08 febbraio 2022

Presadiretta – il sistema università

Ritorna Presadiretta con un lungo reportage lungo l'Italia tra i lavoratori della conoscenza, dentro le università italiane, partendo dalla domanda su come siano scelte le persone dentro questo mondo, che dovrebbe preparare la nostra classe dirigente. Prevale il merito o la raccomandazione?

E' un tema che ci interessa da vicino perché parliamo di persone che prenderanno decisioni ai vertici della sanità, pubblica amministrazione, impresa privata.

Con i concorsi pubblici si selezionano i migliori o solo quelli che si sapeva prima che avrebbero vinto?

A Siracusa lavora il professor Scirè, laureato a Firenze e poi trasferito in Sicilia dove dieci anni fa decise di partecipare ad un bando per un concorso di professore di storia, poi vinto da una architetto con meno titoli.

Scirè ha fatto allora accesso agli atti e ha successivamente vinto i ricorsi al TAR, ma l'università di Catania non ha dato seguito alle sentenze, confermando l'architetto alla cattedra di storia contemporanea.

Nemmeno la sentenza del tribunale penale di primo grado, che sentenzia l'abuso della commissione del concorso, ha smosso le acque. I tre commissari sono stati condannati per abuso d'ufficio, ma continuano ad insegnare.

A pochi passi dall'università c'è il convento dei Benedettini, capolavoro del Barocco: è stato restaurato dall'università dove avrebbe dovuto lavorare il professore Scirè.

Che oggi lavora con un contrattino: il rettore Priolo non ha impugnato la sentenza, così oggi dopo dieci anni, l'università ha assunto Scirè con un contratto per due anni.

Ma Scirè ha fondato una associazione “Trasparenza e merito” che si batte contro i concorsi truccati, da nord a sud.

C'è un metodo che denota una mancanza di etica pubblica – commenta Iacona in studio: un metodo emerso anche a Catania, dove la procura ha mandato a processo due ex rettori per un altro sistema di concorsi truccati, non solo pochi casi. Un sistema che premiava non i migliori, ma chi tra i candidati, apparteneva ad un certo gruppo di potere.

L'indagine della Digos di Catania si chiama Università bandita, si accusano ex rettori e docenti di aver truccato concorsi, con sistemi “squallidi”, secondo il procuratore Zuccaro, si usano sistemi di intimidazione mafiosi per combattere gli outsider.

Si costruivano cioè concorsi su misura per candidati già scelti da questo sistema: Lucia Malaguarnera era una professoressa che aveva più anzianità rispetto al candidato prescelto, Massimo Libra, il candidato che doveva vincere. Le viene consigliato di ritirare la domanda per il concorso, ma la Malaguarnera non recede e così viene convocata dal rettore dell'ateneo e del dipartimento i quali propongono alla dottoressa uno scambio. Rinunciare alla candidatura al concorso in cambio di un futuro concorso preparato su misura per lei.

Un concorso ad articolo 24, solo per interni, dove si sa già chi vince: ma la dottoressa ha scelto di dire no, perché era la cosa sbagliata.

Alla fine la Malaguarnera ha perso il concorso, vinto da Libra e scattano contro di lei le ritorsioni per non essersi adeguata: la sua chiamata ad ordinario sarà l'ultima per ordine di tempo, perché lei non aveva ubbidito.

Quando uscì l'inchiesta sui giornali nessuno dei colleghi ha avuto voglia di parlarne: c'è ancora paura all'interno dell'ateneo.

L'inchiesta Università bandita è partita da esposti e denunce del ricercatore Lucio Maggio, su appalti fatti non secondo le regole: dalle indagini emerge il sistema, carriere costruite a tavolino, ritorsioni contro chi non rispetta il sistema.

Anche l'economista Anna La Bruna ha avuto a che fare con Catania: qui arriva come ricercatrice a tempo indeterminato, ma la sua carriera si blocca.

Perché le designazioni di chi doveva fare carriera erano decise prima, tra i protetti dei baroni. Nonostante le sentenze del TAR e della Corte dei Conti, per nomine fatte senza rispetto delle regole.

La dottoressa è stata fottuta coscientemente – dicono le intercettazioni dei docenti che “apparecchiano” i concorsi. Persone che parlano con turpiloquio, non da persone che dovrebbero formare i ragazzi, portare conoscenza.

Persone che selezionano in base all'appartenenza ad un clan, non per merito e così da Catania se ne stanno andando molti studenti, da una università che nemmeno si è costituita parte civile al processo, processo che poi non ha portato alcun dibattito all'interno della società civile.

Su Catania aveva fatto diversi articoli Sud Press, diretto da Pierluigi Di Rosa: il giornalista ha subito ritorsioni per il suo lavoro, una sua parente che lavorava in università è stata licenziata.

“Alla fine c'è una élite di famiglie ..[da sistemare]” dice nelle intercettazioni l'ex rettore: una élite che è destinata a comandare nella città, assumendo familiari e amici e abbassando il livello di qualità dell'ateneo e della città stessa.

L'ex rettore Recca, oggi pensionato, si sente di chiedere scusa alla città, per i suoi concorsi apparecchiati. Ma il nuovo rettore Priolo, che dovrebbe gestire in discontinuità l'ateneo, non si è costituito parte civile: l'importante è arrivare a regole certe su bandi per i concorsi – si giustifica.

Concorsi fatti per una visione strategica e non su misura per i “pupilli” dei baroni: persone che oggi hanno ruoli di comando nell'università, non potranno essere spostati.

A Catania sono veramente cambiate le cose? Presadiretta ha analizzato, a partire dall'agosto 2019, i 185 concorsi per ordinari e associati banditi: sono in maggior parte rivolti a candidati interni, quei pochi aperti all'esterno hanno sempre visto vincere sempre un candidato locale.

Non è cambiato nulla a Catania, fare concorsi in questa università è inutile – ammette l'ex rettore Recca, sarebbero da abolire.

“I candidati che vengono da fuori non hanno chance...”

Così l'università muore, non solo a Catania.

A Roma, a Tor Vergata, l'ex rettore Novelli è oggi a processo, con accuse gravi: in una intercettazione contro un ricercatore che aveva impugnato una nomina dopo un concorso, risponde “lei qui non sarà mai professore, si trovi un'altra università .. ”

Ma secondo i suoi avvocati è stato il ricercatore a minacciare il rettore: Gruner aveva fatto ricorso contro l'università perché nel 2014 aveva scoperto che a Tor Vergata si diventava professori anche senza nessun concorso, senza nessun bando.

Gruner scopre che nell'ateneo esiste una norma, un regolamento, per scegliersi un candidato che si voleva: così fa ricorso contro questo regolamento e il Consiglio di Stato la annulla.

Alfonso Troisi – professore associato di psichiatria presso l'università di Tor Vergata - ha al suo attivo 3 libri e 250 pubblicazioni e nel 2021 è stato inserito tra i centomila scienziati con maggiore produttività scientifica: quando c'è stato il concorso per passare da associato a professore ordinario, tutta questa competenza scientifica non è servita a nulla.

Il vero meccanismo di arruolamento è la cooptazione, cioè l'idea che l'appartenenza ad un certo gruppo, la fedeltà a questo gruppo, comporti dei titoli di merito che vanno ben oltre la produttività scientifica ” racconta a Presadiretta: quello che conta è la fedeltà al clan.

Se sei fuori dal sistema, ogni possibilità di carriera, di ricevere promozioni viene ostacolata: chi sta dentro viene invece aiutato, il suo nome viene inserito nelle pubblicazioni per far sì che il suo indice H Index possa migliorare, finendo “dopato”.

Chieti - università cittadina: al campus di Pescara della Gabriele D'Annunzio Iacona ha incontrato Agnese Rapposelli, ricercatrice a tempo determinato, dopo dieci anni di precariato e dopo tanti ricorsi che ha sempre vinto.

Aveva fatto ricorso contro i concorsi in cui era stata bocciata, dove (dicono le sentenze) le avevano fatto di tutto pur di farla perdere e far vincere il concorrente.

Ma la Rapposelli continua a far ricorsi, nella solitudine da parte dei colleghi le dicevano “te la faranno pagare”: è rimasta sola in questa guerra, all'interno del suo ateneo: l'aspetto più paradossale è che nostante la sentenza del TAR per un nuovo concorso, questo non si è riuscito a bandire perché tutti i professori scelti hanno declinato l'invito a venire a Pescara.

Il professor Benedetti, del dipartimento della Rappuselli, in un audio registrato dalla ricercatrice glielo dice in faccia: puoi fare ricorsi, oppure accetti che io faccia un concorso su misura per te e entri nel sistema.

Il dipartimento non ha ancora deciso di prendere una posizione contro il professor Benedetti, nemmeno un provvedimento disciplinare.

Il rettore Caputi, nonostante tutto quanto sia successo, considera la Rappuselli una che fa ricorsi in modo seriale: non accettano, i rettori, che sia la magistratura a sostituirsi a loro, per la nomina dei docenti.

Tutti vorrebbero fare come si fa in America, con la nomina diretta dei collaboratori, abolendo i concorsi.

Ma qui siamo sempre in Italia: a Firenze con l'indagine “chiamata alla armi” sono finiti a processo il gotha dei professori tributari in Italia.

L'indagine è nata dalla denuncia nel 2013 di Philip Laroma Jezzi, allora ricercatore: nove anni fa decise di partecipare ad un concorso per l'abilitazione, scoprendo che esisteva una lista di candidati da far vincere.

I vincitori erano già stati selezionati e il suo nome non era presente: “tu non entri nel patto”, risponde il professore di diritto tributario, “nell'ottica del do ut des”.

Un vile commercio di posti, e se fai ricorso, ti giochi la carriera.

Philip Laroma pur essendo bravo, non può candidarsi, perché avrebbe messo a rischio le nomine dei prescelti, con meno titoli.

Un sistema feudale, altro meritocrazia: i concorsi sono una buffonata, seguono logiche spartitorie, così Laroma porta la registrazione dell'incontro col suo professore alla Procura.

C'erano due associazioni di diritto tributario, che facevano capo a due professori: facevano tutte le pressioni possibili affinché le abilitazioni arrivassero ai loro associati.

Tutto pur di arrivare al titolo di professore avvocato: un titolo di prestigio che dietro però non ha alcun valore, alcun merito.

Un sistema mafioso: Philip Laroma non ha dubbi, così procedendo si sta perdendo di prestigio, così i migliori, quelli senza “maestro”, senza “padrino” vanno all'estero.

Gli italiani all'estero.

Iacona è andato a Maastricht, all'università che ha attratto docenti e studenti da tutta l'Europa, non solo nei paesi Bassi.

Qui insegna il professor Sandro Gelsomino in cardiochirurgia: con le sue denunce aveva mandato a processo i vertici dell'università e i vertici della ASL, che avrebbero bloccato la sua nomina a primario, al posto di un altro candidato che aveva meno titoli.

Questa persona non aveva curriculum, non come quello di Gelsomino: ma a Maastricht l'hanno assunto come professor ordinario, dove ha portato avanti i suoi studi, dando lustro al suo dipartimento, come un nuovo brevetto per una nuova tecnica per operazioni al cuore.

Ma qui si lavora per sostituire le vene di pazienti, per curare il cuore con cerotti intelligenti: l'istituto, quando attira i migliori, sforna lavori di ricerca all'avanguardia, attira competenze e anche soldi dallo Stato e dall'Europa.

Con Gelsomino lavora la dottoressa Mariaelena Occhipinti, capo medico alla Radiomics: lavorano ad una nuova frontiera della scienza medica, per un progetto che inizialmente la Occhipinti aveva presentato a Firenze, dove però era fuori dal sistema, così decise di andarsene via.

Perché se il merito non vale più, in questo paese, è il paese che è a rischio.

Dopo Maastricht, Iacona è andato a Berlino, per incontrare altri professori e ricercatori italiani, come quelli che oggi lavorano all'università Humboldt, dove sono passati giganti del pensiero: il suo centro di ricerca non è più nel centro di Berlino ma in un quartiere periferico dove troviamo gli incubatori delle startup.

Perché i laureati in Germania sono assunti come ricercatori anche dall'azienda privata, senza essere costretti di andare nel pubblico.

La guida in questo tour a Berlino è Caterina Cocchi che a 36 anni è professoressa ordinaria nella università di Oldemburg, con un concorso pubblicato perfino sui giornali locali, con un bando pubblicato sia in lingua tedesca che inglese.

Il concorso della Rocchi era un concorso vero: ha presentato la sua ricerca, ha fatto una prova di lezione, è stata sentita dalla commissione. E alla fine è stata scelta lei.

La commissione ha scelto lei, la migliore, che veniva da fuori e che portava pubblicazioni nuove per nuovi spunti di ricerca.

Alessandro Foti è un altro italiano che oggi lavora in un campus della Humboldt, alla Charitè.

Al Max Planck sta studiando il sistema immunitario, hanno scoperto che le cellule neutrofile per combattere le infezioni usano il loro stesso DNA, per intrappolare i batteri.

Mentre liberano il DNA si stanno suicidando, pur di salvare l'organismo, come una supernova.

Foti studia come fanno le cellule a “suicidarsi”, l'obiettivo è trovare il modo di combattere i virus e le infezioni, un tema importante oggi con la pandemia.

Sono tutte ricerche finanziate dal pubblico, tutti e senza ritardi: il governo tedesco spende ogni anno 47 miliardi, contro i 13 spesi dall'Italia, la Germania spende il 2,1% del PIL in ricerca e sviluppo, mentre l'Italia poco più dell'1%. Questo spiega il ritardo nei vaccini, per esempi, ma paradossalmente è un bene perché in Italia i soldi della ricerca finirebbero nelle mani delle persone del clan dentro gli atenei.

In Germania esistono anche ricercatori a tempo indeterminato, come Chiara Romagnani: anche lei lavora alle malattie degenerative, infiammatorie.

Anche lei lavora grazie ai finanziamenti pubblici che arrivano se si ha un'idea buona: le persone di talento portano idee buone e dunque progetti buoni cioè soldi, per questo in Germania non cooptano dei cretini e dei raccomandati.

Quanti Alessandro Foti, quante Chiara Romagnani, quante Caterina Rocchi ci stiamo perdendo oggi in Italia?

E quanta fatica fanno i docenti italiani, i ricercatori italiani, quelli che vogliono fare bene il loro lavoro: che conseguenze abbiamo per questo sistema di cooptazione per clan?

I professori Gallina e Porfirio a Firenze, analizzando i concorsi banditi dalle università toscane, parlano di asfissia del sistema, un sistema senza mobilità, con concorsi dove si presentavano uno o al massimo due candidati.

A Siena il professor Baccini, tra i fondatori dell'associazione ROARS, ha analizzato il sistema di reclutamento in Italia: lo strapotere di pochi ordinari e di regole che danno poteri a pochi sta uccidendo l'università rendendo i concorsi illegali.

Le pubblicazioni dei candidati che poi hanno vinto i concorsi sono “dopate”, perché autoreferenziali, si citano solo ricercatori italiani, gonfiando così i loro H-Index.

Tutto questo è un male per la ricerca italiana perché si tolgono di mezzo le idee innovative.

Iacona è andato a sentire anche Giovanni Abramo, direttore dell'IASI al CNR: qui ha analizzato i criteri di valutazione nei concorsi italiani sollevando diversi problemi. Racconta al giornalista che “è inaudito sommare le citazioni, come si fa in Italia” per dare i punteggi ai concorsi, costruiti per favorire i candidati nella stessa università, specie se è la stessa del presidente della commissione.

Un sistema asfittico che strozza la ricerca: il commissario dovrebbe scegliere il candidato come se scegliesse il chirurgo che opera la persona più cara, “perché noi siamo servitori dello Stato, dobbiamo fare gli interessi del paese, della società, dobbiamo scegliere i migliori, non dobbiamo scegliere chi ci fa comodo.”

Cosa dice la ministra Messa, che è stata rettrice alla Bicocca a Milano?

Bisognerebbe togliere i concorsi a soli interni – sostiene la ministra – ma in Parlamento ci sono delle remore, molti politici hanno interesse a mantenere questo sistema.

Hanno aumentato fondi per i ricercatori, il fondo che finanzia l'università è stato rinforzato, stimolare le competizioni aperte, la ministra vorrebbe togliere anche il concorso per le abilitazioni all'insegnamento.

L'università deve tornare al centro della politica: la ministra vorrebbe istituire un tavolo aperto ai docenti, alla magistratura, ai ricercatori, per capire come cambiare strada.

Nessun commento: