24 gennaio 2021

Luce della notte di Ilaria Tuti

 


Canta e conta, si disse la bambina per allontanare il Buio. Ma la notte non se ne andò. Le rispose con un lamento a labbra strette che si arrampicava sull’erba accartocciata dalla brina e crepitava sulla pietra del selciato, lungo il portico della casa, fino a raggiungerla e ad aggrovigliarsi al centro della pancia.

La notte fumava di nubi, Chiara le guardava arrotolarsi sulla strada che risaliva la collina, dalle vigne coperte di cristalli fin su, al limitare del giardino.

Le sagome degli animali scolpiti nel legno sembravano allungare musi e ali per liberarsi dalla nebbia e trovare un respiro di libertà. Qualche fiocco di neve roteava nell’aria, passatempo di un vento che giocava a nascondino e agitava le piume rosee sulla schiena della bambina. Chiara sentiva l’umidità attraverso le calze, il calore della lana contro la bocca, l’odore muschiato del gelo, quello del suo respiro, i rintocchi di una campana lontana. E quel mugolio, che, ora capiva, veniva da dentro.

Terzo romanzo con protagonista il commissario di polizia Teresa Battaglia, Luce della notte è un romanzo che parte da un incubo, da un sogno di una bambina che cammina nella notte, coraggiosamente, sentendone i rumori, le sensazioni sulla pelle.

Fino ad arrivare ad un albero, con dei simboli, che ne hanno scorticato il fusto. Sotto, vicino alle radici, della terra smossa, a nascondere un cuore che batte. Il cuore di un bambino.

Ciò che la turbò, tuttavia, fu che la terra era smossa, fino a rivelare le radici dell’albero. Doveva ripararle dal freddo. Si chinò per raccogliere terriccio attorno alle arterie colme di linfa, ma ciò che fece, contro la propria volontà, fu affondare le unghie e scavare. E più scavava, più le dita si macchiavano di rosso. « Apro un cuore. » Non capì il senso di quelle parole, né perché le disse, ma sentì il battito chiamarla attraverso la terra. Era là sotto. C’era davvero. Un cuore bambino.

Può un'indagine partire dal sogno di una bambina?

Si, se il grido di aiuto della madre è tale da toccare il cuore di un'altra donna, che madre non lo è stata e che serba ancora dentro il dolore di questa cicatrice.

«Sono qui perché se c’è qualcosa che non può ingannare» mormorò, «è la paura.» E lei l’aveva percepita in quella madre. Ma era e restava solo una sensazione.

Il lavoro di un investigatore, e anche di una profiler, è fatto anche di sensazioni come queste e così Teresa Battaglia e il suo aiutante, l'ispettore Marini, si recano presso questa casa sulla collina vicino al confino sloveno, per incontrare la famiglia Leban e Chiara.

Non è un approccio facile e non solo perché Chiara ha nove anni, ma anche perché è una bambina particolare, condannata al buio per una malattia genetica che le impedisce di stare al sole, di condurre una vita come gli altri bambini.

Sola, al buio, isolata, coi suoi animali in legno che un anziano le ha regalato.

E coi suoi disegni:

Sul cartoncino viola la bambina aveva disegnato un albero con la matita azzurra, un albero dalla corteccia rugosa e i rami spogli e spinosi. Sul tronco, colorate di marrone, c’erano una mezzaluna e una piccola stella che piangevano lacrime rosse.

Sfidando la ritrosia di Marini e l'ostilità del padre di Chiara, Teresa decide di dare fiducia a quella bambina, alla paura della madre.

Ma di quell'albero, di quell'albero sfregiato con quei simboli, non c'è traccia nel bosco attorno a quella casa in collina. Qualcuno però, in paese, li mette su una nuova strada: è il vecchio che ha costruito gli animali per Chiara e che racconta loro una strana storia avvenuta nei boschi venti anni prima. Strane luci tra gli alberi che avevano spaventato le persone del posto, che si erano perfino organizzate in ronde per scacciare questi “estranei” di passaggio.

Sotto un'acacia nel bosco Teresa e Marini lo trovano il sogno: quegli sfregi sul fusto, una mezzaluna e una stella, e poi, sotto terra, un peluche come quello descritto da Chiara.

Stiamo girando in tondo, commissario: o ammettiamo che siamo qui per rincorrere un sogno e chiudiamo la questione, o decidiamo di crederci e andiamo avanti

Da qui parte, prima in modo informale e poi seguendo tutte le regole, un'indagine su un bambino scomparso, di cui non si sa il nome, di cui non si conosce il volto.

E l'incubo di Chiara rivela poi, a Teresa, un incubo ben peggiore: la terribile storia dei profughi della guerra in Bosnia degli anni novanta che cercavano di raggiungere l'Italia e il nord Europa seguendo una rotta che passava per quei boschi.

E' la storia del massacro di Srebrenica, della pulizia etnica nei confronti dei musulmani bosniaci, dei trafficanti di esseri umani che per soldi gli facevano attraversare il confine...

Una storia di soprusi e di persone scomparse, di bambini scomparsi. Lasciando dietro di loro solo il dolore delle famiglie. Teresa e la sua squadra devono trovare quel bambino.

Ma a fianco a questo incubo che nasconde un dramma, nel libro si racconta la storia personale di Teresa: la preoccupazione per il decorso della sua malattia che fa fatica a nascondere alle persone che ha a fianco, come Marini (anche lui alle prese coi suoi demoni).

La vita, il lavoro, l'inferno che ha conosciuto nel corso delle sue inchieste (come quella nei boschi di Travenì e sui bambini salvati – Fiori sopra l'inferno) l'avevano cambiata. E ora la malattia la stava rimodellando verso un nuovo presente:

Era inciampata nella vita, rotolando giù e portandosi addosso ogni granello di fango. Un fango che era diventato creta e si era modellato attorno a lei, restituendola al mondo per come adesso era.

E poi c'è quello strano rapporto che si è creato con Andreas, l'assassino che uccideva le persone togliendole il volto e che ora è rinchiuso al Rems, la struttura di accoglienza per criminali con disturbi mentali. Andreas il mostro che ha protetto i bambini, che ha voluto loro bene e che ora è rinchiuso in una stanza dove può solo guardare il mondo là fuori.

Con lui si instaura un rapporto come madre e figlio, costruito leggendo le pagine di un libro che parla proprio di un padre e di un figlio in cammino:

«’Quando si svegliava in mezzo ai boschi nel buio e nel freddo della notte allungava la mano per toccare il bambino che gli dormiva accanto’.»

E' La strada, di Cormac McCarthy

Si parla di madri e si parla di bambini, in questo romanzo che, temporalmente, si colloca subito dopo “Fiori sopra l'inferno”.

Di madri che hanno visto tanta violenza da perdere qualsiasi fiducia in questo mondo. Di madri spaventate, come quella di Chiara. Di madri che avrebbero voluto esserlo ..

E di bambini. Vittime innocenti dell'avidità di mostri, oggetti nelle mani di trafficanti di esseri umani, senza nemmeno un nome, senza un volto.

Quanti sono i bambini che scompaiono ogni anno, lungo quella maledetta rotta di Balcani? Che fine fanno?

Per i più fortunati un destino di schiavi, vittime dello sfruttamento del lavoro minorile. E poi ci sono i più sfortunati.

Anche Sarah era una bambina, forse coraggiosa come Chiara, la bambina del romanzo coi suoi occhi capaci di “conoscere molte cose della vita e allo stesso tempo essere capaci di osservarle con distacco”.

Era la nipote di Ilaria Tuti, morta per una brutta malattia e a cui è dedicata questa storia, scritta di getto, per non restare immobile nel dolore.

La scheda del libro sul sito dell'editore Longanesi e il pdf col primo capitolo

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