Incipit
Due settimane prima La pioggia s’inchiodava al parabrezza dell’Audi Q7 nera. I tergicristalli assecondavano il ritmo del temporale, senza riuscire davvero a pulire gli sputi di sabbia sahariana mista ad acqua che cadevano dal cielo. Sul sedile posteriore Antonio De Guido – meglio noto come Zì Nino o più semplicemente Nino – giocava a briscola online contro un avversario sconosciuto, accarezzando la piccola testa bruna di Maria, la sua unica nipote.
No, non avete
capito male: il personaggio che in questo romanzo ha il compito
dell'investigatore è proprio un bandito: “Carlo Mazzacani –
quarantacinque anni, un metro e ottanta di muscoli un poco
appassiti”.
Un bandito che una
volta aveva una sua banda, la banda dei Santi, criminali ma non
mafiosi, ben diversi dai santisti pugliesi della Sacra Corona Unita,
a cui aveva fatto perfino concorrenza, fino al giorno in cui il suo
braccio destro non era stato ucciso in uno scontro a fuoco, chiudendo
definitivamente la loro storia.
Ora che è scampato
alla morte e al carcere (grazie alla collaborazione col capo della
DIA, il commissario Curiale), come ricordo di quel periodo si è
lasciato i baffi lunghi.
..la cupola della complicata architettura sacrista, erano in agitazione da un paio di mesi. Da quando Vito Pennetta, ’nu strunzu di Brindisi, si era messo in testa di entrare nella consorteria forzando la serratura.
Ma il periodo di
pace per Mazzacani, per gli equilibri all'interno commissione e con
gli altri gruppi criminali, sono destinato a finire.
La nipote
del boss Antonio De Guido viene rapita mentre è in macchina col
nonno: chi si è potuto permettere un gesto del genere? E' un
tentativo di intimidirlo e di compromettere la sua immagine di capo
supremo?
Settimane prima era
stato ritrovato il corpo (senza testa) di un suo prestanome nella
provincia di Brindisi: un omicidio che portava la firma proprio di un
killer della vecchia banda dei Santi.
A mettersi sulle
tracce della bambina rapita non c'è solo il vecchio boss, zi Nino,
ma si muove anche l'ambiguo commissario Curiale, un poliziotto con
forti agganci dentro il ministero dell'Interno che tutti i successi
in carriera, che costringe Mazzacani ad indagare nel mondo della
criminalità, mettendo pure a rischio la sua pelle.
Tutto torna: torna
il momento di rimettersi in azione, prima che qualcuno non lo faccia
diventare comodo capro espiatorio per il rapimento e la morte del
boss Palano (il senza testa).
E per scoprire cosa
sta dietro questi movimenti in commissione e il rapimento, Mazzacani
chiede l'aiuto del suo ex compare nella banda, Luigi Mascione, “il
gigante”.
Si guardarono. Erano i superstiti di una grande banda di rapinatori. Due morti viventi tenuti sotto chiave dalla polizia e dalla mala.
Dentro la
commissione sacrista, un organismo simile a quello che esisteva per
la mafia siciliana, i vecchi e consolidati equilibri che vedevano i
De Guido egemoni alla guida delle famiglie sono ora in crisi: la
colpa sono le ambizioni del giovane boss Pennetta, che non solo
vorrebbe entrare nell'elite mafiosa ma vorrebbe prendere anche il
posto di Zi Nino. E forse è proprio lui ad essere coinvolto proprio
in quel rapimento.
E non solo: dietro
queste tensioni tra le famiglie c'è un nuovo business che sta
partendo, la coltivazione della Marijuana da parte dello Stato per
produrre un farmaco di nuova concezione, il
Cansativ.
La
droga verrebbe coltivata su campi di proprietà delle famiglie
mafiose sotto il controllo dell'esercito, per essere sintetizzata in
laboratori chimici vicini ad un politico che a Roma sta portando
avanti il progetto. Oltre ai politici a Roma (rispettivamente
del governo e dell'opposizione), in questo affare sono coinvolti
anche i vertici militari con la benedizione della 'ndrangheta (che
sul business della droga di Stato ha la vista lunga, come dicono le
cronache recenti).
L’ammiraglio chiuse il fascicolo.
“Di che si tratta?” “Mi sta chiedendo di violare il segreto
militare, ammiraglio.” “Come suo superiore glielo domando.” “In
tal caso… si tratta di una sostanza derivata dalla marijuana.”
L'utilizzo
ufficiale del farmaco fa solo da paravento per il vero fine che hanno
in mente questi personaggi, che intendono in realtà vendere la droga
di stato ai libici, sfruttando le missioni di ricognizione nel
Mediterraneo.
“A quale scopo?”
“Non lo ha ancora capito, ammiraglio? Il farmaco sarà testato a bordo.”
L’ammiraglio sgranò gli occhi. “Sui migranti?”.
È un gioco in cui tutti mentono, fanno
il doppio gioco e dove sono pronti a tradire pur di raggiungere i
loro fini. Un gioco criminale in cui ci sono i mafiosi senza regole,
avidi di potere e poi vecchi banditi come Mazzacani (che ricorda i
vecchi banditi della serie dell'Alligatore di Carlotto) il gigante.
Due cattivi che ora si trovano
schiacciati in mezzo tra la polizia e il vecchio boss De Guido
Il capomafia diede un calcio alla sabbia, che si sparse verso il canneto. “Ti salvo la vita se ritrovi mia nipote”, disse all’improvviso. Mazzacani ebbe un sussulto.“Se la trovo, tutto si deve azzerare. Voglio essere lasciato in pace per sempre.” Nino De Guido si prese del tempo prima di accettare. “Va bueno.” Carlo Mazzacani
E i buoni che fine han fatto in questo
romanzo?
Sulle tracce di Mazzacani, zi Nino e
degli altri boss si muove anche la procuratrice Buonamica, a capo
della DRAP, la direzione antimafia regionale:
Teresa Buonamica aveva sgobbato sui libri per diventare un buon magistrato. Aveva sgomitato e si era fatta valere col sudore. La vita umile l’aveva portata a intuire i pregi e i difetti dei delinquenti che aveva incontrato sulla sua strada. Mazzacani era forse il più singolare.
Tra il poliziotto
Curiale di cui comprende i rapporti con la criminalità, dove finisce
l'infiltrazione nelle bande e la collaborazione, e il bandito
Mazzacani, la procuratrice arriva a fidarsi più del bandito,
comprendendone la sua capacità di sapersi trasformare, da
contrabbandiere a rapinatore ad informatore suo malgrado della
polizia.
“Tutto torna” è
un noir durissimo, non solo per la violenza di cui sono capaci le
mafie (non solo la sacra corona, ma anche la Camorra, la ndrangheta
calabrese, la mafia albanese) e che in questo romanzo non ci viene
risparmiata. E che non viene risparmiata nemmeno alle persone più
indifese come i bambini.
È duro perfino il
dialetto usato dai personaggi, che ricorda molto l'albanese parlato
dall'altra sponda dell'Adriatico.
È duro per
l'intreccio del male, per l'assenza di qualsiasi morale, di qualsiasi
scrupolo che emerge dal racconto: l'egemonia della ndrangheta e la
sua pericolosa capacità di avvicinare la politica per comprarsi
pezzi dello Stato.
E' duro per la
sensazione di abbandono che emerge dalle pagine del libro, per chi
vive in queste regioni, dove la giustizia e il rispetto delle leggi
sono ogni giorno messe in discussione.
Non solo per il
piombo dei banditi e il loro senso di impunità.
Tra i luoghi in cui
si svolge l'azione (e che l'autore mostra in una cartina ad inizio
libro, chiamandoli i “luoghi di Mazzacani”) c'è anche la povera
Taranto, il quartiere Tamburi ammorbato dai veleni dell'Ilva:
Mazzacani capì col naso di essere nei pressi di Taranto. L’odore di gomma bruciata che l’Ilva spandeva sull’ultimo tratto di statale era inconfondibile.
Tutto torna.
E tornerà a trovarci anche il bandito
Mazzacani, che non è né un eroe né un buono. Personaggio
inventato, ma non troppo, dall'autore Leonardo Palmisano, giornalista
esperto di mafie, di migranti, di trafficanti che in questo romanzo
ha voluto raccontare tutto quello che ha visto nella sua professione.
La scheda del libro sul sito di
Fandango
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