Quanto paghiamo le mascherine e da dove le compriamo? Secondo l'inchiesta di Report, arrivano ancora dalla Cina e si arriva a personaggi collegati agli scandali di Vatileaks, fino a imprenditori cinesi a Roma.
Nel servizio di apertura Report racconterà quanto sono attendibili i dati riportati sui bollettini del Covid.
Dietro il dato di Antonella Cignarale
Quanto sono attendibili i dati sul Covid?
In Toscana i morti fuori dagli ospedali entrano nelle statistiche dopo, molti dei deceduti per altre patologie, se positivi, sono contati come morti per Covid. Anche in Germania fanno così: significa che abbiamo avuto un surplus di morti?
Bisogna leggere con attenzione i numeri sui posti in terapia intensiva, sui tamponi: se non ben interpretati possono portare a letture false.
In Piemonte hanno contato come tamponi anche quelli rapidi finché, su indicazione del ministero, non sono stati tolti.
Così per mesi al ministero non arrivavano dati omogenei, alcuni solo i tamponi molecolari, il Piemonte la somma dei tesi molecolari e rapidi.
In base ai dati dei positivi e dei contatti rintracciati, si calcola un indicatore che poi determina lo stato di una regione: tra le regioni che sono state più brave a rintracciare i contatti dei positivi c'è la Basilicata, ma la realtà è diversa.
La giornalista ha contattato positivi che non sono stati chiamati per avere i contatti stretti: una situazione che non perturba il direttore dell'ASL di Potenza, “il sistema è rodato”.
Il punto è che i contatti sono segnati su carta e poi, una volta che vengono chiamati, sono portati su file: manca l'organizzazione, sostiene l'ex responsabile della piattaforma per il contact tracing.
Che il tracciamento non funzioni lo dicono dalle “periferie”: mancano medici, le persone non vengono chiamate, dunque il dato fornito dalla regione sembra essere falso.
Non esiste un dato italiano sui contagi familiari, sui contagi sul luogo di lavoro, spiega un'epidemiologa alla giornalista: l'unico dato valido rimane quello dei morti, purtroppo.
Ci sono dati che ancora non sono accessibili: l'associazione “Dati bene comune” ha chiesto di renderli pubblici, per aiutare anche la popolazione ad accettare provvedimenti restrittivi.
La commessa cinese di Rosamaria Acquino
C'è un'indagine per traffico di influenze per cui è indagato Mario Benotti, per l'appalto da 1,2 miliardi di euro di mascherine comprate dalla Cina: in che modo l'imprenditore avrebbe ricevuto un mandato da Arcuri, per comprarle?
Arcuri non ha commentato né risposto alle domande di Report, perché ci sono indagini in corso, per rendere trasparente l'indagine, dice.
A marzo avevamo bisogno di mascherine e maschere per l'ossigeno: Arcuri era anche manager di Invitalia e così si rivolge ad imprese come a quella di Benotti, capo di un'azienda che produce micro componenti elettronici e a capo di un consorzio del settore Optel.
Benotti gira la richiesta ad un amico, l'ingegnere Tommasi che si occupa di marketing per la difesa, ma ha anche contatti con aziende cinesi da cui compreremo più di un miliardo di mascherine.
Le aziende sono la Luokai, costituita 5 giorni prima di stipulare il contratto e la Wenzhou Light: per questi acquisti le aziende cinesi riconoscono una commissione a Tommasi e Benotti.
Arcuri avrebbe contattato Benotti per creare un link tra la struttura commissariale e le aziende cinesi: “con le più grande aziende cinesi”, spiega Benotti alla giornalista.
Ma chi sono queste aziende cinesi? I giornalisti di Report sono andati fino a Wenzhou dove ha sede la Wenzhou Light a cui Arcuri ha commissionato quasi 800ml di euro di mascherine.
Nei confronti dei giornalisti quelli di Wenzhou si dimostrano molto diffidenti, non rilasciano molte informazioni: si capisce però che non fabbricano mascherine, ma sono solo una società di export.
Report è allora andata a visitare una fabbrica che confeziona mascherine poi esportate in tutto il mondo: loro producono per società che fanno export, non sanno a quali paesi arriveranno i loro prodotti – racconta un responsabile.
Sappiamo però che qui in Cina una mascherina costa alla produzione 2 centesimi e sono vendute a partire da 3 centesimi in su: sembra un affare visto che la nostra struttura commissariale le ha pagate 55 centesimi l'una.
Report ha provato a presentarsi come acquirente ma è stato dirottato verso una società di trading: a Wenzhou c'è una delle sedi della Luokai trading, l'altra società a cui Arcuri ha commissionato le mascherine, per 633 ml.
Si trova in un quartiere blindato dove si trovano edifici del partito comunista, dentro un comprensorio dove ha anche sede la corte suprema cinese.
La Luokai trade nasce cinque giorni prima della commessa italiana, mentre la Wenzhou è piena di ingiunzioni di pagamento: sarebbe bastata una semplice visura per capirlo.
Dalla Luokai abbiamo comprato le mascherine a 49 centesimi e le ffp2 a 3,4 euro.
Eurostat ha analizzato le mascherine comprate dalla Cina: noi italiani abbiamo pagato le mascherine di più di altri paesi, come la Spagna. Forse per colpa delle commissioni riconosciute a Tommasi e Benotti?
E' un sospetto confermato da una fonte anonima, che spiega a Report che avremmo pagato dieci volte di più le mascherine, anche a luglio (fuori emergenza), dunque non proprio un affare per il paese.
L'inchiesta per traffico di influenze è partita dalla UIF di Banca d'Italia che ha segnalato questi movimenti (delle commissioni) ai magistrati, anche perché Benotti è persona esposta, avendo avuto rapporti con politici come Prodi, Delrio, Gozi, consulente del sindaco Nardella.
Seguendo il flusso dei 12 ml riconosciuti a Benotti, 9 finiscono alla sua società, la microproducts, gli altri 3 sono finiti alla sua società partecipata.
Quei 12 milioni di euro sono dovuti ai rapporti nel mondo che si è costruito in tanti anni, risponde Benotti. Ma parte della commissione è stata data a Chaoqui, la giornalista coinvolta in Vatileaks: si diceva che la “papessa” avesse dietro i servizi, di certo c'erano personaggi come Bisignani.
Altro personaggio indagato è Daniele Guidi: si era occupato della logistica per l'acquisto delle mascherine, ed è indagato per il crac del credito sanmarinese (CIS), di cui Guidi era socio.
Ma Guidi e Tommasi sono indagati per un'altra commissione, per una operazione di recupero crediti: Guidi e la banca Cis da mandato alla Sunsky per la vendita di un villaggio in Tunisia.
Da questa mediazione Sunsky prende una commissione, da 500mila euro, un investimento che ha suscitato l'attenzione della commissione d'inchiesta sul crac della banca CIS e della banca centrale.
La Sunsky di Tommasi dovrebbe fare marketing per la difesa e invece si occupa di mascherine e di resort: a Milano alla sua sede la giornalista non ha trovato nessuno, nel palazzo alle porte di Milano non l'hanno mai visto.
La commessa più ricca è finita alla Luokai, società costituita cinque giorni prima del contratto: Report ha scoperto, seguendo il filo delle società e delle utenze telefoniche, che dalla Cina si arriva ad un manager che si chiama Cai Zhongkai, conosciuto in Italia, il cui genero Yu Hui lavora a Roma ed è stato coinvolto in una inchiesta della DDA.
Si poteva fare un controllo sulle società a cui si è dato l'appalto?
La società di Zhongkai dovrebbe avere sede a Roma, in un magazzino: la giornalista ha provato prima a fare domande alle persone che lavorano in questo magazzino, senza avere troppe informazioni.
La giornalista è andata in un'altra sede riferibile a Zhongkai, a Roma in piazza Vittorio, in un negozio dentro cui ha trovato il figlio di Yu Hui: il padre e Zhongkai non sono più in Italia ma sono andati in Cina, sarebbero partiti proprio nel periodo in cui sono stati sequestrati i cellulari di Guidi e Tommasi.
Il giorno dopo nel negozio si presenta una scena diversa: ci sono due signore che sorseggiano il te, che non sanno niente, che sono arrivate ieri.
Altra domanda per Arcuri: la struttura commissariale ha fatto controlli sulle società coinvolte?
La struttura controlla il venditore, che sia una persona perbene, che possa garantire la commessa. Arcuri tira in ballo anche il codice degli appalti e la commissione che ha valutato l'appalto.
Arcuri ha ricevuto le informazioni raccolte da Report: la storia del negozio che un giorno è del figlio di Yu Hui, che porta alla Luokai, e il giorno dopo no.
Report ha raccontato la storia di un imprenditore, Pier Luigi Stefani, che aveva proposto ad Arcuri l'acquisto di mascherine dalla Corea a 70 centesimi, da aprile a dicembre, per un totale di 100ml di pezzi.
Stefani, che non si era proposto come intermediario, ha passato la proposta ad Assolombarda, alla regione Toscana e al senatore di FI Mallegni che a sua volta trasmise il tutto ad Arcuri, Borrelli, Conte. Da Arcuri non ricevette alcuna risposta, dopo il 19 marzo.
Il non aver affidato questi acquisti alle gare ha avuto un costo:
“fare una gara sarebbe stato complicato in quel momento poiché c'era un'emergenza, ma lo Stato in quel caso deve comportarsi come imprenditore, un commissario straordinario dovrebbe fare quello che avrebbe fatto qualsiasi imprenditore, prende un aereo e va a trattare in Cina ..” - ha risposto Stefani che poi aggiunge
“alla fine vince sempre il criterio dell'amico dell'amico perché questo signore di cui si parla [Benotti] era amico di Arcuri .. Arcuri ha bisogno di un amico per avere contatti con aziende a cui si danno 1 miliardo e 100 milioni?”.
In Italia, nel periodo dell'emergenza, si è anche pensato a riconvertire aziende italiane alla produzione di dispositivi, per essere indipendenti rispetto a i fornitori stranieri.
Il commissario Arcuri coinvolge la sua Invitalia assegnando un finanziamento a fondo perduto di 50ml a 130 aziende di cui una ottantina si riconverte per produrre mascherine: è una delle misure contenute nel decreto Cura Italia.
Sarebbe dovuto essere un contributo a fondo perduto, ma non sempre è stato così: Maurizio Corazzi responsabile ricerca e sviluppo della Alter Eco di Tivoli a spiegato che si doveva completare il progetto entro 15 giorni, ma avendo loro comprato i macchinari nel periodo del lockdown, si è bloccato tutto.
Potrebbero produrre 50mila mascherine al giorno ma in questo momento sono bloccati, perché la protezione civile potrebbe arrivare in qualunque momento a prendersi i dispositivi per cui l'azienda si era impegnata. La Alter Eco ha preso 350mila euro ma non ha mai avuto un ordine dalla struttura commissariale: insieme ad altre venti aziende che si sono riconvertite per fare dispositivi, a maggio ha scritto ad Arcuri chiedendo un accordo per la fornitura. Il commissario risponde che per legge non può prendere impegni coi futuri fornitori.
Così ora Alter Eco dovrà restituire il prestito e vendere le mascherine all'estero: perché in Italia, si sono resi conto dalla Alter Eco, girano solo quelle cinesi.
Strano perché Arcuri ha scritto a Report spiegando come da luglio non compriamo più nulla dall'estero e nemmeno dalla Cina. Ma sullo stesso sito del commissario sono riportati acquisti dall'estero a settembre: l'ultima settimana di novembre arriva un sms alla giornalista in cui si parla di un volo Neos dalla Cina con 40 tonnellate di dispositivi, notizia poi confermata dal responsabile delle dogane dell'aeroporto di Fiumicino, che spiega come a Malpensa continuino ad arrivare dispositivi dalla Cina anche in questa seconda fase.
Le mascherine chirurgiche le produciamo in casa, invece: sono state prodotte anche dalla FCA che ha ricevuto 748ml dallo Stato, per mascherine pagate 12 centesimi e realizzate alla Mirafiori di Torino.
Ma, dicono gli operai stessi, si sfaldano e “fanno schifo”, queste mascherine realizzate con prodotti dalla Cina, che sono finite anche nelle scuole ai bambini: insegnanti e genitori hanno segnalato il problema su un centinaio di queste mascherine che puzzavano di copertone.
Erano mascherine con su scritto “presidenza del Consiglio dei ministri”, dunque la gente si fidava: anche FCA garantisce che queste mascherine sono sicure.
Nessuna di queste che ha preso soldi pubblici per produrre dispositivi ha risposto a Report dando i numeri delle mascherine prodotte. Domande che non piacciono, “che brutta modalità che avete” chiude l'intervista un responsabile di Marobe, che ha preso la produzione assieme alla Triboo, ma a luglio la produzione è cessata: le persone che ci lavorano dicono che le mascherine non erano a norma.
La cosa strana è che Triboo è una società che si occupa di digitale, ma dentro cui si trova l'ex il braccio destro di Arcuri e un membro dell'associazione Italia Cina.
I banchi nelle scuole.
Ci sono scuole dove, questo autunno, non erano ancora arrivati i banchi monoposto dell'appalto fatto da Arcuri: alcune di queste aziende hanno avuto dei ritardi nella produzione di questi banchi, perché si è partiti troppo tardi.
Abbiamo speso 325 ml e parte di questi fondi sono finiti per le sedute innovative, i banchi autoscontro, dove i ragazzi ci giocano, e questo è un problema in più per gli insegnanti.
Per di più i banchi, una volta arrivati al liceo di Roma ad ottobre, non erano certificati: toccava agli insegnati farlo, dice il bando.
Una delle società vincitrici dell'appalto era la Nexus, che è stata poi esclusa dalla struttura commissariale. La Nexus ha sede nello stesso ufficio del commercialista Proteo, che è stato indagato per illeciti tributari. L'esclusione deriva da queste storie?
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