28 marzo 2020

Il fantasma dei fatti di Bruno Arpaia



Incipit

Lac Grand, Québec, Canada, 3 settembre 1978 
Quando ci ha aperto, il Greco non ha mosso un muscolo.È rimasto piantato sulla porta, con la mano appoggiata alla maniglia, la pipa che gli pendeva dalle labbra, a scandagliarci da dietro le sue lenti con la montatura spessa, fuori moda, come non ne vedevo da anni e anni, finché non ha increspato gli angoli della bocca. 
« Vi hanno mandato loro? » ha chiesto. 
No, anzi, non è esatto. La verità è che non so nemmeno come pronunciarla, quella sua prima frase: punto interrogativo oppure no? Per quasi tutti, sarebbe stata una semplice domanda, però, per lui, molto probabilmente non lo era. Aveva già capito. Forse non fino in fondo, non proprio tutto tutto, ma aveva già capito. 
« Vi hanno mandato loro. » 
George è rimasto fermo, io ho annuito. Cosa potevo fare? Poi George gli ha detto i nostri nomi, gli ha detto che eravamo dell’Agenzia e infine gli ha spiegato che volevamo soltanto fare quattro chiacchiere prima che fosse interrogato dalla Commissione. Stavolta è stato lui ad annuire. 
« D’accordo, entrate. »

Avevo molto apprezzato uno dei precedenti romanzi, “Il passato davanti a noi”, la storia di una generazione di ragazzi del sud nei primi anni settanta, la passione politica, le lotte, i timori di una svolta autoritaria e poi gli sconti di piazza. Gli anni settanta non sono stati solo anni di piombo, ma anni di lotta politica in cui si era convinti di poter cambiare il mondo.
Quel libro era il tentativo, secondo me riuscito, di spiegare ad una generazione, quella di chi è nato dopo, le passioni di quell'epoca.
L'Italia che avrebbe potuto essere (più aperta, democratica) e che non è stata

In questo libro ho trovato la stessa scintilla: raccontare dell'Italia dei primi anni sessanta che è stata ad un passo dal compiere una svolta epocale, diventare un paese all'avanguardia nella ricerca scientifica, nella ricerca medica, nella chimica, nel campo energetico e, perfino, nell'ambito dell'informatica dei primordi.
Bruno Arpaia, partendo da fatti reali, storie di personaggi veri, racconta della rivoluzione che stava compiendo l'Olivetti di Adriano Olivetti e del fisico Mario Tchou che aveva progettato e realizzato un calcolatore, l'Elea 9003, che era perfino più avanzato del concorrente dell'americana IBM.
Negli anni tra il 1957 e i primi 1961 stavano per raggiungere una indipendenza tecnologica che però era temuta dagli USA e non pienamente compresa dalla politica italiana, che infatti lasciò solo Olivetti, isolato da Confindustria (“un neo da estirpare” lo considerava Vittorio Valletta) e perfino dai sindacati che lo consideravano troppo paternalista come imprenditore.
La morte di Tchou è il primo mistero di questa storia: il fisico italo cinese morì in un incidente d'auto, il 9 novembre del 1961. L'Olivetti viene presa da un consorzio con Fiat, Pirelli, Mediobanca, e la divisione elettronica, così all'avanguardia, vendita alla General Electric.

Della fine di Enrico Mattei oggi sappiamo tante cose: morto in un incidente aereo a seguito di un attentato provocato da una carica di esplosivo mentre stava per arrivare in aereo a Milano da Catania il 27 ottobre 1962.
Esplosivo piazzato da uno dei suoi tanti nemici: nemici esterni come le sette sorelle, gli inglesi, l'OAS e il governo francese (per il suo appoggio al movimento di liberazione algerino). Ma anche i tanti nemici interni: gli industriali del privato e la solita Confindustria, difensori delle rendite di posizione dei soliti nomi (Edison, Montecatini, Sade..), il Sifar, i partiti italiani e i loro capi corrente (che Mattei usava come un taxi).
Cefis, forse, il suo numero due che qualche mese prima aveva allontanato e che, in molti, considerano il vero fondatore della Loggia P2, la loggia massonica al centro di tanti misteri italiani-
Mattei voleva rendere l'Italia un paese libero dal punto di vista energetico, per dare agli italiani e alle imprese quella libertà che avrebbe dato un ulteriore impulso alla crescita del paese.
Si era fatto tanti nemici: ma chi ha piazzato la bomba?

Felice Ippolito era, nel 1964, il segretario del CNEN, il comitato per l'energia nucleare italiano: uno degli scienziati italiani che, in quegli anni, vedevano lungo: il suo pallino era il nucleare per uso civile, che avrebbe dovuto prendere il posto di carbone e petrolio.
Per le sue ricerche servivano fondi, l'appoggio della politica che avrebbe dovuto garantire l'indipendenza di questo centro di ricerca.
Fu anche lui osteggiato, nella sua battaglia contro le aziende private dell'elettico, che Ippolito consideva peggio dei tabaccai, perché operavano in un regime di semi monopolio, senza creare una vera concorrenza energetica.
Nel 1960 il governo mette la firma sull'atto che fa nascere questo ente, il CNEN, viene realizzata la prima centrale nucleare, ma gli attacchi al suo lavoro non smettono.
Dal giornale degli industriali, Il sole 24 ore, da Il Tempo e dai comunisti: Ippolito come Mattei viene accusato di sperperare tanti soldi pubblici.
Fino all'arresto, che segna la fine della sua carriera scientifica, 3 marzo 1964.
Fine del miraggio dell'indipendenza energetica italiana, fine anche di un'idea di politica energetica in mano al pubblico (erano gli anni della nazionalizzazione dell'energia, una cosa che secondo gli industriali italiani puzzava di sovietizzazione).

Domenico Marotta è stato uno dei fondatori dell'Istituto Superiore della Sanità, una padre della ricerca medica in Italia: anche la sua carriera viene interrotta da un arresto e da un processo, il 8 aprile del 1964 (poco dopo l'arresto di Ippolito).
Anche per lui l'accusa fu quella di aver usato in modo disinvolto i soldi pubblici che gli erano affidati, accuse arrivate da giornali, utili idioti in una battaglia contro il governo DC, ma attacchi arrivarono anche dal giornale di Saragat.

In due o tre anni, dalla fine di Mario Tchou, agli arresti di Ippolito e Marotta, 
“ogni tentativo di autonomia scientifica ed energetica dell'Italia è stato frustrato. Genetica, biologia molecolare, elettronica fisica nucleare: tutto azzerato, a vantaggio di altri, di paesi più potenti.”

Scrive Bruno Arpaia:
E' infatti in quel brevissimo lasso di tempo, a cavallo fra la morte di Mario Tchou e l'arresto di Domenico Marotta, che l'Italia unica tra i paesi industrializzati, sceglie un «modello di sviluppo senza ricerca», fondato sui prodotti a bassa o media tecnologia (tessuti, mobili, scarpe, vestiti, frigoriferi, lavatrici, automobili, cibo..) in cui le innovazioni più avanzate vengono semplicemente importate dall'estero. Made in Italy. Ma nell'attuale «società della conoscenza», fondata sulla scienza e sui quel tipo di tecnologia che, a detta di Luciano Gallino «incorpora volumi senza fine crescenti di Conoscenza scientifica», i limiti di quel modello sono venuti pian piano a galla e il nostro paese si è avviato da parecchi anni verso un declino di cui sembra più sempre di più difficile risalire. Insomma, checché se ne dica oggi, il nostro declino, il nostro tasso di crescita molto inferiore a quello degli altri paesi, viene da lontano, dagli inizi degli anni 60. Da allora, niente ricerca hi-tech, niente innovazione, sempre più scarsa istruzione media e universitaria.

Il declino industriale e scientifico (di cui oggi paghiamo il prezzo) è nato negli anni sessanta. E' stato solo un caso, oppure dietro queste storie c'è stata la lunga manus di qualcuno?
Sappiamo che tutti questi personaggi avevano molti nemici, nel nostro stesso paese: l'industria privata, la politica che non vedeva di buon occhio una certa indipendenza industriale o nella ricerca, i servizi segreti.
O forse c'è dell'altro?
Forse l'ingerenza americana, che considerava l'Italia terra di confine tra est ed ovest, un paese che la Cia considerava come un laboratorio dove sperimentare i suoi protocolli di controllo dell'opinione pubblica, di manipolazione dell'informazione, tutto per tener ben saldo l'equilibrio politico, con la DC al governo e i partiti di centro, tenendo i socialisti e i comunisti fuori dalle stanze dei bottoni.

Qui la storia ufficiale si mescola con la fiction, con quella ricostruzione della storia che solo uno scrittore può fare, facendo ricorso alla sua fantasia, per ricostruire i pezzi mancanti della storia.
Il fantasma dei fatti, a cui dare la caccia, per dare un senso alla mancata emancipazione (scientifica ed energetica) del paese è quello di Thomas Karamessines, direttore delle Covert Operation della CIA, morto ufficialmente per un infarto pochi giorni prima di deporre di fronte alla Commissione della Camera sugli omicidi di Kennedy e di King.
Nel 1942 nell'OSS, il servizio segreto americano creato durante la seconda guerra mondiale, padre della CIA; in Egitto a fianco dei cugini dell'MI6 nel 43, in Grecia alla fine della guerra per “gestire” la guerra civile contro i comunisti. Poi lo scioglimento del servizio, a fine guerra, perché l'OSS non lo voleva nessuno, né l'FBI né l'esercito, nel 45.
Infine, con la guerra fredda, la creazione della CIA, con l'approvazione del National Security Act nel settembre 1947: c'erano i russi là fuori, c'era il timore che i russi estendessero la loro influenza anche su alcuni paesi “amici” in occidente, come Italia.
Ecco, il primo atto del nuovo servizio, che aveva mandato di eseguire operazioni clandestine all'estero: le elezioni politiche in Italia del 1948.
L'Italia fu il laboratorio della Cia durante la guerra fredda” scrisse Tim Werner nel suo libro sull'agenzia: soldi ai partiti politici di centro, sottobanco o tramite il Sifar, il nostro servizio segreto, di fatto una dependance di quello americano e dell'ambasciata a Roma.
Soldi alla DC, ai giornali in funzione anticomunista e antisocialista, soldi anche ai groppuscoli di ex fascisti per operazioni sporche, soldi anche alle imprese private. Solo per le elezioni del 1948 arrivano in Italia 10 milioni di dollari.
Operazione Demagnetize – un piano segreto di cui il Parlamento non era informato e nemmeno tutti i ministri: stroncare i comunisti, discriminare le aziende che li assumevano, costringendoli a licenziarsi, far fallire le cooperative rosse, creare scandali sui dirigenti PCI, il tutto nell'ambito del progetto “Stay Behind” Nato...

Karamessines arrivò in Italia, come capo stazione Cia nel 1958 e vi restò fino al 1963, per poi tornare a Washington come vice direttore delle operazioni coperte, le “lo shit department”, dove gestì operazioni di disinformazione come quella sul Vietnam, la cattura di Che Guerava in Bolivia (consegnato dai Russi, perché il Che era un problema anche per loro?); i piani per uccidere Castro; la destabilizzazione del Cile dopo le elezioni del '70 vinte da Allende.
Il presidente Nixon considerava Allende “un figlio di puttana” di cui sbarazzarsi, non poteva essere un governo socialista nel giardino di casa degli Stati Uniti.
E non solo:
Quello che lo spaventava davvero era il messaggio che dal Cile poteva arrivare agli elettori italiani … Era l'Italia che lo terrorizzava ..

Il Cile fu il primo punto di attrito della sua carriera (e di quella del suo capo, Richard Helms), il Watergate il secondo: attrito con Nixon che voleva a tutti i costi la pelle di Allende e che, dopo il Watergate, voleva che fosse la Cia a prendersi la colpa di tutto (nascondendo così il vero scandalo, l'uso di fondi neri provenienti dal comitato per la rielezione per le operazioni sporche compiute durante la campagna presidenziale).
In trent'anni all'Agenzia, mai avute tante pressioni da parte della Casa Bianca, nemmeno durante la crisi dei missili a Cuba..

Infine le dimissioni dal servizio, nel 1972.
Tutte queste cose le sappiamo attraverso il racconto che ci fa, nell'immaginazione dell'autore, Tom K. stesso, nel 1978, nel suo ritiro sul lago Lac Grand, quando pochi giorni prima di deporre di fronte alla commissione della Camera sugli omicidi Kennedy e King, riceve la visita di due agenti della CIA.
La ricostruzione della vita di Tom K., per scriverci poi un libro, diventa un'ossessione per Arpaia: in giro oggi si trovano poche informazioni e pochi libri che parlano di questa persona (tra cui quelli della biblioteca dell'amico Giuseppe D'Avanzo, il giornalista di Repubblica morto nel 2011).

Forse avrei potuto, da un lato, raccontare le mi ricerche ed evidenziare i «fatti», e dall'altro, raccontare l'ultimo giorno di vita di Tom K, immaginando liberamente proprio a partire di quei «fatti» e cercando di seguirne il senso, di mettere in scena il fantasma dei fatti, come avrebbe detto Leonardo Sciascia. Sì, forse c'ero.

Ed ecco così, che alternate alle pagine dei «fatti», rivediamo la nostra storia come fosse un film attraverso i ricordi di Thomas Karamessines: lo scontro all'interno dell'amministrazione americana per le aperture verso un governo di centro sinistra in Italia (nei primi anni sessanta), l'ambiguità dell'amministrazione Kennedy in proposito (Kennedy stesso era circondato da collaboratori contrari a questa apertura), il Piano Solo del generale De Lorenzo (e il dossieraggio dei nemici a sinistra), i ricatti all'interno della DC, divisa in correnti l'una contro l'altra.

Rileggiamo i fatti di quegli anni secondo una nuova luce: la fine dell'esperimento di un governo di centro sinistra capace di fare quelle riforme necessarie per svecchiare il nostro paese, la nazionalizzazione dell'energia, il “tintinnar di sciabole” nel 1964.
La misteriosa fine di Enrico Mattei, di cui ancora non sappiamo il responsabile: la sua politica energetica viene qui riletta dal punto di vista politico. Dialogare coi paesi ex colonie, da trattare alla pari, andare oltre alla vecchia politica coloniale (che ancora l'Inghilterra portava avanti in Medio Oriente), aprire nuovi ponti verso l'Africa, verso l'est, perfino con la Russia.
Chissà, forse l'Italia avrebbe potuto essere per gli Stati Uniti quel partner politico , quell'alleato “così a lungo cercato” per portare avanti una nuova politica nel mondo (sono le parole di George Ball, sottosegretario di Stato dell'amministrazione Kennedy).
Un'Italia che stava acquisendo un forte riconoscimento come potenza internazionale?

Per questo che è stato ucciso, Mattei? Come Mario Tchou, come Ippolito, come Marotta, andava fermato perché l'Italia non poteva permettersi questa autonomia.
E i nemici di Mattei non stavano solo oltre oceano, si trovavano anche qui in Italia, troppo potente, troppo ingombrante, troppo autonomo dai partiti.

Le uniche storie che val la pena raccontare son quelle che non possono essere raccontate” scrive Javier Cercas.
E questa storia, un po' romanzo, un po' spy story, quella di Tom K., dell'ingerenza americana, dell'Italia che avrebbe potuto essere (potenza economica, all'avanguardia nella ricerca scientifica) e che non è stata, è una di queste.
Avvincente come un thriller o una spy story, preciso nelle ricostruzioni dei fatti come un saggio storico, questo romanzo colma una vuoto della nostra storia che merita di essere riportato in luce, anche per spiegare agli italiani di oggi come siamo arrivati alla situazione in qui siamo.
Un paese dove la ricerca scientifica viene rivalutata solo ora per colpa dell'emergenza del virus, di un capitalismo senza capitali che porta avanti uno sviluppo senza ricerca; un paese che ancora dipende da petrolio e carbone (e dove il nucleare “pulito” è naufragato tanti anni fa), un paese di scandali e di ricatti, dove vige lo scetticismo verso le istituzioni (“chissà cosa non ci raccontano”), le teorie di complotto. Un paese ancora immaturo, insomma.

La scheda del libro sul sito dell'editore Guanda e il pdf del primo capitolo.
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