Nelle commemorazioni sulla morte del presidente DC Piersanti Mattarella, solitamente si parla della sua opera di moralizzazione nella sua regione, della sua volontà di fare pulizia nel suo partito.
Talvolta si ricorda l'indagine fatta dal giudice Giovanni Falcone sulla pista Fioravanti, arrestato e poi assolto nel processo.
Ci si ferma qui, perché in Italia l'antimafia funziona solo come certe celebrazioni: passata la festa, gabbatu lu santo.
Non si si chiede contro chi Mattarella dovesse portare avanti la sua opera di pulizia: era la DC, quella della corrente andreottiana che aveva in Sicilia due esponenti molto chiacchierati come Ciancimino e Lima.
Il giudice Falcone e gli uomini del pool avevano cercato di mettere nel maxi processo gli omicidi politici, che insanguinarono la Sicilia tra la fine e l'inizio degli anni 80, senza riuscirci.
Perché anche questo non si racconta, nelle commemorazioni che durano il tempo di una giornata, che in Sicilia in pochi anni furono ammazzati un presidente di regione, il prefetto di Palermo, il sindaco, il procuratore capo, il capo dell'ufficio istruzione, il capo della Mobile, un capitano dei carabinieri, il segretario del partito comunista, giornalisti ...
Solo mafia? Solo questioni di coppole storte?
Oppure c'è qualcos'altro dietro la mafia: Falcone aveva iniziato un'indagine su Gladio, sul potere della massoneria in Sicilia, sui rapporti tra massoneria, mafia, servizi.
La passata puntata di Report, forse troppo densa di contenuti e dunque non di facile comprensione per tutti, ha messo tutti in fila questi filoni di indagine, partendo dalla strage di Bologna, alle stragi di via D'Amelio e Capaci, fino alla trattativa stato mafia.
Dietro le bombe, si intravedono gli stessi personaggi, come Licio Gelli e la sua P2.
Il partito Berlusconi sarebbe stato ideato nel 1992, i giornalisti intervistano pentiti e persone che sono state vicine ai Graviano che parlano di miliardi dalla mafia all'allora imprenditore che ancora doveva scendere in campo.
Reazioni da parte della politica?
Ecco, l'inchiesta lascia aperta l'ipotesi che la latitanza di Messina Denaro (come anche quella di Provenzano prima) sia dovuta alle sue protezioni, ai ricatti per i segreti di cui è a conoscenza, forse anche perché avrebbe visto la famosa agenda rossa di Borsellino.
Fino a che non avremo fatto pulizia della mafia nelle regioni del sud, del centro e del nord (fino alla piccola Val D'Aosta), non basteranno certo le poche (e ipocrite) parole in memoria di un politico che voleva ripulire la politica per renderla ancora una cosa nobile.
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