28 febbraio 2022

Anteprima Presadiretta – diamo voce alla pace

Nel suo discorso alla Camera per la crisi nata dalla guerra in Ucraina, il presidente del Consiglio Draghi, riferendosi al rischio del blocco energetico ha tirato fuori nuovamente le centrali a carbone, da riattivare pur di non rimanere al freddo.

Questa uscita è significativa di della considerazione che la nostra classe dirigente ha delle energie rinnovabili: va bene il clima, va bene tutto, ma ora che c’è la crisi non rompeteci le scatole, serve ancora il carbone e il gas.
Eppure, se dieci anni fa avessimo spinto veramente verso una diversa politica energetica oggi saremo meno dipendenti dal gas russo e non dovremo fare questo passo indietro che pregiudica la nostra transizione ecologica. Perché, una cosa è certa, i cambiamenti climatici per le emissioni in atmosfera, non si fermeranno con la guerra.

L’annunciata puntata di Presadiretta sui cambiamenti climatici è stata spostata più avanti: questa sera purtroppo l’attualità prende il sopravvento, si parlerà della guerra tra Russia e Ucraina, annunciata da settimane scoppiata la settimana scorsa, quando Putin nel suo discorso (preparato da giorni) annuncia al paese di aver iniziato una campagna militare non per invadere un paese ma per liberare una popolo oppresso, per fermare un genocidio, per combattere la nazificazione dell’Ucraina.

Patria, confini, popolo, guerra, carri armati. Parole che avevamo relegato al secolo passato e che tornano nel linguaggio comune. Come l’uso della guerra per regolare questione di predominio territoriale, sia per il novello zar delle Russie che per la Nato.

Siccome, dice Putin, l’Ucraina in orbita occidentale è una minaccia per la Russia, Putin ha deciso di far entrare i suoi carri armati in questi territori (non solo le regioni russofile), fino a Kiev, per rovesciare un governo eletto.

Ma Putin non parla per il mondo intero, che oggi rischia di rivedere un nuovo conflitto a livello europeo, nemmeno parla per il suo di popolo, viste le manifestazioni coraggiose contro la guerra a San Pietroburgo e in altre città.

Lo speciale di Presadiretta cercherà di capire se esistono altre soluzione diverse dalla guerra, di dar voce alla pace. L’unica condizione accettabile per quei popoli di cui si riempiono la bocca i potenti della terra.

In questo momento, leggendo i commenti degli esperti sui giornali, sembra che per la mediazione non si sia più spazio: si parla di sanzioni, di bloccare il circuito SWIFT dove passano i pagamenti delle transazioni economiche tra stati e poi ancora di fornire armi e soldati all’Ucraina.

Non ci sono zone di mezzo: non sei a favore dell’intervento armato? Allora sei con Putin, oppure se un utile idiota della propaganda putiniana. In guerra la prima vittima è la verità, ha detto qualcuno, uccisa dalla propaganda: oggi ad uccidere la verità sono in tanti, compresi i politici che fino a ieri si spendevano in elogi nei confronti del presidente russo, quello che oggi viene definito un pazzo. Ma quel pazzo fino a pochi anni fa ospitava esponenti della Lega, era amico di un ex presidente del consiglio il quale mimava il gesto del mitra nei confronti di una giornalista che aveva osato porre a Putin una domanda sgradita.

I suoi oligarchi erano accolti, assieme ai loro soldi, in Italia perché pecunia non olet.

Di pari passo con la character assassination di chi porta avanti un pensiero diverso dalla chiamata alle armi (da Barbara Spinelli per un suo articolo sul Fatto Quotidiano, l’ANPI il cui comunicato è stato volutamentestravolto), c’è la denigrazione, l’offesa dei pacifisti. “Dove sono i pacifisti” si chiedevano i giornalisti de Il Foglio la settimana scorsa.

Eccoli qua, i pacifisti italiani ed europei, in piazza a chiedere la pace a rovinare lo storytelling di questi avvelenatori dei pozzi dell’informazione: tutti abbiamo paura di Putin (e non da oggi), tutti abbiamo paura delle sue armi nucleari. Perché la guerra, come la pace, riguarda tutti. Perché l’Italia ripudia la guerra come strumento per la risoluzione dei conflitti, il peso dell’industria delle armi nel condizionare le scelte della classe politica (e le porte girevoli tra politica e armi).

Perché dobbiamo condannare le aggressioni, le violazioni dei diritti civili, le violenze non solo quando ci fanno comodo, ma sempre. In Ucraina, in Yemen, in Siria, in Afghanistan, in Iraq, nei territori palestinesi.

La scheda del servizio (dalla pagina FB della trasmissione):

Uno speciale di PresaDiretta per provare a capire le ragioni di questa guerra e i nuovi equilibri tra le grandi potenze, il ruolo e il peso degli armamenti. Ma soprattutto per mettere al centro le ragioni della pace espresse nel mondo da milioni di persone e per tornare ad ascoltare la voce dei pacifisti.
Putin ha detto che l’Ucraina non è uno stato sovrano, che è sempre appartenuta alla Russia, che l’essere entrata nell’orbita dell’Occidente è una minaccia, quindi ha scatenato un’invasione militare portando i carri armati fino a Kiev. Ma la guerra era l’unica opzione possibile?
Intanto nel mondo il commercio delle armi non si è mai fermato e ci sono ancora 13mila testate nucleari in mano a troppi Paesi, non sempre affidabili. Una corsa agli armamenti insensata che porterà altre guerre.
Riccardo Iacona ne parlerà con gli inviati sul fronte della guerra e con i suoi ospiti in studio. Carlotta Sami portavoce Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati – UNHCR. Francesco Vignarca coordinatore nazionale della Rete italiana per il Disarmo. Orietta Moscatelli giornalista esperta di Russia e di Europa dell’est. Il generale Vincenzo Camporini ex capo stato maggiore della Difesa.
Una serata ricchissima di PresaDiretta, piena di voci, testimonianze e racconto.
Le parole di Putin e il loro vero significato; le immagini della guerra e i protagonisti in diretta dall’Ucraina; la fuga della popolazione e la nuova emergenza profughi; un bilancio sulla spesa per le armi che non conosce crisi in Italia e non solo; la storia dei cyber attacchi che hanno accompagnato l’escalation dell’aggressione russa in Ucraina; la guerra dimenticata che si è combattuta negli ultimi anni nel Donbass e ha fatto migliaia di morti; il nuovo asse tra Russia e Cina. Le parole e il coraggio dei pacifisti in Italia, nel mondo e nella Russia di Putin.
A PresaDiretta la voce della pace. 

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

24 febbraio 2022

Ma cos’è questo nulla? Di Hans Tuzzi


 

Roma, Ippodromo delle Capannelle domenica 15 maggio 1994

Il Soratte senza neve, a settentrione. Nel giorno che per i cristiani celebra l’ultimo episodio della vita terrena dell’Unigenito, nell’ippodromo della Città Eterna, sul prato morbido e caldo, il maggio romano faceva le fusa strusciandosi alle gambe di seta delle belle eleganti.

Tutte le belle cose hanno un inizio e una fine, compresi i personaggi seriali come il commissario, poi vicequestore Melis inventato dallo scrittore milanese Hans Tuzzi. Coi suoi romanzi, che definire solo gialli è riduttivo, ha coperto più di un decennio della storia italiana, dalla fine degli anni settanta, fino al 1994, quando è ambientato quest’ultimo. Dal crepuscolo delle larghe intese, sogno politico del presidente Moro distrutto in via Fani, al crepuscolo della prima Repubblica, distrutta da sé stessa, dalle inchieste dei giudici di Milano che finalmente potevano aprire delle indagini sulla corruzione dei partiti. Distrutta dalle bombe della mafia, con le complicità di parti dello Stato, del biennio 1992-1993.

.. in quel 1994, la tracotante protervia di un governo di satrapi nei confronti degli apparati di Stato, aveva accelerato i tempi della decisione.

Questo nulla, come dice il titolo, è il nulla dentro cui si ritrova Melis, arrivato alla fine della sua carriera in polizia, stanco per tutto quanto ha dovuto vedere come poliziotto e come osservatore della realtà di un paese destinato a cambiare pelle mille volte pur di non cambiare mai.

Non ultimo, tra questi, l’arrivo al potere del nuovo governo nella primavera del 1994, il nuovo sogno italiano che soggiogò molti italiani. Ma c’è stata anche la perdita di Fiorenza, la sua compagna, morta pochi anni prima per un tumore che se l’era portata via in pochi mesi e, qualche anno prima, se ne era andato via Kim, il loro cane.

Milano, lunedì 7 novembre 1994
La pioggia, appena un sospetto, batteva ai finestrini dell’auto, anonima ma con due carabinieri in borghese seduti davanti. La pioggia. Del resto, Milano è Milano si disse sua Eccellenza, pensando a quella carrozzella, a Roma, soltanto poche ore prima..

Un giorno di novembre bussa alla sua porta un suo ex superiore, “sua Eccellenza”, uno di quegli uomini di stato capaci di sopravvivere alle varie ere politiche, per la capacità di servire senza apparire mai oltre il necessario, assecondare i potenti senza mai legarsi troppo a questo o a quello.

Il governo del cavalier Papunà iniziano ad andare in crisi, la difficile alleanza tra il partito nordista e gli ex fascisti, oltre a quel partitino centrista, è sempre più in bilico.

Un nuovo governo si prepara all’orizzonte e sua eccellenza sta lavorando, da servitore dello stato appunto, a questo: ma bisogna preparare il terreno

«Ha mai sentito parlare di Filippo Artuso?»

«Sì, un giovane economista noto a livello internazionale, vicino al principale partito d’opposizione».
«Appunto: il candidato ideale al ruolo di ministro. Ma...»

Filippo Artuso, astro nascente della sinistra nonché uno dei papabili per un posto da ministro nel futuro governo, era stato invischiato in una indagine di omicidio avvenuta 8 anni prima, nella sua città, Brassanigo, capoluogo Veneto, ieri terra di democristiani bigotti, oggi feudo del separatismo padano al grido di Roma ladrona.
Era stato indagato come uno dei responsabili della morte di una ragazza, Mariastella Biason, trovata morta nella casa dei signori presso cui lavorava come baby sitter.

Artuso era stato indagato, una ex insegnante aveva visto uscire dal caseggiato dei signori Dorigo un giovane con una giacca, proprio una di quelle da poco uscite dal mercato e che in tanti gli avevano visto addosso. Ma alla fine ne era uscito fuori, per una questione di incastri di orari, era impossibile che fosse stato lui l’assassino. Ma l’ombra era rimasta e “i giornali del cavalier Papunà stan già iniziando a montare la sordida, prevedibile campagna diffamatoria”.

Sua eccellenza gli chiede di tornare a fare il suo lavoro, un’indagine, non come poliziotto e nemmeno per assicurare alla giustizia il vero assassino, non necessariamente almeno.

Sotto la finta identità di Nereo Mani, dovrà cercar di capire entrando dentro quel mondo chiuso, se Artuso effettivamente non c’entra nulla col delitto.

Ma non sarà un’indagine né piacevole (quale lo è, in effetti) e nemmeno facile. Brassanigo è una cittadina con un’antica anima medioevale, dove tutti si conoscono, specie nel mondo delle famiglie che contano. Questa città era diventata famosa

.. per quello che la cronaca nera aveva chiamato Delitto degli Ortiliani. Come aveva scritto all’epoca un giornalista, «la tranquilla città di provincia si trovava sospesa fra luce e tenebra, delitto e giustizia, scienza e culti esoterici».

Come scritto nel rapporto che Melis deve leggere nel viaggio verso questa città, molte delle persone legate al delitto, compresa la ragazza strangolata, il suo fidanzato e tante altre persone altolocate, facevano parte di una specie di setta, gli Ortiliani, che aveva come capo una figura carismatica, Beniamino Bratti.

Ovviamente era stato il primo ad essere torchiato, ma anche lui era uscito indenne dall’indagine, a parte le zone d’ombra come l’Artuso, su cui i giornali all’epoca si erano accaniti, in quanto di provenienza politica avversa a quella conservatrice, da sempre dominante in città e in regione.
Così, presentandosi come giornalista, con le false credenziali fornite da sua eccellenza, Melis deve ora tornare a fare domande, ai signori Dorigo, al cronista che all’epoca aveva seguito le indagini, giornale di proprietà di uno degli industriali del luogo.

Alle stesse persone interrogate dalla polizia e dai magistrati anni prima, come l’ex moglie di un architetto, anche lei ortiliana dove aveva preso il nome di “Gradiva” (un nome che evoca la Gradisca felliniana).

Melis si scontra con l’ostilità di molti di questi personaggi che, passati gli anni, non hanno più voglia che un “foresto” ritiri fuori questa brutta storia e faccia domande in giro. Ma ci sono anche persone che, forse perché lasciate ai margini del bel mondo cittadino, con Melis parlano. E parlano delle corna, delle relazioni adulterine, delle relazioni inconfessabili, dei vizi privati di alcuni dei protagonisti della vecchia indagine. Ne esce fuori un quadro che ricorda quello ritratto da Pietro Germi nel suo film, “Signore e signori”, ambientato proprio in queste stesse zone, negli anni sessanta.

Una società perbenista, volgare, carnale, dove contano gli sghei: un mondo di professionisti, politicanti, industriali, intellettuali e sportivi e anche dei seguaci di questa setta, gli ortiliani, frequentata da persone che avevamo bisogno di un qualcosa per colmare il loro nulla esistenziale. In mezzo a loro, un assassino che era rimasto in città, in incognito.

Un’indagine dentro un nulla: il nulla che cercavano di colmare i membri di questa setta, il nulla di una società senza etica, dove il senso di vergogna è stato bandito, il nulla dell’ostilità delle tante personalità di questa città infastiditi (o peggio, allarmati) dalle sue domande, dalla tenacia con cui Melis, o Nereo Mani, cerca di far luce su questo delitto

E cos’è, questo nulla? Denaro, e successo, e potere. Nulla, a ben vedere, nulla. Eppure, non era lì, lui, per un gioco di potere?

Come in tutti i romanzi di Hans Tuzzi, al centro del racconto c’è la descrizione dei luoghi e dei personaggi, perfettamente ritratti col suo linguaggio colto, pieno di citazioni, anche amare per Melis perché legate ai ricordi dei giorni passati assieme a Fiorenza. Un linguaggio elegante e ironico alto che ancor di più stride con la natura del “contesto” dentro cui deve muoversi, per un gioco di potere, certo, ma in fondo anche per dare giustizia, non per i morti, ma per i vivi, perché “noi dobbiamo punire la colpa per vivere nella certezza del diritto” come si ritrova a pensare alla fine di tutta questa storia. Una storia che è la fine di un’epoca e il passaggio ad una nuova era politica (quella del berlusconismo), la fine di un personaggio (al suo ultimo racconto). Una storia che è anche un ritratto di un mondo:

«Posso dirle una sola cosa: la realtà di un fatto è come un ritratto, svela la natura profonda di un uomo o di un paese. E quale fatto lo è più di un omicidio?»

La scheda sul sito di Bollati Boringhieri

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

La guerra

PROMEMORIA Di Gianni Rodari

Ci sono cose da fare ogni giorno:

lavarsi, studiare, giocare,

preparare la tavola a mezzogiorno.

Ci sono cose da fare di notte:

chiudere gli occhi, dormire,

avere sogni da sognare,

orecchie da non sentire.

Ci sono cose da non fare mai,

né di giorno né di notte,

né per mare né per terra:

per esempio la guerra.

Almeno avessero il coraggio di chiamare le cose col loro nome, questi dittatori che si sentono signori sovrani tanto da poter disporre della vita delle persone. 

In un video registrato giorni fa (a dimostrare come purtroppo fosse tutto preparato) Putin parla di una operazione militare, per "demilitarizzare e denazificare" l'Ucraina, in cui i mezzi militari hanno attraversato il confine per difendere il popolo Ucraino.

Si chiama guerra e sarà una guerra che pagheremo tutti. Compreso Putin, gli ucraini (che siano nazionalisti o filo russi) compresi noi occidentali per gli effetti delle sanzioni, perché già stamattina le borse stanno crollando.

Da una parte Putin e le sue ambizioni, dall'altra un occidente che dipende dalla Russia, che per contenere le mire sue espansionistiche ha armato e organizzato milizie e gruppi nazionalisti e filo nazisti.

Cosa farà ora Putin, quali le sue vere intenzioni? Si accontenterà di aver bloccato lo spostamento verso occidente dell'Ucraina, di occupare le regioni filo russe?

Acli, Anci, Anpi, assieme ai sindacati confederali hanno annunciato iniziative per la pace, nelle piazze delle città italiane.

Per quelli che, nei giorni passati, chiedevano dove fossero i pacifisti. 

Sono dove sono sempre stati, contro le guerre, contro i fascismi, contro i dittatori, contro chi si arroga il diritto della vita e della morte per altre persone.

La guerra fa schifo anche quando si nasconde dietro una operazione di pace.

22 febbraio 2022

Presadiretta – amore bestiale

In Italia abbiamo più cani e gatti che esseri umani: cresce il desiderio di avere un animale in casa e qu come cresce anche l'economia attorno a loro. Come mai tutto questo bisogno di compagnia di un animale domestico?

Fa strano dover parlare di cani e gatti nelle ore in cui si teme un attacco da parte della Russia di Putin all'Ucraina, ora che il presidente russo ha riconosciuto le due repubbliche secessionistiche.

Ma ieri sera Presadiretta ha parlato dell'amore che noi umani riversiamo nei confronti dei nostri amici a quattro zampe: saune relax con oli essenziali per farli rilassare, spa per cani dove applicano al manto dei fanghi per pulirne il manto.

Spendiamo 35ml di euro l'anno per la toelettatura e i trattamenti di cani e gatti: non basta pulire il cane, oggi si fanno trattamenti su misura per il loro manto, per il loro pelo. Anche al latte e al miele.

E i vestitini per cani? Ci sono sartorie dove fanno camicine per cani, come nel laboratorio a Prato, dove una volta i capi pregiati erano confezionati per le persone mentre oggi lo sono per Fido che può orgogliosamente indossare gilet e capi in pelle firmati dal marchio Ross e Co, l'azienda che compra i capi prodotti a Prato, che ha quadruplicato il fatturato nel 2021 (lo stesso vale per altre aziende nel settore degli accessori per cani).

Perfino i grandi nomi della moda si sono lanciati in questo settore, da Gucci a Moschino, hanno la loro serie Pet. Anche i divani si producono pensando ai cani: la Dog’s Sofa in Veneto produce e vende divani in memory per cani in tutto il mondo.

Parliamo di un mercato che oggi vale 200miliardi, stimato in 300 miliardi tra pochi anni: la gente fa meno figli e dunque riversa il proprio amore su cani e gatti. Solo il cibo per cani muove 4 miliardi di euro: lo sanno alla Monge, dove anno dopo anno hanno avuto una crescita del 20% e la finanza internazionale (Allianz Global Investment) si sta interessando al settore Pet.

Presadiretta cercherà di capire le ragioni di questo amore con gli animali, quando abbiamo iniziato a trattarli come figli. E come li abbiamo trasformati nel corso degli anni.

Tanti italiani come la stessa giornalista Lisa Iotti hanno perso la testa per il loro cane: cani che entrano in casa, durante il lockdown per la Iotti, e occupano tutti gli spazi in casa dove non siamo più noi umani i padroni.
Ci siamo lasciati soggiogare da loro, vivono con noi e dormono con noi e vanno anche a scuola, come noi: a Milano esiste una scuola per cani (Harmonia), o meglio, un asilo come fossero dei bambini, con tanto di un parchetto per scorrazzare felici.

C'è perfino uno scuolabus che li raccoglie a casa, per evitare che stiano tutto il giorno da soli.

Il costo è di 20, fino a 40 euro al giorno, proprio come avere un bambino al nido: cani che sono al centro della vita delle persone, racconta un signore milanese e che una volta che li guardi, capisci perché non ne puoi più fare a meno.

Presso la struttura di Harmonia c'è perfino una piscina, uno spazio per fare esercizi di logica, c'è lo spazio relax per un riposino.

Esistono anche ristoranti per cani, con menù dedicati per loro: Dog's Mistrò prepara pappe ad hoc per ogni cane, un'idea nata da un erede dei Mondadori che, una volta, si occupavano di editoria.

Quella che inizialmente era presa come un'idea per matti sta diventando un idea di successo: questa azienda calcola il valore proteico ideale per ogni cane, in base alla razza e al peso, con pappe che arrivano da una filiera locale, come quella per il nostro cibo.

Vuoi andare in vacanza col tuo cane? Oggi anche gli hotel di lusso accolgono il cane, non è più come ai tempi che furono, dove all'ingresso trovavi la scritta “vietato al cane”.

Oggi negli hotel di lusso si trovano servizi di lusso per cani, come per esempio all'hotel Cavalieri Waldorf Astoria a Roma o all'Hilton di Londra.

Stiamo forse esagerando nel nostro rapporto coi cani?

Lisa Iotti ha incontrato Adam Miklòsi – professore di etologia a Budapest: i cani sono un po' come i nostri figli, nel gioco, nelle interazioni coi loro padroni: i ricercatori ungheresi hanno osservato i cani per studiarne il comportamento mentre interagivano coi proprietari e tra di loro. E hanno testato le loro reazioni di fronte ad alcuni gesti tipici umani, come indicare qualcosa con il dito o i segnali dello sguardo.

“Sembra che i cani siano molto simili ai bambini di due o tre anni, seguono il gesto di puntare col dito, capiscono singole parole legate a delle azioni come seduto o in piedi” – è sempre il professore Miklòsi a parlare – “e questo non succede con altri animali, i cani sono speciali. Considerate che i cani hanno una storia evolutiva lunghissima, di venti-trentamila anni. E visto che i cani vivono con noi, i loro stati emotivi sono molto simili ai nostri ..”

I cani possono essere tristi, possono provare dolore fisicamente ed emotivamente, come noi umani, per esempio quando li lasciamo soli: i cani devono vivere una vita felice, come anche noi del resto, non devono annoiarsi, non devono sentirsi abbandonati.

All'università di Glagow hanno inventato una specie di telefonino per chiamare il padrone: l'idea è garantire al cane una vita con maggiore benessere e anche – racconta la dottoressa Douglas – perché la mia casa è anche la sua casa.

Sempre in Ungheria hanno fatto un esperimento su un cane, che dal Messico è arrivato fino in Ungheria: analizzando il loro cervello, hanno scoperto che i cani sanno distinguere le lingue e sanno anche distinguere parole senza senso da un discorso vero.

Ma anche dentro di noi, al contatto coi cani e quando li guardiamo negli occhi, si scatenano dei fenomeni: accarezzare un cane produce l'ossitocina, l'ormone dell'amore che viene rilasciato nel sangue.

Più si osserva, più ci si avvicina, più si rilascia l'ossitocina producendo effetti benefici sull'organismo: stare coi cani e coi gatti ci fa stare bene, ci gratifica. È lo stesso principio che si ha quando si guarda un bambino.

Guido Guerzoni è autore del libro Pets: “tanto più l’affettività si dematerializza, tanto più l’affettività animalesca cresce e diventa appagante”. Il calore, l'affettività che ci arriva da un cane o un gatto ci ripaga, non è un amore malato, non è un amore sprecato, non esiste la concorrenza dell'amore, si può amare un cane e anche delle persone.

Ma sono sempre creature di una specie diversa, non sono bambini: se li trattiamo come bambini gli facciamo male, anzi, li maltrattiamo.

Questo succede quando sovralimentiamo gli animali, che sono obesi come noi: un fenomeno che è scoppiato con la pandemia.

E così, oltre alla sartoria, all'asilo per cani, esiste anche l'ambulatorio per cani obesi, come all’università Ludwig Maximilian di Monaco, dove fanno un check completo ai pazienti cani, dal cuore al giro vita.

I cani più stanno con noi, più ci assomigliano anche nelle patologie: diventano depressi, obesi, stressati, fanno poco movimento.

Siamo destinati a condividere lo stesso destino, racconta il professor Guerzoni, dunque anche loro devono andare dall'osteopata e forse un giorno anche dallo psicologo.

Amiamo così tanto le razze che hanno tratti simili ad un bebè tanto da selezionarli per questo scopo: il muso schiacciato, occhi grandi, un viso tondeggiante.

Come per esempio per il bulldog francese: cani che non riescono a respirare, con un palato piccolo, con arti corti. Animali “brachicefali”, non solo cani ma anche gatti e perfino cavalli: sono animali con lingua enorme e poco spazio nel palato e dunque respirano a fatica.

Lisa Iotti ha intervistato Emma Goodman, una veterinaria inglese che nel 2016 ha lanciato una grande campagna internazionale per abolire gli allevamenti dei cani brachicefali, i carlini, i bulldog francesi, i bulldog inglesi ma anche certe razze di gatti, di conigli e persino di cavalli. Sono selezioni estreme sulla loro salute: gli abbiamo tagliato il muso, accorciato le ossa del cranio, ma tutti i tessuto molli all’interno della bocca come lingua, il palato, sono rimasti uguali, quindi questi animali hanno delle narici strettissime e una lingua enorme che occupa tutto lo spazio, per questo la metà di questi cani non può respirare. Non solo: “la maggior parte di loro non si può riprodurre e molti piccoli devono nascere col cesareo, perché hanno la testa troppo grande per uscire e inoltre le mamme non ce la farebbero a respirare durante il travaglio perché non hanno il fiato.”

L’evoluzione aveva selezionato altri tratti morfologici più adatti per la sopravvivenza, come le zampe lunghe, muso affilato, occhi protetti, ma l’uomo li ha via via eliminati, per far si che questi animali mantengano sempre quell’aspetto da cuccioli che ci piace tanto.
“La gente non capisce che ci siamo evoluti per avere queste caratteristiche da bebè e non da adulti, quando ottieni degli occhi così grandi [come quelli del carlino] come hanno questi cani è perché hai reso molto meno profonde le orbite, per cui poi hai delle infezioni” conclude la dottoressa Goodman.

Abbiamo forzato altre razze, sempre per assecondare i nostri ideali di bellezza: per esempio aver accorciato il cranio dei cani spinge il cervello verso il fondo, è come avere un mal di testa perenne. Sono cani che non possono camminare, che non possono respirare, che non possono partorire senza un cesareo (perché nel parto per lo sforzo, non riuscirebbero a respirare da soli).

Così, racconta Presadiretta, ci sono cliniche che operano al palato i cani brachicefali, come la San Marco a Padova: dobbiamo fermare l'allevamento di queste razze, cani “maltrattati geneticamente” come bulldog francesi e cavalier King, nonostante siano razze molto di moda, che si vendono facilmente in rete.

Megan Rowe è un analista dell'associazione Cat & Dog Alliance che ha analizzato gli annunci di vendita di animali in internet: la rete sta diventando il luogo principale per vendere, legalmente e anche illegalmente cuccioli, è il luogo ideale per venditori senza scrupoli, per traffici illegali.

Lisa Iotti si è finta una acquirente ed è andata a vedere gli allevamenti in Ungheria, uno dei principali paesi dall'est da dove partono questi animali venditi in Italia.

Ci sono gruppi dedicati su Viber dove poter comprare un bulldog a 300 euro, mentre qui da noi si trovano a 2000/3000 euro.

Sono gruppi chiusi dove si entra per invito, perché gli allevatori sono sospettosi: anche Lisa Iotti è riuscita ad entrare in uno di questi gruppi, diventando Lisa Brin, trasformandosi in una imprenditrice che cerca cuccioli da portare in Italia per le feste.

La giornalista si è fatta aiutare da una troupe locale per visitare un mercato locale di animali: qui, dentro i bauli delle macchine ferme al mercato si trovano gli animali, anche sotto le otto settimane, senza che hanno terminato il ciclo vaccinale.

Ma il mercato è solo una vetrina per prendere contatti coi clienti: gli affari si fanno nelle case dei venditori, che sono state trasformate in veri e propri allevamenti intensivi al chiuso, piene di animali riproduttori e di cuccioli rinchiusi nelle gabbie.

Non si potrebbero esportare i cani sotto i tre mesi: ma di fatto si può fare di tutto, anche trasportare cani senza tutti i vaccini, come quello per la rabbia, che in Italia è scomparsa ma nei paesi dell'est è ancora presente.

Non ci si pensa, ma ogni anno nel mondo 55 mila persone muoiono per un morso di un cane.

Eppure bastano dei passaporti falsi fatti da veterinari compiacenti (dove si falsifica l'età del cucciolo), allevatori con pochi scrupoli e venditori che vengono in Ungheria per fare affari e il gioco è fatto, tutto troppo facile per un traffico da milioni di euro ogni anno.

Cani che arrivano da allevamenti che sono peggio di un lager: fabbriche di cuccioli dove gli animali non vedono la luce, non sono trattati per i parassiti.

In queste fabbriche non si allevano cani, si producono.. racconta una volontaria di una associazione che lotta contro il traffico di questi animali.

Comprare questi cani, in modo illegale, pensando di fare un affare perché li paghiamo poco, alimentano questa piaga. Tutta l'Europa è responsabile, ma a mettere in modo questa macchina sono stati gli italiani, commercianti italiani venuti in Ungheria e ad inventare questo business, passando dall'allevamento intensivo di maiali a quello di cani.

“Avete bisogno di un animale di compagnia? Andate in un canile, nell'attesa che in Italia si faccia come in Francia, dove con una legge dello stato si è vietato la vendita online o nei negozi.” - è il commento a fine puntata di Riccardo Iacona.

Perché questi animali ci fanno stare bene, non solo per gli ormoni dell'amore.

All'ospedale Meyer di Firenze si trovano tre supereroi, Galileo, Polpetta e Malì, si muovono nei reparti dove si curano adulti e bambini. La pet therapy è una cura per i pazienti, come una medicina comune, l'interazione con il cane porta ad una diminuzione del dolore, ad una diminuzione dell'ansia, del cortisone, i pazienti si rilassano.

Sono operatori sanitari come medici e infermieri, i cani: comprendono le emozioni e il dolore del bambino, consolano l'operatore sanitario nella fatica quotidiana. Stemperano la tensione nel reparto: i cani hanno la percezione dell'emotività, “percepiscono le emozioni che ci circondano, noi dovremmo andare a lezione da loro.”

La felicità aiuta sempre: ci sono studi scientifici, come quelli della dottoressa Friedman negli anni settanta in America o come quelli della scienziata svedese Tove Falle “uno studio lungo 12 anni dimostra come chi viva con animali domestici abbia una probabilità di morire minore dell’11% rispetto a chi viveva senza e nei single la % saliva al 33%.”

La solitudine è un problema, è un fattore di rischio per una morte prematura e un cane aiuta a rendere una vita significativa, perché ci costringe a prendersi cura di lui e a prendersi cura degli altri. Una lezione che, dopo questa pandemia, dovremmo imparare bene.

Nella prossima puntata Presadiretta si occuperà dei cambiamenti climatici e degli effetti sul pianeta che stanno già avvenendo oggi.

21 febbraio 2022

Anteprima Presadiretta – un amore bestiale

Un’intera puntata dedicata ai nostri animali domestici che coccoliamo, curiamo, come fossero i nostri figli.


O anche più dei nostri figli: cani sottoposti a sedute di relax con tanto di vapore, oli essenziali e massaggi, cani vestiti con abiti da cerimonia in organza ricamata, cani alimentati con cibi ricercati come il merluzzo e vitello.

Non sapevo che esistessero asili per cani con tanto di piscine e di spazi per i giochi.

Come nemmeno sapevo esistessero delle SPA dedicate ai cani o ristoranti dedicati ai nostri compagni a quattro zampe: ristoranti che assicurano i clienti della varietà del loro menù, con proteine diverse.

Trovare un sarto capace di farti un abito su misura è oggi difficile mentre, cercando in internet si trovano sarti per Fido, per Lupo, per Ringhio.

“Trattiamo i nostri animali come fossero i nostri figli, naturalmente l’industria del pet non aspettava altro se è vero che attorno alla cura degli animali domestici c’è un giro d’affari che vale 200 miliardi di euro l’anno, e per gli analisti è destinato solo a crescere. Nello spazio di cinque anni dovrebbe arrivare a 300 miliardi di euro. Ma è solo business? Che cosa ci restituiscono i nostri animali domestici nella vita che passiamo tutti i giorni assieme? Perché abbiamo così tanto bisogno di loro?” - questa la presentazione del servizio che ha fatto lunedì scorso Riccardo Iacona e tutte le risposte a queste domande le avremo alla fine della puntata.

Sono risposte che hanno una base scientifica perché, come spiegherà Guido Guerzoni docente alla Boccini e autore del libro Pets, tanto più l’affettività si dematerializza, tanto più l’affettività animalesca cresce e diventa appagante.

“Abbiamo scoperto che l’attaccamento tra il proprietario e il suo cane è molto simile all’attaccamento che lega il genitore al suo bambino” Adam Miklòsi – professore di etologia a Budapest “e la somiglianza non è solo a livello del comportamento quotidiano, ma avviene anche quando la madre o il padre lascia il bambino da solo, o quando il proprietario lascia il cane da solo. Quello che fa il cane è uguale a quello che farebbe il bambino in una soluzione simile. Questa è una delle scoperte più importanti che abbiamo fatto.”

I ricercatori ungheresi hanno osservato i cani per studiarne il comportamento: mentre interagivano coi proprietari, mentre interagivano tra di loro. E hanno testato le loro reazioni di fronte ad alcuni gesti tipici umani, come indicare qualcosa con il dito o i segnali dello sguardo.

“Sembra che i cani siano molto simili ai bambini di due o tre anni, seguono il gesto di puntare col dito, capiscono singole parole legate a delle azioni come seduto o in piedi” – è sempre il professore Miklòsi a parlare – “e questo non succede con altri animali, i cani sono speciali. Considerate che i cani hanno una storia evolutiva lunghissima, di venti-trentamila anni. E visto che i cani vivono con noi, i loro stati emotivi sono molto simili ai nostri ..”

Quindi – conclude l’etologo - i cani possono essere tristi, tutta l’etologia sta andando in questa direzione, riconoscendo che la sofferenza, la capacità degli animali di provare dolore sia emotivo che fisico, sia molto simile a quella di noi umani.

C’è anche qualcosa di più: chi vive con animali domestici ha maggiori probabilità di incorrere in malattie della vita moderna. È il risultato di uno studio pubblicato inizialmente nel 1980 dove era emerso che i possessori dei cani ed erano state ricoverate in ospedale per malattie cardiache, avevano più probabilità di sopravvivenza rispetto alle persone senza animali domestici.

Tesi confermata dalla scienziata Tove Fall autrice di uno studio su quanto ci facciano bene questi compagni di vita: uno studio lungo 12 anni che dimostra come chi viva con animali domestici abbia una probabilità di morire minore dell’11% rispetto a chi viveva senza e nei single la % saliva al 33%.

Nel servizio si parlerà anche dell’obesità degli animali domestici cresciuta di pari passo con quella degli umani, perché li stiamo ammazzando di cibo: il 50% dei cani nel mondo occidentale soffre di una qualche forma di obesità, soprattutto da quando è scoppiata la pandemia.

Racconta il servizio di Presadiretta che più di 4 veterinari su dieci hanno dovuto investire in strutture di sollevamento extra per poter alzare gli animali: in Germania a Monaco un ambulatorio per animali ha lanciato un programma specifico per combattere l’obesità da lockdown.

In questa struttura, legata all’università Ludwig Maximilian di Monaco, fanno un check completo ai pazienti cani. Dal cuore al giro vita.

Un fenomeno che il professor Guerzoni spiega così: “Perché i cani tendono ad assumere i nostro peggiori comportamenti, anche loro tendono a diventare sedentari, mangiano troppo, si deprimono. Più stanno con noi, più tendono ad assomigliarci, anche nelle patologie, il 30% degli animali statunitensi assume antidepressivi, siamo accomunati dallo stesso destino, le parabole dei nostri destini si stanno avvicinando”.

Ci stiamo avvicinando tanto, anche perché abbiamo selezionato le razze canine in modo da essere sempre più simili ai neonati, nel corso dei decenni, dai carlini ai gatti.

Il naso incassato in mezzo agli occhi in modo completamente innaturale, senza renderci conto che questa selezione artificiale fatta da noi ha creato delle razze nate per soffrire.


Lisa Iotti ha intervistato Emma Goodman, una veterinaria inglese che nel 2016 ha lanciato una grande campagna internazionale per abolire gli allevamenti dei cani brachicefali, i carlini, i bulldog francesi, i bulldog inglesi ma anche certe razze di gatti, di conigli e persino di cavalli. Sono selezioni estreme sulla loro salute: gli abbiamo tagliato il muso, accorciato le ossa del cranio, ma tutti i tessuto molli all’interno della bocca come lingua, il palato, sono rimasti uguali, quindi questi animali hanno delle narici strettissime e una lingua enorme che occupa tutto lo spazio, per questo la metà di questi cani non può respirare. Non solo: “la maggior parte di loro non si può riprodurre e molti piccoli devono nascere col cesareo, perché hanno la testa troppo grande per uscire e inoltre le mamme non ce la farebbero a respirare durante il travaglio perché non hanno il fiato.”

L’evoluzione aveva selezionato altri tratti morfologici più adatti per la sopravvivenza, come le zampe lunghe, muso affilato, occhi protetti, ma l’uomo li ha via via eliminati, per far si che questi animali mantengano sempre quell’aspetto da cuccioli che ci piace tanto.
“La gente non capisce che ci siamo evoluti per avere queste caratteristiche da bebè e non da adulti, quando ottieni degli occhi così grandi [come quelli del carlino] come hanno questi cani è perché hai reso molto meno profonde le orbite, per cui poi hai delle infezioni” conclude la dottoressa Goodman.

La scheda del servizio

Lunedì prossimo a Presadiretta una puntata straordinaria, perché straordinaria è stata la trasformazione che ha messo al centro della nostra vita, non solo in Italia, ma in tutto l’Occidente, cani e gatti.

L'industria che gli gira attorno vale. tra prodotti per gli animali, mangiare per gli animale, babysitter e cure veterinarie. 200 miliardi di euro destinati a crescere perché il motivo per cui da padroni siamo diventati genitori dei nostri amici animali ha a che fare con l’amore, e quando c’è di mezzo l’amore non ci sono limiti, perché è il bisogno più grande che c’è.

La puntata l’abbiamo chiamata AMORE BESTIALE.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

17 febbraio 2022

Un'altra storia, di Luca Ongaro


 Prologo Adua, 1896

«Stiamo sbagliando strada.» Non si seppe mai chi era stato il primo a parlare, ma a un certo punto la voce cominciò a spargersi e percorse l’intera colonna in pochi istanti: quelli davanti la ripetevano a quelli dietro, quelli dietro a quelli più indietro ancora. Tutti si guardavano intorno smarriti. C’era chi si fermava, chi spingeva e chi veniva a sua volta spintonato da quelli che lo seguivano.

Immaginate che l’esercito Regio abbia, anche per un fortuito caso, vinto la battaglia di Adua. E che nel corso della prima guerra mondiale il governo italiano e il re avessero tenuto l’Italia in una situazione di neutralità.

Nessun massacro sul Carso, nessuna Caporetto. E nessuna crisi post bellica che avrebbe spalancato poi le porte al fascismo: per anni l’Italia forse avrebbe avuto un governo di colore diverso. Forse il rosso dei governi socialisti del deputato Matteotti (che non sarebbe stato ucciso a Roma nel giugno del 1924) che avrebbero cercato di cambiare il volto del regno, in Italia e anche nelle colonie in Africa, con delle riforme.

Per poi lasciare il passo ad una serie di governi conservatori, di cui l’ultimo in cui ritroviamo un Mussolini come ministro delle colonie.

Ecco, ci saremmo trovati di fronte ad un’altra storia, come dice il titolo, una storia diversa da quella che invece abbiamo studiato sui libri di storia. Il romanzo di Luca Ongaro, di professione agronomo e attivo per anni nella cooperazione internazionale, parte da questi presupposti per raccontarci dell’Italia del 1956, portandoci nella colonia africana in Eritrea, dove è ambientata la storia, più di mezzo secolo dopo la battaglia di Adua, raccontata nel prologo

1956 Il commissario Francesco Campani fu svegliato, come quasi tutti i giorni, dal solito picchiettare alla finestra. «Francesco!» lo chiamava una voce femminile da fuori.

«Buongiorno, Kobeb»rispose.

«Buongiorno, Francesco».

Scese dal letto, si infilò le ciabatte e uscì in veranda, dove lo attendeva la colazione preparata da Kokeb: ambasha, bombolino, burro, miele..

Sono passati tanti anni da quella battaglia e nella colonia eritrea il rapporto tra gli italiani e la popolazione locale si è sempre mantenuto su un certo equilibrio frutto di una politica di tolleranza, di non segregazione voluta dai precedenti governi socialisti. Ma qualcosa, dopo tanti anni, sta cambiando: i nuovi governi conservatori, dove troviamo a fianco Fanfani con Mussolini, stanno portando avanti politiche che vanno in direzione contraria, non solo agli eritrei l’accesso alle alte cariche pubbliche è ostacolato, ma italiani e locali devono frequentare classi diverse.

Da Roma arrivano segnali precisi, allarmi verso focolai di insurrezione da parte di gruppi di indipendentisti, appoggiati (così raccontavano le veline) dagli etiopi e dagli inglesi, che vorrebbero mettere le mani sulle colonie italiane per allargare la loro influenza in Africa.

E così i politici di Roma, per paura di trovarsi per le strade di Roma e Milano libici, somali ed eritrei, chiedono ai rappresentanti del regno in Africa la mano dura. Non sapendo che così si sarebbe andato solo a gettare altra benzina sul fuoco ..

.. a qualche ministro in Italia fa comodo gridare al lupo per distrarre gli elettori dai problemi veri. Solo politica, ecco cos’è.”

Ma questi discorsi di politica, che oggi agli occhi dei lettori possono avere un effetto strano, non interessano al commissario di polizia di Macallè (capitale della provincia meridionale della Colonia Eritrea) Francesca Campani. Perché lui in Africa c’è nato, orfano di genitori, è stato cresciuto dai nonni che si erano stabiliti a Wukro, un piccolo paesino dove il nonno (dopo il congedo ottenuto dalla battaglia di Adua) aveva costruito l’albergo Fiesole. In Italia c’era stato solo per studiare legge e prendersi la laurea, a Firenze. Ma in Italia non aveva legato con nessuno, troppo diverso dai suoi coetanei che lo guardavano con diffidenza, per il suo essere taciturno, per quella sua parlata strana. Italiano fuori, ma tigrino, dentro.

Così, presa la laurea, era tornato nella sua terra, nel suo albergo, che aveva lasciato in gestione a Salvatore, una specie di fratello per il commissario, anche lui orfano, anche lui cresciuto dal nonno.

Un giorno, al suo ufficio a Macallè si presenta un archeologo che sta seguendo degli scavi nella zona di Romanat, luogo sacro per gli eritrei, dove sono seppellite le spoglie dei primi santi cristiani venuti da Roma.

Nella necropoli è stato rinvenuto un teschio molto particolare:

«Quel foro in mezzo alla fronte?»
«È il primo motivo per cui abbiamo deciso di portarlo qui. Non è un teschio molto antico, al massimo poche decine di anni. Il resto dello scheletro non l’abbiamo trovato».

La particolarità del teschio sta nel fatto che si tratta di un cranio di un italiano, perché si vede l’otturazione di un dente. E poi per quel foro, che sembra prodotto da un colpo di fucile a bruciapelo, che però non è passato da parte a parte.

Inizia così la “strana” indagine del commissario Campari, con un teschio che gli sta raccontando una brutta storia, e basta. Ma Campari tanto è un poliziotto poco servile nei confronti dei superiori (specie per l’ossessione contro gli eritrei) quanto è un poliziotto che non molla una sua indagine senza aver battuto tutte le strade possibili. Senza aver provato a dare un nome a quel morto, o morta. Un nome e una storia.

E ci arriverà a dare un nome ed una storia a quel teschio, una brutta storia di soprusi e di violenza, negli anni in cui nella colonia i nuovi padroni potevano fare quello che volevano, non c’erano leggi per tutelare i più deboli, specie se avevano la pelle scura. E, come nella storia che scoprirà Campari, nemmeno se avevi la pelle bianca.

Ad aiutarlo in questa indagine, oltre al suo braccio destro, l’ispettore Araya, uno dei pochi graduati eritrei, ci sarà anche una brava geologa italiana, la dottoressa Emma Giunti che lavora all’istituto Agricolo Coloniale, diretto da un inetto nipote del segretario del ministro.

Una donna molto spigliata per la mentalità bigotta dell’epoca che non vedeva di buon occhio l’emancipazione femminile. Ma sarà proprio questo a conquistare il timido commissario.

Un omicidio di cinquant’anni prima che si intrecciava con le ricerche degli antropologi a Romanat, la geologia di un villaggio abbandonato, i valdesi e chissà che altro ancora.

Un giallo che segue il filone dei romanzi distopici, come Fatherland o Fahrenheit 451 e che ci porta dentro un mondo, quello del continente africano, visto con gli occhi degli occupanti italiani.

Fa strano sentir parlare di strade, case, della civiltà che abbiamo, o avremmo portato in quelle terre, come fanno anche riflettere le parti in cui i protagonisti commentano la politica di Roma: dopo anni in cui si era dimenticata delle colonie, Mussolini aveva ideato un piano per fare nuovi investimenti, “infrastrutture, nuove strade, l’aeroporto internazionale, la nuova ferrovia per Shire”.

Una pioggia di soldi per nuovi cantieri che però non avrebbero cambiato la vita della popolazione locale,

Invece di fare il piano a Roma in base al sentito dire, mandateci i soldi qui in colonia e lasciate che siamo noi a decidere cosa farne, molto semplicemente. Le priorità della colonia sono altre. Le trade del piano Mussolini saranno bellissime, ma resteranno senza traffico. L'aeroporto c'è già, e [..] basta e avanza. A noi servono scuole, serve l’elettricità nelle campagne, servono strade sterrate fatte bene..

Nel corso del racconto, assieme ai protagonisti gireremo per gli altopiani dell’Eritrea, impareremo a conosceremo i cibi “tigrini” un po’ troppo speziati, il loro caffè, diverso dal nostro espresso.

Visiteremo con loro le chiese rupestri, scavate dentro la roccia, dei veri capolavori come quella di Mariam Korkor o Hilsha con i suoi dipinti tra cui uno che darà la svolta per risolvere quel misterioso omicidio avvenuto tanti decenni prima.

Attenzione: leggendo le pagine di questo libro si può avere la sensazione che l’autore indulga nelle sue considerazioni del colonialismo italiano. Si tratta di un romanzo distopico, dove tutti gli eventi sono raccontati col l’occhio degli invasori, occupanti, i portatori di civiltà.

E purtroppo non solo di quella.

PS: a fine romanzo, viene da chiedersi ancora una volta, e se ad Adua la battaglia avesse preso un’altra piega, e se nel 1915 non ci fossimo schierati con Francia e Inghilterra e se ...

La scheda del libro su Sem libri

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

Il paese di ieri il paese di oggi

Forse è un caso, o un gioco del destino, che in pochi giorni concentra anniversari storici come quello del trentennale di Mani Pulite, e decisioni altrettanto storiche come quella della Consulta sull'ammissibilità dei referendum.

I referendum popolari nono sono passati: erano scritti male, si aprivano dei buchi, non si può usare lo strumento dei referendum per colmare un vuoto legislativo. Tutto vero, forse. Ma testimoniano dello stato di un paese che non sa guardar avanti, dove il distacco tra parlamento e paese diventa sempre più ampia. Che dovranno pensare quei milioni di persone che hanno firmato per cannabis (non solo per le canne, ma per un uso terapeutico) e per il suicidio assistito? Il parlamento, troppo occupato a difendere posizioni di rendita (balneari, concessioni autostradali), non farà mai leggi in tal senso. Non in questa legislatura.

Sulla giustizia si consolida la vendetta di una parte della politica, la destra da Salvini a Renzi, contro la giustizia. 

Il cittadino non potrà decidere se sia lecito o meno proibire la coltivazione per uso personale della cannabis, mentre potrà decidere se separare le carriere dei magistrati (una proposta vecchia di decenni, dai tempi di Gelli per chiarire).

Abroghiamo pure la Severino, senza modificarla.

Una politica debole si sta prendendo le sue rivincite su una magistratura altrettanto indebolita dagli scandali sia tramite la riforma Cartabia che tramite questi referendum dove, addirittura, si proponeva la possibilità per il cittadini di rivalersi direttamente contro il magistrato.

Perché allora la Consulta ha fatto passare i referendum sulla giustizia, molto tecnici e che interessano poco la maggioranza degli italiani (ma molto una certa parte politica)?

Che gliene frega ai cittadini della separazione delle funzioni? O delle liste del CSM?

Ieri Gherardo Colombo nel corso dell'intervista al giornalista Andrea Purgatori raccontava dell'inchiesta Mani Pulite, smontando tutti i luoghi comuni che ancora girano contro le inchieste del pool di Milano di cui faceva parte.

I suicidi in carcere e la carcerazione preventiva che indignano solo quando riguardano i potenti e non quando toccano gli imputati per piccoli reati.

Le indagini che hanno toccato tutti i partiti, non solo quelli dell'allora governo.

Infine l'errore di aver pensato che si poteva affidare alla magistratura il compito di risolvere tutti i problemi della politica: una politica che lucrava pure sulle spese per i bisognosi, sulla costruzione di ospedali, sulle case di cura per gli anziani (i famosi 7 milioni della prima tangente di Mario Chiesa).

Quella classe politica, quella della prima repubblica, si reggeva (non tutta, non solo) su un sistema di tangenti, nascoste dietro il finanziamento ai partiti (in modalità non previste dalla legge): un sistema che coinvolgeva i politici, i manager di stato di nomina politica, i manager privati che volevano lavorare col pubblico.

Un sistema dove i soldi pubblici venivano spesi male, come a Milano per la costruzione della terza linea della metro, per fare un esempio.

Tutti sapevano del sistema delle tangenti, ma andava bene a tanti, finché le condizioni politiche (anche a livello internazionale) non sono cambiate.

Tangentopoli poteva essere scoperta dieci anni prima, con la scoperta delle carte della Loggia P2, se il processo non fosse stato spostato a Roma dalla Cassazione - racconta Colombo che, assieme al collega Turone, aveva gestito inizialmente l'inchiesta su Gelli.

Il paese di ieri è rimasto il paese di oggi. L'insofferenza verso una stampa libera, verso una magistratura che, nei limiti stabiliti e rispondendo dei suoi errori, possa fare le sue inchieste su tutti i cittadini perché la legge è uguale per tutti.

15 febbraio 2022

Presadiretta – il salario minimo

Poche ore prima della trasmissione uno studente di 16 anni è morto in un incidente stradale mentre stava completando uno stage aziendale: è l'ultima disgrazia sul lavoro e purtroppo non sarà l'ultima. E’ cominciata con una notizia di cronaca la puntata di Presadiretta che ha raccontato delle morti bianche (una strage che sembra non fermarsi mai), dei salari da fame, del far west dei contratti, dei controlli insufficienti.

Quando il lavoro viene spezzettato, destrutturato, anche il lavoratore rischia di fare la stessa fine: schiacciato da una gru o stritolata dentro una macchina tessile, come successo a Luana D'Orazio, morta a Prato lo scorso maggio e che il ragazzo e la mamma ancora non si riescono a spiegare. Luana parlava spesso del suo lavoro (dove aveva la qualifica di apprendista), delle condizioni di sicurezza dove lavorava, di come spesso dovesse rimanere sola davanti la macchina, di come tornasse spesso distrutta a casa.

Qualche settimana prima le era già capitato di rimanere agganciata alla staffa, quella sporgenza della macchina (l'orditoio) a cui lavorava, ma era riuscita a sganciarsi.

Sula macchina che doveva controllare le protezioni di sicurezza erano state rimosse da tempo, sono state rinvenute delle ragnatele sulla grata che mantiene l’operatore lontano dagli ingranaggi: se i dispositivi fossero stati attivi l'incidente non poteva accadere in nessun modo – racconta il consulente legale della famiglia.

La procura di Prato ha depositato la richiesta di rinvio a giudizio per i due proprietari i quali, si difendono, affermano di non sapere nulla dei dispositivi e nemmeno della scarsa preparazione degli operai. Ma queste dichiarazioni cozzano con quanto hanno riportato i colleghi di Luana: i dispositivi erano tolti per aumentare la produzione, una prassi comune in tante aziende piccole e destrutturate.

Andare e lavorare e non tornare a casa no.. non lo accetti – racconta a Presa diretta il fidanzato – Luana è la mia ragazza e io con questa ragazza ci dovevo fare la vita, ma non gliel'hanno permesso.

Non si possono più accettare i discorsi “ma si è sempre fatto così”, con poca sicurezza, chiedendosi se la sera si torna a casa.

Le storie di chi muore su lavoro sono simili: storie di precarietà, di subappalti, di poca manutenzione e sicurezza per il profitto. Sfruttamento e dignità negata di chi lavora.

Il viaggio di Presadiretta nel mondo del lavoro parte da chi oggi sta cercando lavoro: i dati sull'occupazione sono positivi, dicono le statistiche, ma a trascinare la ripresa sono i contratti a termine, stagisti, part time. Tutti con salari da fame, con una media da 5 euro all'ora, sempre sotto i mille euro al mese.

Oltre 5 milioni di lavoratori guadagnano meno di 830 euro al mese: sono le 830mila persone che tengono in piedi i beni culturali nei musei, che guadagnano a full time 1100 euro al mese.

Guide, archeologi, archivisti, addetti alle biglietterie e allo shopping sono tutti assunti in modo esternalizzato, a volte anche liberi professionisti.

Come Cristina Chiusura, fondatrici dell'associazione Mi riconosci che si sta battendo per eliminare il volontariato e il tirocinio dentro musei e luoghi d'arte, una prassi comune da nord a sud, a Senigallia persino il direttore del museo è a titolo gratuito.

C'è una classe imprenditoriale che sta facendo i soldi (sulla cultura) sfruttando una marea di giovani, preparati e pagati poco: ad ogni bando fatto nei musei, ad ogni appalto, lo stipendio si livella verso il basso.

Così si sta formando un capitale umano che lavora con contratti precari mentre il ministero dei beni pubblici lamenta una carenza di personale: la politica ha fatto la sua parte con la bulimia delle riforme del lavoro che hanno svalutato la dignità dei lavoratori e smantellato i loro diritti – spiega Marta Fana, ricercatrice italiana molto dentro le dinamiche del mondo del lavoro.

Stiamo producendo un mondo del lavoro più povero è anche più vulnerabile: l'Italia è l'unico paese dove in dieci anni i salari sono calati, -2,9%, perfino la Grecia ha visto crescere i propri salari.

Paghiamo poco perfino gli operatori socio sanitari, gli archeologi che proteggono i nostri tesori, quelli che consideriamo il nostro “petrolio”.

Chi entra nel mondo del lavoro si sente dire che l'importante è la visibilità che ti viene data, “inizia a lavorare e poi si vede”, nel mondo del giornalista e dei pubblicisti poi è tornato il cottimo, quello di Lulù del film di Elio Petri.

C'è poi il problema del nero, nei ristoranti e nei bar, persone assunte per lavorare poche ore e che invece sono costrette a turni lunghissimi: le loro storie sono raccolte sulla pagina del partito Possibile, storie di baby sitter, baristi, perfino architetti, giornalisti, laureati, persone che lavoravano, con contratti a termine che nemmeno gli consentono di vivere dignitosamente.

Si arriva al paradossi di dover pagare per lavorare: avete capito bene, ad un ragazzo con uno di questi contratti a termine è stato proposto dal suo capo di chiedere un mutuo per poter colmare il salario insufficiente e poter vivere e lavorare in una città del nord.

Non è lavoro, è sfruttamento e questo sta diventando l'unico modo di far andar avanti il sistema: ci si sta assuefacendo a questo modo di concepire questo sistema.

Un sistema dove sei costretto a fare più lavori per sopravvivere, rischiando di sprofondare nella povertà, cosa più facile se sei al sud, se sei una donna, giovane.

Abbiamo salari bassi e una percentuale di part time non volontario più alto in Europa, il 49% delle lavoratrici assunte è a part time, per poche (anche tre ore) al giorno.

Come le signori delle pulizie, che prendono 9 euro all'ora: è il contratto di multiservizi, talmente vago che dentro trovi lavoratori della logistica e del mondo delle pulizie.

Sono le imprese che decidono quale contratto applicare ai lavoratori, avendo la forza e il potere di ricattare le persone che cercano lavoro: se non ti piace, troveremo qualcuno che sarà meno schizzinoso di te (o come diceva la ministra, choosy).

L'articolo 36 della costituzione parla di salario dignitoso, che dovrebbe consentire al lavoratore una vita libera: a questo si appoggia l'avvocato Fausto Raffone nelle sue cause di lavoro, contro contratti anticostituzionali che però continuano ad essere usati nel paese.

Sono contratti presenti nel registro del CNEL (in totale sono più di 900), siglati dai sindacati confederali e ideati dalla politica che non ha fatto nulla per limitarne la proliferazione.

Salari pirata – così li chiama il professor Lucifera, che consentono la competizione delle aziende italiane, piccole e poco tecnologiche, sul salario.

Servirebbe il salario minimo legale: questa la strada per uscire dal lavoro povero e dallo sfruttamento.

Il confronto dalla Germania.

In Germania il salario minimo esiste dal 2015, quando fu approvato da una maggioranza schiacciante: non si lavora per meno di 9,82 centesimi, una misura che coinvolge almeno 4ml di lavoratori.

Non è molto, ma è una garanzia per le persone: inizialmente i sindacati erano contratti perché temevano che il salario minimo ponesse un freno alla contrattazione collettiva (timori poi rivelati infondati).

Gli imprenditori sono contrari al salario minimo in Germania come in Italia: ma hanno capito che in una società ricca i salari da fame non sono più accettabili, soprattutto nella Germania nell'est.

La commissione Mindestlohn, composta da sindacati e tecnici, monitora l'andamento del salario minimo nel paese, che deve seguire il costo della vita affinché sia efficace.

Il salario minimo è servito ad eliminare il nero, ha fatto guadagnare tutto il sistema economico tedesco, facendo crescere il salario di intere categorie (la ristorazione, i servizi).

Non ha portato, come sostengono i liberisti, ad una maggiore disoccupazione, che avrebbe distrutto posti di lavoro: l'indice di disoccupazione è sceso dal 7 al 5%, si sono creati posti di lavoro nei settori con salari più bassi.

Il prossimo aumento del salario minimo in Germania crescerà a 10 euro al prossimo luglio, ma il cancelliere Scholz ha promesso di arrivare a 12 euro, una cifra che dovrebbe riguardare il 25% dei lavoratori, 10 milioni di tedeschi.

Il salario minimo non esiste in Svezia, Finlandia e Austria, poi Italia e Cipro, nonostante l'Europa chieda che questa misura sia rafforzata: la stessa presidente della commissione europea sta portando avanti una sua battaglia su questo, assieme al commissario europeo al lavoro che emanerà una direttiva sul lavoro per colpire proprio i salari bassi.

“Vogliamo una Europa che tuteli i propri lavoratori, che non faccia dumping” racconta ad Elena Stramentinoli: obiettivo dell'Europa è aumentare la contrattazione collettiva, avere salari più alti, investimenti in formazione.

Ma le associazioni industriali sono contrarie a queste scelte, che invece sono supportate dalla lobby dei sindacati riuniti, la confederazione dei sindacati rappresentata da Luca Visentini.

E in Italia? La proposta del salario minimo non è stata portata avanti dai governi recenti, nemmeno dal movimento 5 stelle.

Per il PD il salario minimo dovrebbe scattare per i lavoratori non coperti dal contratto collettivi nazionale, mentre per il m5s nella sua proposta dovrebbe essere una misura universale.

Per Sinistra Italiana il salario minimo dovrebbe essere fissato a 10 euro, mentre la contrattazione collettiva dovrebbe battersi per salari superiori a questa soglia.

Possibile, non rappresentata in Parlamento, porta avanti la sua proposta sul salario minimo.

Nella destra a favore c'è solo FDI, senza proporre una sua soglia di salario minimo, per non gravare sulle casse di una azienda.

Il ministro Orlando sarebbe anche favorevole, ma con l'accordo di sindacati e confindustria, ma prima vorrebbe rivedere i criteri di rappresentanza dei sindacati, perché ci sono aziende che firmano contratti con sigle sindacali fittizie, si tratta dei contratti pirata di cui si parlava prima, con salari al ribasso.

Si riuscirà ad arrivare al salario minimo in questa legislatura? Difficile, ammette il ministro, ma tutti sanno dei rischi di quanto potrebbe accadere con la somma di inflazione e salari bassi, potrebbe ridursi la domanda interna e questo bloccherebbe la ripresa del paese.

Questo mondo sul lavoro così strappato, parcellizzato, sono causa delle morti sul lavoro: il ministro Orlando vorrebbe applicare una norma al bonus del 110% per verificare che chi sta sui cantieri sia formato per quel lavoro, non avere più muratori improvvisati che per vincere appalti al ribasso non rispettano le regole di sicurezza.

Mattarella nel suo discorso ha detto “mai più morti sul lavoro”: ma c'è una relazione tra precarietà e morti, non sono due fenomeni disgiunti, se vogliamo ridurre i morti dobbiamo ridurre la precarietà.

Come succede nel settore della logistica, dove si rilevano cooperative in appalto o subappalto, persone costrette a lavorare più ore rispetto a quelle del contratto. Persone costrette a subire ricatti se non si piegavano alle richieste dei capi, come succede per esempio nel mondo della logistica.

La logistica non ha conosciuto crisi durante il lockdown eppure queste persone, con contratti part time, sono state trattate peggio delle bestie.

Alcuni di loro sono stati lasciati a casa con un whatsapp, come successo alla Logista: le aziende del settore cercano sempre di pagare meno le persone, niente sindacati, solo cooperative da aprire e chiudere alla bisogna.

Cooperative che prendono personale senza formazione, dove non ti puoi permettere di scioperare e manifestare, di chiedere maggiore sicurezza per il tuo lavoro.

Siamo schiavi e dobbiamo lavorare come macchine” racconta un ragazzo che lavora nella logistica.

Uno di questi, un ragazzo di 22 anni, è morto schiacciato da un camion al terzo giorno di lavoro: aveva ricevuto la sufficiente formazione dall'azienda?

La precarizzazione aumenta il rischio di incidenti sul lavoro, lo certifica anche un rapporto della UIL, sui dati dei primi mesi del 2021, quando abbiamo registrato un infortunio ogni otto ore, una cosa inconcepibile con tutte le tecnologie e le norme sulla sicurezza che abbiamo, ma spesso assenti nei cantieri, dove i controlli dicono che l'80% non rispetta le norme sulla sicurezza.

Il governo, all'indomani dell'incidente di Torino (la gru caduta ammazzando tre operai), ha deciso di assumere mille nuovi ispettori: ma non basta, racconta l’ingegnere della sicurezza Marco Palombarini

Noi abbiamo 1,8 milioni di aziende in Italia e abbiamo circa 3-4mila ispettori del lavoro [sono poco più di 4mila] che si occupano di tutto, non solo dei controlli: è stato calcolato statisticamente che un’azienda può subire un controllo ogni 11 anni e mezzo. Io mi chiedo se dobbiamo affrontare questo oceano infinito pensando che questi poveri ispettori risolvano il problema. Andrebbe ribaltato il discorso, l'imprenditore dovrebbe vedere un vantaggio nell'etica sul lavoro, se sei un'azienda che rispetta le norme sulla sicurezza hai un vantaggio negli appalti.”

E’ una proposta interessante, una sorta di patente a punti o una corsia preferenziale per le aziende che non registrano incidenti e che dimostrano di essere a norma.

I fondi di investimento che controllano le aziende

Basta lavoratori usa e getta, basta risparmiare sulla sicurezza e basta con la finanziarizzazione delle aziende: la fine del blocco dei licenziamenti decisa dal governo Draghi a maggio 2021, ha portato ad una serie di licenziamenti di aziende controllate da fondi di investimenti stranieri.

Come successo alla Gianetti ruote in Brianza: i fondi non puntano se non ad un ritorno immediato dei loro soldi, nessun investimento a lungo termine.

La crisi della Gianetti, di proprietà del fondo Quantum Capital, nasce anche dalla crisi del settore auto: ma è possibile che in Italia le politiche industriali siano decise da un fondo finanziario?

Il fondo Quantum nel 2019 aveva comprato anche uno stabilimento a Brescia dalla Gkn che è rimasto aperto a differenza di quello brianzolo: qui però le persone sono comunque preoccupate per il loro posto, per gli investimenti non fatti e per il loro futuro.

La Gianetti ha chiuso perché i bilanci erano in perdita, per il costo dell'acciaio, perché lo stabilimento era poco produttivo dice la Qauntum che è un fondo di investimenti molto diversificato: il loro mestiere è prendere il buono dalle aziende che acquisiscono (a poco prezzo perché in crisi) e tagliando via quello che non va bene, un taglia e cuci, che porta allo smantellamento delle aziende, spesso in crisi e manda in crisi le persone che ci lavorano.

La politica, nazionale e locale, non ha fatto alcuna moral suasion per scongiurare questi casi: i sindacati della Gianetti avevano espresso i loro timori alla regione Lombardia, temevano che la multinazionale non volesse tenere due stabilimenti nella stessa zona.

Cosa che poi si è verificata coi 152 licenziamenti. Una sconfitta delle istituzioni, di fronte ad una multinazionale che lascia a casa le persone con una mail o con un sms.

Come ci si difende dall'attacco della finanza?

Dal 2015 al 2020 si sono contate 80 operazioni in cui fondi di private equity sono subentrati alla proprietà di aziende: molti di questi casi si sono conclusi male, con licenziamenti o chiusure.

Come è successo alla GKN: il fondo si chiama Melrose industries, che ha come obiettivi aziendali “compra, ristruttura e vendi”. Quello che per le persone è un massacro sociale è un investimento da far fruttare per il fondo.

A Ceriano per la Gianetti, come alla GKN di Campi Bisenzio è emerso il vero volto della finanza che sta dietro a parte del mondo dell’industria: non si guarda più all’economia reale, cioè l’investimento per far crescere il rapporto che esiste tra soldi e produzione – spiega a Presadiretta Anna Maria Romano di Finance Watch – ma semplicemente fra soldi e soldi.

Si passa da quella che era la tradizionale equazione denaro – merce - denaro ad un’equazione completamente differente che significa denaro – denaro – denaro.”

Obiettivo di Melrose non è migliorare industrialmente un'azienda come la GKN: siccome l'azienda era in crisi, si sono tagliati i costi, pur di mantenere il profitto e garantire i dividendi agli azionisti, “operazioni difficili ma necessarie”, ammette il fondo in un suo rapporto.

Lo studio legale Lablaw che ha assistito la GKN, ha pure vinto un premio: un suo avvocato si è permesso pure di usare un'espressione quantomeno inopportuna contro chi ha sollevato critiche, definendoli “rosiconi”.

Eppure c'erano stati accordi alla GKN dove non si parlava di licenziamenti, c'era stato un trimestre positivo, forse c'era una possibilità di reindustrializzare lo stabilimento.

Ma l'avvocato non lo sa, lui ha fatto il suo lavoro.

Il governo avrebbe potuto fare di più contro queste situazioni?

Le multinazionali non si fermano con dei decreti, racconta il nuovo imprenditore che sta riprendendo gli stabilimenti di Campo Bisenzio: non le fermi con la forza ma con l'intelligenza.

Nel decreto anti delocalizzazione sono presenti norme che prevedono delle sanzioni per le aziende che licenziano senza un minimo di preavviso, che non fanno tavoli.

La politica industriale fatta dal governo dovrebbe incentivare i buoni investimenti, in settori realmente produttivi, legati alle rinnovabili e non a settori decotti.

Ma c’è un altro modo di fare impresa

Nei Paesi Baschi Presadiretta è andata ad incontrare la Mondragon corporation, una prima esperienza di democrazia industriale, che parte dalla scuola, dalla formazione, per un modello di impresa a misura d'uomo, con cooperative gestite in modo efficiente e rapido come le più grandi multinazionali al mondo.

Sono cooperative dove i dipendenti sono proprietari della fabbrica, dove non importa il profitto a breve perché vogliono lasciare qualcosa di importante alle future generazioni.

Solidarietà e innovazione, investimenti per nuovi prodotti e una forte attenzione a mantenere basso il gap salariale tra manager e operai (massimo 1 a 6).