella tragedia può ancora accadere, in altri posti in Italia.

Non è sempre vero che tutto scorre; qui si respira una specie d’eternità immobile che preme sulle spalle, e si adagia sul cuore.

La scheda del libro sul sito di Feltrinelli e dell'editore Marsilio

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26 settembre 2023

Presa diretta – Inflazione la tassa ingiusta

C’è il paese degli slogan, dell’Italia che è tornata paese autorevole, dell’invasione degli immigrati. E c’è anche l’Italia coi problemi di salari bassi, di bollette più care, dei cittadini che devono capire se pagare le bollette o mangiare.

I rincari sono cominciati prima di questo governo, è corretto dirlo: sono partiti con la fine del Covid e poi sono esplose con la guerra in Ucraina.
Ci sono pensionati che pure prendono 1600 euro al mese ma che non stanno pagando le bollette: si riscaldano con le stufette a metano, altri, quelli con pensioni più basse, nemmeno quello.
Michele, il pensionato di Torre Annunziata intervistato da Presa diretta, racconta che il suo inverno 2022 è stato il peggiore di tutti: è stata un’economia di guerra, se le bollette dovessero crescere ancora molte famiglie andrebbero in crisi in queste zone.
Con 564 euro di pensione, è più pericoloso il rincaro delle bollette che non tenere le bombole del gas in casa: in Campania nel 2021 sono 270mila le persone che non sono riuscite a pagare le bollette nell’energia e i provvedimenti dei governi Meloni e Draghi non sono stati sufficienti, perché l’innalzamento dei prezzi è stato troppo elevato.
Il comune di Napoli ha messo in campo un bonus per l’energia: è stato un contributo una tantum, non ha risolto il problema, al comune sanno che ora siamo punto e a capo, l’emergenza non è finita e il prossimo autunno, racconta l’assessore Trapanese, sarà pure peggio senza il reddito di cittadinanza.

Senza reddito di cittadinanza che alternative ci sono? Le persone si rivolgono alla Caritas a Napoli, come a Milano al Pane Quotidiano, per avere un aiuto.
Sta crescendo il dislivello tra persone ricche e povere – raccontano dalla Caritas – ognuno deve dare il suo contributo. Nel frattempo ogni giorno i disoccupati a Napoli sono scesi per strada a manifestare contro questa situazione: siamo anche noi ad un passo dalla rivolta come in Francia?

Come mai i prezzi sono cresciuti?

Sono giustificati i rincari oppure c’è qualcuno che ci sta marciando sugli utili e sugli extra profitti?
A fine estate 2021 il gas è cresciuto di 4 volte tanto, per capire come mai Presadiretta è andata alla piazza di Amsterdam dove si stabilisce il prezzo del gas: come ha spiegato Alessandro Volpi, professore a Pisa, i rincari sono legati alle speculazioni della finanza, che ha scommesso sui rincari futuri del gas, i contratti futures piazzati dalle banche, dalle assicurazioni e dai fondi di investimento.

Questa mole di contratti speculativi ha fatto crescere il prezzo del gas, anche in Italia dove Eni ed Edison hanno intascato enormi profitti, che il governo Monti ha cercato – male – di tassare.
Le compagnie energetiche hanno bloccato la legge, spiegando come fosse fatta male: le aziende hanno versato 2,7 miliardi anziché 11 miliardi preventivati.
Il governo Meloni ha rinunciato ad incassare 8 miliardi di tasse, archiviando la tassa di Draghi e creandone una nuova, tassa di solidarietà: ma la norma sugli extraprofitti fatta dal governo Meloni ha scadenza 30 novembre, al momento sono stati versati solo 82ml al posto dei 2 miliardi.
Eni, Edison, Snam hanno pagato i maggiori dividendi, sulle spalle degli italiani?

Ma è cresciuto il prezzo del pollo, della carne, delle uova, degli ortaggi, della frutta, della pasta: lo racconta Assoutenti, associazione no-profit a difesa dei consumatori. Si parla di 1000 euro a famiglia, secondo una stima dell’associazione.
Ci sono poi i maggiori costi di alberghi, voli: non è stata colpa degli alberghi, si difende l’associazione di categoria, colpa dei rincari energetici dice Francesco Bechi.

Come mai l’imprenditore non sceglie di abbassare i profitti, dunque? Il prezzo lo fa il mercato, conclude il presidente di Federalberghi.
I prezzi oggi crescono più lentamente, ma il prezzo potrebbe non sempre tornare ai valori pre inflazione: ma non è solo colpa di energia e della guerra, il direttivo della BCE ha raccontato di come i profitti delle aziende hanno inciso sull’aumento dei prezzi. Ovvero l’aumento dei prezzi di produzione è stato scaricato sui consumatori finali: stiamo assistendo ad una inflazione da profitti, gli utili netti delle aziende è cresciuto del 53% - racconta Matteo Gaddi a Presa diretta.
Quali settori hanno registrato maggiori profitti nel 2022? L’agroalimentante ha realizzato il 20% in più di utili, ad esempio.

Il comune di Terni ha lanciato una campagna di sensibilizzazione sul tema dell’inflazione: è bastato scriverlo nero su bianco che il prezzo del pane si alzava troppo, per farne diminuire il prezzo. È successa la stessa cosa a Verona. Alla fine basta che le istituzioni facciano le istituzioni, al servizio del cittadino e non di altri interessi particolari: basta informare le persone quali sono i prodotti stanno crescendo e quali meno, per dare tutte le informazioni su come comporre il carrello della spesa.

Il ministro Urso ha lanciato il patto anti inflazione: ma sono tante parole e pochi fatti, come riporta sempre il servizio di Presadiretta.
Il patto stipulato con diverse associazioni di categoria è considerato poca cosa dai sindacati: non basta chiedere alle imprese di mettersi la mano sulla coscienza.

Secondo il patto, alcuni prodotti saranno venduti ad un prezzo calmierato: i primi ad aderire al patto sono stati i distributori, ma questi chiedono che siano coinvolti anche i produttori.
Si stima un risparmio fino a 150 euro a tre mesi, ma rischiamo che tutto diventi una bella operazione di marketing per i supermercati, per soli tre mesi all’anno.

C’è poi il bonus benzina, ma solo per i più indigenti, le famiglie che hanno la carta “Dedicata a te” che ha sostituito il reddito di cittadinanza.
La norma sull’esposizione dei prezzi per i gestori è diventata solo l’ennesimo compito da svolgere, pena ammende: le persone nemmeno li vedono i cartelli.
A febbraio scorso il governo ha rinunciato a tagliare le accise, perché quei soldi servono per altre misure pianificate.

Anche sui voli aerei, per il tetto sul prezzo, il governo ha dovuto fare marcia indietro: quello su Ryan Air è stato considerato un decreto spazzatura, che alla fine ha tagliato dell’8% i voli verso la Sardegna.

Anche la Commissione Europea ha fatto le pulci al decreto sul caro voli: rischiavamo una procedura di infrazione in sede europea, così Urso rilancia con un nuovo decreto senza alcun tetto alle tariffe, ma con più potere all’antitrust.

L’economista Stagnaro, dell’istituto Bruno Leoni, usa la metafora del fumetto per raccontare questa situazione, occorre aumentare l’offerta per abbassare i prezzi delle tariffe, ma il governo sta andando in direzione contraria, pensando a quanto stato fatto con le concessioni balneari.

Il peso dei salari
La BCE ha contrastato l’inflazione aumentando il prezzo del denaro, ma questa politica monetaria non ha portato a benefici per il paese. Secondo Pasquale Tridico non basta aumentare il costo del denaro, questa politica incide negativamente sulle famiglie povere, c’è il rischio di una nuova recessione, cala la produzione industriale.

Si deve mettere in campo una politica dei redditi strutturale – continua Tridico: i salari non sono cresciuti in alcun settore, si deve puntare al salario minimo per contrastare il lavoro povero.

Lavoratori che prendono salari sotto la soglia di povertà: persone che lavorano nel settore della sicurezza come i vigilantes, che con 1100 euro al mese sono costretti ad “arrotondare” per far fronte al caro spese, sperando sempre di non ammalarsi.

C’è poi il settore dei servizi (fiduciari), persone che lavorano per 4 euro l’ora: così alcuni di loro hanno fatto causa al datore di lavoro, come Aurelio Bocchi, che a Presadiretta racconta che “è solo una bomba ad orologeria” ancora pochi anni e arriveremo ad una rivolta come in Francia.

Il governo dovrebbe supportare la contrattazione collettiva, ma lo Stato è il primo a non firmare i contratti pubblici: ci sono funzionari assunti per il PNRR che si ritrovano a lavorare per 1700 euro al mese, pur avendo una professionalità alta. Alcuni dei professionisti assunti per lavorare al ministero per il PNRR che hanno rinunciato, perché vivere a Roma con 1700 euro non è facile e questo mette a rischio anche lo stesso PNRR.

La rivolta in Francia

La riforma delle pensioni (con l’innalzamento dell’età pensionabile e la perdita di diritti sul lavoro) di Macron è stata solo la ciliegina: prima c’è stato il rincaro della benzina e il lavoro povero.
Contro la riforma si sono mobilitati studenti, operai e i sindacati: il progetto di riforma è stato giustificato col fatto che l’attuale sistema non era sostenibile, dunque il governo ha alzato l’età della pensione, fino a raggiungere i 64 anni nel 2030.

Le sinistre si sono opposte alla riforma: il sistema pensionistico non è in default, la riforma si basa su una previsione, su una stima, e il governo ha imposto la riforma senza discuterla.
Alla fine la legge è passata senza alcun passaggio in Parlamento, un processo ritenuto costituzionale, ma che dal punto di vista politico è considerato un errore.

Con questa riforma i ceti più alti, i laureati non pagheranno alcun dazio, vanno già in pensione a 64 anni, sono penalizzati i salari bassi e le persone che hanno iniziato presto a lavorare.

Sono persone che svolgono lavori pesanti, logoranti, in condizioni rischiose: la loro aspettativa di vita è inferiore a quella dei manager, ad esempio, col rischio di non vederla nemmeno la pensione.

Secondo uno studio dell’OFCE, l’inflazione in Francia è destinata a rimanere alta e questa colpirà di più le fasce medio basse, facendo aumentare le disuguaglianze.
In Francia l’1% della popolazione detiene il 25% della ricchezza: la crisi dovrebbero pagarla prima i ricchi, eppure Macron ha eliminato la tassa patrimoniale sui super ricchi.

Basterebbe abbassare i soldi di stato concessi come contributi alle aziende private, come la Total, bisognerebbe imporre alle donne lo stesso salario dato agli uomini: sono tante le proposte dei partiti di opposizione, ma il governo non le ha ascoltate.

Il governo ha cercato di impedire le manifestazioni spontanee dei cittadini fatte con le pentole, le casseruole, usando la leva della legge anti terrorismo.

Anche gli studenti si sono uniti alle manifestazioni, le università sono state occupate: la riforma di Macron sulle pensioni è solo la punta dell’iceberg, perché in questi mesi sono alzate le tasse per studiare, sono stati tolti buoni pasto, si è precarizzato il lavoro.

La protesta ha avuto il culmine il 1 maggio, per una manifestazione che è stata molto partecipata ma anche con molti episodi di violenza, cariche, scontri, incendi, feriti.

I sindacati, come la CGT, ha deciso di andare avanti con la lotta: i lavoratori della EDF hanno iniziato a bloccare i reattori della più grande centrale nucleare, causando un danno per l’azienda.

Sono apparsi novelli Robin Hood che hanno allacciato l’energia per le famiglie che non possono pagare le bollette e staccato quelli dei politici che hanno appoggiato la riforma.

Una lotta di classe, con risvolti anche penali che però al momento non ha bloccato la riforma ma che, come sostiene l’esponente di sinistra Melenchon, è servita a creare una mobilitazione popolare, di massa, contro il modello liberale.
Questa massa deve cercare il suo spazio a sinistra, ma nel frattempo a crescere nei sondaggi al momento è l’estrema destra di Le Pen.

Come in tutta Europa, la destra sta crescendo, sfruttando i suoi temi dalla sicurezza all’immigrazione, facendo la lotta all’Unione Europea da sostituire con una alleanza tra paesi europei.

Questa destra sta facendo una battaglia contro il Green New Deal, contro le leggi che limitano i pesticidi in Europa e in Italia: eppure l’uso dei pesticidi in Veneto, nelle terre del Prosecco ha causato danni all’ambiente e alle persone.

Il boom del Prosecco è stato facilitato da ingenti sussidi pubblici e oggi copre un giro d’affari da 3 miliardi di euro: ma la vite del Prosecco è poco resistente e ha bisogno di più trattamenti.

Le persone che vivono vicine alle viti sono preoccupate, chiedono di sapere quali sono i prodotti fitosanitari usati, perché temono per la loro salute.

25 settembre 2023

Anteprima Presa diretta – Inflazione la tassa ingiusta

Hai voglia a fare tavoli assieme a sindacati e associazioni di categoria, come quello di venerdì scorso a Palazzo Chigi: l’inflazione, assieme alla speculazione sulle materie prime, sui prezzi dell’energia, si sta mangiando i salari delle persone.

Il ministro Urso ha spiegato quali siano le sue intenzioni per combattere l’inflazione, dal patto anti inflazione che parte il primo ottobre al bonus benzina (una tantum di 80 euro ma solo a chi ha la social card), ma in realtà servirebbero misure strutturali più serie, i sindacati considerano queste misure “pannicelli caldi” e in vista della finanziaria (dove si annunciano altri condoni, perché il governo deve battere cassa) chiedono ad esempio l’aumento dei salari e l’introduzione del salario minimo. Difficile che nel CDM di lunedì si discuterà di questo argomento, considerato tabù dalla nostra destra di governo.

Presa diretta con Andrea Vignali ha intervistato l’economista Stiglitz da sempre critico nei confronti di questo modello economico neoliberista, considerato ingiusto, poco sostenibile e anche poco democratico, considerato che taglia fuori dall’area dei diritti garantiti dallo stato la fascia più povera del paese (senza scuola, sanità, ascensore sociale…): “Un società più giusta, è una società anche democraticamente intelligente.”

Il servizio cercherà anche di capire quali siano le cause di questa inflazione o, meglio, come mai se l’inflazione sta scendendo, i prezzi continuano a salire? C’è qualcuno che sta speculando sopra questa situazione?
Perché la situazione nel paese sta diventando sempre più critica (e non si potrà nasconderla a lungo sotto la lunga coperta dell’invasione degli immigrati): dal 2021, dunque prima del governo Meloni, sono milioni gli italiani che fanno fatica a pagare le bollette, o si mangia o si paga la luce, l’acqua.. Sono aumentati i prezzi dei beni di consumo, della benzina, i libri di testo per le scuole, gli affitti e le rate del mutuo: tutto cresce tranne i salari. In due anni i lavoratori hanno perso circa il 15% del potere di acquisto – racconterà a Presadiretta l’ex presidente dell’Inps Tridico.
Così oggi persone come il signor Raffaele, originario di Avellino ma trasferitosi a Bergamo per lavoro, si trova di fronte ad un mutuo trentennale che è passato da 600 euro, a 800 fino a 1000 euro, la metà dello stipendio. Come mai questi aumenti? – la domanda fatta alla banca: per colpa dei punti messi dalla BCE sul costo del denaro, per via dell’inflazione.

Oggi la banca non gli offrirebbe più un mutuo a queste condizioni, che rende la vita delle persone molto difficile, perché difficile è arrivare a fine mese.

La scheda del servizio :

Un viaggio di PresaDiretta tra le famiglie italiane strangolate dall'inflazione e le analisi dei tecnici e degli economisti. Tra le altre, la voce di Joseph Stiglitz, Premio Nobel per l'economia. Ce ne siamo accorti tutti: fare la spesa e pagare le bollette costa sempre di più, gli affitti e i tassi dei mutui sono in costante aumento. Milioni di famiglie italiane i cui redditi sono erosi dall'inflazione, non ce la fanno più. Cosa sta facendo il Governo per tenere sotto controllo i prezzi? Di che cosa è fatta questa inflazione così ingiusta che colpisce soprattutto i più poveri e la classe media? E infine, c'è chi se ne approfitta? Le bollette. Uno studio ha calcolato che l'anno scorso gli italiani hanno lavorato un mese solo per pagare luce e gas. In gergo la chiamano "inflazione energetica" e ha messo in crisi milioni di famiglie. Ma perché le nostre bollette sono ancora tra le più care d'Europa? Il carrello della spesa. Mettere in tavola il pranzo e la cena è costato 1000 euro in più a famiglia. A cosa è dovuto questo aumento dei prezzi dei generi alimentari? E quando la tempesta sarà passata, siamo sicuri che scenderanno anche i prezzi? Gli speculatori. PresaDiretta ha raccontato i settori che stanno approfittando della situazione e aumentando i profitti e l'impegno del Governo per contenere i comportamenti speculativi e i rialzi di benzina, biglietti aerei e prodotti alimentari. Con quali risultati? I salari. Mentre l'inflazione galoppa il nostro potere d'acquisto si sgretola, anche perché in Italia i salari non crescono da anni. PresaDiretta ha raccolto le storie dei lavoratori e ascoltato gli economisti per capire quali misure bisognerebbe adottare per fermare questo disastro. E infine uno straordinario reportage dalla Francia, che più di ogni altro paese in Europa si è ribellata ed è scesa in piazza per protestare contro il carovita e le riforme messe in atto dalla politica. Un'ondata di proteste senza precedenti.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

24 settembre 2023

Quello che noi non siamo, di Gianni Biondillo


 

Due uomini di mezza età camminano lungo via Monte Napoleone. La città è piena di cantieri e di gente indaffarata che va dappertutto. I due amici vestono abiti artigianali di buona fattura, uno è magro, sembra prosciugato, al punto da far apparire l’altro bolso. L’uomo magro indossa un cappello, l’altro sfoggia la sua canizie con indifferenza. E parla. Parla di continuo, con entusiasmo, ha tante cose di cui discutere con l’amico. Che non dice nulla, però. Non replica. Forse non sta neppure ascoltando. Ha lo sguardo vitreo, assente. Poi all’improvviso vede qualcosa per terra. Un tozzo di pane semiammuffito. Si piega di scatto per raccoglierlo e se lo porta al petto, come se avesse trovato un tesoro, timoroso che gli venga sottratto. I curiosi osservano la scena, increduli.

Chi sono questi uomini che stanno camminando per le vie di Milano? Come mai l’uomo magro se ne sta così zitto e perché quel gesto, che oggi considereremo così strano, del pane raccolto per terra?
Capiremo tutto alla fine di questo lungo racconto che copre i venti anni del regime fascista, anzi, attraverso i ricordi dei protagonisti ci porta indietro fino alla prima guerra mondiale, alle carneficine dentro le trincee, dentro le prigioni austriache, quelle da cui in modo avventuroso Giuseppe “Bepi” Pagano riuscì a fuggire. Dalla prima guerra mondiale fino alla seconda, all’ora del destino irrevocabile, quando con la menzogna del milione di baionette il regime di Mussolini illuse gli italiani di essere potenza mondiale. Per trascinarci nella più vergognosa delle disfatte: le macerie delle costruzioni, i milioni di morti, l’onta delle leggi razziali (che si aggiungeva a tutte le altre privazioni di libertà del regime), gli italiani deportati nei lager, la guerra di liberazione con italiani contro italiani, per liberarci da quel regime fascista, senza però esserci liberati dai fascisti.
Ma questo non è un saggio storico, tutto questo arco temporale è raccontato, basandosi sulle memorie, sulla raccolta documentale, in prima persona da un punto di vista particolare: quello degli architetti (ma anche artisti, intellettuali) che, a partite dagli anni 30, cercarono di cambiare lo stile delle costruzioni degli edifici pubblici, dei quartieri dove far vivere le persone, delle stazioni, delle università, delle scuole.
Qualcosa che già Antonio San’Elia aveva immaginato nei suoi disegni, proiettati nel futuro: progetti purtroppo mai realizzati per la sua morte precoce sui campi della prima guerra mondiale (questo romanzo è la naturale prosecuzione del precedente “Come sugli alberi le foglie”).

Architetti come Giuseppe Pagano “Bepi”, irredentista, nato a Fiume sotto l’aquila asburgica che decise di combattere per l’Italia a qualunque costo e che a Praga, dopo una rocambolesca fuga dal carcere austriaco, scopre il bello dell’architettura

La bellezza non ha confini. Era una cosa da capire, da studiare.

Fu durante quella notte praghese che lo intuì, per la prima volta in modo evidente, palpabile. Fino a quel momento non si era posto il problema preso dai suoi impeti irredentisti, di cosa fare dopo la buriana della guerra. Architettura. Ecco cosa doveva studiare tornato a casa. Architettura.

Oppure il “magistro comacino” Giuseppe Terragni, nato a Como ultimo di tre fratelli, che viveva il suo lavoro di architetto quasi come una missione, in lotta contro i “passatisti” come venivano chiamati i committenti delle opere pubbliche, i dirigenti di Roma che dovevano giudicare i progetti, i critici dei opere sui giornali. Gente che è rimasta con la testa ai secoli passati, gente a cui bisogna fare guerra:

Guerra? Un fuoco, sì, un fuoco che ci divora, a me, ai miei compagni del Politecnico, da anni. Contro quei professoroni tutti azzimati, e i loro corsi fuori dal mondo: un anno progetti architettura gotica, quello dopo rinascimentale. Qui volano gli aeroplani e le navi attraverso uno gli oceani e noi che disegniamo come fossi ancora la corte del Re sole. E intanto in Europa è successo di tutto. Non ha parole, nei fatti. Ma dove vogliamo andare, ci dicevamo, cosa vogliamo fare?
Tutto lo spazio se ne sono già presi i tromboni e le trombette, ci toccherà mettere in nasi finti, vestirci da giullari oppure fare gruppo, unire le forze far sentire la nostra voce. Che se parla uno e voce nel deserto, se urlano in tanti almeno un polverone lo tiriamo su.

Ed ecco allora le riviste dove pubblicare le loro idee, i gruppi di architetti che si riuniscono, per dar forza ai loro progetti.

Un mondo culturale in fermento che coinvolge tanti artisti, intellettuali, da Piero Bottoni a Milano e sua sorella Maria, Luigi Zuccoli amico e allievo di Terragni, Pietro Maria Bardi, Edoardo Persico, fino ai quattro moschettieri milanesi, Giangio, Lodo, Aurèl e Ernesto, ovvero Gian Luigi Banfi, Ludovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressutti, Ernesto Nathan Rogers, BBPR. Già nella tesi del quinto anno presentarono un progetto della città ideale, secondo i loro canoni: moderna, omogenea, razionale.

Questi sono solo alcuni dei protagonisti di questo romanzo veramente corale, a più voci, sia uomini che donne, che alle donne era di fatto preclusa la carriera universitaria, “le donne non possono fare gli architetti”, era l’idea dei tempi contro cui andarono a combattere donne come Maria Bottoni, Mara Montuoro, Maria Albini.
Il fascismo poi, aveva un suo concetto particolare delle donne: la donna poteva essere solo l’angelo del focolare, la madre dei figli o, al limite, la donna che soddisfa le voglie del marito a fine giornata

In quegli anni tutto ciò che avesse a che fare con l'emancipazione femminile era a rischio, ad essere sincere. Il regime colpiva, più che con durezza, con profondità le conquiste delle donne di inizio secolo, le smantellava. La loro condizione doveva essere regredire a vestali del focolare o prostitute. Niente in mezzo. Oggetti o culto. Madonne da bestemmiare.

Eh, già il fascismo: l’atteggiamento di questo gruppo di intellettuali razionalisti nei confronti del regime è al centro di tutto il racconto, per la grande illusione che Mussolini e la sua rivoluzione fascista avrebbe spazzato via tutto quello di antico e vecchio che imbrigliava l’arte, le costruzioni, il pensiero.

Molti di loro diventarono consapevolmente fascisti, nonostante le leggi fascistissime, i divieti, le censure, le manganellate, l’aventino. Nonostante l’omicidio di Giacomo Matteotti per mano di sgherri del regime, nel giugno del 1924.

Vuoi vedere che forse aveva ragione Bardi e tutta la pletora di razionalisti romani che distinguere l'arte dalla politica era una stupidaggine che occorreva buttarsi a colpo morto nelle braccia del regime anzi no abbracciarlo per migliorarlo nobilitarlo salvarlo dalla farragine della macchina burocratica retoriche passatista per i dati slancio e rivoluzionario?

Terragni, Pagano e tanti altri presero la tessera del partito, pensando, illusi, di poterlo cambiare dall’interno. Illusi, nei loro confronti il regime, Mussolini tennero un atteggiamento del bastone e della carota, cercando di accontentarli senza però mutare nulla, della loro visione neoclassica, imperiale, basata sulle antiche gloria della Roma imperiale. Glorie che si sarebbero presto spente sulle nevi della Russia o nel rovente deserto nel nord Africa.

Terragni, fascista perché nato col fascismo, si giustificava dicendo che “l’unica tirannia a cui doveva dare conto era quella della sua coscienza d’artista”. L’arte come strumento per lasciare un segno nella storia, come Caravaggio, come Michelangelo, chi se li ricorda oggi i tiranni, i papi e i vescovi?

L’architettura come missione, come pensava “Bepi” Pagano, dunque: “la vera missione dell'architettura doveva essere quella di intervenire nella vita quotidiana di tutti, migliorandola. Niente svolazzi artistici, niente eccezioni, niente architettura per pochi, niente manierismi, ogni edificio doveva sottoporsi, come la chiamava lui, alla schiavitù utilitaria, essere prima di tutto un servizio..”.

Ma erano solo illusioni: il regime li teneva d’occhio questi intellettuali scomodi, scomodi perché difficilmente controllabili, che erano poi in contatto con altri intellettuali ostili al regime, come Giuseppe Persico, napoletano trapiantato a Milano, vittima di un brutale pestaggio da parte di fascisti a cui non aveva nemmeno cercato di sottrarsi (“ecco l’agnello di Dio”).
Il fascismo è l’autobiografia di una nazione – disse Gobetti: l’autobiografia di quella nazione che ha voluto il fascismo, il regime: da quelle famiglie borghesi (da cui provenivano appunto gli stessi razionalisti, gli innovatori) che hanno scelto l’uomo forte che mettesse ordine.

.. l'abbiamo voluto noi Mussolini ,anche se mio padre lo detestava, ma i miei zii, i miei parenti lo adoravano. Lo abbiamo desiderato noi il fascismo, noi come classe dirigente, come classe pensante, come classe borghese, aristocratica, cattolica, lo abbiamo desiderato noi l'uomo d'ordine, che mettesse a tacere la plebee, che lasciasse lavorare in pace i capitani di industria. I nostri padri, le nostre madri, i nostri amici. Noi. L'abbiamo voluto noi. Abbiamo discusso per anni di gusto, spirito, arte. C'è chi si è fatto ingannare, pensando di essere un rivoluzionario, e ci ha anche creduto. E nel mentre c'era un popolo analfabeta, a noi completamente sconosciuto, un popolo straccione escluso dai nostri consensi borghesi, che ci guardava - che ci guarda! - come padroni, tali e quali a quelli che noi diciamo di odiare.

Sono parole potenti, quelle cui riportate, di Maria Albini.

Parole dure contro quegli italiani che, in una triste metafora, hanno fatto la fine della rana dentro la pentola, che non si accorge di essere bollita perché l’acqua si scalda un poco alla volta. Prima le leggi contro i sindacati, poi le persecuzioni contro i socialisti, i comunisti. Poi le veline ai giornali. I tribunali speciali. La legge elettorale truffa.

Ci stanno bollendo a fuoco lento e noi stiamo accettando tutto. C'è chi fa la camicia nera, chi l'antiborghese, chi l'originale chi l'artista c'è chi fa il gerarca il contadino e chi l'architetto. Basta che ce lo lascino fare, no?
Nel mentre la temperatura si alza ma noi ci stiamo raccontando che se facciamo bene le nostre cose siamo nel giusto, abbiamo la coscienza a posto.

E la temperatura dell’acqua si sarebbe alzata ancora: prima le leggi razziali, che cacciarono dalle istituzioni le persone di religione ebraica, privandole sia dei loro beni che della loro dignità come persona.
Poi vennero i venti di guerra, quella guerra che nelle stupide idee di Mussolini sarebbe durata soli pochi mesi. E che invece si portò via milioni di vite umane nei vari campi di battaglia, trascinati da quella propaganda bellicista che purtroppo non è mai tramontata, nemmeno oggi (“la pace riposa sulle forze armate”..).
Non scapparono dalle loro responsabilità, gli architetti razionalisti protagonisti di questa lunga pagina della nostra storia, non cercarono di scappare: Terragni finì in Russia, a scoprire coi propri occhi l’assurdità di quella guerra contro un nemico (i bolscevichi) che aveva la nostra stessa faccia.
Nemmeno Giuseppe Pagano, a cui Terragni aveva confessato di essere stato un illuso nel suo fidarsi del regime, cercò di scappare quando arrivò la cartolina dall’esercito, nonostante gli anni, nonostante le sue amicizie a Roma, perché noi “dobbiamo pagare le nostre responsabilità”.

L’illusione fascista, l’impero che tornava sui colli fatali di Roma, crollò miseramente: arrivarono le sconfitte, i bombardamenti, la presa di coscienza. E arrivò anche l’ignavia del governo Badoglio, che prese il posto di Mussolini dopo il 25 luglio 1943, con l’assurdo comunicato radio, con l’assurdo armistizio comunicato per radio senza aver dato alcun ordine ai soldati. La fine dello stato, il crollo delle istituzioni.

Ecco, da quella ignavia, da quella vergogna dei vertici militari, dei Savoia scappati al sud senza preoccuparsi di null’altro, dal regime che si liquefaceva come neve al sole, nacque la nuova Italia.

Erano fervidi, imprudenti, patriottici, generosi, ingenui. Ed erano azionisti, cattolici, socialisti, repubblicani, comunisti, monarchici. Non è importante quello che siamo, dicevano, ma quello che noi non siamo. Non siamo fascisti.

Qui è nata la democrazia, quella parola che ancora mancava, qui sono nati alcuni concetti poi riportati dentro la nostra bellissima (e incompiuta) costituzione. Dalla guerra di liberazione, dalla lotta partigiana, sui monti come nelle città. Dagli scioperi degli operai, dai tipografi che clandestinamente stampavano comunicati e giornali. Dagli uomini e dalle donne, ex militari, preti, operai, insegnanti, che lottarono per la libertà.
Anche gli architetti razionalisti diedero il loro contributo, pagando anche con la loro vita.
Gianni Biondillo ci porta dentro quei mesi bui, l’inverno più difficile, quello tra il 1943 e il 1944, col regime di Salò e la sbirraglia fascista che dava la caccia ai nemici del regime. Con ogni mezzo, con la barbarie, con la ferocia che contraddistingueva questi lugubri personaggi (come la Muti e la banda Koch a Milano) che non si fermavano nemmeno di fronte a bambini o donne incinte.

Le pagine in cui l’autore racconta la prigionia nei lager di Giangio e Lodo, di Poldo Gasparotto (il capitano Rey), del “colonnello” Pagano, di Raffaello Giolli, hanno la stessa potenza espressiva delle pagine in cui Primo Levi racconta della disumanità di Auschwitz: non si era più persone, pezzi da consumare, da spremere per l’industria tedesca, pezzi da brutalizzare, nelle mani dei kapò e delle SS.

Ma anche nei campi ci fu chi cercò di mantenere viva l’umanità: finché siamo vivi c’è speranza, finché abbiamo il lusso di pensare, siamo vivi. E finché siamo vivi abbiamo vinto loro, loro i nazisti sono destinati alla sconfitta.
Anche dal lager di Gusen è nata la Costituzione: quando l’architetto Ludovico di Belgiojoso, nobile di nascita, si dedica all’istruzione degli altri detenuti, comunisti, socialisti dunque antifascisti, che non avevano potuto studiare perché “la rivoluzione si fa coi mitra ma anche coi libri.”

Ci sono delle pagine memorabili dentro questo libro, come quando Pagano invita i suoi compagni di prigionia a non parla di vendette, ma di giustizia, perché “la vendetta e l’odio ci hanno portato fin qui.. Solo la giustizia ci darà l’amore e la pace”. C’è la pagina struggente del Natale dentro il campo di Ravensbruck, dove furono detenuta Maria Bottoni. E poi c’è la pagina, quella dei due signori di mezz’età e del pane ammuffito, il cui senso sarà finalmente chiaro solo alla fine (confesso, sono arrivato alle lacrime leggendo quelle righe).

Quello che noi non siamo racconta la presa di coscienza di una generazione di italiani contro le illusioni del regime fascista, racconta la genesi della nostra democrazia, racconta la vita di questi personaggi incredibili di cui oggi purtroppo ci è rimasto poco. Come poco, purtroppo, è rimasto del loro insegnamento.
Ecco perché è importante ricordare questa parte della nostra storia: perché il fascismo, come regime mussoliniano, è stato sconfitto, ma non i fascisti. Non il desiderio dell’uomo forte, la voglia di delegare ad altri la cosa pubblica. I finti rivoluzionari che intendono riformare le istituzioni, di fatto consolidando lo status quo, le disuguaglianze, l’assenza di giustizia, di diritti uguali per tutti:

Il fascismo in Italia è un'indicazione di infanzia perché segna il trionfo della facilità, della fiducia, dell'entusiasmo. Si può ragionare del ministero Mussolini come di un fatto d'ordinaria amministrazione. Ma il fascismo è stato qualcosa di più; è stato l'autobiografia della nazione. Una nazione che crede alla collaborazione delle classi, che rinuncia per pigrizia alla lotta politica, dovrebbe essere guardata e guidata con qualche precauzione.
Gobetti – Rivoluzione liberale

La scheda sul sito dell’editore Guanda, qui il link per leggere le prime pagine
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

19 settembre 2023

Presa diretta – Senza persone

Secondo il ministro Lollobrigida è in corso una sostituzione etnica che minaccia la razza italica: parole brutte, che riportano indietro le lancette del tempo.

L’unica cosa giusta detta dal ministro è che servirebbe maggior welfare per fare più figli, il contrario di quello che poi sta facendo questo governo di destra.
Possiamo fare a meno allora degli stranieri e dei figli degli immigrati?

Non basta fare slogan sulla natalità, questo paese si sta spopolando, col rischio di non garantire servizi alle persone anziane.
Il governo Draghi ha varato la norma dell’assegno unico: le norme del governo Meloni (detrazioni iva dei prodotti per l’infanzia, un ritocco all’assegno unico) sono definite insufficienti dal responsabile del Forum delle famiglie, servono molti più soldi per le politiche per la natalità.

Il viaggio di Presa diretta parte da Thiene a Vicenza un paese di 23 mila abitanti ai piedi delle Alpi: un tempo questa provincia aveva tra i tassi di natalità tra i più alti in Italia ma negli ultimi 20 anni ha avuto il più brusco calo di nascite di tutto il paese, passando da 11,2 nascite ogni 1000 abitanti a 7. In una delle scuole per l’infanzia paritarie, gestite dalle parrocchie (una tradizione vecchia di 50 anni), sono passati da sei classi, quest’anno ne hanno cinque e la previsione è di ridurle a 4.

Mancano mille bambini ogni anni, sono dieci di queste scuole paritarie nel territorio, significa perdere posti di lavoro.

Ad Arzignano il calo della manodopera di italiani nel settore della concia è stato in parte ripianato con l’arrivo dei migranti: ma oggi nemmeno loro riescono a rinforzare l’esigenza di operai nelle concerie, anche i migranti oggi hanno famiglie più ridotte.

Mancano persone da mandare al lavoro – racconta Silvia Oliva: non è che i giovani non hanno voglia di lavorare, le aziende non trovano persone perché non ci sono “circa il 70% delle imprese dichiara che ha difficoltà molto rilevante .. possiamo dire che è il problema dell’economia veneta che ha saputo ripendersi dopo il Covid ma rischia oggi di non potere sviluppare a pieno le sue potenzialità proprio perché mancano persone..”

L’indice di vecchiaia (indica gli over 65 ogni 100 abitanti) è in crescita: è un indicatore che ha una tendenza difficile da invertire, servono anni per cambiare rotta.
Serve la componente migratoria per trovare manodopera non qualificata che comunque serve alle aziende venete – dicono dalla Fondazione Nord Est : questo spiega perché il governo Meloni ha varato la norma sui flussi per l’arrivo di 500 mila persone da fuori.

I decreti flussi stabiliscono quanti visti l’Italia può stilare per far arrivare da fuori dal paese: le imprese italiane cercano questi lavoratori, invitandoli a candidarsi sulle piattaforme, con la selezione del click day.

LE quote stabilite dal ministero dell’Interno si sono esaurite subito, in pochi minuti: si è arrivati a 240mila domande presentate in un giorno, ma molte regioni e molti imprenditori sono rimaste senza lavoratori, specie quelli stagionali.

Alla CIA di Verona si erano organizzati con due pc distinti per prendersi delle quote, ma sono rimasti bloccati per problemi tecnici: il problema si ribalta poi sulle imprese sul territorio, che dovranno cambiare la loro programmazione, per assenza di personale.

Colpa del ministero o delle associazioni di categoria che hanno fatto le domande per gli associati? In ogni caso molte imprese mancano di persone: avrebbero anche trovato degli operai, da prendere, ma non sono riusciti a fare la domanda.

Significa cantieri che non riescono ad andare avanti, rischi di penali da pagare, rischi di infortuni (perché i pochi operai sono oberati da alti carichi)..
Ance ha fatto un calcolo: servirebbero 65mila persone in più per le sole opere del PNRR, il governo non ha chiesto ad Ance quante persone sarebbero servite: senza un cambio di passo rischiamo di bloccare il sistema – spiegano dall’Ance a Presadiretta.
Senza personale mancano persone per raccogliere verdure e frutta nell’agricoltura, non si possono accettare commesse: anche chi è riuscita ad ottenere lavoratori dal click day hanno dovuto aspettare tanti mesi prima di avere personale per tempo, i candidati hanno aspettato mesi prima di avere il visto dalle ambasciate.

Il processo del Decreto Flussi è gestito male: sbagliata la pianificazione, lunga la burocrazia, non tiene conto dei problemi delle aziende. Il decreto flussi richiede anche alle imprese di verificare se per quel lavoro esiste una candidatura di un italiano: solo il 10% delle candidature offerte dai centri per l’impiego di Venezia sono poi state accettate, perché le aziende richiedevano personale giovane, che oggi manca.

Il primo governo di destra dell’Italia dovuto confrontarsi con la richiesta di personale straniero: col decreto flussi arriveranno 452 mila persone, ma sono pochi, secondo le stime delle imprese e, soprattutto, le procedure non funzionano.

Formati e abbandonati

L’Italia forma all’estero lavoratori di cui abbiamo bisogno ma per colpa delle procedure questi lavoratori non arrivano e spendiamo così per niente soldi pubblici: questa la scoperta fatta da Presadiretta seguendo la storia di una impresa edile in Umbria, quella di Valerio Lancellotti.

Questo imprenditore edile scoprì un giorno che tre operai dalla Tunisia erano stati formati dall’Italia ed erano pronti per venire a lavorare qui: ma sono pochi i lavoratori formati all’estero che arrivano qui, perché manca il contatto tra domanda e offerta, il personale andrebbe richiamato a scatola chiusa.

Presadiretta è andata in Africa in Senegal ad intervistare persone formate da una ONG italiana Tamat: sono ragazzi che vedono l’Italia come un paese in cui trovare un lavoro, migliorare la propria vita, guadagnare soldi da mandare alla famiglia. Sono ragazzi che hanno studiato – online – per poter superare i corsi: ma anche questo non garantisce che poi arrivi la richiesta di un lavoro, perché gli imprenditori tendono a non assumere a distanza.

La campagna dei radicali, Ero straniero, sta cercando di cambiare questa legge, con una nuova legge di iniziativa popolare: si vorrebbe concedere visti della durata sufficiente per consentire agli immigrati di arrivare qui, in modo regolare, per cercare un lavoro.

È questa la vera alternativa ai barconi, ai viaggi nelle mani degli scafisti, agli sbarchi a Lampedusa, ai rischi di morire in mezzo al mare. Eppure la legge di iniziativa popolare è ferma in Parlamento.

Brexit lavoro e libertà

Con la Brexit si è fatta tanta propaganda contro gli stranieri e oggi sono rimasti senza lavoratori: manca staff per esempio negli alberghi, il vecchio personale che arrivava dall’Europa, oggi arriva dalle ex colonie dell’Inghilterra, con costi maggiori per gli imprenditori.

Non solo i piccoli hotel hanno problemi, anche grandi hotel delle catene soffrono del problema del reperimento del personale: sono costretti a ricorrere alle agenzie.

Dal 2021 è stato introdotto un sistema a punti per la concessione dei visti: senza requisiti non si ha diritto al visto e lavorare in Inghilterra, come la conoscenza della lingua, topologia del lavoro.

Ma così si fanno entrare solo lavoratori qualificati, ma rimangono vacanti posti di lavoro a bassa qualificazione con stipendi medio bassi che una volta erano svolti da europei.

Così il governo ha deciso di creare una sorta di visto speciale per le occupazioni dove la carenza di manodopera è particolarmente evidente, come nel settore edile.

Mancano muratori, idraulici, falegnami ma anche badanti e infermieri: se non si risolve questa carenza di personale l’Inghilterra rischia di perdere parte della crescita stimata e della sua ricchezza.

Nel settore agricolo non si va avanti senza i lavoratori stagionali, specie dall’est: il governo ha aumentato i visti rispetto allo scorso anno, ma non sono sufficienti rispetto alle necessità delle aziende agricole, che fanno fatica a reclutare lavoratori britannici.

Dopo la Brexit in Inghilterra si è creato un paradossi: i posti di lavoro poco qualificati non sono stati rimpiazzati, alla fine dovranno per forza richiamare persone da fuori, per un discorso economico e anche perché il calo di natalità è un problema anche qui.
Il barista italiano è stato sostituito dall’ingegnere indiano: i governi conservatori che volevano bloccare l’immigrazione hanno dovuto accettarla invece, per non bloccare l’economia.
Eppure il primo ministro inglese Sunak continua la sua propaganda contro gli immigrati, anche quelli che vengono dalla Francia: le parole di Sunak sono le stesse di quelle di Meloni in Italia, chi arriva in modo illegale in Inghilterra va arrestato e poi mandato su un’isola galleggiante (e non nei lager o nei CPR..).
Ma è oggettivamente impossibile bloccare le barche, in Inghilterra come in Italia: perché gli immigrati clandestini contenuti nella galera galleggiante non potrebbero essere integrati e impiegati per quei lavori a bassa qualifica?

È questa la soluzione messa in atto in Germania.

Wir shaffen das: ce la possiamo fare, è la frase pronunciata da Angela Merkel quando arrivarono in Germania quel milione di immigrati dalla Siria, nel 2015.

Oggi il parlamento tedesco sta rivedendo la politica di immigrazione, il vento di destra soffia forte anche qui, come in Italia e in Inghilterra e il tema degli immigrati e moneta facilmente spendibile.

Presadiretta è andata a vedere come vivono una coppia di immigrati arrivati in Germania nel 2015: sono stati accolti, hanno fatto un corso di tedesco, gli hanno dato una casa e poi un lavoro.

Se vuoi lavorare, un posto lo trovi, basta conoscere la lingua – raccontano a Presa diretta.

In Germania il tasso di natalità è ancora sotto il 2%, insufficiente a garantire il saldo rispetto ai morti, ma il saldo positivo dell’immigrazione garantisce un tasso di natalità alto.

Il messaggio della Merkel è stato accolto dall’industria tedesca, per il principio che la migliore integrazione è quella che arriva dal lavoro: l’apprendistato è possibile anche nel corso della valutazione da parte dello stato, per i nuovi immigrati.

Il ministero dell’Interno spenderà più di 2 miliardi per l’integrazione e per i corsi degli immigrati: altro che decreti rave, Cutro, o nuovi CPR.

Nel sistema di integrazione lavorano assieme pubblico e privato, sono i land a decidere quante persone hanno bisogno, contribuiscono anche loro alle spese economiche, sapendo che questa spesa è un investimento che avrà un ritorno, perché gli immigrati una volta che hanno un lavoro pagano le tasse. Il 53% dei migranti ha un lavoro: ma che succede agli immigrati senza visto, a cui è stato negato lo status di rifugiato?
Questi ultimi rimangono in un limbo anche per anni: così la coalizione di governo ha deciso di sanare questi casi dando loro una possibilità, regolarizzando anche i migranti economici che altrimenti alimenterebbero il mercato nero.

Meno ideologia e più pragmatismo dice il deputato della SPD Linge, ma è un principio che piace anche ai Liberali.

Ma poi ci sono quelli dell’estrema destra: in AFD non parlano di sostituzione etnica, vogliono bloccare l’immigrazione irregolare che però è alimentata dalle cattive politiche di integrazione, se esistono.

Al Forum Ambrosetti si è parlato anche di immigrazione, quanti ne servirebbero, della condizione femminile nel mondo del lavoro, del welfare di cui avremmo bisogno.

L’ultimo italiano morirebbe nel 2307: è l’apocalisse italiana, uno scenario che fa paura, il nostro sistema sanitario diventerà insostenibile, non potremo pagare le pensioni.
La dottoressa Saraceno aveva fatto da consulente al Forum: serve una politica di occupazione per le donne, congedi parentali da allungare e da retribuire maggiormente, un atteggiamento più favorevole per le lavoratrici madri, maggiori servizi come mense e asili nido.
Si investe per fare la TAV, i trafori, i ponti, per comprare più armi, perché non investire in welfare, in sussidi universali per tutti?

Serve anche cambiare la modalità di gestione dei flussi, basta click day ma una visione più strategica, per evitare blocchi.

Oggi fare figli in Italia è difficile: i salari sono rimasti bassi, il lavoro è diventato sempre più precario, il costo della vita è cresciuto. Come fai a pianificare una famiglia, quando non puoi permetterti nemmeno una casa, quando fai fatica a trovare i soldi per mangiare?

A Roma 40mila persona sono a rischio sfratto, anche pensionati che vivono con un assegno da 650 euro al mese: l’inflazione si è mangiata tutto, non ci sono più soldi per l’affitto.

Servirebbe una politica di case popolari, anche per calmierare il costo degli affitti: eppure il governo nello scorso anno ha eliminato il fondo per sostenere gli affitto.

Si sta allargando la forbice tra ricchi e poveri, emblema è la situazione di Milano, città sempre più attrattiva, ma solo per redditi alti. La casa è un bene su cui investire o lucrare. Si continua a scommettere sulla casa, sul rialzo dei prezzi.

Che idea di paese abbiamo in mente? Città esclusive, città per pochi, città come Milano che oggi ha cambiato il 40% della sua popolazione.

18 settembre 2023

Anteprima Presa diretta – Senza persone

 

Anni di politiche liberiste, tagli alla spesa sociale, al welfare, ai servizi pubblici (sanità, trasporti, scuola, asili), salari tenuti bassi per competere con altri paesi.. tutto questo ha portato all’attuale situazione di denatalità. Non facciamo più figli perché, semplicemente, le coppie giovani fanno fatica ad andare avanti in due oppure se ne vanno all’estero dove le paghe sono più alte, si rispettano maggiormente i diritti sul lavoro (senza rischiare la vita).
In che modo il governo dei patrioti intende affrontare la denatalità in Italia?

Sarà uno degli argomenti della prossima puntata di Presadiretta: si parlerà di quei ragazzi stranieri formati per venire a lavorare da noi e che dunque potrebbero evitare i viaggi pericolosi coi barconi, ma non arrivano. Sono cinquecento i ragazzi già formati – racconterà il servizio – ma sono molti di più quelli che stanno seguendo i corsi di formazione, finanziati coi soldi pubblici italiani e della comunità europea. Come mai questo sistema non funziona? Come mai queste persone non arrivano da noi? Basterebbe un visto provvisorio per sei mesi, per arrivare qui e cercare un lavoro per lavorare subito.

Si parlerà anche delle classi nelle scuole che si stanno spopolando, dei distretti industriali dove mancano i lavoratori, non solo qui da noi ma anche nell’Inghilterra post Brexit dove mancano carpentieri, muratori, braccianti. Mancano anche le badanti e le infermiere. Addirittura molti agricoltori hanno cambiato raccolti perché sanno di non avere chi può raccoglierle.
Come hanno risolto in Inghilterra il problema del crollo demografico? Lo racconterà Elena Stramentinoli: qui hanno modificato il sistema dei visti, arrivano i lavoratori molto qualificati ma mancano quelli poco qualificati (come appunto i carpentieri, falegnami..): per il momento mancano almeno un milione di posti di lavoro, più di un milione di stranieri arrivano in modo regolare, ma i posti di lavoro sono vuoti. Tutto questo per colpa della Brexit e delle politiche contro l’immigrazione chiamata clandestina

In Germania hanno messo a lavorare anche persone a cui era stato negato il permesso di soggiorno perché serve meno ideologia e più pragmatismo.

Presadiretta ha re-incontrato Sultan, un ragazzo siriano che i giornalisti di Presadiretta avevano incontrato durante un servizio nel 2015 che raccontava di come questo paese avesse accolti i migranti dalla Siria. Erano un milione i ragazzi come lui, che la Germania della Merkel aveva accolto e integrato nel suo tessuto sociale. Oggi Sultan e tanti ragazzi come lui lavora, è integrato, contribuisce al sistema pensionistico tedesco: perché le ideologie (prima gli italiani, basta con l’invasione) non aiutano a tenere in piedi il sistema fiscale tedesco e poi perché il crollo demografico c’è anche da loro. Succede in Germania, in tutta Europa e in Italia.

In Italia siamo ancora al Dio patria e famiglia, alla bugia della sostituzione etnica (tanto cara alla destra europea dai tempi di Hitler).

Qui ha preso piede il pregiudizio contro i giovani, che non vogliono lavorare né fare quei sacrifici che le vecchie generazioni avrebbero fatto.
Ma è veramente così?
Presadiretta è andata in Veneto, a Thiene un paese di 23 mila abitanti ai piedi delle Alpi: un tempo questa provincia aveva tra i tassi di natalità tra i più alti in Italia ma negli ultimi 20 anni ha avuto il più brusco calo di nascite di tutto il paese, passando da 11,2 nascite ogni 1000 abitanti a 7.
In una delle scuole per l’infanzia paritarie, gestite dalle parrocchie, sono passati da sei classi, quest’anno ne hanno cinque e la previsione è di ridurle a 4. In regione mancano mille bambini ogni anno: mancano i giovani da portare al lavoro, altro che i giovani non hanno voglia di andare a lavoro – racconta Silvia Oliva di Fondazione Nord-Est – “circa il 70% delle imprese dichiara che ha difficoltà molto rilevante .. possiamo dire che è il problema dell’economia veneta che ha saputo ripendersi dopo il Covid ma rischia oggi di non potere sviluppare a pieno le sue potenzialità proprio perché mancano persone..”

La scheda del servizio (anche qui):

Senza Persone”, in onda lunedì 18 settembre alle 21.20 su Rai 3, è il titolo della terza puntata di PresaDiretta, il programma di Riccardo Iacona e Cristina de Ritis

L'hanno chiamata apocalisse demografica: l'Italia invecchia e mancano i lavoratori, in ogni settore. Il mondo delle imprese chiede più quote di stranieri e il Governo ha ampliato il Decreto Flussi a quasi 500mila ingressi con regolare visto di lavoro nei prossimi 3 anni. Ma saranno sufficienti? L'invecchiamento della popolazione è un fenomeno che coinvolge l'intera Europa e tutti i paesi hanno bisogno di forza lavoro che viene dall'estero, anche l'Inghilterra e la Germania che hanno fatto scelte diverse dalla nostra. Il click Day, il Decreto Flussi: come funziona il meccanismo per far arrivare lavoratori stranieri in Italia? La nostra economia ha la forza lavoro di cui ha bisogno? Un Viaggio di PresaDiretta nel mondo delle imprese venete. E poi una storia incredibile: centinaia di ragazzi stranieri che vengono formati, per venire a lavorare in Italia, attraverso corsi finanziati con soldi pubblici. Ma quanti ne arrivano davvero? La Gran Bretagna, con la Brexit e le politiche contro l'immigrazione clandestina si è ritrovata senza lavoratori in moltissimi settori: edilizia, turismo, ristorazione, agricoltura, assistenza alla persona. Questo, nonostante lo scorso anno siano arrivati nel Paese 1 milione e 200mila immigrati regolari, un record assoluto. Come sta affrontando il problema? La Germania, che nel 2015 durante la crisi siriana, accolse più di 1 milione di persone in poche settimane, oggi ha bisogno di più lavoratori stranieri. Servono 400mila ingressi l'anno, per mantenere il livello di forza lavoro di cui l'economia tedesca ha bisogno. E la politica risponde con scelte pragmatiche, non ideologiche.

“Senza Persone” è un racconto di Riccardo Iacona, con Chiara Avesani, Marcello Brecciaroli, Cecilia Carpio, Raffaele Marco Della Monica, Luigi Mastropaolo, Elena Stramentinoli, Cesarina Trillini, Eugenio Catalani, Matteo Delbò e Alessandro Marcelli. 

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

17 settembre 2023

Stella di mare di Piergiorgio Pulixi


Prologo

Porto Canale – Villaggio Pescatori, Giorgino, Cagliari

Stella aveva l’estate negli occhi. Anche in pieno autunno. Non solo per l’azzurro terso delle iridi che sembravano racchiudere il mare e il cielo insieme. Quegli occhi sapevano della tanto attesa libertà di giugno, delle lunghe ore di luce nelle serate di luglio e della sfrontatezza delle giornate di agosto. Ovunque si posassero , instillavano la promessa di un futuro radioso e magico, di un’estate infinita..

Era bella Maristella Coga, cresciuta in una famiglia difficile in un quartiere difficile di Cagliari, il Sant’Elia, chiamato anche la Scampia di Cagliari per la difficoltà per la polizia di entrarci dentro. Ex borgo di pescatori, come lo erano i nonni di Stella, considerato l’immondezzaio della città, che la costruzione di grigi palazzoni di cemento non aveva reso migliore. Era bella, Stella, cresciuta nella consapevolezza che quella sua bellezza poteva essere sia un arma per scappare da quella realtà di una comunità chiusa. Ma anche un problema per tutte quelle invidie che poteva suscitare.
Avrebbe meritato di meglio, Stella, che non finire uccisa in quel modo per essere poi abbandonata sulla spiaggia di Giorgino.

Il volto, invece, era così sfigurato e raggrumato di sangue che nessuna bestia avrebbe potuto accanirsi con tanta crudeltà. Nessuna bestia, a parte l’uomo.

Il suo assassino non si è limitato a strappargli la vita e la speranza di un futuro migliore: si è anche accanito sul suo volto, sul suo seno, quasi a voler distruggere la sua bellezza.
È questo il delitto di cui si dovrà occupare la squadra del vice questore Vito Strega,
il gruppo specializzato nell’analisi dei crimini violenti, come quelli del “dentista”, il “burattinaio” o il mostro del Ticino: proprio dopo quest’ultimo caso la squadra delle ispettrici Eva Croce e Mara Rais si era allargata con l’arrivo dell’ispettrice Clara Pontecorvo, la “gigantessa” strappata dalla questura di Provincia dopo che Strega ne aveva intuito le potenzialità.
Quello di Stella si rivela subito un delitto difficile, prima di tutto per il contesto familiare, poco amanti della polizia: uno zio di Stella è stato ucciso proprio in uno scontro a fuoco, il padre è stato condannato per molestie, un fratello di Stella si trova in carcere. La madre, infine, ha problemi di alcool, ha avuto dei precedenti per spaccio. Difficile ottenere qualcosa da loro: quella di Stella era una famiglia tenuta in piedi dalla vecchia nonna, Rosaria, forse l’unica persona con cui Stella aveva un vero rapporto di confidenza, oltre al piccolo fratellino Nino, nato con un deficit di apprendimento.

Non c’è solo questo a complicare le cose: Stella era fidanzata ad un giovane criminale, Samuel Bullegas, a capo di una banda dedita allo spaccio e che aveva preso il posto della vecchia mala, dopo che questa era stata smantellata da un blitz dei carabinieri.
Chi ha ucciso Stella? Qualcuno che non poteva sopportare la sua bellezza? È stato un delitto maturato nel mondo della criminalità, hanno ucciso Stella per indebolire il giovane boss, Samuel, che era in contatto con i clan della Camorra giù a Napoli?
Questa volta le indagini si dividono in due tronconi: la squadra di Vito Croce, assieme alla Mobile, indaga all’interno della famiglia, per cercare di capire chi potesse odiare tanto questa ragazza di appena diciassette anni.
I cugini, i carabinieri, seguiranno la pista della criminalità organizzata.

Purtroppo quello di Stella non sarà l’unica morte in questa storia: è come se sulla famiglia Coga gravasse una maledizione e questo delitto in famiglia avesse fatto saltare vecchi equilibri che ora possono essere solo ricuciti col sangue.
Le ispettrici del SIS intuiscono che i familiari di Stella le stanno nascondendo qualcosa: per esempio sulla strana relazione tra la madre, che aveva avuto una reazione fredda alla notizia della morte della figlia, con quello strano prete, don Alessio, pure lui con qualche guaio con la giustizia.
Servirà tutta la loro esperienza, il supporto dei medico legale, le analisi scientifiche, qualche buona intuizione, per mettere assieme tutte le tessere del puzzle e dare una risposta a tutte le domande: cosa ci faceva Stella a casa di un suo professore la notte prima dell’omicidio? Cosa ci faceva a Olbia, pochi giorni prima di essere uccisa?

Sceti is macus e is pipius narant sa berirari, dice il proverbio. Solo i matti e i bambini dicono la verità. E sa perché? Perché la verità è più pericolosa delle bugie.

La verità dietro questo delitto porta ai legami di sangue dentro questa famiglia, alle colpe dei padri che purtroppo ricadono sui figli: una verità così difficile da rivelare tanto da costringere Strega a farsi giustizia a modo suo, anche nascondendo le sue scelte alle sue ispettrici, cosa che comporterà una tensione con una di loro, mettendo in crisi la solidità della squadra.

Non è l’unico problema a cui Vito Strega deve pensare: in questo romanzo Pulixi ci racconta qualche tassello in più del suo passato, enigmatico e caratterizzato da quel trauma che lo accompagna. Come lo accompagnano quelle voce che sente nella testa: sono le voci delle vittime dei delitti di cui si è occupato, “il Canto degli innocenti”, la causa della sua ossessione per la giustizia.

«È riniziato, quindi» disse il medico. La sua non era una domanda, ma una constatazione. «Non era mai cessato, in realtà»

Che succederebbe se qualcuno scoprisse il suo segreto, quelle voci in testa? Voci che ora Strega non riesce più a tenere a bada con la sua tensione per le indagini, con la sua attività fisica.

Ha un finale questo racconto: Stella, la bellissima ragazza bionda con gli occhi color del mare, riuscirà ad avere finalmente la sua pace in un pomeriggio dove il cielo di Cagliari è spazzato dal vento dello Scirocco, il “Bentu de soli”.

Ma quale sarà il futuro per Vito Strega? Riuscirà a tenere a bada il suo problema personale? Fino a quando potrà nascondere alle persone a lui più vicine, la sua malattia?

E che ne sarà della sua squadra, per quelle piccole crepe emerse a fine indagine? Lo scopriremo solo al prossimo romanzo della serie, che non potrà mancare, vero Piergiorgio Pulixi?

Come i precedenti romanzi di Pulixi, anche quest’ultimo scorre via veloce, nonostante le più di quattrocento pagine piene zeppe di passaggi in dialetto cagliaritano, che poi è la città dell’autore, che qui racconta cogliendo tutte le sfumature, anche delle persone che vivono dentro l’ex borgo antico di Sant’Elia. Gente ostile alla legge e alla giustizia, “da giusta”: forse perché il cuore oscuro si nasconde anche tra chi dovrebbe stare dalla parte giusta della legge. Ma, quale legge poi, può dare giustizia di fronte a tragedie come questa la morte di una ragazza di diciassette anni? Una tragedia come quelle raccontate da Sofocle, come Antigone. Forse il noir di oggi ha molto in comune con le tragedie della vecchia cultura greca..

La scheda del libro sul sito di Rizzoli

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11 settembre 2023

Presadiretta – Approdo Italia

La puntata dedicata ai fenomeni migratori è cominciata con le parole di Mattarella: nel suo studio c’è un disegno, una vignetta di Makkox con un ragazzo immigrato morto nel tentativo di arrivare qui, che aveva cucito nella fodera la sua pagella. Il suo sogno era una vita migliore, la speranza di una vita migliore.

Presadiretta racconterà questa speranza dalla tolda di una nave che salva vita umane: la GeoBarents, adattata da Medici senza Frontiere per fare operazioni di salvataggio nel Mediterraneo.

In alto mare

La squadra di Medici senza Frontiere è composta da un tema vario, persone dedicate al salvataggio, medici, mediatori culturali, psicologi: nel 2022 hanno salvato il 12% delle persone, nel 2023 i soccorsi sono diminuiti per causa delle leggi del governo Meloni.
Il giornalista di Presadiretta è stato addestrato per salire su un gommone della squadra di soccorso: tutte le persone devono sapere cosa fare nel mare, quando incontrano un barcone con dentro persone in difficoltà, donne incinta, bambini.
In zona SAR libica opera solo la GeoBarents, le altre navi sono state sequestrate per aver violato le leggi italiane: un aereo della Sea Watch ha individuato un barcone con migranti, ma l’autorizzazione ad intervenire non arriva, perché nella zona è già intervenuta la guardia costiera libica. I libici si riprendono a bordo i migranti, tutti i loro beni sono lasciati sul barcone e dati alle fiamme: le telecamere della Sea Watch hanno ripreso un respingimento di migranti, persone che sono riportate in Libia per finire nuovamente nei lager. Tutto finanziato dalle tasse degli italiani, un atto illegale che viola la convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Arriva poi una seconda richiesta di soccorso: il gommone viene calato in mare e si muove verso l’ultima posizione conosciuta del barcone dei migranti, finché non li ritrova.
I migranti sono su un battello non attrezzato per attraversare il mare, ci sono solo uomini che vengono fatti salire sul gommone, sono 20 persone che vengono poi fatti salire sulla GeoBarents, il primo luogo sicuro dopo giorni di navigazione.

I medici visitano queste persone, viene distribuito un kit con cibo e vestiario, viene loro data la possibilità di fare una doccia: sono persone partite da Bengasi tre giorni prima, ma il loro viaggio è partito dal Bangladesh. Molti sono stati arrestati in Libia, hanno pagato l’esercito per uscire, un intermediario si è fatto pagare migliaia di dollari per arrivare in Italia.

La guardia costiere da come porto assegnato Ancona, 600 miglia nautiche, tre giorni di mare: significa poter salvare meno persone, significa che qualcuno dei migranti non riuscirà ad attraversare il mare.
Sulla banchina del porto sono presenti le forze dell’ordine, la croce rossa, i pompieri:
i migranti salvati dovranno ora attraversare nuove sfide per raggiungere la loro speranza di una vita migliore.

Come mai nonostante il decreto Cutro, il decreto Piantedosi siamo arrivati a 116 migranti sbarcati sulle nostre coste?
Non è Ancona il porto più lontano, per le ONG, c’è anche il porto di La Spezia tra quelli indicati dalla Guardia Costiera: qui i migranti sono accolti da strutture allestite all’ultimo momento da volontari. LA volontà dell’amministrazione è di non spendere soldi per le strutture di accoglienza, visto che non sono predisposte per questo – questo dice il sindaco.
Meglio farli sbarcare nei porti del sud, dunque?
Le ONG sono costretti a fare viaggi più lunghi e questo comporta un costo economico per loro, oltre il costo umanitario per i migranti: molti giuristi considerano questa pratica ai limiti della legge, ma basta il solo buon senso per comprendere la disumanità del decreto Piantedosi.
Quest’ultimo prevede anche fermi amministrativi per violazioni delle leggi: le navi rimangono ferme per giorni, senza poter effettuare salvataggi.
Come la Louiss Michel, finanziata dall’artista Banksy, colpevole di aver fatto salvataggi multipli: quattro barchini salvati, tutti indicati dall’aereo di Frontex, con anche bambini.
Tutti i comandanti delle navi hanno l’obbligo di salvare le persone, questa è la legge del mare: ma il codice di comportamento ha come obiettivo di svuotare il Mediterraneo dal pattugliamento delle Ong. Nessuno deve vedere i migranti, nessuno deve salvarli, nessuno deve registrare i respingimenti della guardia costiera libica.
C’è un buco in mare, perché la Libia nella sua zona di responsabilità non è in grado di gestire i salvataggi.

Una volta era Lampedusa il porto dove si concentravano le ONG: ancora oggi sull’isola continuano a sbarcare uomini, donne e bambini, caricati dai militari verso gli hotspot sull’isola.
Qui dovrebbero stare pochi giorni, ma alla fine qui le persone sono ammassate, la struttura non è adatta per ospitare persone in difficoltà.
I migranti sono trattati come detenuti, solo i volontari delle ONG possono avvicinarli: a Presadiretta questi ragazzi spiegano che queste persone muoiono perché non possono fare un viaggio sicuro.

In studio era presente Matteo Villa dell’ISPI: le ONG, racconta a Iacona, non attraggono i migranti, le persone non partano perché ci sono le navi in mare (come ha sostenuto per anni la destra). I dati raccolti dicono che le persone partono anche senza le navi, tutto dipende dal mare, dalle condizioni del tempo, chi parte dalla Libia ha alle spalle un viaggio stremante, ha attraversato il deserto, non si fa fermare dalla presenza o meno delle navi di soccorso.

Il servizio dalla Tunisia

La Tunisia è il paese da cui arrivano la maggior parte dei migranti: come i migranti partiti da un villaggio vicino Sfax, di cui però non si sa niente oggi. Scomparsi in mare.
Erano partiti per scappare dalla miseria e sono spariti: hanno pagato 1600 euro a testa questi ragazzi, erano compagni di scuola, nel villaggio stanno cercando disperatamente loro notizie.
Lhazar era un ragazzo partito dalla Tunisia nel 2019: il suo corpo non è mai stato ritrovato, la madre che era andata a cercarlo in Sicilia, ha visto il corpo da una ripresa televisiva.
Come mai gli europei per venire in Tunisia non devono presentare documenti mentre l’Europa respinge i visti dei tunisini? - questo si chiede oggi la madre – La Tunisia sta mandando i propri figli a morire.

I governi stranieri, tra cui l’Italia, hanno regalato motovedette per pattugliare il mare, ovvero per respingere i migranti, tenerli lontani dalle nostre coste: da gennaio ad agosto sono morti in mare 2300 migranti che cercavano dalla Tunisia di arrivare in Europa, ma sono numeri sottostimati, molti barchini, costruiti in fretta e furia, sono affondati senza che nessuno se ne sia accorto.

Il sud del paese è diventato un enorme cimitero: a Zarzis un pescatore ha seppellito i migranti morti sulla spiaggia, sulle lapidi c’è scritto solo sesso e data del ritrovamento.

Tunisia al collasso

Questa emigrazione sta spopolando le città della Tunisia: se ne vanno soprattutto giovani dal paese, col rischio che il paese perda le forze migliori.
Zarzis è una di queste città povere che sta perdendo i suoi giovani. Più a sud ci sono paese che campano di mercato nero, mercato di merce illegale, unica fonte di reddito.
Qui, nel sud del paese, c’è la Tunisia più povera: le persone fanno fatica a fare la spesa, i beni primari sono rincarati, il pesce è diventato un bene di lusso.

La Tunisia sta attraversando una crisi spaventosa che tocca quasi tutte le classi sociali – racconta alla trasmissione l’economista Layla Rihai, il paese ha un enorme problema di debito, solo per le sovvenzioni sui beni di prima necessità lo Stato spende 2 miliardi di euro, il 6% del PIL.
Questa economista fa parte della Piattaforma delle alternative, ha studiato l’economia del suo paese per cercare soluzioni per la crisi: una di queste è alzare i salari, il salario medio in Tunisia è di circa 432 dinari, circa 135 euro e la moneta del paese ha raggiunto una svalutazione forte nei confronti delle monete forti e a pagare di più sono ovviamente i giovani e le donne che vivono questa depressione economica sulla loro pelle e non hanno più speranza.

Il debito pubblico ha superato i 36 miliardi di dollari e la crescita non è salita a valori pre pandemia, tutti i settori economici sono in crisi.
La rivoluzione del 2011 aveva cacciato Ben Alì, l’onda di proteste si era allargata in tutto il nord Africa e in Oriente.
Ma oggi tutte le vittorie sono state perse dalle riforme del nuovo presidente Saied: il governo arresta giornalisti che fanno servizi critici contro la politica del paese.
Si usano le leggi contro il terrorismo (e le leggi contro la fake news) per bloccare i giornalisti liberi e critici: se critici il governo rischi il carcere.

Servirebbe una nuova rivoluzione, ma l’Europa ha trattato col presidente Saied senza preoccuparsi delle violazioni dei diritti in questo paese: pur di contenere il flusso dei migranti l’Europa e l’Italia hanno firmato un partenariato con la Tunisia, dando loro milioni di euro di crediti.
L’Europa non dovrebbe tratta con un uomo autoritario, che ha aizzato il popolo tunisino contro i migranti, che parla di sostituzione etnica come un Hitler qualsiasi. Nella città di Sfax hanno abbandonato i migranti nel deserto al confine con la Libia: la foto della madre morta accanto alla figlia ha fatto il giro del mondo, ma senza suscitare reazioni nelle coscienze del governo italiano (e nei vertici europei).

I ragazzi in Tunisia cercano solo di andar via dal paese, anche a costo della loro vita.

Complimenti ad Elena Stramentinoli per il servizio.

La crisi economica ha un ruolo fondamentale dietro queste migrazioni – ha commentato Matteo Villa: le persone non hanno soldi per vivere, a questo si aggiungono anche le parole del presidente Sayed, sulle persone che arrivano dalle aree sub-sahariane e che ora stanno andandosene via perché lì non possono stare.
Oggi, nonostante gli accordi firmati 8 settimane fa, il numero di sbarchi dalla Tunisia è in crescita: in realtà Sayed non ha alcuna forza in alcune zone del paese, dove il business dei migranti con le barche di ferro è l’unica forma di reddito.

Maria Grazia Fiorani, giornalista del TG3, ha raccontato il disastro causato dal terremoto in Marocco: Marrakech sta cercando di rialzarsi, ma sull’altipiano dell’Atlante ci sono villaggi completamente distrutti, sbriciolati dalle scosse dove le persone vivono per strada da tre giorni e non vogliono abbandonare questi posti, perché qui è dove sono vissuti da generazioni.
Ci sono villaggi ancora non raggiunti dai soccorsi, per questo molte persone sono scese dalle montagne per protestare: questo è stato il terremoto dei poveri – si è detto – perché sono state le persone più deboli quelle che hanno pagato il prezzo più alto.

L’Europa non ha una politica migratoria comune e dopo questi anni non si è andati oltre l’accordo di Dublino: la distribuzione dei migranti, a prescindere dalle leggi, avviene comunque, perché i migranti dall’Italia passano e se ne vanno al nord.
Questo governo ha approvato un decreto flussi per la prima volta che guardava al futuro e che vale per 500mila persone.

Il sindaco di Prati, del PD, è responsabile dei migranti per l’Anci: a Presadiretta racconta che l’immigrazione sta causando grandi problemi ai sindaci di tutta Italia.
Il problema è del governo, non può il governo scaricare i problemi sui sindaci: le prefetture chiamano i sindaci e dicono, o trovare spazio oppure creiamo una tendostruttura, racconta il sindaco di Noventa Padovana.

LA protesta dei sindaci è così forte per cui molti sindaci si rifiutano di realizzare strutture per migranti: lo dice il sindaco di Gorizia, porta di ingresso in Italia della rotta balcanica, qui non hanno più posto per i migranti.

Anche Trieste è al collasso, nella stazione sono accampati molti migranti fermi qui da mesi: sono tutti richiedenti asilo abbandonati qui da mesi e che dovrebbero essere inseriti nella rete di accoglienza.
A Trieste ci sono solo volontari che gestiscono queste persone: in assenza dello Stato, i migranti vivono in strutture abbandonate, dormono per terra.

Arrivano dal Pakistan e Afghanistan, chiedono un posto dove stare, del cibo: ma il sindaco di Trieste non ne vuole sentir parlare di “accoglienza diffusa”, meglio pochi hotspot ben strutturati, facendo anche il paragone agghiacciante col termovalorizzatore.

Il governo continua a mandare migranti nelle città dove sono presenti migranti: non solo il decreto Cutro ha tagliato alcune garanzie come la protezione speciale, trasformando migranti che erano già qui in clandestini. Se non riesci a dimostrare che la tua malattia, che ti impedisce di lavorare, non può essere curata nel paese d’origine, diventi irregolare: questo dice il decreto Cutro, fabbrica di clandestini, di schiavi, di persone che privati dei loro diritti vanno alla mercé della delinquenza.

Le rimesse dei migranti dal Senegal – rimesse per la vita

I migranti che lavorano da noi con le loro rimesse tengono in piedi l’economia dei loro paesi di provenienza: funzionano più le rimesse che i grandi e pompati progetti di cooperazione.

Presadiretta ha raccontato le storie dei ragazzi arrivati qui dal Senegal, come Ibrahima, che vive a Pisa da più di venti anni, lavora in una officina per bici. Oggi è regolarizzato, ma per anni ha fatto di tutto, anche il venditore ambulante: tutta la sua famiglia vive in Senegal in una casa costruita coi suoi risparmi, manda ogni mese 400 euro almeno.

Le famiglie vivono con le rimesse dall’Italia, da 300 a 500 euro ogni mese: sono 200 mila i senegalesi in Italia, l’anno scorso hanno inviato ai parenti in Senegal 438 milioni di euro dei loro risparmi, in media 4mila euro l’anno, tre volte lo stipendio medio annuale del Senegal.
Il valore delle rimesse verso l’Africa bilancia il flusso inverso, delle persone che dall’Africa arrivano in Europa: i risparmi dei migranti battono gli aiuti per lo sviluppo da 3 a 1, ben più importanti dell’elemosina che i paesi civili fanno ai paesi africani.

Grazie a queste rimesse, grazie agli aiuti inviati dai migranti come Ibrahima, si costruiscono ospedali con tutte le attrezzature necessarie, con ambulanze, defibrillatori, medicinali, coi soldi si realizzano progetti come quelli della raccolta rifiuti, la distribuzione dell’acqua nelle strade dei villaggi. Sono progetti che nascono, posti di lavoro che si creano. Benessere. Tutto grazie alle rimesse e allo spirito imprenditoriale dei migranti.

Questo spiega i tassi di crescita del Senegal, rispetto ad altri paesi: giusto per dare i numeri, l’anno scorso le rimesse degli emigrati segenalesi che lavorano all’estero sono arrivate alla cifra record di 2,71 miliardi di dollari, quasi il 10% del pil dell’intero Senegal. A livello globale sono 800 miliardi di dollari le rimesse che gli immigrati inviano nei propri Paesi, il triplo di quanto si spende in aiuti allo sviluppo.