Il 27 gennaio del 1945 i soldati dell'Armata Rossa varcavano i cancelli del campo di sterminio di Auschwitz, già abbandonato dalle SS.
Nei mesi successivi le truppe americane liberavano altri campo di concentramento, ad occidente, come Buchenwald.
Il mondo scopriva cosa intendesse Hitler e i nazisti con le parole di soluzione finale al problema ebraico.
Lo sterminio sistematico di ebrei, omosessuali, comunisti, rom (e prima ancora, delle persone con problemi mentali). Nemici del popolo tedesco, vite indegne di essere vissute.
Dove erano finite quelle famiglie di ebrei, che stavano nelle nostre città? Dove erano rinchiusi gli oppositori del Reich?
Erano lì, rinchiusi in campi progettati per sfruttarli fino alla fine, come schiavi da lavoro, uccidendone prima l'anima e poi, giorno dopo giorno, il fisico.
Ingegneri e architetti che costruirono quelle strutture, i forni crematori per massimizzare la distruzione dei corpi al minor costo.
Chimici che cercarono il gas che avrebbe ucciso quelle persone, o meglio, quegli esseri, nel minor tempo possibile.
E poi altri ad organizzare i treni, la raccolta degli ebrei (e di tutte le altre categorie di subumani), l'individuazione delle famiglie nascoste (come quella di Anna Frank).
No, la soluzione finale, lo sterminio di massa di milioni di persone, non è stato il frutto di poche menti malate.
Quante persone, che vivevano vicino a Buchenwald, hanno visto il fumo salire dai camini, han visto le persone arrivare sui treni e mai più uscire.
Oggi, passati 76 anni, sono sempre meno le persone, come la preziosa Liliana Segre, in vita che ci possono raccontare quell'orrore.
La vita annullata nei campi di concentramento.
La paura di vivere nascosti, col timore che qualcuno facesse la spia ai fascisti o ai nazisti.
Scoprire all'improvviso che non eri più un cittadino come gli altri, cacciato via dalle scuole, dagli uffici pubblici, spogliati dei loro averi.
Chi racconterà, tra qualche anno, queste cose?
Vedendo quello che succede oggi, il fascismo sdoganato nella politica, nei salotti televisivi, nei comportamenti e nelle parole dei politici, viene da pensare che abbiamo vinto loro.
Che la memoria ha perso. Che la nostra civiltà, la nostra cultura abbia perso.
E per questo che è importante ricordare, anche oggi, anche con questa pandemia (che ha fatto scoprire le nostre fragilità e tante meschinerie).
La memoria è stata e sarà il nostro vaccino contro il virus dell'orrore, contro il virus dell'indifferenza.
Perché se ci chiediamo come mai sia potuto succedere questo, la Shoa, i milioni di morti, questa è anche parte della risposta.
L'indifferenza.
«Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare»
Martin Niemöller (1892-1984)
La stessa indifferenza che oggi ci fa voltare la testa dall'altra parte di fronte alle immagini dei migranti al freddo in Bosnia.
Di fronte ai campi di concentramento in Libia, ai campi in Grecia.
Di fronte ai muri e alle barriere che la civile Europa erige ai propri confini per tener fuori gli indesiderati.
Perché oggi (ma forse era vero anche negli anni 40) non possiamo dire di non sapere.
Nessun commento:
Posta un commento