14 febbraio 2022

Anteprima Presadiretta – per un salario minimo

Alessio è un ragazzo milanese che lavora (o lavorava, forse) in un ristorante. La scorsa settimana, l’ennesimo insulto da parte di un cliente ha fatto da detonatore: ha deciso di andare mostrare e sfogare l’esasperazione sul lavoro direttamente a San Siro, con un’invasione poi placcata in modo aggressivo dagli steward.

Perché il mondo del lavoro oggi in Italia è anche questo: non c’è un posto dove denunciare gli abusi, le situazioni di sfruttamento, o quanto meno il percepito da parte delle persone è questo.

L’Italia, recita la Costituzione all’articolo 1, è una Repubblica fondata sul lavoro: ma è anche il paese dove, secondo i dati dell’Inail, da gennaio a dicembre 2021 ci sono stati 1221 infortuni mortali sul lavoro, una media di 3 al giorno, uno ogni 8 ore.
Racconta a Presadiretta l’ingegnere della sicurezza Marco Palombarini che sul lavoro negli ultimi 15 anni sono morte 15mila persone e negli ultimi 30 anni i dati non sono migliorati, si parla di 50mila morti, ci sono poi i morti non conteggiati nelle statistiche Inail, abbiamo i morti per le malattie professionali, che sono altrettanti, ci sono centinaia di migliaia di infortuni gravissimi. Una strage.

“Noi abbiamo 1,8 milioni di aziende in Italia e abbiamo circa 3-4mila ispettori del lavoro [sono poco più di 4mila] che si occupano di tutto, non solo dei controlli: è stato calcolato statisticamente che un’azienda può subire un controllo ogni 11 anni e mezzo. Io mi chiedo se dobbiamo affrontare questo oceano infinito pensando che questi poveri ispettori risolvano il problema.”

Aveva fatto scalpore, per la sua giovane età, la morte di Luana D’Orazio, stritolata dentro un macchinario dell’azienda tessile dove lavorava a cui, per massimizzare la produzione, erano stati bloccati i meccanismi di sicurezza. Con quei meccanismi attivi, cioè, Luana sarebbe ancora viva: “non ci devono essere altre Luana” racconta a Presadiretta la madre “la gente che incontro e che lavora in queste fabbriche mi dicono ‘ma qui è stato sempre così’.”

Le morti sono inaccettabili: siamo tutti d’accordo, è un tema che è stato toccato perfino dal presidente rieletto Mattarella nel suo discorso alle Camere riunite: “dignità è azzerare le morti sul lavoro.”

A morire di più sono i lavoratori a tempo determinato, quelli che lavorano nei subappalti: dietro ogni morte, ci dice il conduttore Iacona, c’è la perdita del valore e del significato del lavoro. E anche il fatto che il lavoro sia l’unica variabile con cui si fa la competizione commerciale nel mondo intero, lavorare di più, senza contratti, senza sicurezza è anche pagati di meno.

Uno scandalo per un paese che pretende di essere l’ottava economia al mondo.

Ma il mondo del lavoro oggi, nei mesi in cui la politica, il governo, raccontano di un’uscita dalla pandemia, c’è anche il problema dei licenziamenti “selvaggi”, ovvero quelli dove si spersonalizza il rapporto umano tra dirigenti, proprietari e forza lavoro, cioè persone.

Succede questo perché si è finanziarizzata l’impresa, mettendole dentro fondi speculativi che si preoccupano dell’ora e adesso e non possono aspettare tempi migliori.

Come successo allo stabilimento di Ceriano (MB) della Gianetti Ruote, ceduto al fondo tedesco Quantum Capital, che in tre anni hanno affondato la Gianetti.

Oggi lo stabilimento è chiuso, i suoi dipendenti sono stati lasciati soli, abbandonati, lasciati a casa con una mail: “vuol dire che il valore del loro lavoro non vale più” è il commento del delegato Fiom CGIL Pietro Occhiuto.

A Ceriano per la Gianetti, come alla GKN di Campi Bisenzio è emerso il vero volto della finanza che sta dietro a parte del mondo dell’industria: non guarda più all’economia reale, cioè l’investimento per far crescere il rapporto che esiste tra soldi e produzione – spiega a Presadiretta Anna Maria Romano di Finance Watch – ma semplicemente fra soldi e soldi.

“Si passa da quella che era la tradizionale equazione denaro – merce - denaro ad un’equazione completamente differente che significa denaro – denaro – denaro.”

La finanziarizzazione ha portato anche, come altro effetto collaterale, al fatto che l’Italia è l’unico paese OCSE dove i salari sono diminuiti in questi anni. Salari da fame, anche per lavori qualificati: vi ricordate quando Calenda, da ministro, si vantava del fatto che gli ingegneri italiani costassero meno dei colleghi europei? Una gaffe l’aveva definita Repubblica, ma quella del ministro del governo renzi era una chiara strategia comunicativa nonché una chiara visione politica di quello che doveva essere il mondo del lavoro moderno.

Il far west dei contratti, i salari bassi, l’assenza di un salario minimo.


Presadiretta ha intervistato la ricercatrice Marta Fana, autrice di un saggio “Basta salari da fame”: ai giornalisti racconta di come, in questi anni, il mondo del lavoro sia stato destrutturato da tante riforme del lavoro (dalla riforma Treu, alla Legge Biagi del governo Berlusconi, per passare alla riforma Fornero al Jobs Act di Renzi): si tratta di riforme che “hanno svalutato sia i diritti e la stabilità lavorativa ma hanno anche trasformato i lavoratori in un costo variabile, da assumere per poco tempo per farli cambiare quando c’è domanda e dismetterli man mano che la domanda calava. Questo ha fatto sì che abbiamo un tessuto sociale sempre più vulnerabile, ma anche più povero. ”

I dati elaborati dall’OCSE parlano chiaro: dappertutto i salari sono cresciuti, in alcuni paesi come Lituania, Estonia e Lettonia anche del 200%, persino in Grecia sono cresciuti del 20%, nonostante il default del 2008. L’unico paese dove le paghe hanno avuto una flessione è l’Italia, col -2,9%. I nostri lavoratori sono diventati più poveri.

Questo è il paese dove le persone, con contratti regolari, con tanto di laurea, guadagnano 5 - 6 euro all’ora: se i salari sono avari, abbondiamo in numero di contratti, al CNEL ne sono registrati ben 985. Molto sono “contratti pirata” che servono alle imprese che li applicano per avere un vantaggio pagando salari più bassi, col risultato di avere, sempre in Italia, un terzo dei lavoratori sono da considerare “lavoratori poveri”: sono i dati ISTAT a dirlo, 5 milioni di persone che guadagnano meno di 10mila euro l’anno, vuol dire uno stipendio medio di appena 830 euro al mese.

Sono stipendi con cui non si riesce a vivere, non si riesce a farsi una vita propria, lontano dai genitori.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.


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