Medici, infermieri, personale del 118, volontari.
E poi, vigili del fuoco, agenti di polizia, dei carabinieri.
E, ancora, commesse, insegnanti (comprese quelle di sostegno) e tutto il personale che fa andare avanti le scuole.
I conducenti di bus, dei tram, della metropolitana.
Quelli che vanno nei campi a raccogliere la frutta e la verdura, per la gioia del ministro Bellanova.
Quelli che sono stati chiamati eroi.
Fino a che conveniva alla narrazione emozionale, nelle settimane del lockdown e delle chiusure.
E ora?
Ora siamo alla fase per cui, scampato il pericolo (o la sua percezione) si avvicina la resa dei conti.
La manifestazione romana (e milanese) della nostra destra.
Il batter cassa al governo da parte di Confindustria, contraria ai soldi a pioggia e e ai sussidi (ma anche il taglio dell'Irap è stato fatto a tutti), perché solo le aziende private creano lavoro (e non è vero).
Oggi si torna a parlare con parole vecchie, che non vorremmo sentire più.
Grandi opere, condoni, il ponte sullo stretto.
L'elezione diretta del premier (il sindaco d'Italia era il cavallo di battaglia di Renzi prima della pandemia).
Non avremmo dovuto cambiare il paese, correggere gli errori che ci hanno portato all'emergenza, nella sanità, nell'insegnamento, nel mondo del lavoro, nella tutela dell'ambiente e dell'aria (quante persone ogni anno muoiono a causa dell'inquinamento)?
E gli eroi?
Presa una medaglia dal capo della Stato, abbiamo archiviato tutto.
Non siamo alla fase tre, abbiamo solo fatto finta che non ci fosse stata la tragedia che abbiamo toccato con mano.
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