31 gennaio 2021

Non è normale

Non è normale che un senatore della Repubblica, ex presidente del Consiglio, svolga anche un lavoro per un fondo di proprietà di un paese straniero.

Non è normale che questo senatore, Matteo Renzi, si difenda sostenendo che l'Arabia sia un baluardo della democrazia. L'Arabia è un regime poco democratico, poco rispettoso dei diritti civili (penso per esempio alla situazione delle donne), il cui principe ereditario (quello elogiato dal senatore stesso) è ritenuto responsabile dell'omicidio di un giornalista del Washington Post.

Non è normale che lo stesso senatore elogi il mondo del lavoro in Arabia, che si basa per lo più su lavoratori stranieri, ad un passo dalla schiavitù. 

Non è normale che alcuni giornalisti considerino la vicenda con terzietà, senza esprimere un giudizio, forse perché è bene non inimicarsi nessuno, nemmeno il leader di un partito dato al 2% (per quanto possiamo fidarci dei sondaggi).

I giornalisti dovrebbero dare notizie, anche esprimendo una loro opinione su queste, non contribuire alla costruzione di personaggi politici (consiglio la lettura dell'editoriale di Stefano Feltri).

Non è normale nemmeno sentire i commenti dei renziani in rete (dov'è il reato? Renzi ha fatto politica estera.. ). Ma questo è il tifo, purtroppo, qualcosa di diverso dalla passione politica e lontano mille miglia dall'onestà intellettuale.

Non è normale nemmeno la crisi di governo che stiamo vivendo, ma questa è un'altra storia, forse.

30 gennaio 2021

Uno strano pubblico ministero di Giorgio Bastonini

 


Prologo

Aprì il cassetto della cucina, soppesò a lungo i coltelli e ne scelse uno lungo e affilato, così lucido che ci si specchiò, inclinandolo su e giù. Il suo sguardo cadde su un altro, più corto e con la punta acuminata. Andava bene anche quello. Avvolse entrambe le lame in uno strofinaccio consunto dai colori talmente sbiaditi che il disegno originale non si immaginava neanche più.

[..]

Pose anche la pistola nello zaino, con cautela. Spense la luce e uscì di casa verso la sua missione di morte.

Paolo Santarelli non è uno strano pubblico ministero solo perché va in giro con la sua bici lasciando la macchina in garage (che poi si vendicherà come una fidanzata gelosa).

La sua stranezza sta nel suo modo di compiere il lavoro, più come un investigatore che non di un magistrato, un sostituto procuratore della Repubblica di Latina, uno di quelli per cui è vero che la forma è sostanza, ma a volte è la sostanza che ti aiuta a fare il tuo lavoro.

Strano perché tende a scavalcare le regole, presentandosi a casa delle “persone informate sui fatti”, strano perché diversamente da altri colleghi, è allergico al culto della gerarchia, del voler apparire in televisione.

Strano per i consigli che si trova a dare a degli adolescenti, che saranno protagonisti di questa storia di odio e di amore.

Santarelli è strano anche per i suoi rapporti col mondo femminile: un matrimonio fallito alle spalle e un trasferimento chiesto a Latina, lontano dai suoi familiari, il fratello e la cognata (con cui il rapporto non è stato felice) a Salerno.

E una fidanzata ufficiale con cui si trova bene, mentalmente e anche fisicamente (se capite cosa intendo), ma a cui non glielo ha mai detto. E così succede che una mattina arrivi questo messaggio, “ti devo parlare”..

Ti devo parlare” è, dai tempi dell’australopiteco, la modalità con cui la femmina avvisa il maschio che c’è un problema importante, spesso causa della fine di una relazione.

Lasciamo perdere per un momento le questioni sentimentali: lo strano procuratore Santarelli deve indagare su due delitti avvenuti a distanza di pochi giorni in città e le cui vittime sono di origine tunisina.

Il primo si chiama Khalid Jamil, era un muratore in Italia da dieci anni con regolare permesso di soggiorno: una brava persona, un fedele musulmano, così lo descrive il fratello Ibrahim che, come prescrive il Corano, deve aiutare ora la cognata, “perché è solo una donna” e soprattutto il primo figlio di Khalid, Youssef.

«Non parlo del vostro diritto, di quello della vostra legge, ma del nostro, della nostra gente, che prescrive a me, unico uomo adulto della famiglia, di prendersi cura della moglie di mio fratello e dei suoi figli.»

Per un caso, l'indagine si intreccia con un altro episodio, l'arresto di due minorenni pescati mentre trasportavano droga per conto della famiglia locale dei Romano, in cui è coinvolta Dalida, figlia della sorella della sua assistente, Mara.

Perché Dalida e Youssef sono compagni e, racconta la ragazzina, molto sveglia per la sua età, l'omicidio del padre lo ha demoralizzato, tanto da spingerlo ad abbandonare la scuola e gli esami della terza media.

Lo strano ministero si trova ad osservare il caso su più dimensione, quella delle prove, delle piste, delle indagini e anche quella più personale, attraverso l'aiuto di Dalida.

Così da una parte le prove portano verso una ben precisa direzione, il traffico di droga dentro cui Khalid, il buon musulmano, sarebbe implicato. Traffico che avrebbe suscitato la reazione del clan Romano, a capo dello spaccio nella città.

«La famiglia Romano, che detiene il monopolio nella nostra città, è ormai indebolita grazie anche alle ultime indagini, che l’hanno privata dei capi carismatici. Forse Jamil ha visto la possibilità di occupare uno spazio lasciato vuoto» osservò Santarelli.

Ma c'è qualcosa che non convince lo strano pm. Prima di tutto il secondo morto, anche lui di origine tunisina, morto vicino ad un canale fuori città ma residente a Roma. Difficile dire che le due morti siano collegate, ma altrettanto difficile sostenere che non lo siano.

Chi era questo secondo morto e cosa è venuto a fare qui da Roma?

Per capirci qualcosa di più, sul mondo dell'Islam e sui tanti libri trovati a casa del secondo morto, tutti riguardanti la religione, Santarelli si muove secondo i suoi schemi, fuori dal normale.

Per esempio coinvolgendo l'amico barista, Livio, uomo di estrema destra ma che difende i pizzaioli egiziani come Samir. Certo, tra egiziani tunisini c'è una certa differenza che a noi occidentali spesso sfugge, ma qualche indicazione sull'Islam può essere d'aiuto.

C'è Dalida ed Elena, la madre, con cui Santarelli instaura un buon rapporto, nonostante avesse sempre considerato gli adolescenti, compresi i figli del fratello, come degli alieni.

Ma questa ragazzina è una di quelle che sarebbe capace di cambiare il mondo, se potesse: quanto meno di impedire ad un amico di perdere l'anno. O di tornare in Tunisia per diventare un fedele musulmano, come vorrebbe lo zio Ibrahim.

Santarelli sorrise pensando a Dalila: si disse che gli adolescenti hanno un cuore immenso che noi adulti abbiamo dimenticato di avere.

No, in questa indagine c'è qualcosa che non torna: chi aveva dato i soldi a Khalid per comprare la droga? Come pensava di muoversi lui, un muratore, nel mondo dello spaccio?

Da subito aveva percepito che l’omicidio di Khalid Jamil potesse essere valutato da una diversa angolazione. Solo che non sapeva ancora quale e, mentre era in attesa di scoprirlo, le indagini su Luca Romano erano partite zoppicanti.

Muovendosi tra colpi di scena e colpi di humour, l'indagine dello strano pm andrà fino in fondo dove, per fortuna, sarà l'amore a prevalere sull'odio, la ragione dietro le due morti.

Non stanca e non delude questo giallo, primo di Giorgio Bastonini, che si è inventato un investigatore molto particolare: ostinato e capace nel suo lavoro dove talvolta travalica i suoi confini da magistrato, anche a suo rischio e pericolo.

Si parla di mafie, in questo giallo, delle mafie locali che dominano il territorio con la forza del terrore che da loro consapevolezza della loro impunità.

Si parla di islam, di religione e di come sia complessa l'integrazione qui in Italia, per il razzismo latente che ci fa vedere come estranei persone con la pelle di un colore diverso.

Si parla anche di rapporti umani, per Santarelli si racconta a fondo con le riflessioni sulla sua vita e sulle sue relazioni: il matrimonio lasciato alle spalle, il fratello che non vede da tanto tempo e poi la relazione con Barbara, ora a Milano, a cui non è stato capace di rivelare quanto l'amasse. Perché spesso sono proprio le cose più importanti quelle che reputiamo superflue.

La scheda del libro sul sito di Mondadori

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

27 gennaio 2021

La memoria nella giornata della memoria

Il 27 gennaio del 1945 i soldati dell'Armata Rossa varcavano i cancelli del campo di sterminio di Auschwitz, già abbandonato dalle SS.

Nei mesi successivi le truppe americane liberavano altri campo di concentramento, ad occidente, come Buchenwald.

Il mondo scopriva cosa intendesse Hitler e i nazisti con le parole di soluzione finale al problema ebraico.

Lo sterminio sistematico di ebrei, omosessuali, comunisti, rom (e prima ancora, delle persone con problemi mentali). Nemici del popolo tedesco, vite indegne di essere vissute.

Dove erano finite quelle famiglie di ebrei, che stavano nelle nostre città? Dove erano rinchiusi gli oppositori del Reich?

Erano lì, rinchiusi in campi progettati per sfruttarli fino alla fine, come schiavi da lavoro, uccidendone prima l'anima e poi, giorno dopo giorno, il fisico.

Ingegneri e architetti che costruirono quelle strutture, i forni crematori per massimizzare la distruzione dei corpi al minor costo.

Chimici che cercarono il gas che avrebbe ucciso quelle persone, o meglio, quegli esseri, nel minor tempo possibile.

E poi altri ad organizzare i treni, la raccolta degli ebrei (e di tutte le altre categorie di subumani), l'individuazione delle famiglie nascoste (come quella di Anna Frank).

No, la soluzione finale, lo sterminio di massa di milioni di persone, non è stato il frutto di poche menti malate.

Quante persone, che vivevano vicino a Buchenwald, hanno visto il fumo salire dai camini, han visto le persone arrivare sui treni e mai più uscire.

Oggi, passati 76 anni, sono sempre meno le persone, come la preziosa Liliana Segre, in vita che ci possono raccontare quell'orrore. 

La vita annullata nei campi di concentramento.

La paura di vivere nascosti, col timore che qualcuno facesse la spia ai fascisti o ai nazisti.

Scoprire all'improvviso che non eri più un cittadino come gli altri, cacciato via dalle scuole, dagli uffici pubblici, spogliati dei loro averi.

Chi racconterà, tra qualche anno, queste cose?

Vedendo quello che succede oggi, il fascismo sdoganato nella politica, nei salotti televisivi, nei comportamenti e nelle parole dei politici, viene da pensare che abbiamo vinto loro.

Che la memoria ha perso. Che la nostra civiltà, la nostra cultura abbia perso.

E per questo che è importante ricordare, anche oggi, anche con questa pandemia (che ha fatto scoprire le nostre fragilità e tante meschinerie).

La memoria è stata e sarà il nostro vaccino contro il virus dell'orrore, contro il virus dell'indifferenza.

Perché se ci chiediamo come mai sia potuto succedere questo, la Shoa, i milioni di morti, questa è anche parte della risposta.

L'indifferenza.

«Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare»

Martin Niemöller (1892-1984)

La stessa indifferenza che oggi ci fa voltare la testa dall'altra parte di fronte alle immagini dei migranti al freddo in Bosnia.


Di fronte ai campi di concentramento in Libia, ai campi in Grecia.

Di fronte ai muri e alle barriere che la civile Europa erige ai propri confini per tener fuori gli indesiderati.

Perché oggi (ma forse era vero anche negli anni 40) non possiamo dire di non sapere.

26 gennaio 2021

Report – finale di stagione 2020

Ultima puntata per questa stagione invernale: prima di lasciare il passo a Presadiretta, i giornalisti di Report racconteranno degli scontri di questi mesi tra l'Unione Europea e le multinazionali farmaceutiche sui vaccini.

Poi si torna sul piano pandemico con nuove rivelazioni, sulla sottovalutazione del rischio.

Un servizio dedicato alle origini del re dei monopattini e, nell'anteprima, il patto della Lega.

Il patto segreto - L'accordo del 2012 tra Bossi e Salvini

Nel 2014 Bossi e Salvini hanno firmato un accordo, un patto tra vecchio e nuovo, per dare mano libera a Salvini in cambio dei 6 milioni di euro che la nuova Lega avrebbe pagato all'ex senatore Brigandì, avvocato di Bossi.

I patto consentiva a Bossi di continuare a fare politica ma era anche un accordo giudiziario, perché evitava alla Lega di Bossi problemi coi magistrati (visto che poi arrivò il sequestro dei 49 ml).

Luca Chianca è andato a trovare l'ex tesoriere Stefani, ex senatore della Lega ed ex sottosegretario: era anche nel cda della banca Credieuronord, indagato e anche archiviato.

Stefani è un leghista vecchia maniera, Roma ladrona va bene, ma perché Roma rappresentava il potere, poi il potere sono diventati loro.

Report ha trovato le carte dell'accordo privato, firmato anche da Stefani, l'altro firmatario del patto è Brigandì, la cui carriera nella Lega finisce con lo scandalo dei 49 ml.

Dei 49 ml quasi 13 sono stati incassati dalla Lega di Maroni e 800mila euro da quella di Salvini: ma a pagare sono stati Bossi e la sua Lega.

Nel corso di una cena nasce quell'accordo, tra Salvini e Brigandì, da una parte la Lega di Bossi rinunciava i 6 milioni, che l'avvocato reclamava per vecchie parcelle. Ma in cambio Bossi continuava ad avere un ruolo politico.

Ma le cose sono andate diversamente: i 49ml sono spariti, Bossi e Belsito sono indagati e il patto tra Brigandì e Salvini è stato disatteso.

C'era un altro accordo, in cui si garantiva a Bossi la copertura per le sue spese di segreteria (si parla di 400mila euro l'anno): ma il nuovo partito ha messo in cassa integrazione l'ex segretaria di Bossi Cantamessa e gli ha staccato il telefono.

Il nuovo tesoriere Centemero lasciò fuori dalla porta Bossi e la sua segretaria: “per me è stata un'ingiustizia, perché per me, per tutti, tutti dovevano qualcosa a Bossi..”

L'unico punto rispettato del patto è stata la rinuncia alla querela da parte di Salvini, segretario, nei confronti di Bossi. Mentre Belsito ha fatto il processo, lasciato solo dal suo partito, ha pagato lui per tutti.

Il mago di Holbiz (Il re dei monopattini)

Per usare i monopattini si deve scaricare un'app, ci si deve registrare, si inseriscono i dati della carta di credito, e così si può sbloccare il mezzo per iniziare il viaggio.

Il monopattino serviva per decongestionare il traffico e inquinare di meno, per questo le amministrazioni hanno puntato su di lui, senza regolamentarne (nemmeno a livello nazionale) in modo omogeneo il suo utilizzo.

Dietro il monopattino ci sono imprenditori che studiano per essere l'Elon Musk del futuro: uno di loro è sicuramente Salvatore Palella, fondatore della società Helbiz, che è stata uno degli sponsor della cerimonia di insediamento del nuovo presidente Biden.

Helbiz Italia è stata fondata nel 2018 e in pochi mesi diventa in Europa uno dei leader dei monopattini: il nome per questa società è arrivata dalle due parole “help business”, l'idea era trovare un aiuto, un idraulico, un'elettricista attorno a te, poi come tante idee della Silicon valley è cambiata.

Di origini italiane,Palella oggi vive a New York, il suo ufficio è al 32 esimo piano di un grattacielo di Wall Street, dove ha accolto il giornalista di Report in modo “poco amichevole”.

Che tu non sia il benvenuto questo te lo posso dire anche io”: nessuno accoglie Report a braccia aperte, ma in questo caso erano presenti, oltre a Palella, anche i suoi avvocati.

Quello dei monopattini ha un giro d'affari stimato in 30 miliardi nel mondo: dobbiamo essere pronti a monitorare a chi vanno quei soldi, Palella è un imprenditore in tanti settori, ha avuto amicizie sbagliate e amicizie giuste, nel suo cammino.

Dietro Helbiz cosa c'è?

Un broker finanziario ha raccontato le sue relazioni, cominciata al Club 10, una palestra esclusiva, dentro cui è entrato grazie all'amicizia con Ricucci (quello dei furbetti del quartierino), aveva relazioni con Ponzellini (ex presidente di BPM), con Emilio Fede e Lorenzo Pellegrino, AD di Skrill, sponsor del Milan.

Tra i finanziatori trova Riccardo Silva, che ha un fondo di investimento che spazia dal calcio all'immobiliare: Silva investe su Helbiz, ma chi sono gli altri?

La società italiana dipende da Helbiz Dublino che è controllata da una Holding con sede nel Delaware: una struttura offshore, che scherma i veri proprietari.

La società italiana ha i conti in perdita, ha raccontato il consulente Bellavia, la società irlandese è anch'essa in perdita, controlla altre società vuote in Inghilterra e in Serbia: se è in perdita, come si giustificano le fortune di Palella?

Milano è il primo comune che apre le porte a Helbiz: ma al comune conoscono Palella? Hanno fatto controlli sui suoi finanziatori?

Da Milano poi sono arrivati altri accordi con altri comuni in Italia: la legge italiana aveva un buco che di fatto escludeva controlli su queste società di Monopattini.

Palella ha incassato le concessioni dai comuni di Milano, Roma, Salerno .. nessuno gli ha chiesto dei soci, dei soldi: la legge non lo prevede e tutti sono felici e contenti, anche che i soldi finiscono in Delaware, anche se i bilanci non giustificano lo stile di vita in America di Palella.

Come è diventato imprenditore Palella?

Helbiz Inc è stata perfino sponsor della festa per Biden: la sua ascesa nasce ad Acireale, a 19 anni va a Milano, dove fonda la startup Witamine, azienda che vende succhi di frutta.

Finisce coinvolta in una indagine della DDA, ritenuta società di un braccio destro di un boss della mafia: la procura alla fine delle indagini sequestra proprietà e locali per 16 ml, riconducibili al boss Fidanzati.

Il braccio destra era Michele Cilla, legato ai giri della Milano da bere, oggi ai domiciliari: “l'ho creato io [Palella], l'ho messo sotto la mia ala ..”

L'aiuto di Cilla non basta, la Witamine viene messa in liquidazione e così Palella torna in Sicilia e compra l'Acireale calcio, ma anche qui il sogno finisce presto: i giocatori non ricevevano lo stipendio, aspettando il bonifico dal proprietario.

Ad Acireale non ha lasciato un buon ricordo: il giornalista ha raccontato di crediti reclamati da vecchi amici dell'imprenditore, come l'ex autista Rocco Muscolino.

Qual è la verità? Palella ha saldato tutti i debiti, come afferma (ma solo dopo di aver saputo che Report era andata ad Acireale), oppure ha lasciato indietro delle cambiali, dei debiti?

Fatto sta che in pochi anni passa dall'Acireale calcio alle copertine sui giornali.

Ci sono poi le amicizie, alcune imbarazzanti: come Enzo Ercolano, erede della famiglia Ercolano Santapaola, che lo accompagnava quando andò ad incontrare un altro imprenditore, Massimino, da cui voleva comprare il marchio della squadra.

C'è perfino un audio tra Ercolano e Palella, in cui il boss lo insulta per non aver rispettato il patto con Massimino.

Palella non conosceva la parte “dark” di Ercolano, inglesismo per non usare la parola mafia. Ma allora perché si accompagnava con questa persona?

La passione per i bitcoin.

Palella nel 2018 si prende una copertina su Forbes, presso cui Helbiz compra molta pubblicità: presso la rivista spiegano che ci sono stati progetti per 10-12 mila euro al mese, con Forbes e con queste cifre, a quanto pare, si diventa imprenditore di successo.

A Londra Palella presenta una società (ICO) che vendeva servizi, pagati con Bitcoin a chi investiva: anche qui il progetto non va come doveva andare, i token quotati in borsa vengono delistati e gli investitori si ritrovano ad aver perso il capitale.

In America inizia una class action, 20000 persone sarebbero state truffate: Palella ha risposto che le persone dietro la class action sono molte meno e che la società di Singapore avrebbe ridato i soldi a tutti.

La class action non è un problema, anche Facebook ne ha subite molte, e forse si aprirà una class action anche in Italia.

Coi monopattini, Helbiz raccoglie i nostri dati, compreso i dati delle nostre carte di credito: anche questo è un punto che andrà regolamentato, come la questione dei monopattini abbandonati in modo scriteriato sui marciapiedi, un ostacolo per gli ipovedenti.

Il braccio di ferro tra governi e le case farmaceutiche – nelle mani del vaccino

I vaccini attualmente disponibili bloccheranno la malattia o anche il contagio? E quanto dureranno?

In Belgio stanno lavorando ad un vaccino nuovo, sulle basi di quello contro la febbre gialla: “noi invece puntiamo sull'immunità permanente e a bloccare la trasmissione” spiega Johan Neyts, professore dell'università di Leuven in Belgio.

A Leuven non stanno lavorando solo al vaccino ma anche alla ricerca di un farmaco anti-covid: “pensate a quanto successo a Bergamo ad inizio pandemia, a quanto avrebbe fatto la differenza avere un farmaco a disposizione. Abbiamo bisogno di un farmaco specifico contro la famiglia del corona virus, che è molto ampia, potrebbe esserci una mutazione immune al vaccino, o magari la prossima volta emergerà un virus più letale o che colpirà i bambini e noi non possiamo farci trovare impreparati.”

Ma forse per le multinazionali del farmaco conviene più un vaccino che debba essere rinnovato ogni anno, un problema per i paesi del terzo mondo: “i big pharma vogliono fare soldi, ma il problema è più grande che contenere il covid nel mondo occidentale, ci vuole un vaccino che sia utilizzabile in tutto il pianeta, altrimenti il virus potrebbe ritornarci come un boomerang”.

Stiamo pagando il ritardo e l'abbandono degli studi sul coronavirus, osserviamo con preoccupazione le sue varianti: dai documenti di Emaleaks, mail e documenti usciti dall'Ema, Report racconterà del braccio di ferro tra i governi, l'Ema e le case farmaceutiche per l'approvazione dei vaccini. E anche del tentativo di Pfizer che avrebbe riservato al mercato dosi di vaccino di qualità inferiore.

Non è detto che il vaccino sia capace di prevenire il virus, che prevenga anche i casi di asintomatici: per capirlo servirebbe uno studio di farmacovigilanza (e non si capisce se verrà fatto o meno).

Non solo, ci sono dubbi anche sulla percentuale di efficacia dichiarata dalle aziende (e che hanno portato al boom dei titoli in borsa). Se nei Trial avessero cercato anche gli asintomatici, la sua % di efficacia sarebbe inferiore, per capirlo sarebbe bastato fare un tampone ogni settimana a chi si sottoponeva ai trial, ma sarebbe costato troppo a Pfizer e Moderna e così, le aziende han preferito fare in fretta e arrivare subito alla certificazione.

Però le aziende farmaceutiche hanno preso soldi pubblici dai governi, ma senza la dovuta trasparenza: così oggi ti vaccini e non sai nemmeno se riuscirai a proteggere gli altri, dunque è probabile che continueremo ad usare le mascherine.

Gli Emaleaks

C'erano due esigenze quasi contrapposte, dietro l'approvazione dei nuovi vaccini: la necessità di fare test sicuri e dare una approvazione in fretta, per salvare vite umane.

Ci sono state pressioni sugli enti certificatori: sia in Europa e anche nell'America di Trump (contro la FDA).

Ci sono mail, arrivate ad un dirigente di Ema (e di cui Report è venuta in possesso), dove si parla di queste pressioni da parte della Commissione ue, dove si racconta che gli stati membri minacciavano di autorizzare in autonomia i vaccini, scavalcando l'agenzia. C' stata anche la presidente Von der Leyen che a novembre aveva fatto una dichiarazione secondo cui Ema avrebbe approvato i due vaccini di Moderna e Biontech entro il mese prossimo.

Ma Ema ha mantenuto la schiena dritta e Pfizer assicura che non ci sono problemi col suo vaccino.

Ora dobbiamo aspettare i vaccini di Astra Zeneca, su cui noi avevamo puntato: costa meno rispetto a quello di Pfizer ma è ancora in attesa di approvazione.

Quello che si capisce è che tutti hanno venduto la pelle dell'orso prima di averlo cacciato: oggi commissione e governo italiano minacciano azioni legali, ma bisognerebbe vedere cosa c'è dentro i contratti, ma sono tutti ancora secretati.

E se ci sono reazioni avverse, pagano gli stati.

E' un'influenza - Il piano pandemico

L'Oms lo scorso gennaio chiede ai paesi di mettere in piedi tutte le azioni per contrastare questa strana influenza e controllare l'influenza.

Report è entrata in possesso dei verbali delle riunioni del CTS: la task force sceglie di non far scattare il piano pandemico perché doveva decidere la politica.

Poteva scattare l'applicazione del piano pandemico ma invece si scelse di fare uno studio su questa pandemia, sul covid.

Ma noi il piano pandemico non era aggiornato dal 2006, lo dice l'ex direttore generale D'Amario per la prevenzione, dal 2018 al 2020 che, aggiunge, il piano di prevenzione non era una priorità per il governo.

Leggendo i verbali della task force, si comprende anche una certa sottovalutazione del rischio: il Covid era solo un'influenza, dicono Ippolito e Brusaferro.

Avremmo potuto avere un'altra storia con un piano pandemico vero, con una maggiore presa di coscienza del rischio, se il governo e il ministro avessero fatto altre scelte?

25 gennaio 2021

Anteprima delle inchieste di Report: su monopattini, piano pandemico e il patto della Lega

Questa sera Report ritorna sul piano pandemico italiano, non aggiornato dal 2006. A seguire un servizio sui vaccini, uno sul più grande produttore di monopattini elettrici e infine un retroscena sull'accordo tra Salvini e Bossi nel passaggio verso la nuova Lega.

Il re dei monopattini

Chi è il re dei monopattini elettrici, quei mezzi a due ruote che abbiamo visto circolare per le città e abbandonati a tutti gli angoli delle strade?

Nell'anteprima del servizio, si parla di “Salvatore Palella è ritenuto il "re dei monopattini elettrici". Ha fondato della società che sta riempiendo di veicoli a due ruote le città di mezzo mondo. Report ha attraversato l'oceano per incontrarlo, ma l'accoglienza non è stata delle migliori. ”

Per usare i monopattini si deve scaricare un'app, ci si deve registrare, si inseriscono i dati della carta di credito, e così si può sbloccare il mezzo per iniziare il viaggio.

Il monopattino serviva per decongestionare il traffico e inquinare di meno, per questo le amministrazioni hanno puntato su di lui, senza regolamentarne (nemmeno a livello nazionale) in modo omogeneo il suo utilizzo.

Dietro il monopattino ci sono imprenditori che studiano per essere l'Elon Musk del futuro: uno di loro è sicuramente Salvatore Palella, fondatore della società Helbiz, che è stata uno degli sponsor della cerimonia di insediamento del nuovo presidente Biden.

Helbiz Italia è stata fondata nel 2018 e in pochi mesi diventa in Europa uno dei leader dei monopattini.

Il nome per questa società è arrivata dalle due parole “help business”, l'idea era trovare un aiuto, un idraulico, un'elettricista attorno a te, poi come tante idee della Silicon valley è cambiata.



Di origini italiane, oggi vive a New York, il suo ufficio è al 32 esimo piano di un grattacielo di Wall Street, dove ha accolto il giornalista di Report in modo “poco amichevole”.

“Che tu non sia il benvenuto questo te lo posso dire anche io”, sono le parole di accoglienza del signor Palella al giornalista.

Come mai questo atteggiamento?

Forse perché il giornalismo scomodo, che fa domande a cui è imbarazzante rispondere, piace solo se fatto sugli altri. Se fatto su se stesso un po' meno.

La scheda del servizio: Il mago di Helbiz di Daniele Autieri in collaborazione di Federico Marconi, immagini di Dario D’India, Afredo Farina e Giovanni De Faveri

I monopattini stanno riscrivendo le regole della mobilità urbana anche in Italia. E la Helbiz è stata la prima azienda ad aver portato lo sharing nel nostro paese. La società ha ottenuto concessioni per la condivisione dei suoi mezzi in oltre venti città italiane, a partire da Roma e Milano. Ma chi c’è dietro la Helbiz? L’amministratore delegato si chiama Salvatore Palella, è nato ad Acireale 33 anni fa e oggi guida un gruppo mondiale dal suo ufficio al 32° piano di un grattacielo di Wall Street, a New York. La storia della Helbiz si intreccia con quella di tanti personaggi del jet set e dello sport italiano, da Alessandro Del Piero che offre il suo volto per uno spot, a Marco Borriello, tirato in ballo nella lista dei possibili investitori. Dal passato di Palella emergono però numerose ombre e relazioni con figure vicine alla criminalità organizzata e personaggi dal passato controverso. La società ha una holding di controllo nel Delaware, che scherma l’identità dei suoi azionisti, mentre sulla testa di Palella pende una richiesta di class action, presentata presso la District Court di New York City, per un’avventura imprenditoriale finita male nel mondo delle criptovalute. Alla luce di questo e molto altro, chi c’è realmente dietro la Helbiz? Con quali capitali viene finanziata l’azienda? E soprattutto, che responsabilità hanno le pubbliche amministrazioni e lo stato italiano nelle mancate verifiche sulle società incaricate di condurci nella mobilità del futuro?

Il piano pandemico

Siamo stati i primi ad essere colpiti in Europa dalla pandemia, abbiamo reagito senza seguire fin da subito un piano, medici e infermieri hanno dovuto improvvisare nei reparti, senza dispositivi di protezione a sufficienza. E l'Oms, l'ente terzo che avrebbe dovuto essere una voce autorevole, nel dare indicazioni su come gestire il virus, non si è dimostrato all'altezza.

Report è stata una delle prime trasmissioni a puntare il dito contro il piano pandemico e a scovare poi quel rapporto del gruppo di ricerca italiano dell'Oms, ritirato subito dall'organizzazione stessa.

Perché avrebbe messo in imbarazzo il governo italiano che aveva appena finanziato l'Oms che, per autotutela, ha messo in campo il direttore aggiunto Ranieri Guerra, come intermediario col governo italiano, che per sua stessa ammissione è stato “consapevole foglia di fico” per nascondere i problemi.

Il piano vero, uscì poi il 2 marzo, ad inizio epidemia ma troppo tardi, due mesi dopo il primo alert dell'Oms di gennaio: dopo la riunione del 20 febbraio, la parola d'ordine era normalizzare, Zingaretti che si fa riprendere in un pubblico durante un aperitivo a Milano, contraendo il virus.

Solo il 10 marzo tutta l'Italia diventa zona rossa, ma le attività produttive si fermeranno solo il 21: la capacità reattiva dell'Italia fu elogiata a settembre dall'Oms da un video rilanciato poi sui social dal presidente Conte e dal ministro Speranza.

Ma poche settimane prima l'Oms aveva fatto ritirare un rapporto critico sulla gestione italiana della pandemia, che denunciava proprio il mancato aggiornamento del piano pandemico.

Giulio Valesini ha nuovamente intervistato il ricercatore Francesco Zambon, autore di quel rapporto al centro di una guerra interna all'Oms. Tra chi voleva che fosse censurato il passaggio sul piano pandemico (fermo dal 2006) e i ricercatori che sono rimasti fermi sulle loro posizioni.

Quando vidi il video mi ricordo che feci un balzo sulla sedia perché pensai, si stanno preparando perché uno scandalo era imminente, era impossibile che questa cosa non venisse fuori .. il video è uscito a settembre e subito dopo c'è stata la consegna di “Noi denunceremo” del rapporto ai magistrati e per me era come legare le due cose, ma perché io sapevo tutti i retroscena del rapporto”.

Quel video dell'Oms era come un'azione risarcitoria, preventiva, per prepararsi allo scandalo.

Il rapporto è stato subito ritirato dopo le pressioni della stessa organizzazione che, in questi mesi, non ha mai risposto seriamente alle domande di Report sui perché.

Che però è riuscita a partecipare ad una video conferenza in cui era presente Hans Kluge, capo OMS Europa: è stato chiesto delle mail di pressione dietro la scelta, politica, di bloccare il rapporto di Zambon.

“E' vero, c'era qualcosa da correggere nella linea temporale e l'abbiamo messo offline, voglio che sia chiaro che in nessun momento ho avuto pressioni da parte del ministero italiano o di chiunque altro per ritirare il rapporto. Ma deve capire [al giornalista di Report] che se l'Oms fa una valutazione in un determinato paese, secondo le procedure condividiamo il rapporto col nostro partner principale, che è il ministero della salute.”

Ma le mail di guerra Zambon in cui si chiedeva di non scrivere che il piano pandemico era fermo al 2006 sono una violazione del codice di condotta dell'organizzazione, si chiedeva cioè ad un ricercatore di scrivere il falso – questa l'opinione di Zambon – “una violazione che rivela un conflitto di interesse, motivo per cui ho deciso di segnalare la cosa a tutti gli organi competenti all'interno dell'Oms, perché penso che sia una cosa piuttosto grave e riguardava un punto centrale del rapporto, l'aggiornamento del piano pandemico.”

E' partito un accertamento interno all'Oms per capire se il codice di condotta sia stato violato? Al ricercatore non risolta.

La credibilità dell'organizzazione di fronte all'opinione pubblica a questo non è compromessa?

“L'immagine dell'Oms in Italia direi che è decisamente compromessa ..” risponde il ricercatore che, in questi mesi, non è mai stato contattato dal ministro Speranza, dal ministero né dall'Istituto Superiore della Sanità: “Mi sarei aspettato una telefonata, se non altro di chiarimento ..”

L'Oms, alla luce dei fatti, non può permettersi di scrivere la verità e urtare la sensibilità politica di un ministro, perché il ministro appartiene ad uno stato che finanzia l'Oms stessa.

Il mandato dell'Oms non è quello di occuparsi della sensibilità dei ministri, certamente coi ministri bisogna avere un rapporto trasparente, bisogna essere molto diplomatici quando si tratta con tutti gli stati membri, ma certamente lo scopo non è rendere felice o infelice un ministro..”

La scheda del servizio: Era solo un'influenza di Cataldo Ciccolella, Norma Ferrara, Giulio Valesini, immagini di Paolo Palemo e Alfredo Farina .

Le indagini della procura di Bergamo hanno portato la Guardia di Finanza nelle stanze del ministero della Salute e dell'Iss. I funzionari che hanno gestito la prima ondata devono spiegare perché non hanno risposto immediatamente alla nota dell'Oms che il 5 gennaio dell'anno scorso diceva: "Prendete in mano i piani pandemici". Report è in grado di rivelare che per diverse settimane il nuovo virus fu sottovalutato e ancora a inizio febbraio un verbale della task force che supportava il ministro Speranza lo assimilava a una influenza. Nel frattempo la difesa dell'Oms alle richieste di trasparenza fa sempre più acqua, al punto da usare documenti confidenziali pubblicati proprio da Report, ma cambiandone la data. E per il whistleblower Francesco Zambon, che aveva denunciato la tentata manipolazione del rapporto sull'Italia, non è ancora chiaro cosa riserva il futuro.

Ci salverà il vaccino

Ora che le multinazionali a cui abbiamo affidato il nostro futuro iniziano a chiudere i rubinetti dei vaccini, forse in molti si renderanno conto del problema: aver delegato ai privati la ricerca, la produzione e la vendita dei vaccini.

Perché se deve essere il mercato a regolare chi si salverà e chi no, chi riceverà per primo (e in maggior dosi) il vaccino e dunque potrà ripartire prima, allora il mondo sarà sempre più diviso, sempre maggiori tensioni internazionali scoppieranno.

Non solo, i vaccini oggi autorizzati hanno alcuni problemi: il trasporto e la conservazione, la copertura dal virus, che andrà rinnovata probabilmente ogni anno, come per l'influenza.

Peter Doshi, professore di farmaceutica all'università del Maryland, spiega come sia misurata la loro efficacia: quando si dice efficacia al 90%, si intende la riduzione sul 90% dei sintomatici che hanno avuto un tampone positivo, non è una riduzione del 90% delle infezioni, i test non sono concepiti per rilevare questo.

Significa che i vaccinati possono essere immuni alla malattia, ma portatori del virus e a loro volta, trasmetterlo: il virus potrebbe continuare a circolare anche alla fine delle vaccinazioni, nessuno può assicurare che non avvenga.

“L'eradicazione del virus è un obiettivo molto ambizioso e che finora è stato raggiunto solo con un virus, quello del vaiolo” racconta il professor Crisanti.

Non sappiamo se veramente il vaccino sarà in grado di fermare il virus: dovremo continuare ad indossare la mascherina – commenta Cody Meissner dell'FDA, l'autorità americana – praticare il distanziamento sociale, evitare gli assembramenti, non potremo cambiare il nostro comportamento pensando di essere al sicuro, questo è quello che bisogna dire alla gente.

In Belgio stanno lavorando ad un vaccino nuovo, sulle basi di quello contro la febbre gialla: “noi invece puntiamo sull'immunità permanente e a bloccare la trasmissione” spiega Johan Neyts, professore dell'università di Leuven in Belgio.

A Leuven non stanno lavorando solo al vaccino ma anche alla ricerca di un farmaco anti-covid: “pensate a quanto successo a Bergamo ad inizio pandemia, a quanto avrebbe fatto la differenza avere un farmaco a disposizione. Abbiamo bisogno di un farmaco specifico contro la famiglia del corona virus, che è molto ampia, potrebbe esserci una mutazione immune al vaccino, o magari la prossima volta emergerà un virus più letale o che colpirà i bambini e noi non possiamo farci trovare impreparati.”

Ma forse per le multinazionali del farmaco conviene più un vaccino che debba essere rinnovato ogni anno, un problema per i paesi del terzo mondo: “i big pharma vogliono fare soldi, ma il problema è più grande che contenere il covid nel mondo occidentale, ci vuole un vaccino che sia utilizzabile in tutto il pianeta, altrimenti il virus potrebbe ritornarci come un boomerang”.

La scheda del servizio: Nelle mani del vaccino di Manuele Bonaccorsi, Lorenzo Vendemiale, con la consulenza di Ludovica Jona, in collaborazione di Marzia Amico, immagini di Matteo Delbò e Fabio Martinelli

Il vaccino ci porterà definitivamente fuori dalla pandemia? Dai test svolti dalle case farmaceutiche emerge un’elevata sicurezza ed efficacia, ma non si sa se permetterà di interrompere la trasmissione del virus. Infatti, nonostante ogni giorno nel mondo vengano effettuati milioni di tamponi, proprio per intercettare gli asintomatici, i volontari dei trial clinici sono stati testati solo in caso di sintomi. La conseguenza? Non sappiamo se il vaccino ci protegga solo dalla malattia o anche dall’infezione e quindi se potremo raggiungere l’immunità di gregge. Con testimonianze dei volontari e interviste ai massimi esperti americani ed europei che hanno valutato i vaccini, l’inchiesta racconterà come sono avvenuti i trial di Pfizer e Moderna, e quale impatto il vaccino potrà avere nella lotta contro l’epidemia. Report, inoltre, in collaborazione col collettivo di giornalisti investigativi Behind the Pledge, svelerà in esclusiva i cosiddetti “EmaLeaks”, mail e documenti interni da cui emergono le pressioni politiche sull’Agenzia europea del farmaco per accelerare il processo di autorizzazione. Pressioni avvenute proprio mentre i commissari dell’Ema riscontravano alcuni problemi nella produzione del vaccino Pfizer.

L'intervista a Belsito e il passaggio tra le due Leghe

L'ex tesoriere della Lega (di Bossi) racconta l'accordo, non rispettato, tra l'ex segretario Bossi e Salvini, segretario della nuova Lega nazionalista nel 2014.

La scheda del servizio: L'ACCORDO di Luca Chianca in collaborazione di Alessia Marzi

Il 26 febbraio 2014 viene siglato un patto generazionale tra Umberto Bossi e il nuovo segretario della Lega Nord, Matteo Salvini. Un accordo noto a molti, ma che nessuno ha mai potuto leggere. L'accordo nasce due anni dopo l'inchiesta sui fondi pubblici che ha sconvolto il partito. Dopo Bossi, arriva Maroni, poi Salvini che nel 2013 viene eletto segretario federale. L'anno dopo si siedono davanti a un tavolo per decidere del futuro politico del senatur. Salvini promette 450 mila euro all'anno per mantenere lo staff composto dagli autisti e dalla segreteria del presidente della Lega. In cambio l'ex avvocato di Bossi, Matteo Brigandì, rinuncia a 6 milioni di euro di mancati pagamenti proprio dalla Lega Nord. Soldi che già nel 2014 sono fondamentali per le casse del partito, che rischia, come poi è successo, di vedersi sequestrare ben 49 milioni. Abbiamo ricostruito la storia dell'accordo grazie all'intervista esclusiva a Francesco Belsito, l'ex tesoriere del partito travolto dallo scandalo, unico condannato per appropriazione indebita a causa di quell'accordo.

Tutte le anticipazioni sono state prese dalla pagina FB e dall'accout Twitter di Report


24 gennaio 2021

Luce della notte di Ilaria Tuti

 


Canta e conta, si disse la bambina per allontanare il Buio. Ma la notte non se ne andò. Le rispose con un lamento a labbra strette che si arrampicava sull’erba accartocciata dalla brina e crepitava sulla pietra del selciato, lungo il portico della casa, fino a raggiungerla e ad aggrovigliarsi al centro della pancia.

La notte fumava di nubi, Chiara le guardava arrotolarsi sulla strada che risaliva la collina, dalle vigne coperte di cristalli fin su, al limitare del giardino.

Le sagome degli animali scolpiti nel legno sembravano allungare musi e ali per liberarsi dalla nebbia e trovare un respiro di libertà. Qualche fiocco di neve roteava nell’aria, passatempo di un vento che giocava a nascondino e agitava le piume rosee sulla schiena della bambina. Chiara sentiva l’umidità attraverso le calze, il calore della lana contro la bocca, l’odore muschiato del gelo, quello del suo respiro, i rintocchi di una campana lontana. E quel mugolio, che, ora capiva, veniva da dentro.

Terzo romanzo con protagonista il commissario di polizia Teresa Battaglia, Luce della notte è un romanzo che parte da un incubo, da un sogno di una bambina che cammina nella notte, coraggiosamente, sentendone i rumori, le sensazioni sulla pelle.

Fino ad arrivare ad un albero, con dei simboli, che ne hanno scorticato il fusto. Sotto, vicino alle radici, della terra smossa, a nascondere un cuore che batte. Il cuore di un bambino.

Ciò che la turbò, tuttavia, fu che la terra era smossa, fino a rivelare le radici dell’albero. Doveva ripararle dal freddo. Si chinò per raccogliere terriccio attorno alle arterie colme di linfa, ma ciò che fece, contro la propria volontà, fu affondare le unghie e scavare. E più scavava, più le dita si macchiavano di rosso. « Apro un cuore. » Non capì il senso di quelle parole, né perché le disse, ma sentì il battito chiamarla attraverso la terra. Era là sotto. C’era davvero. Un cuore bambino.

Può un'indagine partire dal sogno di una bambina?

Si, se il grido di aiuto della madre è tale da toccare il cuore di un'altra donna, che madre non lo è stata e che serba ancora dentro il dolore di questa cicatrice.

«Sono qui perché se c’è qualcosa che non può ingannare» mormorò, «è la paura.» E lei l’aveva percepita in quella madre. Ma era e restava solo una sensazione.

Il lavoro di un investigatore, e anche di una profiler, è fatto anche di sensazioni come queste e così Teresa Battaglia e il suo aiutante, l'ispettore Marini, si recano presso questa casa sulla collina vicino al confino sloveno, per incontrare la famiglia Leban e Chiara.

Non è un approccio facile e non solo perché Chiara ha nove anni, ma anche perché è una bambina particolare, condannata al buio per una malattia genetica che le impedisce di stare al sole, di condurre una vita come gli altri bambini.

Sola, al buio, isolata, coi suoi animali in legno che un anziano le ha regalato.

E coi suoi disegni:

Sul cartoncino viola la bambina aveva disegnato un albero con la matita azzurra, un albero dalla corteccia rugosa e i rami spogli e spinosi. Sul tronco, colorate di marrone, c’erano una mezzaluna e una piccola stella che piangevano lacrime rosse.

Sfidando la ritrosia di Marini e l'ostilità del padre di Chiara, Teresa decide di dare fiducia a quella bambina, alla paura della madre.

Ma di quell'albero, di quell'albero sfregiato con quei simboli, non c'è traccia nel bosco attorno a quella casa in collina. Qualcuno però, in paese, li mette su una nuova strada: è il vecchio che ha costruito gli animali per Chiara e che racconta loro una strana storia avvenuta nei boschi venti anni prima. Strane luci tra gli alberi che avevano spaventato le persone del posto, che si erano perfino organizzate in ronde per scacciare questi “estranei” di passaggio.

Sotto un'acacia nel bosco Teresa e Marini lo trovano il sogno: quegli sfregi sul fusto, una mezzaluna e una stella, e poi, sotto terra, un peluche come quello descritto da Chiara.

Stiamo girando in tondo, commissario: o ammettiamo che siamo qui per rincorrere un sogno e chiudiamo la questione, o decidiamo di crederci e andiamo avanti

Da qui parte, prima in modo informale e poi seguendo tutte le regole, un'indagine su un bambino scomparso, di cui non si sa il nome, di cui non si conosce il volto.

E l'incubo di Chiara rivela poi, a Teresa, un incubo ben peggiore: la terribile storia dei profughi della guerra in Bosnia degli anni novanta che cercavano di raggiungere l'Italia e il nord Europa seguendo una rotta che passava per quei boschi.

E' la storia del massacro di Srebrenica, della pulizia etnica nei confronti dei musulmani bosniaci, dei trafficanti di esseri umani che per soldi gli facevano attraversare il confine...

Una storia di soprusi e di persone scomparse, di bambini scomparsi. Lasciando dietro di loro solo il dolore delle famiglie. Teresa e la sua squadra devono trovare quel bambino.

Ma a fianco a questo incubo che nasconde un dramma, nel libro si racconta la storia personale di Teresa: la preoccupazione per il decorso della sua malattia che fa fatica a nascondere alle persone che ha a fianco, come Marini (anche lui alle prese coi suoi demoni).

La vita, il lavoro, l'inferno che ha conosciuto nel corso delle sue inchieste (come quella nei boschi di Travenì e sui bambini salvati – Fiori sopra l'inferno) l'avevano cambiata. E ora la malattia la stava rimodellando verso un nuovo presente:

Era inciampata nella vita, rotolando giù e portandosi addosso ogni granello di fango. Un fango che era diventato creta e si era modellato attorno a lei, restituendola al mondo per come adesso era.

E poi c'è quello strano rapporto che si è creato con Andreas, l'assassino che uccideva le persone togliendole il volto e che ora è rinchiuso al Rems, la struttura di accoglienza per criminali con disturbi mentali. Andreas il mostro che ha protetto i bambini, che ha voluto loro bene e che ora è rinchiuso in una stanza dove può solo guardare il mondo là fuori.

Con lui si instaura un rapporto come madre e figlio, costruito leggendo le pagine di un libro che parla proprio di un padre e di un figlio in cammino:

«’Quando si svegliava in mezzo ai boschi nel buio e nel freddo della notte allungava la mano per toccare il bambino che gli dormiva accanto’.»

E' La strada, di Cormac McCarthy

Si parla di madri e si parla di bambini, in questo romanzo che, temporalmente, si colloca subito dopo “Fiori sopra l'inferno”.

Di madri che hanno visto tanta violenza da perdere qualsiasi fiducia in questo mondo. Di madri spaventate, come quella di Chiara. Di madri che avrebbero voluto esserlo ..

E di bambini. Vittime innocenti dell'avidità di mostri, oggetti nelle mani di trafficanti di esseri umani, senza nemmeno un nome, senza un volto.

Quanti sono i bambini che scompaiono ogni anno, lungo quella maledetta rotta di Balcani? Che fine fanno?

Per i più fortunati un destino di schiavi, vittime dello sfruttamento del lavoro minorile. E poi ci sono i più sfortunati.

Anche Sarah era una bambina, forse coraggiosa come Chiara, la bambina del romanzo coi suoi occhi capaci di “conoscere molte cose della vita e allo stesso tempo essere capaci di osservarle con distacco”.

Era la nipote di Ilaria Tuti, morta per una brutta malattia e a cui è dedicata questa storia, scritta di getto, per non restare immobile nel dolore.

La scheda del libro sul sito dell'editore Longanesi e il pdf col primo capitolo

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon


22 gennaio 2021

Quelli che



Quelli che questo governo è fatto di incapaci, il presidente del Consiglio un cretino, se non cambia ce ne andiamo.. E poi siamo disponibili al dialogo.

Quelli che viva il privato che fa i vaccini. E quando poi si scopre che il privato sceglie lui a chi venderli, è colpa dello stato.

Quelli che siccome la Lombardia è ed è stata la regione col maggior numero di morti, ora vogliono andare a governare esportando il loro modello.

Quelli che Cesa ha detto no al governo, così ora Gratteri lo sta indagando. Se Cesa avesse detto si a Conte cambiava qualcosa per le accuse?

Quelli che basta con questo lockdown, e infatti a Milano siamo tornati a sforare i livelli di inquinamento.

Quelli che bisogna andare subito a votare, meglio due mesi di campagna elettorale ora per avere un governo stabile. E un altro picco di contagi e morti.

Quelli che basta col governo Ciampolillo Mastella. Per sostituirlo col governo Salvini, Meloni, Berlusconi e Bertolaso. E la Minetti e Ruby no?

Quelli che basta pregiudizi contro Italia Viva. Solo Italia viva può avere pregiudizi

Oh yeahhhh

21 gennaio 2021

Uno spettro si aggira per l'Europa

Uno spettro si aggira per l'Europa e non è quello del comunismo di cui si ricorda la fondazione in questi giorni, per i suoi 100 anni.

No, lo spettro che si aggira è quello della paura del comunismo, nel senso di quel movimento che tendeva a combattere le disuguaglianze, dalla parte degli ultimi, gli sfruttati.

E' uno spettro che si aggira anche in Italia dove, specie in questi ultimi anni, soffia un vento di neoliberismo tardivo che stona con quanto accade nel paese.

E mi riferisco ai continui attacchi a misure di sostegno come il reddito di cittadinanza, all'allergia che parole come patrimoniale fanno scattare nei confronti dei commentatori della politica italiana.

Basta soldi a pioggia, basta col reddito di cittadinanza, siete poveri? Datevi da fare.

Ultimo esempio è l'articolo uscito su La Stampa di Antonella Boralevi in cui si narrava l'incredibile storia del commercialista che ha perso il lavoro per il Covid e che si è riconvertito a fare il rider. Guadagnando più di prima.

Peccato fosse falso.

Falso il fatto che fosse un ex commercialista, falsi i guadagni citati. Tra l'altro, il neo rider intervistato dalla signora Boralevi fa parte del sindacato che ha firmato l'accordo con le aziende di delivery, accorto molto criticato.

Il covid ha messo in luce tutti i problemi che già erano sotto gli occhi, amplificandoli: la didattica a distanza che non è efficace per tutti, l'assenza di un traporto pubblico efficiente e valido che costringe per le persone a muoversi coi mezzi propri, la sanità pubblica a macchia di leopardo che costringe chi può a rivolgersi al privato.

Potevamo cogliere l'occasione del Covid per spostare il baricentro dei servizi pubblici: meno autostrade e più treni per i pendolari, meno grandi opere e più medici e presidi sul territorio.

Non è stato fatto così per un concorso di colpa che si dividono governo e regioni.

Perché quella mancanza di visione di cui tanti accusano Conte, non l'hanno nemmeno i presidenti di regione.

E quando una visione ce l'hanno, come la neo presidente Moratti, sono visioni che fanno paura: vaccini distribuiti in base al PIL.

Perché se sei povero è colpa tua. 

Perché se nella tua provincia mancano ospedali, è colpa tua.

Se sei costretto ad emigrare (e a contribuire al ricco PIL della regione della Moratti) è sempre colpa tua.

Se sei costretto ad arrabattarti tra mille lavoretti, precari, con un salario basso (quando c'è) è sempre colpa tua.

E così lo spettro delle disuguaglianze, della povertà, dello scollamento tra le classi sociali nel paese (causa delle tensioni e dello spostamento degli elettori verso i populisti), continua a girare.

A questo servirebbe la sinistra: a stare dalla parte di chi sta in fondo e a far sì che anche lui abbia le stesse possibilità di altri. Lo dice la Costituzione tra l'altro.

20 gennaio 2021

Pietr il lettone di Georges Simenon

 


«C.I.C.P. A Sureté Parigi

«Xvzust Cracovia vimontra m ghks triv psot uv Pietr il Lettone Brema vs tyz btolem».

Il commissario Maigret, della 1a Squadra mobile, alzò la testa ed ebbe l'impressione che il brotolio della stufa di ghisa posta al centro dell'ufficio e collegata al soffitto da un grosso tubo nero si stesse affievolendo. Spinse da parte il telegramma, si alzò pesantemente, regolò la valvola e gettò tre palate di carbone nel focolare.

Poi, in piedi, con le spalle rivolte al fuoco, caricò la pipa e si allentò il colletto che, per quanto molto basso, gli dava fastidio.

Un giorno Simenon, dopo tre bicchierini in un bar, si trovò di fronte ad un uomo dalla corporatura massiccia, un cappotto col collo di velluto e una bombetta in testa.

Sarebbe stato la rappresentazione perfetta per il suo commissario, quello che aveva in testa e a cui avrebbe dato vita con la serie del commissario Maigret.

“Nel corso della giornata aggiunsi al personaggio qualche accessorio: una pipa, una bombetta, un pesante cappotto con il collo di velluto .. e gli concessi, per il suo ufficio, una vecchia stufa di ghisa”.

Questo Pietr il Lettone è il primo romanzo di Simenon in cui Maigret è il protagonista principale della storia: lo incontriamo fin dalle prime righe, al freddo nel suo ufficio dopo aver ricevuto un telegramma dalla Commissione internazionale della polizia criminale, antenata dell'interpol, che gli comunica che il noto criminale chiamato Pietr il Lettone, sta arrivando a Parigi col treno, dopo un viaggio da Cracovia e passando per Brema e Bruxelles.

età apparente di 32 anni, statura 1.69, seno dorso nasale rettilineo, base orizzontale...”

Nessuna foto, solo una descrizione somatica di questo personaggio strano, su cui Simenon si mette subito alle costole, andando ad attenderlo proprio alla stazione dei treni. Ma proprio sul treno in arrivo da Bruxelles è segnalato un cadavere, un uomo ucciso nella toilette della carrozza numero 5. Quella dove viaggia Pietr il Lettone.

E qui iniziano le prime stranezze, perché osservando i passeggeri sulla banchina, a Maigret sembra di scorgere proprio Pietr. Anche il morto, rannicchiato dentro il bagno e ucciso con un colpo al cuore, assomiglia alla descrizione del criminale.

Criminale che però in quel momento alloggia all'hotel Majestic, alla camera 17: Maigret non si fa problemi a presentarsi all'albergo e a mostrarsi di fronte al suo avversario, in tutta la sua fisicità:

La presenta di Maigret al Majestic aveva inevitabilmente qualcosa di ostile. Era come un blocco di granito che l'ambiente rifiutava di assimilare.

Non che somigliasse ai poliziotti resi popolari dalle caricature. Non aveva né baffi né scarpe a doppia suola. Portava abiti di lana fine e di buon taglio. Inoltre si radeva ogni mattina e aveva mani curate.

Ma la struttura era plebea. Maigret era enorme e di ossatura robusta. Muscoli duri risaltavano sotto la giacca e deformavano in poco tempo anche i pantaloni più nuovi.

Aveva in particolare un modo tutto suo di piazzarsi in un posto che era talora risultato sgradevole persino a molti colleghi.

Era qualcosa di più della sicurezza, ma non era orgoglio. Arrivava solido come il granito, e da quel momento pareva che tutto dovesse spezzarsi contro di lui, sia che avanzasse, sia che restasse piantato sulle gambe leggermente divaricate.

Teneva la pipa inchiodata in bocca e non la toglieva certo perché si trovava al Majestic.

In quell'ambiente Maigret scorge Pietr discorre con un ricco industriale americano, il signor Mortimer, che ha appena acquistato delle azioni di aziende francesi, salvandole dal fallimento.

Di che affari staranno discutendo l'uomo d'affari e quel criminale, specializzato in truffe, traffici illeciti, ricatti?


Da qui in avanti il romanzo diventa una sfida a due, anzi, ad un certo punto si perde anche il conto degli avversari di cui il commissario deve tener conto.

Perché Pietr sembra avere la capacità di apparire e scomparire come fosse un mago, assumendo altre identità: seguendo una pista che parte da una foto che il morto sul treno aveva in tasca, Maigret arriva ad un piccolo paesino in Normandia, dove conosce la moglie del capitano Swann.

E chi è questo uomo di mare, se non proprio una delle identità di Pietr?

Seguendo le mosse dell'uomo d'affari americano, Maigret si ritrova sparato da un killer che, fortunatamente, manca il colpo ferendolo al petto.

Pur ferito, riesce a rientrare in Hotel dove scopre che qualcuno ha ucciso l'ispettore Torrence, che aveva piazzato in Hotel per controllare le mosse dei signori Mortimer.

Instancabile, nonostante la ferita, Maigret riesce ad annodare tutti i fili della storia, riuscendo ad acciuffare il criminale, vendicando il collega. Ma, come nei racconti successivi di Maigret, al commissario quello che importa è comprendere tutta la storia, chi è quell'astuto truffatore internazionale che ha davanti?

Quella che sentirà, in un clima quasi cameratesco, in una piccola stanza d'albergo, sarà una storia che parte da un piccolo paese in Lettonia, di due fratelli gemelli. Uguali, dove uno sarebbe stato destinato a diventare un leader mentre l'altro solo una sua ombra.

Rispetto ai romanzi scritti negli anni successivi, questo primo Maigret ha un ritmo e uno stile molto diverso, che lo rendono anche più pesante da leggere.

Pochi dialoghi, quei dialoghi fitti tra poliziotto e indagato che diverranno celebri in seguito. E molta azione, che rendo il racconto a volte anche poco credibile.

Ma si intuiscono quegli aspetti del suo modo di lavorare che l'hanno reso famoso: il voler cercare e comprendere l'uomo, dietro l'assassino, quella “crepa” come viene chiamata ad un certo punto, che alla fine consente di risolvere i casi.

La scheda del libro sul sito di Adelphi

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

19 gennaio 2021

Report – la transizione verde, la pandemia nelle carceri e l'Imu di Coverciano

La casa degli azzurri

La federcalcio italiana non paga l'Imu al comune di Firenze, per una cifra che supera il milione di euro: perché è un ente non commerciale, dice il presidente dalla Federazione Gravina.

Eppure ci sono importanti marchi che fanno spot associati all'immagine di Coverciano, altro che ente non commerciale: la Federcalcio SRL, che ha la proprietà del centro, fa attività per scopo di lucro e Federcalcio SRL è una partecipata al 100% della Federcalcio.

Si paga per fare i corsi per allenare, si paga per il vitto e per l'alloggio, come se si fosse in un albergo, si fanno corsi e convegni: sono soldi che finiscono nelle casse di Federcalcio.

La Cassazione si è pronunciata più volte su altre sedi FGCI ma non ancora a Coverciano: il presidente Gravina ne fa una questione di principio, non sono un ente a scopo di lucro, se dobbiamo pagare pagheremo, dice.

Le carceri al tempo del Virus (link)

La polizia penitenziaria italiana è stata messa a dura prova quest'anno: nel periodo del primo lockdown, a marzo, in 21 carceri ci sono state proteste da parte dei detenuti con 107 feriti tra gli agenti e 69 tra i detenuti. Ma ci sono stati anche 13 detenuti morti (sospette) e danni ingenti alle strutture carcerarie, per quasi 10ml di euro.

Purtroppo, ci sarebbero stati anche abusi e atti di violenza gratuita sui detenuti: Bernardo Iovene ha incontrato alcuni parenti dei detenuti, da cui ha raccolto diverse testimonianze inedite su quanto sia successo in quel mese “stati tolti i viveri .. sono stati trattati come animali, picchiati cella per cella” racconta una parente delle vittime.

Si tratta di violenze e pestaggi a freddo accaduti a Modena, a Opera, a Milano, a Pavia: sono violenze di cui danno testimonianza i parenti dei detenuti.

Dei fatti di Modena ne parla invece un testimone diretto: non aveva partecipato alla rivolta, aveva trattato l'uscita dalle celle con un ispettore, ma sono stati picchiati dalle guardie.

Una violenza tale che, dice il detenuto, anche le guardie si erano sporcate di sangue per le botte.

A Modena sono morte 5 persone e poi, dopo il trasferimento in altre carceri, altri 4 detenuti: per overdose di Metadone, la versione ufficiale, metadone rubato in carcere. Secondo la versione del testimone non è vero, sono morti per il fumo, per le botte.

Il virus ha evidenziato delle criticità a cui non abbiamo posto rimedio, nemmeno nelle carceri: ora il problema del sovraffollamento è sotto gli occhi di tutti e la paura del contagio ha fatto partire delle rivolte con morti e feriti.

C'era una regia occulta? Non ci sono prove, ma c'è stato chi ha soffiato sul fuoco, la magistratura sta indagando ora su come sono state sedate e come sono scoppiate.

Bernardo Iovene ha raccontato nel servizio tutto questo, della dignità calpestata dei detenuti e anche delle guardie.

Uno dei detenuti morti si chiamava Fedi e aveva 35 anni, doveva uscire dopo 2 settimane: è stato consegnato dai detenuti agli agenti perché stava male.

Aveva avuto nel passato problemi di tossicodipendenza, racconta il suo avvocato a Report, ma ne era uscito da almeno 1-2 anni, era fortemente asmatico. Sarebbe importante – continua l'avvocato – capire da chi è stato portato, quando ha iniziato a star male, e capire in che condizioni era e da chi è stato soccorso.

Non tutti sono stati trasferiti subito alla fine delle rivolte, molti sono stati picchiati indistintamente (senza distinguere tra chi aveva partecipato alle rivolte e chi no) per giorni, per più volte al giorno.

Pestaggi che sarebbero continuati anche dopo il trasferimento, perché sono stati bollati tutti come rivoltosi: “prima di entrare in carcere [dopo il trasferimento a Salluso] tutti ci hanno picchiato. Ogni giorno, per tre mesi non ci hanno lasciato cambiare i vestiti, niente .. ”

C'è un esposto presentato da due detenuti dove si parla delle violenze, a freddo: l'avvocato che li assiste racconta anche che per giorni queste persone non hanno potuto contattare persone fuori, non hanno avuto assistenza, detenuti lasciati scalzi nelle celle.

In carcere è morto anche un detenuto che in carcere aveva fatto teatro, Salvatore Piscitelli: è stato dichiarato che è morto in ospedale, ma nell'esposto si racconta delle percosse e che Piscitelli è morto in cella.

Altri detenuti raccontano di essere stati trasferiti da Modena a San Gimignano, dove sono rimasti senza medicine, anche i salva vita, senza coperte e senza vestiti.

Stessa storia a Foggia: dopo al rivolta i detenuti sono stati trasferiti in altre carceri dove hanno subito pestaggi sia prima del trasferimento che dopo. A Viterbo, a Catanzaro .. Come se tutto fosse stato pianificato.

La polizia penitenziaria dipende dal DAP: il DG del DAP Parisi nega qualsiasi premeditazione da parte delle guardie, come mai allora tutte queste denunce per le violenze a freddo, dopo il trasferimento?

Le indagini interne sarebbero state bloccate dall'autorità giudiziaria, dice Parisi: “il DAP una volta che ha fatti acclarati, effettua le misure necessarie”.

In attesa delle indagini del DAP, la procura di Santa Maria Capua Vetere sta indagando sulle violenze in carcere: si tratta di una spedizione punitiva fatta da diversi agenti, dopo le proteste di aprile.

I detenuti avrebbero avvisato i familiari da un cellulare: “ci stanno massacrando di botte..”.

La direttrice del carcere avrebbe ammesso le violenze – testimonia una parente di un detenuto- facendo venire in carcere agenti da Secondigliano.

Cosa ancor più grave, prima della spedizione punitiva, le proteste erano già finite, come ammette anche il magistrato di sorveglianza Marco Puglia e il garante dei detenuti della Campania.

Non è normale sentir parlare di agenti incappucciati, di botte, persone lasciate nude in cella.

Gli agenti negano questa versione e la ricostruzione della procura di Santa Maria Capua Vetere che ha incriminato 44 agenti resi riconoscibili.

Da chi è partito l'ordine della violenza? Secondo il sindacalista del sindacato autonomo delle guardie, l'ordine è partito dal direttore o dal provveditore dell'amministrazione penitenziaria.

Quest'ultimo, Antonio Fullone, ha accettato l'intervista e ha spiegato di aver dato l'ordine di procedere con una perquisizione fatta da agenti di una squadra di intervento rapido.

Perquisizione che si è trasformata in un atto di violenza: l'agente penitenziario non è un cappellano, dice il sindacalista, ma questo non giustifica le spedizioni punitive, nemmeno ai carcerati.

Nel 2013 la Corte di giustizia europea ha condannato l'Italia per le condizioni incivili di diverse carceri: in questi anni non si è fatto nulla e non abbiamo colto i segnali emersi in questi anni.

Le violenze nelle carceri a Torino, a Sollicciano, a San Gimignano (tortura e violenza), Ivrea, Viterbo, Asti e infine a Ferrara. Qui è arrivata la prima condanna per le torture avvenute in carcere.

Carceri che rendono la vita impossibile per chi sta dentro, che sia un detenuto o una guardia. Carceri come Poggioreale, dove i colloqui sono bloccati e così i familiari devono passare per un bar, fuori dal carcere, per far arrivare qualcosa ai detenuti: in questo bar si trovano anche articolo per detenuti, ovvero cappelli, scaldacollo, pantofole, mascherine, pigiama.

Vendono anche cartoline con messaggi di speranza per chi sta dentro.

Fuori dal carcere si trova anche il servizio di deposito dei cellulari, per quei familiari che hanno ottenuto un colloquio, ma devono lasciar fuori il loro cellulare. Ci pensa Pasquale ai cellulari delle persone, non lo Stato italiano.

A Poggioreale ci sono 2200 detenuti, mentre dovrebbe contenerne 1600 al massimo: l'ultimo decreto del governo consente ai condannati a fine pena di scontare la pena a casa, per poter evitare il sovraffollamento, perché il covid è entrato dentro le celle e fa paura, perché le persone che si sono infettate, dicono i familiari, non sono tenuti in isolamento.

In carcere si contagiano anche gli agenti: ci sono 200 positivi e altrettanti isolati in quarantena, la struttura, vecchia e sovraffollata, non può garantire il rispetto delle norme di sicurezza.

La sanità a Poggioreale è tagliata per 1600 persone, qua dentro in questa struttura secolare non possiamo garantire le norme di igiene più elementari già nella normalità, figuratevi adesso in piena epidemia.”

Se lo dicono gli agenti c'è da credergli, addirittura i direttori sanitari delle tre carceri metropolitane della Campania hanno contratto il Covid: è successo a Vincenzo Maria Irollo, ds di Poggioreale: “anche io purtroppo sono stato vittima del Covid perché frequento tutti i padiglioni ..”

La soluzione sarebbe evitare l'affollamento, evitare i nuovi ingressi.

Ma il nuovo decreto, quello che consente i domiciliari, non ha ancora dato effetti, perché le posizioni dei detenuti devono essere ancora valutati, sono 60 le posizioni da valutare, e il tribunale ha 3000 domanda ancora da controllare.

Nel decreto ristori si prevedeva di stare a casa, se si è a fine pena, per certi reati: ma mancano i braccialetti per consentire la fuoriuscita di questi detenuti.

Chi dovrebbe aiutare i detenuti potrebbe essere il dottor Ciambriello, garante dei diritti dei detenuti in Campania: dal suo ufficio si vedono i carcerati nell'ora d'aria, ben poco distanziati.

Fa impressione vedere queste persone ammassate, dalle 15 di oggi alle 9 di domani mattina stanno in sei in una cella, è disumano.”

Viene calpestata la dignità, appena entri in carcere e magari non sei nemmeno colpevole: in questi ultimi anno sono state risarcite 27mila persone, perché detenute illecitamente.

Dovremmo ampliare le pratiche alternative al carcere: i lavori socialmente utili, il braccialetto.. invece siamo il paese che in questi anni ha contato mille suicidi in carcere, dove mancano le strutture per il reinserimento dei detenuti, per quelli senza fissa dimora.

Contro la situazioni nelle carceri hanno protestato gli avvocati, i cappellani delle carceri: tra loro don Franco Esposito, che con la sua struttura offre ai ragazzi un posto dove stare, se ottengono i domiciliari.

Sono detenuti che lavorando, seguono un percorso riabilitativo, per avere una nuova possibilità, per quella funzione rieducativa che il carcere dovrebbe avere.

Secondo i conti del Garante dei detenuti nazionale, sono 350 i detenuti che avrebbero diritto ai domiciliari, ma il ritmo con cui escono dal carcere è lento, rischiamo che nelle carceri scoppino dei focolai.

Mancano i giudici di sorveglianza, sono il 40% in meno, mancano i braccialetti (l'appalto l'ha vinto fastweb, che dice di aver rispettato il contratto), ma almeno coi braccialetti arrivati si sono isolati 7500 detenuti. E mancano anche le guardie penitenziarie, ne mancano 17mila per completare i ranghi, ma nel decreto ristori erano escluse le guardie dagli stanziamenti del governo.

Sui detenuti al 41 bis è scoppiata una polemica, a seguito della circolare emanata dall'ex direttore Basentini: si applicava solo alle persone malate, a rischio della loro vita.

Tutta questa linea dura sui carcerati al 41 bis non fa che rinfocolare le polemiche da parte di chi vorrebbe abolirlo, questo regime carcerario duro.

Ci sono detenuti in 41 bis intubati di cui familiari non sanno nulla: Salvatore Genovese, un capo mafia detenuto ad Opera, è stato infettato e oggi è stato trasferito al San Paolo. Dove è morto per le complicazioni del Covid.

Anche i mafiosi devono essere curati, questi dice la Costituzione, questo dicono le leggi.

Politica e istituzioni non stanno affrontando questo problema, non danno i numeri di infetti e ammalati in carcere.

Ci sono state le iniziative isolate di Giachetti, di Rita Bernardini per far uscire i detenuti prossimi allo scadere della pena, ma sono iniziative isolate, perché sia i carcerati che le guardie sembrano cittadini di serie B.

Servirebbero soldi per sistemare le celle, costruire o finire le carceri, per assumere (e pagare gli straordinari) guardie, per realizzare progetti di reinserimento.

Perché altrimenti continueremo ad avere una recidiva dell'80%, mentre in carceri come Bollate è ferma al 20%. Magari qualche ministro penserà ancora nuovamente a svendere le carceri, come voleva fare Alfano. Magari si continuerà a chiedere indulti ed amnistie, che sono l'ammissione di un fallimento.

La transizione verde (link)

Quella di Michele Buono è una visione, per una vera transizione verde, ma anche un piano industriale, non le slide di qualche leader politico di opposizione o di governo.

E' un piano industriale per una vera transizione che tolga di mezzo carbone e idrocarburi, per trasformare l'Italia come paese esportatore di energia, padrone di tecnologie all'avanguardia nel settore energetico, pulire l'aria, creare posti di lavoro.

Tutto basato sull'idrogeno: energia prodotta al sud Italia, dal solare e trasportata al nord e in nord Europa con le condotte della Snam.

Niente carbone per produrre acciaio, per esempio come si faceva a Taranto.

Non serve stravolgere impianti, risparmiando sulle emissioni e anche sui costi.

MA per questo serve creare una filiera attorno all'idrogeno che parta dai centri di ricerca e università e arrivi fino alle imprese.

Prima che anche questo treno, e i miliardi del recovery fund, passino per sempre, sperperati in qualche pala eolica, nell'idrogeno prodotto dagli idrocarburi..

Magari copiando in Italia quello che in Germania fanno i centri Fraunhofer, centri di ricerca che affiancano le piccole imprese, per efficientarle dal punto di vista energetico.

Il tutto partendo dal sole, dal vento, dall'acqua. E mettendo via, una volta per sempre, metano, carbone e petrolio.

E anche l'alta velocità e il TAV, se il progetti Hyperloop (fatto dal gruppo Angel in Puglia), lo realizzassimo anche per i viaggiatori italiani.

Hyperloop costa meno del TAV, consuma meno energia, anzi la produce.

Ma noi rimaniamo il paese del trasporto privato, delle autostrade inutili, delle città che sono camere a gas.