Incipit
Lac Grand, Québec, Canada, 3 settembre 1978
Quando ci ha aperto, il Greco non ha mosso un muscolo.È rimasto piantato sulla porta, con la mano appoggiata alla maniglia, la pipa che gli pendeva dalle labbra, a scandagliarci da dietro le sue lenti con la montatura spessa, fuori moda, come non ne vedevo da anni e anni, finché non ha increspato gli angoli della bocca.
« Vi hanno mandato loro? » ha chiesto.
No, anzi, non è esatto. La verità è che non so nemmeno come pronunciarla, quella sua prima frase: punto interrogativo oppure no? Per quasi tutti, sarebbe stata una semplice domanda, però, per lui, molto probabilmente non lo era. Aveva già capito. Forse non fino in fondo, non proprio tutto tutto, ma aveva già capito.
« Vi hanno mandato loro. »
George è rimasto fermo, io ho annuito. Cosa potevo fare? Poi George gli ha detto i nostri nomi, gli ha detto che eravamo dell’Agenzia e infine gli ha spiegato che volevamo soltanto fare quattro chiacchiere prima che fosse interrogato dalla Commissione. Stavolta è stato lui ad annuire.
« D’accordo, entrate. »
Avevo molto apprezzato uno dei
precedenti romanzi, “Il passato davanti a noi”, la storia
di una generazione di ragazzi del sud nei primi anni settanta, la
passione politica, le lotte, i timori di una svolta autoritaria e poi
gli sconti di piazza. Gli anni settanta non sono stati solo anni di
piombo, ma anni di lotta politica in cui si era convinti di poter
cambiare il mondo.
Quel libro era il tentativo, secondo me
riuscito, di spiegare ad una generazione, quella di chi è nato dopo,
le passioni di quell'epoca.
L'Italia che avrebbe potuto essere (più
aperta, democratica) e che non è stata
In questo libro ho trovato la stessa
scintilla: raccontare dell'Italia dei primi anni sessanta che è
stata ad un passo dal compiere una svolta epocale, diventare un paese
all'avanguardia nella ricerca scientifica, nella ricerca medica,
nella chimica, nel campo energetico e, perfino, nell'ambito
dell'informatica dei primordi.
Bruno Arpaia, partendo da fatti reali,
storie di personaggi veri, racconta della rivoluzione che stava
compiendo l'Olivetti di Adriano Olivetti e del fisico Mario
Tchou che aveva progettato e realizzato un calcolatore,
l'Elea 9003, che era perfino più avanzato del concorrente
dell'americana IBM.
Negli anni tra il 1957 e i primi 1961
stavano per raggiungere una indipendenza tecnologica che però era
temuta dagli USA e non pienamente compresa dalla politica italiana,
che infatti lasciò solo Olivetti, isolato da Confindustria (“un
neo da estirpare” lo considerava Vittorio Valletta) e perfino dai
sindacati che lo consideravano troppo paternalista come imprenditore.
La morte di Tchou è il primo mistero
di questa storia: il fisico italo cinese morì in un incidente
d'auto, il 9 novembre del 1961. L'Olivetti viene presa da un
consorzio con Fiat, Pirelli, Mediobanca, e la divisione elettronica,
così all'avanguardia, vendita alla General Electric.
Della fine di Enrico Mattei oggi
sappiamo tante cose: morto
in un incidente aereo a seguito di un attentato provocato da una
carica di esplosivo mentre stava per arrivare in aereo a Milano
da Catania il 27 ottobre 1962.
Esplosivo piazzato da uno dei suoi
tanti nemici: nemici esterni come le sette sorelle, gli inglesi,
l'OAS e il governo francese (per il suo appoggio al movimento di
liberazione algerino). Ma anche i tanti nemici interni: gli
industriali del privato e la solita Confindustria, difensori delle
rendite di posizione dei soliti nomi (Edison, Montecatini, Sade..),
il Sifar, i partiti italiani e i loro capi corrente (che Mattei usava
come un taxi).
Cefis, forse, il suo numero due che
qualche mese prima aveva allontanato e che, in molti, considerano il
vero fondatore della Loggia P2, la loggia massonica al centro di
tanti misteri italiani-
Mattei voleva rendere l'Italia un paese
libero dal punto di vista energetico, per dare agli italiani e alle
imprese quella libertà che avrebbe dato un ulteriore impulso alla
crescita del paese.
Si era fatto tanti nemici: ma chi ha
piazzato la bomba?
Felice
Ippolito era, nel 1964, il segretario del CNEN, il comitato
per l'energia nucleare italiano: uno degli scienziati italiani che,
in quegli anni, vedevano lungo: il suo pallino era il nucleare per
uso civile, che avrebbe dovuto prendere il posto di carbone e
petrolio.
Per le sue ricerche servivano fondi,
l'appoggio della politica che avrebbe dovuto garantire l'indipendenza
di questo centro di ricerca.
Fu anche lui osteggiato, nella sua
battaglia contro le aziende private dell'elettico, che Ippolito
consideva peggio dei tabaccai, perché operavano in un regime di semi
monopolio, senza creare una vera concorrenza energetica.
Nel 1960 il governo mette la firma
sull'atto che fa nascere questo ente, il CNEN, viene realizzata la
prima centrale nucleare, ma gli attacchi al suo lavoro non smettono.
Dal giornale degli industriali, Il sole
24 ore, da Il Tempo e dai comunisti: Ippolito come Mattei viene
accusato di sperperare tanti soldi pubblici.
Fino all'arresto, che segna la fine
della sua carriera scientifica, 3 marzo 1964.
Fine del miraggio dell'indipendenza
energetica italiana, fine anche di un'idea di politica energetica in
mano al pubblico (erano gli anni della nazionalizzazione
dell'energia, una cosa che secondo gli industriali italiani puzzava
di sovietizzazione).
Domenico
Marotta è stato uno dei fondatori dell'Istituto Superiore
della Sanità, una padre della ricerca medica in Italia: anche la sua
carriera viene interrotta da un arresto e da un processo, il 8 aprile
del 1964 (poco dopo l'arresto di Ippolito).
Anche per lui l'accusa fu quella di
aver usato in modo disinvolto i soldi pubblici che gli erano
affidati, accuse arrivate da giornali, utili idioti in una battaglia
contro il governo DC, ma attacchi arrivarono anche dal giornale di
Saragat.
In due o tre anni, dalla fine di Mario
Tchou, agli arresti di Ippolito e Marotta,
“ogni tentativo di
autonomia scientifica ed energetica dell'Italia è stato frustrato.
Genetica, biologia molecolare, elettronica fisica nucleare: tutto
azzerato, a vantaggio di altri, di paesi più potenti.”
Scrive Bruno Arpaia:
E' infatti in quel brevissimo lasso di tempo, a cavallo fra la morte di Mario Tchou e l'arresto di Domenico Marotta, che l'Italia unica tra i paesi industrializzati, sceglie un «modello di sviluppo senza ricerca», fondato sui prodotti a bassa o media tecnologia (tessuti, mobili, scarpe, vestiti, frigoriferi, lavatrici, automobili, cibo..) in cui le innovazioni più avanzate vengono semplicemente importate dall'estero. Made in Italy. Ma nell'attuale «società della conoscenza», fondata sulla scienza e sui quel tipo di tecnologia che, a detta di Luciano Gallino «incorpora volumi senza fine crescenti di Conoscenza scientifica», i limiti di quel modello sono venuti pian piano a galla e il nostro paese si è avviato da parecchi anni verso un declino di cui sembra più sempre di più difficile risalire. Insomma, checché se ne dica oggi, il nostro declino, il nostro tasso di crescita molto inferiore a quello degli altri paesi, viene da lontano, dagli inizi degli anni 60. Da allora, niente ricerca hi-tech, niente innovazione, sempre più scarsa istruzione media e universitaria.
Il declino industriale e scientifico (di cui oggi paghiamo il prezzo) è nato negli anni sessanta. E' stato solo un caso, oppure dietro
queste storie c'è stata la lunga manus di qualcuno?
Sappiamo che tutti questi personaggi
avevano molti nemici, nel nostro stesso paese: l'industria privata,
la politica che non vedeva di buon occhio una certa indipendenza
industriale o nella ricerca, i servizi segreti.
O forse c'è dell'altro?
Forse l'ingerenza americana, che
considerava l'Italia terra di confine tra est ed ovest, un paese che
la Cia considerava come un laboratorio dove sperimentare i suoi
protocolli di controllo dell'opinione pubblica, di manipolazione
dell'informazione, tutto per tener ben saldo l'equilibrio politico,
con la DC al governo e i partiti di centro, tenendo i socialisti e i
comunisti fuori dalle stanze dei bottoni.
Qui la storia ufficiale si mescola con
la fiction, con quella ricostruzione della storia che solo uno
scrittore può fare, facendo ricorso alla sua fantasia, per
ricostruire i pezzi mancanti della storia.
Il fantasma dei fatti, a cui dare la
caccia, per dare un senso alla mancata emancipazione (scientifica ed
energetica) del paese è quello di Thomas Karamessines,
direttore delle Covert Operation della CIA, morto ufficialmente per
un infarto pochi giorni prima di deporre di fronte alla Commissione
della Camera sugli omicidi di Kennedy e di King.
Nel 1942 nell'OSS, il servizio segreto
americano creato durante la seconda guerra mondiale, padre della CIA;
in Egitto a fianco dei cugini dell'MI6 nel 43, in Grecia alla fine
della guerra per “gestire” la guerra civile contro i comunisti.
Poi lo scioglimento del servizio, a fine guerra, perché l'OSS non lo
voleva nessuno, né l'FBI né l'esercito, nel 45.
Infine, con la guerra fredda, la
creazione della CIA, con l'approvazione del National Security Act nel
settembre 1947: c'erano i russi là fuori, c'era il timore che i
russi estendessero la loro influenza anche su alcuni paesi “amici”
in occidente, come Italia.
Ecco, il primo atto del nuovo servizio,
che aveva mandato di eseguire operazioni clandestine all'estero: le
elezioni politiche in Italia del 1948.
“L'Italia fu il laboratorio della
Cia durante la guerra fredda” scrisse Tim Werner nel suo libro
sull'agenzia: soldi ai partiti politici di centro, sottobanco o
tramite il Sifar, il nostro servizio segreto, di fatto una dependance
di quello americano e dell'ambasciata a Roma.
Soldi alla DC, ai giornali in funzione
anticomunista e antisocialista, soldi anche ai groppuscoli di ex
fascisti per operazioni sporche, soldi anche alle imprese private.
Solo per le elezioni del 1948 arrivano in Italia 10 milioni di
dollari.
Operazione Demagnetize – un
piano segreto di cui il Parlamento non era informato e nemmeno tutti
i ministri: stroncare i comunisti, discriminare le aziende che li
assumevano, costringendoli a licenziarsi, far fallire le cooperative
rosse, creare scandali sui dirigenti PCI, il tutto nell'ambito del
progetto “Stay Behind” Nato...
Karamessines arrivò in Italia, come
capo stazione Cia nel 1958 e vi restò fino al 1963, per poi tornare
a Washington come vice direttore delle operazioni coperte, le “lo
shit department”, dove gestì operazioni di disinformazione
come quella sul Vietnam, la cattura di Che Guerava in Bolivia
(consegnato dai Russi, perché il Che era un problema anche per
loro?); i piani per uccidere Castro; la destabilizzazione del Cile
dopo le elezioni del '70 vinte da Allende.
Il presidente Nixon considerava
Allende “un figlio di puttana” di cui sbarazzarsi, non
poteva essere un governo socialista nel giardino di casa degli Stati
Uniti.
E non solo:
Quello che lo spaventava davvero era il messaggio che dal Cile poteva arrivare agli elettori italiani … Era l'Italia che lo terrorizzava ..
Il Cile fu il primo punto di attrito
della sua carriera (e di quella del suo capo, Richard Helms),
il Watergate il secondo: attrito con Nixon che voleva a tutti i costi
la pelle di Allende e che, dopo il Watergate, voleva che fosse la Cia
a prendersi la colpa di tutto (nascondendo così il vero scandalo,
l'uso di fondi neri provenienti dal comitato per la rielezione per le
operazioni sporche compiute durante la campagna presidenziale).
In trent'anni all'Agenzia, mai avute tante pressioni da parte della Casa Bianca, nemmeno durante la crisi dei missili a Cuba..
Infine le dimissioni dal servizio, nel
1972.
Tutte queste cose le sappiamo
attraverso il racconto che ci fa, nell'immaginazione dell'autore, Tom
K. stesso, nel 1978, nel suo ritiro sul lago Lac Grand, quando pochi
giorni prima di deporre di fronte alla commissione della Camera sugli
omicidi Kennedy e King, riceve la visita di due agenti della CIA.
La ricostruzione della vita di Tom K.,
per scriverci poi un libro, diventa un'ossessione per Arpaia: in
giro oggi si trovano poche informazioni e pochi libri che parlano di
questa persona (tra cui quelli della biblioteca dell'amico Giuseppe
D'Avanzo, il giornalista di Repubblica morto nel 2011).
Forse avrei potuto, da un lato, raccontare le mi ricerche ed evidenziare i «fatti», e dall'altro, raccontare l'ultimo giorno di vita di Tom K, immaginando liberamente proprio a partire di quei «fatti» e cercando di seguirne il senso, di mettere in scena il fantasma dei fatti, come avrebbe detto Leonardo Sciascia. Sì, forse c'ero.
Ed ecco così, che alternate alle
pagine dei «fatti», rivediamo
la nostra storia come fosse un film attraverso i ricordi di Thomas
Karamessines: lo scontro all'interno dell'amministrazione americana
per le aperture verso un governo di centro sinistra in Italia (nei
primi anni sessanta), l'ambiguità dell'amministrazione Kennedy in
proposito (Kennedy stesso era circondato da collaboratori contrari a
questa apertura), il Piano Solo del generale De Lorenzo (e il
dossieraggio dei nemici a sinistra), i ricatti all'interno della DC,
divisa in correnti l'una contro l'altra.
Rileggiamo
i fatti di quegli anni secondo una nuova luce: la fine
dell'esperimento di un governo di centro sinistra capace di fare
quelle riforme necessarie per svecchiare il nostro paese, la
nazionalizzazione dell'energia, il “tintinnar di sciabole” nel
1964.
La
misteriosa fine di Enrico Mattei, di cui ancora non sappiamo il
responsabile: la sua politica energetica viene qui riletta dal punto
di vista politico. Dialogare coi paesi ex colonie, da trattare alla
pari, andare oltre alla vecchia politica coloniale (che ancora
l'Inghilterra portava avanti in Medio Oriente), aprire nuovi ponti
verso l'Africa, verso l'est, perfino con la Russia.
Chissà,
forse l'Italia avrebbe potuto essere per gli Stati Uniti quel partner
politico , quell'alleato “così a lungo cercato” per portare
avanti una nuova politica nel mondo (sono le parole di George Ball,
sottosegretario di Stato dell'amministrazione Kennedy).
Un'Italia
che stava acquisendo un forte riconoscimento come potenza
internazionale?
Per
questo che è stato ucciso, Mattei? Come Mario Tchou, come Ippolito,
come Marotta, andava fermato perché l'Italia non poteva permettersi
questa autonomia.
E
i nemici di Mattei non stavano solo oltre oceano, si trovavano anche
qui in Italia, troppo potente, troppo ingombrante, troppo autonomo
dai partiti.
“Le
uniche storie che val la pena raccontare son quelle che non possono
essere raccontate”
scrive Javier Cercas.
E
questa storia, un po' romanzo, un po' spy story, quella di Tom K.,
dell'ingerenza americana,
dell'Italia che avrebbe potuto essere
(potenza economica, all'avanguardia nella ricerca scientifica) e che
non è stata, è una di queste.
Avvincente
come un thriller o una spy story, preciso nelle ricostruzioni dei
fatti come un saggio storico, questo romanzo colma una vuoto della
nostra storia che merita di essere riportato in luce, anche per
spiegare agli italiani di oggi come siamo arrivati alla situazione in
qui siamo.
Un
paese dove la ricerca scientifica viene rivalutata solo ora per colpa
dell'emergenza del virus, di un capitalismo senza capitali che porta
avanti uno sviluppo senza ricerca; un paese che ancora dipende da
petrolio e carbone (e dove il nucleare “pulito” è naufragato
tanti anni fa), un paese di scandali e di ricatti, dove vige lo
scetticismo verso le istituzioni (“chissà cosa non ci
raccontano”), le teorie di complotto. Un paese ancora immaturo,
insomma.
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