27 luglio 2018

Le bombe della trattativa - 27 luglio 1993

25 anni fa, il 27 luglio 1993, diverse bombe scoppiavano a Roma e a Milano, quasi contemporanemante.
Al Pac di via Palestro, facendo crollare la struttura e uccidendo tre vigili del fuoco, una guardia comunale e un ragazzo che stava dormendo su una panchina (e che a volte viene pure dimenticato).
A Roma, due bombe scoppiarono di fronte alle chiese di San Giovanni  e San Giorgio al Velabro: in quella stessa notte, lo raccontò anni dopo l'allora presidente del Consiglio Ciampi, Palazzo Chigi rimase isolato per diverse ore.
Aria di golpe.
Erano le bombe della trattativa tra la mafia e un pezzo dello stato: non presunta trattativa come per anni hanno raccontato i negazionisti, ma la trattativa certificata da una sentenza passata in giudicato (la condanna del boss Tagliavia) e la condanna in primo grado per il processo di Palermo, per il reato di violenza contro organi dello Stato.
Non la trattativa in sé, quella del Ros, di Ciancimino prima e Dell'Utri poi.
Le bombe erano necessarie per forzare la mano alla politica, per creare un clima di paura nel paese, per portare a miti consigli i membri dell'esecutivo: nel mesi successivi infatti il ministro Conso (in solitudine disse) tolse il 41 bis a centinaia di mafiosi.
Per esempio, anche grazie alle pressioni della Chiesa, fu sostituito il capo del DAP, Amato, col più "mite" Capriotti

Un caso? Un caso anche il fatto che dopo il mancato attentato all'Olimpico del 1994 non scoppiarono altre bombe?
E nessuno sentì parlare più delle leghe del sud, un progetto politico che aveva dietro mafia e massoneria?

C'è ancora molto da spiegare e chiarire: il debito con gli italiani e in special modo con le vittime della mafia è ancora da ripagare.

Marco Lillo sul Fatto Quotidiano:

I magistrati di Reggio Calabria contestano a Giuseppe Graviano anche il duplice omicidio di due carabinieri avvenuto il 18 gennaio 1994 nell’ambito della stessa strategia. Gli obiettivi erano quindi i Carabinieri, la Chiesa e un uomo Fininvest. L’ex pm della Trattativa, Antonio Ingroia, ora avvocato e difensore dei familiari dei carabinieri uccisi in Calabria nota: “Almeno uno dei possibili destinatari di questi messaggi, Silvio Berlusconi, era pienamente in grado di capire questo linguaggio. Lo dimostra la celebre telefonata con Dell’Utri del 1986. Quando c’è un attentato agli uffici Fininvest di via Rovani a Milano, Berlusconi – spiega Ingroia – è convinto che sia stato Vittorio Mangano e dice a Marcello Dell’Utri al telefono che un altro avrebbe usato una raccomandata mentre Mangano usava la polvere da sparo”.

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