Incipit
La Muntagna s'era risvegliata quella mattina. Una nube nera densa di cenere incombeva sulla città, avvolgendola. Nei momenti di silenzio, i boati si udivano persino dal mare, a metà tra il rombo di un tuono e il botto di un fuoco d'artificio attutito dalla distanza.La sabbia veniva giù senza requie, formando per terra un tappeto scricchiolante e scivolando sugli ombrelli aperti, rimediati qua e là da venditori ambulanti prontamente apparsi per le strade, come in un giorno di pioggia improvvisa.
E' siciliana anche
lei, come il più noto collega Montalbano: di Palermo per la
precisione, anche se ora presta servizio alla Mobile di Catania la
città dell'Etna, dopo anni a Palermo e una parentesi alla Mobile di
Milano. Si tratta del vicequestore di Polizia Giovanna Guarrasi:
come Montalbano Ama la buona cucina, ama leggere e ama soprattutto i
film ambientati in Sicilia, anche quelli vecchi.
Non apprezza la
vita mondana, l'attività fisica e gli atteggiamenti maschilisti che
è costretta a subire.
Ma Giovanna
Guarrasi non è la versione femminile del commissario di Vigata:
è una poliziotta tosta, tenace, con un passato importante,
all'antimafia a Palermo e poi contro la criminalità milanese.
Un passato che
viene raccontato poco alla volta, un passato che ancora brucia e che
non ama tirare fuori.
La morte del padre,
ispettore di Polizia. L'attentato contro quel magistrato con cui
lavorava e a cui si era legata.
La fuga a Milano
prima e, per non rimanere lontano dal mare, a Catania.
Questa è Giovanna
Guarrasi, chiamata Vanina (per una citazione cinematografica), ora
alla sezione crimini contro la persona della Mobile di Catania.
La sommità dell'Etna assomigliava ad un braciere che vomitava fuoco, sovrastato da una colonna di cenere e lapilli.
E il caso che deve
seguire ora, mentre la sabbia nera dell'Etna ricopre la città, è
proprio un omicidio: anzi per la precisione è di un cadavere
mummificato che si deve occupare.
Si tratta del
cadavere di una donna trovata morta in un montacarichi dentro una
vecchia villa a Sciara, sopra la città, scoperto per caso da Alfio
Burrano, nipote della proprietaria della villa, la signora Teresa
Burrano.
«Di scenari raccapriccianti, nella sua carriera, il vicequestore Giovanna Guarrasi ne aveva visti assai: uomini incaprettati e bruciati vivi, cadaveri cementati dentro un pilastro, gente sparata, accoltellata, strangolata e via dicendo. Ma l'immagine che le apparve quella sera si poteva descrivere solo con un termine, da lei vilipeso e definito "da romanzo gotico". Macabra. Abbandonato di sghimbescio sul pavimento di un montavivande di un metro e mezzo per un metro e mezzo, giaceva il corpo mummificato di una donna. Il capo, con ancora i resti di un foulard di seta, era piegato a novanta gradi su un cappotto di pelliccia che copriva un tailleur dal colore indistinguibile; appese al collo, tre collane di lunghezza diversa. Sparsi attorno al cadavere, una borsetta, un beauty case di quelli rigidi che si usavano una volta, una bottiglietta di colonia senza tappo e una scatola metallica che aveva tutte le sembianze di una cassetta di sicurezza».
Uno scenario
raccapricciante per un delitto, perché di delitto si parla:
difficilmente una persona si infilerebbe dentro un montacarichi da
sola, se non costretta, la cui apertura per di più era stata
occultata da una credenza.
Ma uno di quei
delitti che costituiscono una rogna: dall'analisi dei vestiti della
vittima (di lusso e di antica foggia), del contenuto della sua
borsetta (l'acqua di colonia e la brillantina), gli investigatori
capiscono di trovarsi di fronte ad un corpo rimasto lì per almeno 50
anni.
E non è la sola
cosa strana di quella storia: nella stessa villa, nel 1959, era stato
ucciso Gaetano Burrano, il marito della signora Teresa, lo zio di
Alfio.
Un personaggio
ambiguo Gaetano: fimminaro, sempre attorniano da belle donne e in
affari con un altro personaggio “ambiguo” se non peggio, Masino
di Stefano. Che di quel delitto fu accusato e condannato.
Per una questione
di soldi rubati alla vittima, per un affare, quello dell'Acquedotto
da costruire nella zona in cui era interessata anche la mafia.
Perché al vicequestore Guarrasi, in realtà, le rogne piacevano. Assai. E più la impegnavano, più le toglievano il sonno, più le divoravano giorni di ferie e domeniche, più lei ci si buttava dentro. Anima e corpo.
Ad altri poliziotti verrebbe subito la
voglia di mollare il colpo, chiedere l'archiviazione del caso e
occuparsi di altro. Di qualche cadavere più “recente”: ma non è
il caso di Vanina che si getta, anima e corpo, in quel caso del
passato che la intriga.
Perché, confrontandosi coi suoi
collaboratori, come l'ispettore Spano, la mente storica della Mobile,
in quel caso c'è qualcosa che non torna.
E' un caso che nella stessa villa,
forse a distanza di pochi anni, siano avvenuti due delitti?
Chi era la donna trovata morta e che ci
faceva in quel montacarichi, il cui ingresso era stato celato per
anni?
Cosa ci faceva quella cassetta di
sicurezza vicino al corpo della donna, piena di banconote di vecchio
conio (guarda caso di poco antecedenti l'omicidio del 1959) per un
valore prossimo al milione di lire dell'epoca?
È un'indagine che la porta lontano nel
passato, a fine anni '50: è l'Italia in cui si chiudevano le case di
tolleranza (un particolare che avrà importanza nella storia), dove i
maschi si mettevano la brillantina in testa e dove la mafia ancora (e
per lungo tempo) non esisteva.
Ad aiutarla a districarsi in questa
“sabbia nera”, come quella dell'Etna, che avvolge tutto, i
delitti per cui è stato individuato troppo in fretta un colpevole,
le storie di corna, le speculazioni coi soldi pubblici, saranno
proprio due persone anziane.
“zi Mariuccia”, la zia
dell'ispettore Spanò e il commissario in pensione Patané, che aveva
seguito per primo le indagini per il delitto Burrano, per essere poi
estromesso.
C'era qualcosa che rendeva quel ritrovamento più interessante di qualunque omicidio come di cui si fosse occupata negli ultimi tempi.Forse era lo scenario insolito, come aveva detto Adriano, da set cinematografico; o magari si trattava di pura e semplice curiosità per uno di quei casi singolari in cui era nota per sapersi barcamenare, ma che difficilmente le capitavano sotto mano.
In questo noir
incontriamo un nuovo personaggio femminile, una investigatrice che
viene raccontata in tutti i suoi aspetti, come le sue debolezze, le
sue ferite che si porta dentro e che emergono poco alla volta.
Le dinamiche
all'interno della sua squadra, i rapporti di fiducia coi colleghi e
coi possibili testimoni o indagati. Come Maigret, non si ferma alle
evidenze che emergono dall'analisi scientifica (che in questo caso
del passato sono di poco aiuto), ma anche all'analisi delle persone
che si trova davanti.
Al ragionare sui
fatti: c'è un passaggio nel libro che è una bella citazione ad un
romanzo di Sciascia “Una storia semplice”
È che io sono abituato a ragionare, ragionare su tutto. È la cosa più importante il ragionamento. Uno può imparare a memoria tutti i codici penali del mondo, ma se non sa ragionare se li può fare fritti.Sembrava pari pari il discorso che Gian Maria Volonté, nei panni di un professore in pensione, faceva a un giovane Ricky Tognazzi poliziotto nel film tratto da Una storia semplice di Sciascia. Il ragionare.
In questo giallo
siciliano la mafia c'è ma rimane sullo sfondo, le cause dei delitti
si dovranno ricercare nelle piccole meschinità dell'animo umano:
viene fuori il ritratto di una borghesia siciliana in tutta la sua
decadenza: un mondo chiuso dove ci si conosce tutti e ci si incontra
nei salotti per i ricevimenti.
La scheda del libro sul sito
dell'editore
Einaudi e il pdf
del primo capitolo
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