01 giugno 2020

Le anteprime di Report – la Campania di De Luca e la fibra che manca


Sempre legate al tema del corona virus le inchieste di questa sera
- la Campania è pronta a gestire un'emergenza Covid? Cosa è stato fatto dal governatore sceriffo?
- cos'ha fatto fino ad oggi Open Fiber per cablare l'Italia
- come si procurano le mascherine i senatori

L'anteprima dovrebbe essere dedicata all'arte contemporanea, con un servizio di Chiara De Luca: un mondo fatto di gallerie, esposizioni ed eventi in mano agli esperti di marketing, dove non ci capisce bene dove finisca il marketing e dove inizi la vera arte.

La scheda del servizio: ART-ATTACK di Chiara De Luca
Il mercato dell'arte contemporanea negli ultimi decenni ha avuto una crescita esponenziale. Un sistema fatto di gallerie, case d'asta, esposizioni e fiere. Un marketing sfrenato attraverso cui si modella la figura dell'artista che diventa egli stesso parte integrante dell'opera e che in molti casi travalica l'opera stessa. Da qui deriva una mutazione del concetto di valore dell'opera che viene completamente stravolto e spesso il valore commerciale finisce per pagare molto più del valore artistico.


La sanità in Campania


Fino ad oggi ha contenuto gli effetti del Coronavirus, ma quella di De Luca (secondo classificato tra i presidenti di regione per gradimento) è vera gloria?
Come in Lombardia e in altre regioni, anche la Campania ha dovuto creare reparti ad hoc per il Covid: ad aprile 57 tir hanno portato da Padova il materiale per costruire il reparto Covid presso l'Ospedale di Mare a Napoli, la grande scommessa della giunta De Luca su cui ha investito economicamente (per quasi 8ml di euro) e anche in termini di immagine, presentandolo come un'opera titanica costruita a tempi di record seconda solo all'ospedale costruito in Cina a Wuhan.
Tanto di telecamere inquadravano il procedere dei lavori sul cantiere, che ha portato a 72 posti di terapia intensiva dentro i container posti nel parcheggio dell'ospedale.
Racconta Federico Ruffo che l'opera titanica quando viene presentata alla stampa rischia già di essere inutile, perché i pazienti ormai scarseggiano (era stata pensata con una programmazione vecchia di 40 giorni), ma forse è meglio che non sia servita.
Il giornalista ha incontrato un infermiere dell'Ospedale di Mare che ha preferito rimanere in incognito: nella nuova struttura c'è un solo bagno per 12 pazienti, unico e questo è un rischio per i pazienti che così possono contagiarsi; non è prevista una zona per eventuali decessi e medici e infermieri non hanno idea di come comportarsi. La sala mortuaria più vicina è l'ospedale, per arrivarci si deve attraversa un ponte che porta dalla palazzina dell'amministrazione all'ospedale.
Alla fine, i posti di terapia intensiva non sono nemmeno 72, ma sono stati ridotti a 48 e non si sa quanti ne andranno in funzione effettivamente – conclude l'infermiere.

Report è entrata dentro la struttura titanica, per mostrare i 32 posti letto: costo medio 250mila euro a letto.
Forse questa struttura non era necessaria: dopo anni di lavori (e 370 ml di spese), all'interno dell'Ospedale del Mare ci sono due interi piani non utilizzati, reparti mai entrati in funzione.
Questi reparti potevano essere usati per la terapia intensiva – sostiene l'infermiere intervistato dal giornalista. L'ospedale del Mare non è l'unico della Asl Napoli 1 le cui terapie intensive rischiano di rimanere vuote: il Loreto Mare è stato uno dei primi ad essere attrezzato, il 24 marzo proprio il direttore della Asl mostrava a De Luca e al suo consigliere alla sanità Coscioni i nuovi dieci posti Covid (poi diventati venti).
A fine aprile, al Loreto Mare quasi zero pazienti, corridoi vuoti, letti vuoti fotografati dai medici rimasti.
Perché c'è anche un problema di carenza di personale: Pierino di Silverio, responsabile nazionale Anaao, si chiedeva come si pensava di riempire le nuove strutture, quando mancano medici, al momento il personale è preso da altri presidi già in carenza, come un gioco delle tre carte.
Dal 27 aprile il nuovo ospedale Covid ha ospitato 6 pazienti che, al 5 maggio, erano ridotti a uno solo.

Federico Ruffo è andato Salerno, nel feudo di De Luca, ad intervistare Luigi Greco, considerato uno dei maggiori infettivologi in Italia: quando in piena emergenza all'ospedale Ruggi si accorgono che devono creare da zero il reparto Covid lo richiamano dalla pensione. Era l'inizio di marzo e all'ospedale stavano approntando tre sezioni per il Covid nel reparto dove aveva lavorato: “siamo riusciti a far sì che i malati che arrivavano, con delle polmoniti, riuscivamo a stabilizzarli ed evitare che andassero in terapia intensiva” racconta il medico.

Subito prima di Pasqua viene deciso il trasferimento in 48h di tutto il reparto Covid: medici, infermieri e pnazienti infetti dovevano spostarsi di 5km presso il complesso di San Giovanni da Procida.
“Non c'era Pronto Soccorso, c'erano solo due rianimatori, senza avere la rianimazione, la radiologia che chiudeva la sera: da qui è partita la mia protesta, come fate in un momento come questo, in cui c'è un'emergenza infettiva, a fare una cosa così assurda come chiudere il reparto di malattia infettiva?”.
Spostare un malato Covid lo espone ad altri rischi, lui e medici e infermieri coinvolti nello spostamento: Greco ha scritto una lettera dove ha contestato questa decisione, con affermazioni gravi: “scrivo che una direzione sanitaria che dovrebbe capirne di malattie infettive che accetta un fatto del genere è unfitted, in inglese significa inidoneo”.
La lettera è stata mandata a tutti i colleghi, è diventata pubblica: “l'attitudine a prendere gente inidonea a comandare deve finire, perché non può essere che tu scegli da politico, colui che ti serve a te, ma non serve alla sanità. Mi dicono che il direttore amministrativo dell'ospedale mi doveva parlare: in un lungo giro di parole mi spiega che il direttore sanitario, il direttore generale non approvavano le mie contestazioni, al che io ho risposto 'Lei non è medico, se fosse medico le potrei spiegare che cosa è successo.. lei è un amministrativo e come amministrativo deve prendere un provvedimento, mi deve licenziare'.”
Dopo qualche ora a Ferro arriva una telefonata di una impiegata che, dispiaciuta, comunica il licenziamento: “licenziato? Ma che vuol dire? Io sono pensionato..”

L'inchiesta si occuperà anche di un episodio che riguarda il direttore della Asl 1, Verdoliva: secondi i pm di Napoli l'azienda che si occupa della manutenzione di un ospedale avrebbe svolto lavori di ristrutturazione gratis presso la sua abitazione.

La scheda del servizio: Lo sceriffo si è fermato a Eboli di Federico Ruffo
In Campania Covid-19 sembra essere stato ormai debellato, grazie alla politica di tolleranza zero dello “sceriffo” Vincenzo De Luca. E infatti il governatore durante l’emergenza ha visto schizzare alle stelle il suo consenso e i suoi numeri sui social, con le nuove elezioni regionali all’orizzonte. Ma fu vera gloria? E come è stata gestita l’emergenza? Il viaggio di Report nella sanità campana racconta di inefficienze pubbliche e vantaggi privati.

L'Italia senza fibra

Non sono le infrastrutture in cemento che mancano a questo paese, specie al sud: quello che manca è anche una vera rete in fibra che consenta alla maggior parte delle famiglie un accesso ad internet con una banda dignitosa: è un'esigenza che è venuta fuori soprattutto oggi quando, per il Covid, le famiglie italiane sono rimaste a casa e dove la rete ha consentito ai ragazzi di fare lezione, ai genitori di lavorare (per chi ha lo smart working) e a tutti di rimanere informati.

Borgo di Avenale è un borgo in provincia di Macerata che fa circa 300 abitanti: qui Leonardo, studente di Biologia ha preparato un esame durante il lockdown.
“Qua non arriva nemmeno la rete mobile, non arriva per telefonare, figuriamoci per internet” spiega a Report lo studente: grazie ad un'antenna Wifi riesce a collegarsi in rete, ma solo se c'è bel tempo, arrivando ad una velocità di 4Mb/s.
“Siamo meteodipendenti per quanto riguarda la connessione internet”: così, nel mentre dell'interrogatorio via Skype, a Leonardo è andata giù la rete e l'esame è stato rimandato.


Open Fiber, una società partecipata anche da Enel, ha vinto la gara per cablare tutto il paese: il suo presidente, Franco Bassanini, a radio radicale aveva garantito che la fibra sarebbe arrivata fino alle case (tramite i ROE, ripetitori ottici di edificio, a cui poi gli utenti si allacciano), con performance garantite fino ad 1GB, serve olio d'oliva al 100% era la metafora usata nella presentazione del progetto.
Ma ad oggi ancora molti italiani non sono coperti: i ripetitori sono stati installati, ma poi le persone devono allacciarsi singolarmente con un costo che Open Fiber scarica sugli operatori di rete che, a loro volta, possono scaricare sugli utenti.
A spiegarlo a Report è proprio un operatore telefonico che si serve di Open Fiber, Lorenzo De Lorenzi AD di Fibra City: “non c'è nessuna ragione per chiedere un costo aggiuntivo all'operatore o al cliente e non è un progetto corretto per quello che dovrebbe essere la copertura FTTH”.
La fibra dovrebbe cioè arrivate a casa, non al pozzetto a cinquanta metri: Open Fiber la fibra la lascia in un tombino. Per portarla a casa il costo medio è tra i 350 e i 400 euro, spiega Maurizio Decina, esperto di Telecomunicazioni, “se mi aggiudico un bando di gara da 1,5 miliardi, per cablare 10 milioni di abitazioni, il costo medio dovrebbe essere in teoria di 150 euro, non 400, hanno sottostimato di un fattore 3.”

Penna in Teverina è uno dei primo comuni umbri serviti da Open Fiber: a distanza di mesi solo il comune è stato cablato, con il Roe posizionato direttamente nel palazzo, ma alla fine dei lavori hanno avuto una sopresa.

Dallo scatolotto non esce nessun segnale e dunque il comune non è riuscito a fare nessun contratto con alcun operatore. Negli altri punti del comune, per ogni nuova richiesta di allaccio si è dovuto bucare la strada, lasciando per terra i segni dei lavori.

Dopo cinque anni di annunci, la gara pubblica per raggiungere anche le aree dimenticate dai privati ha stimolato Telecom ad investire anche se poi è stata multata dall'Antitrust per aver ostacolato Open Fiber nello sviluppo della fibra.
Luca Chianca ha intervistato Luigi Gubitosi merito a questa multa da 160 ml: “sono molto convinto che sia stato ingiusto, anche perché non mi è chiaro quale sia il danno che avrebbe fatto Telecom. Open Fiber ha preso dei contributi pubblici per investire, non è che ha ottenuto un monopolio sulla zona.”


Tra i due duellanti a non godere è l'utente finale, come gli abitanti di Fino Mornasco, provincia di Como: il paese si è trovato in mezzo a questa battaglia commerciale ed è diviso in due, uno in serie A come collegamento di rete e un altro di serie C.
Nel mentre Open Fiber pubblicava i suoi bandi per coprire il paese, Tim ha deciso di rivedere i suoi piani e coprire l'80% del paese, così Open Fiber ha scelto di cablare solo il restante 20%.
Nel frattempo parte il procedimento dell'Antitrust e Telecom decide di congelare l'iniziativa: il paese è così rimasto scoperto per l'80% ma, assicura Gubitosi “entro fine giugno sarà tutto cablato”.
Il decreto per l'emergenza Covid ha cercato di velocizzare la posa della rete nelle zone ancora scoperte: è cinico dirlo, ma è stata l'emergenza coronavirus a dare una spinta alla digitalizzazione del paese.

La scheda del servizio: Senza fibra di Luca Chianca in collaborazione di Alessia Marzi
Con l'emergenza Covid-19 il governo ha decretato il lockdown e milioni di famiglie si sono trovate a casa per oltre due mesi connessi al mondo esterno solo con i cellulari e i computer. Sono così emersi tutti i paradossi di un'Italia non ancora raggiunta dalla banda larga perché gli operatori privati, nel corso degli anni, non hanno trovato vantaggioso coprire alcune aree del paese, quelle più periferiche della provincia italiana, e milioni di lavoratori e studenti sono rimasti isolati non potendo lavorare e seguire le lezioni a distanza. Per risolvere questo divario, già nel 2015 l'allora presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva lanciato un piano industriale per portare la fibra in tutta Italia con l'aiuto dell'Enel di Francesco Starace. Nasce Open Fiber, una piccola start up a partecipazione semi-pubblica, che stracciando la concorrenza con un ribasso di gara del 52% si aggiudica le gare indette dal Governo per la diffusione della banda ultra larga. Un risparmio per lo Stato di 1,2 mld con la promessa di cablare entro giugno 2020 i primi 3 mila paesi. Ma a oggi quanto è stato attivato davvero di questa rete a banda ultra larga?

Le mascherine dei senatori

Dopo le inchieste sulle mascherine e sui tanti imprenditori che hanno approfittato dell'emergenza, Report è andata a controllare come e da chi sono state acquistate le mascherine ffp2, tra le più sicure in circolazione.
Alcuni senatori, come Toninelli, se la sono comprati da soli, la Santanché invece in Senato usa le mascherine che le sono state date.
Giulia Presutti ha intervistato il Questore del Senato, Antonio De Poli che conferma come ai colleghi e ai dipendenti del Senato siano date le mascherine chirurgiche o FPP2, a seconda delle richieste. In aula, chi vuole essere più tutelato, chiede la Fpp2.
Come le hanno trovate, visto che anche per i medici erano difficili da reperire?

La scheda del servizio: Le mascherine del Senato di Giulia Presutti
A Palazzo Madama, ai tempi di Covid-19, si continua a lavorare. In commissione e in Aula i senatori votano col tablet per mandare avanti l’attività legislativa, sempre nel rispetto delle norme anti Covid. Come in tutti i luoghi di lavoro, le mascherine sono obbligatorie per tutti. Ma i senatori dove le prendono? In una delibera del 24 febbraio il Collegio dei Questori del Senato assegna ai dipendenti i dpi, le mascherine più sicure, categoria FFP2. Le linee guida sanitarie parlano chiaro: i dpi sono indicati solo per i medici che operano "in specifici contesti assistenziali". Per tutti gli altri basta mantenere la distanza di un metro e indossare una mascherina chirurgica. Allora perché le indossano i dipendenti del Senato, e addirittura i senatori? E il Senato da chi le ha acquistate, e quando?

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