05 gennaio 2021

Report – la trattativa stato mafia

L'inchiesta di Report più complessa, forse: dalla strage di Bologna, alle stragi della mafia (e non solo) del biennio 1992-93.

Un filo rosso (o nero) che parte dalla strage alla stazione e che passa per il finanziamento con cui Licio Gelli aiutò ex esponenti della banda della Magliana e terroristi neri scappati in Inghilterra dopo la strage: sono i 5 ml di dollari usciti dal banco Ambrosiano per pagare i terroristi di destra e i vertici dei servizi segreti, secondo la procura di Bologna.

I soldi ai terroristi neri sono arrivati tramite una società, Odal, che dietro aveva Delle Chiaie, Pietro Citti, i fratelli Palladino, Tilgher, il gotha di Avanguardia Nazionale, formazione di destra: si ritiene che Delle Chiaie fosse un infiltrato per conto di Federico Umberto D'Amato, anche lui pagato da Gelli per il suo silenzio e la sua complicità.

Un'altra società dietro questi finanziamenti è la Sofint, con questa si effettuarono operazioni per coprire attività di riciclaggio.

Ora, dopo 40 anni la cartellina con sopra scritto Bologna, cartellina sequestrata a Gelli e dimenticata in qualche cassetto per anni, racconta un nuovo pezzo di verità: dentro l'inchiesta di Bologna è ora entrato Paolo Bellini, che anni dopo il generale Mori avrebbe infiltrato dentro la mafia, in Sicilia.

In Sicilia sono passati anche Mambro e Fioravanti, quando furono ospitati da Ciccio Mangiameli, da loro ucciso perché voleva dissociarsi, tutti responsabili della strage.

La procura generale di Bologna ha ora aggiunto tra gli indagati Paolo Bellini, riconosciuto dalla moglie in un filmato d'epoca il giorno 2 agosto dentro la stazione.

Mondani ha intervistato Libero Mancuso, uno dei primi magistrati ad occuparsi della strage: “quando arrivai a Bologna era da poco andato via, come procuratore della Repubblica, Ugo Sisti, che era andato a gestire il DAP. Sisti fu trovato nell'albergo del padre di Bellini la sera del 2 agosto 1980..”

Bellini da latitante fu premiato dal procuratore Sisti dopo una gara: secondo Mancuso, Sisti lo avrebbe protetto nella sua latitanza, fino all'arresto del 1981.

In carcere Bellini incontrò Nino Gioè: con lui riallaccia il rapporto dieci anni dopo, negli anni in cui cosa nostra, nelle riunioni nella campagna di Enna, decideva la strategia stragista.

Bellini fu infiltrato nella mafia dal Ros di Mori: Bellini riferisce ai carabinieri delle stragi, degli incontri coi mafiosi, ma i carabinieri rimangono fermi.

Nelle riunioni tra Gioè e Bellini per la prima volta si parla dei beni culturali del paese: come mai – si chiede il procuratore Tartaglia – Bellini non fu monitorato dall'intelligence o da altri esponenti dello stato. Il suo monitoraggio poteva portare a Riina, Provenzano o Messina Denaro.

Quella di Bellini è una delle figure più strane del periodo stragista della mafia: fu solo un consigliere dei bosso o servì a inoculare l'idea di colpire le opere d'arte?

Altro mistero è poi la morte in carcere di Gioè: secondo il cugino Francesco di Carlo, altro pentito di mafia, sarebbe stato suicidato dai servizi in carcere.

Mafia, massoneria, eversione nera. Vecchi alleati dagli anni di piombo che tornano assieme nei momenti in cui lo stato sembra volerli combattere.

11 novembre 2019 all'Ucciardone si procede al processo sulla Trattativa: Berlusconi e Dell'Utri sono stati archiviati come mandanti esterni per le stragi, ma sono indagati nel processo per la trattativa: fino al dicembre del 1994 Berlusconi fece arrivare centinaia di milioni dentro le casse di cosa nostra, abbiamo avuto un presidente del Consiglio che pagò cosa nostra coi 250 ml di lire pagati dalle aziende dell'ex cavaliere.

Pietro Riggio boss della famiglia di Caltanissetta, nel 1994 raccoglie le confidenze del boss Ferrara: racconta di Dell'Utri, fu lui ad indicare i luoghi delle stragi di Firenze, di Milano e poi delle bombe scoppiate a Roma. “Ma che ne sa Totò Riina di via Palestro?”

La procura di Firenze ha archiviato Berlusconi e Dell'Utri dopo le indagini del 1997, ma ha usato parole dure per descrivere i rapporti tra i due coi soggetti mafiosi, autori delle stragi.

Nel 1998 sono stati indagati anche da Caltannissetta, dopo le rivelazioni del boss Cangemi: hanno raccontato degli interessi di cosa nostra per far fuori i due giudici Falcone e Borsellino, che stavano indagando sui rapporti tra mafia e imprenditori.

Nel frattempo è arrivata la condanna per Dell'Utri, “cerniera tra i clan e Berlusconi”, quando la mafia protesse l'ex presidente del consiglio, vittima consapevole della mafia.

Paolo Mondani ha incontrato Salvatore Baiardo, l'uomo che ha protetto la latitanza di Giuseppe Graviano: da qui inizia il racconto delle stragi.

Le menti raffinatissime

Giuseppe Graviano, in carcere manda messaggi a Berlusconi: davanti ai giudici parla degli investimenti fatti dal nonno al nord, con soldi inviati all'ex cavaliere e degli incontri fatti, fino all'arresto anormale il 27 gennaio 1994. Pochi giorni dopo il fallito attentato a Roma all'Olimpico e il giorno prima del discorso della discesa in campo.

Questo è il paese che amo ...”

Graviano fu consegnato ai carabinieri? L'ultimo attentato fu fatto fallire apposta per non cambiare il corso delle elezioni di marzo?

Graviano, sempre in carcere mentre si confida con Michele Adinolfi, parla di Berlusconi come uno che ha preso le distanze nel 1994, uno che ha tradito.

A Gaspare Spatuzza, Giuseppe Graviano era stato più esplicito: a Roma, al bar Doney, Graviano aveva rivelato a Spatuzza “che [con quelle stragi] avevamo chiuso tutto e ottenuto tutto quello che volevamo .. la personalità, quello che aveva gestito un po' tutto era Berlusconi, quello di canale 5”.

Nel 1996 Francesco Messina era un agente della Dia a Milano: in un verbale, Messina ha riportato di un incontro tra il capomafia Salvatore Baiardo con Filippo Graviano e Dell'Utri.

Paolo Mondani è andato ad incontrarlo, perché oggi Baiardo è un uomo libero: l'incontro tra i Graviano e Dell'Utri c'è stato, a Milano nel 1991. Non solo, Berlusconi sarebbe venuto fino ad Aorta per incontrare i Graviano.

I Graviano sono considerati gli autori delle stragi di Capaci e via D'Amelio, oltre che delle bombe a Firenze, Milano e Roma (su indicazione di Dell'Utri, secondo un altro pentito): chi avrebbe potuto indicare quelle chiese coi nomi che riportavano ai presidenti di Camera e Senato (Spadolini e Napolitano)?

Erano bombe per far pressione sulla politica per far approvare le leggi giuste: bombe che si sono interrotte dopo l'arresto anormale, dopo un incontro fatto tra Graviano e Berlusconi per stipulare gli accordi per i loro affari.

Ma questa è la versione che racconta Graviano: come mai parla solo ora? E come mai solo ora parla il suo collaboratore Baiardo, l'uomo della sua latitanza?

“Sta gettando lo zuccherino” dice Baiardo. Berlusconi ha preso soldi dai Graviano, dal nonno e dal padre di Giuseppe, ben oltre i venti miliardi, soldi con cui erano state fatte imprese che hanno lavorato in Sardegna nel settore edile.

Baiardo aggiunge anche che la nascita del partito di Berlusconi risale al 1992, dopo degli incontri in Sardegna fatti proprio tra Berlusconi e i Graviano: valigie di soldi in arrivo dalla Sicilia e che Francesco Messina, oggi direttore della centrale anticrimine, ha messo su alcune informative che poi sono scomparse dalla circolazione.

Sono informative depositate dalla Dia e che non hanno mai portato ad una indagine.

Strano. Come anche strano che i Graviano, al 41 bis, abbiamo messo incontra le rispettive mogli.

Maggio 1992, prima della strage di Capaci: Giovanni Paparcuri racconta che, mentre preparava l'intervista coi giornalisti francesi, Borsellino entra nell'ufficio di Falcone e chiede se avesse qualcosa su Berlusconi.

Falcone aveva appuntato su alcuni fogli queste informazioni: “Cinà in buoni rapporti con Berlusconi ..Berlusconi da 20 milioni ai Grado e a Vittorio Mangano ..”.

Nell'intervista, che per anni è stata censurata, Borsellino parla della mafia che coi soldi presi, entrò nell'imprenditoria, che inizia ad interessarsi ad imprenditori come Berlusconi.

L'intervista è stata fatta 48 ore prima della strage di Capaci: i due giornalisti si erano interessati a Berlusconi perché si stava allargando in Francia, operazione poi fallita.

Il video fu trasmesso da Rai news 24, da Ranucci, quando fu ritrovato grazie alla collaborazione dei familiari di Borsellino: il giudice aveva capito che cosa nostra aveva esigenza di investire il denaro guadagnato col traffico di stupefacenti contattando imprenditori del nord, usando persone come Mangano come “teste di ponte”.

Quell'intervista scomoda, preoccupò sia Berlusconi che Dell'Utri, si era nei mesi precedenti alle elezioni del 2001: subito dopo partì una campagna contro Rai news, contro Ranucci, da parte dei giornali di quell'area politica, guai a mettere assieme Berlusconi, Grado e Cinà.

E ora veniamo a sapere, notizia tutta da verificare, che il progetto di Forza Italia nasce dal 1992.

Il racconto di Paolo Mondani tocca un altro mistero della storia della mafia: il furto della natività del Caravaggio, compiuto nell'oratorio di San Lorenzo: un furto per avvicinare la politica, la tesi del giornalista.

Dopo 20 anni, Riina decide di scaricare i vecchi referenti politici, per fondare nuovi partiti politici, le leghe meridionali e indipendentiste, per farsi partito.

Il primo di questi gruppi politici è la “Lega Meridionale”: l'intento, secondo il pentito Farinacci, era sciogliere la legge Rognoni La Torre.

Dietro non solo estremisti di destra, Gelli, ma anche l'ideologo Gianfranco Miglio: lo racconta il suo braccio destro Ferramonti.

Ferramonti si considera un gelliano, ha passato gli ultimi anni a Villa Wanda: ma la lega meridionale ha anche un altro padre, l'italo americano Enzo De Chiara.

Era un lobbista, vicino alla massoneria americana, vicino ai repubblicani ma anche ai Clinton: era vicino a Licio Gelli, è lui a dare il beneplacito al governo Berlusconi e ai suoi ministri come Maroni.

Gelli era il perno delle leghe meridionali: un mondo in cui dentro si trovavano estremisti di destra e mafiosi come Ciancimino e politici come Miglio, per cui la mafia poteva governare anche al sud.

D'altronde, spiega l'ex politico della Lega Gianmario Ferramonti, “essere lontani da cosa nostra se si agisce in Sicilia è molto difficile ..”

Anche Graviano parla di queste leghe: cosa nostra aveva fondato Sicilia Libera, poi fusa con Forza Italia, obiettivo era trasformare l'isola in una struttura autonoma, farla diventare un paradiso non solo fiscale.

Un paradiso senza la confisca dei beni, senza il carcere duro, senza le leggi volute da Falcone e Borsellino.

Ma poi arriva Forza Italia, con Berlusconi e con Dell'Utri, “il cucchiaio per tutte le pentole”.

E il governo con dentro Lega, ex fascisti e Forza Italia, coi ministri che avevano la benedizione di Enzo De Chiara, uomo che sarebbe dentro una super cupola con dentro politici, imprenditori ed ex piduisti, nomi che non erano emerse dall'indagine sulla P2.

23 maggio 1992, la strage di Capaci.

Poco dopo la strage, qualcuno entro sui computer di Falcone presso il ministero, cancellando dei file: lo racconta Gioacchino Genchi, che parla anche dell'intrusione sui due data bank di Falcone. Sul Casio mancava perfino la scheda di memoria, che Genchi stesso gli aveva regalato.

Genchi racconta anche che sui cellulari di La Barbera e Gioè si trovarono due numeri di telefono: la Sip, interpellata, rispose che i numeri di cui si avevano i tabulati, non erano attivi.

In realtà erano numeri attivati presso una sede dei servizi interni.

Nei 57 giorni prima della sua morte, il collega e amico Paolo Borsellino fa una sua indagine, senza mai essere sentito a verbale dalla procura di Caltanissetta diretta da Giovanni Tinebra.

Cosa aveva scoperto Borsellino? Giovanni Scarpinato procuratore generale a Palermo, racconta al giornalista di come Borsellino indagò sulle “causali tipiche di cosa nostra”, poi in una seconda fase si rende conto che c'è qualcosa che va al di là ..

Sono i rapporti tra mafia e servizi di cui gli parla il pentito Gaspare Mutolo.

Riina, in una intercettazioni in carcere, racconta di come l'attentato a Borsellino fosse deciso da “quello” in giornata: Borsellino doveva essere eliminato in fretta, era come se si fosse impegnato con qualcuno, rivela il pentito Cangemi.

La strage di via D'Amelio fa accelerare l'approvazione della legge sul 41 bis, alla mafia quella strage non serviva. Ma in quei mesi, a cavallo delle stragi, era iniziata la trattativa.

Secondo Nino di Matteo, Borsellino avesse iniziato a capire quello che stava accadendo, la prima trattativa portata avanti da Ciancimino coi carabinieri: “da questo punto di vista si possono spiegare le sue clamorose esternazioni fatte quattro giorni prima della strage di via D'Amelio alla moglie, la signora Agnese, nel momento in cui Borsellino parlò in termini estremamente negativi e con un atteggiamento che la signora Agnese definisce sconvolto, del suo ex amico, il generale Subranni, ufficiale del Ros”.

Borsellino scopre che i carabinieri stavano trattando con la mafia: per questo è stato ucciso?

E chi è la persona che prepara l'autobomba per via D'Amelio di cui parla Spatuzza? Non era un mafioso, da dove veniva?

Dopo la strage, il procuratore Tinebra incarica il Sisde e Contrada di indagare sulla strage: dal centro Sisde parte l'informativa che poi porta al più grande depistaggio della storia, quello del finto pentito Scarantino.

Il finto pentito creato dall'ex capo della Mobile, La Barbera: aveva fretta di chiudere l'inchiesta, di fare subito un arresto, sebbene si sapesse che non si sarebbero trovati i veri colpevoli.

Scarantino serve per non trovare i veri colpevoli della stage.

Ma non bastava la morte di Borsellino: serviva anche far sparire l'agenda rossa, dove il giudice annotava i suoi appunti.

Uomini dei servizi erano già attorno alla macchine ancora in fiamme, si disinteressano dei morti e dei feriti e cercano la borsa del giudice.

Dove è finita l'agenda rossa? Secondo il pentito Baiardo sta in più mani: non solo nelle mani di Graviano e Messina Denaro, non solo ai servizi.

E' un'arma di ricatto che la mafia sta usando per bloccare, per condizionale la politica dello stato, per condizionare l'azione di alcuni politici?

Solo dopo la morte di Arnaldo La Barbera si è saputo che faceva parte dei servizi: quei servizi che si sono presentati nel carcere di Londra, dal boss Francesco di Carlo, per spaventare Falcone.

Sono gli anni delle lettere del corvo, dopo la sentenza del maxi processo, sono gli anni dell'Addaura.

Francesco di Carlo, morto per Covid, aveva raccontato della trattativa per uccidere Falcone a fine 1988: Falcone voleva fare la Dia, una sorta di FBI in Italia, voleva seguire il denaro dei boss.

In carcere un uomo dei servizi chiede un aiuto per fare un attentato, non per uccidere il giudice ma per farlo trasferire: uno dei tre uomini era Arnaldo La Barbera, “rutilius”.

Di Carlo mette a disposizione il cugino Nino Gioè, in contatto con Paolo Bellini poi infiltrato dal Ros per controllare i mafiosi.

I servizi poi fecero suicidare Nino Gioè in carcere – prosegue Di Carlo: avevano paura che parlasse.

Contrada è stato condannato per associazione mafiosa: nel 2015 la corte dei diritti dell'uomo ha revocato la pena e ha stabilito che lo stato deve risarcirlo per l'ingiusta detenzione.

Sui rapporti tra l'ex poliziotto ed ex spione e i mafiosi ha parlato anche Tommaso Buscetta: tutte balle, si difende oggi Contrada.

Altro uomo di stato è “faccia da mostro” Giovanni Aiello, un poliziotto che sarebbe stato killer per la mafia e per la ndrangheta: i servizi sarebbe dietro a molte azioni criminali, sostiene il pentito Consolato Villani.

Perché non è stato arrestato – si difende Contrata?

Lo potrebbe raccontare Luigi Ilardo, ex mafioso di Caltanissetta, che dopo il 1993 decide di passare dalla parte dello Stato.

Al colonnello Riccio racconta di alcuni omicidi fatti da uomini dello stato, come quello del poliziotto D'Agostino.

Riccio racconta di come si sarebbe potuto arrestare Provenzano già negli anni novanta: il Ros di Mori avrebbe salvato Provenzano perché doveva salvare il patto elettorale con Forza Italia.

Ilardo fu ucciso a Catania poco dopo l'inizio della sua collaborazione ufficiale (con la procura di Palermo e col giudice Tinebra), qualcuno aveva fatto venir fuori la sua collaborazione.

Ilardo a Riccio parla di Dell'Utri, dell'appoggio a Forza Italia, di omicidi e stragi che dietro avrebbero massoneria e servizi: si tratta dell'omicidio di Pio La Torre, segretario PCI, dell'omicidio del sindaco Insalaco, l'omicidio di Piersanti Mattarella, presidente della regione.

Pietro Riggio è il pentito che oggi sta raccontando nuovi pezzi della storia degli attentati di Capaci e via D'Amelio: l'attentato a Falcone sarebbe stato organizzato da un agente di nome Peluso. Riggio parla anche dello zio Toni, un agente Cia in Italia.

Parla di come fossero eliminate tutte le persone che potevano portare a Provenzano, che doveva essere protetto a qualunque costo.

Di Ilardo e della sua storia aveva parlato in un libro i giornalisti Sigfrido Ranucci e Nicola Biondo: dopo diversi anni, a Report si presenta Francesco Pennino, mafioso e amico di Madonia.

I Madonia volevano ammazzare Ranucci ma sono stati stoppati da Matteo Messina Denaro.

Pennino racconta anche come siano stati Piddu Madonia e Santapaola a decidere della morte di Ilardo che, se avesse testimoniato, avrebbe raccontato dei rapporti tra mafia e servizi, tra mafia e uomini dello stato.

Mafia, destra nera e poi la Falange Armata.

E' la sigla che rivendica l'omicidio dell'operatore carcerario Francesco Mormile.

E poi rivendica l'assassinio a Catania di due imprenditori.

Poi nel 1991 qualcuno suggerisce a Riina di usare questa sigla per rivendicare le sue stragi.

Per capire cosa sia stata la falange armata si deve partire dall'omicidio di Piersanti Mattarella il presidente regionale che nel 1980 in Sicilia stava cercando di fare pulizia in regione e nella DC.

Falcone, racconta Scarpinato, era convinto che ad ucciderlo fossero Cavallini e Fioravanti, assolti poi nel processo: ma Falcone indagò anche sulla Gladio, la struttura creata oltre atlantico in funzione anti comunista.

Ufficialmente disciolta nel 1990, questa struttura aveva oltre ai seicento nomi ufficiali rivelati da Andreotti, anche altri 300 rimasti nascosti.

LA sigla Falange Armata è stata usata in centinaia di telefonate ai giornali, in 4 anni: un'operazione di intelligence fatta da chi sapeva portare avanti operazioni di guerra non ortodossa in Italia.

Francesco Paolo Fulci nel 1993 era capo del Cesis, l'organismo di coordinamento tra i servizi civili e militari: sono i mesi degli attentati in Italia rivendicati dalla sigla Falange Armati.

Svolge un'indagine sui servizi e rende nota una lista sedici militari appartenenti alla settima divisione del Sismi, addestrati ad operazioni di guerra non ortodossa: sono loro la Falange Armata, secondo Fulci.


Erano arrampicatori, sommozzatori, paracadutisti, sapevano usare esplosivi, tutte le armi.

Facevano da guardia del corpo a presidenti della repubblica e del consiglio.


Il generali Inzerilli nega tutte le accuse di Fulci: eppure negli anni novanta, con la caduta del muro, quando la politica decise di sciogliere questo corpo del Sismi, questi uomini erano molto arrabbiati.


Erano orfani della guerra fredda, gli uomini della settima divisione, che avrebbe avuto interesse a portare avanti scenari da strategia della tensione, per condizionare la storia politica italiana alla fine della prima Repubblica.


Della Falange Armata, di Gladio, non se ne parla più.

Le inchieste sono state archiviate.

La commissione di inchiesta si è fermata ai nominativi ufficiali, non ha approfondito i legami tra Gladio e gli anni della strategia della tensione, dei possibili legami con le bombe del 1992-93.


Bombe che volevano far chiudere le supercarceri, restringere le norme sui pentiti, togliere il 41 bis. Togliere la legge Rognoni La Torre.

Cose ottenute almeno in parte dalla mafia e da Riina, con la trattativa.

Trattativa di cui erano a conoscenza anche molti politici e anche altri uomini dello stato oltre al Ros: da Violante, a Contri, a Liliana Ferraro all'ex ministro Martelli.

Secondo Martelli ci fu un mandate politico, ovvero l'ex presidente Scalfaro: sono i mesi in cui al DAP viene tolto il giudice Amato, quando viene tolto il 41 bis a centinaia di mafiosi.

Scalfaro era a conoscenza delle vicende che avevano portato all'avvicendamento di Amato: il presidente Scalfaro è morto, non può rispondere delle sue bugie.


Un politico coinvolto nel processo, Mannino, nega qualunque trattativa politica: esiste solo la trattativa fatta dai carabinieri del Ros. Il resto non esiste. Ma non è possibile, non è proprio pensabile che il Ros si fosse mosso da solo.


I mafiosi volevano ottenere la dissociazione, l'alleggerimento del carcere duro: tra il 2004 e il 2005 la procura di Roma apre un'inchiesta sul “protocollo farfalla”, un accordo tra i servizi del Sisde (che era diretto da Mori) per farli entrare nelle carceri, per ottenere informazioni dai mafiosi carcerati e usarle a loro piacere.


Perché dopo 30 anni è ancora importante occuparsi dei mafiosi, delle stragi?

Perché ancora oggi un boss come Messina Denaro è ancora libero. Libero con gli archivi di Riina portati via dal covo di Riina, da via Bernini.

E' a conoscenza dei misteri dietro le stragi, l'agenda rossa, con cui può ricattare lo stato.


Lo Stato è pronto a raccogliere una verità contro lo stato che invece vuole convivere con la mafia?

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