Le
prime indagini di Leo Salinas.
In
origine, nella prima versione di questo romanzo uscita per Bompiani,
i canti erano quattro, come i quattro cantoni all'incrocio della
piazza chiamata dei “Quattro canti” a Palermo, all'incrocio di
due vie importanti, via Maqueda e corso Vittorio Emanuele.
Piazza
da cui partano i quattro quartieri storici della città, Tribunali,
Castellammare, Palazzo Reale, Monte di Pietà.
In
questa nuova edizione il giornalista scrittore Giuseppe di Piazza ha
aggiunto un nuovo racconto, “La doppia morte di un uomo perbene”,
il quinto canto di Palermo, la città straziata dalle stragi di mafia
che ne hanno insanguinato le strade tra la fine degli anni settanta e
la fine degli anni 80.
Ogni
racconto si apre col ricordo che la voce narrante ha, al giorno
dell'oggi, dei fatti accaduti in quegli anni, tra il 1981 e il 1984:
chi era quella persona protagonista della storia, che ricordi ci ha
lasciato o quali rimorsi sono rimasti dentro. Attorno, fatti di
cronaca che il giovane giornalista racconta sul suo giornale,
vivendoli in prima persona, sui luoghi dove era stata appena
ammazzata una persona, dove era appena esplosa una bomba, lasciando
ovunque macerie, pezzi di corpo e quel sangue che “sporcava” le
suole delle scarpe.
Sono
racconti in cui si scontrano due mondi quasi all'estremo: da una
parte il mondo della cronaca che Leo Salinas, cronista abusivo o
“biondino”, deve raccontare sul suo giornale, che esce nel primo
pomeriggio.
L'ennesimo
morto sparato, la rapina, la mattanza della mafia che in quegli anni
aveva attaccato frontalmente lo Stato uccidendo magistrati, medici,
poliziotti e carabinieri, un presidente di regione, un prefetto, un
segretario di partito … oltre alla strage all'interno di Cosa
nostra, col colpo di stato dei corleonesi che aveva decimato le
famiglie palermitane.
La stima che fa lo scrittore Enrico Deaglio è di diecimila morti nel Sud, nel giro di una decina d'anni. Qualcosa meno di quanto persero la cita in Kosovo. Ma lì intervenne la Nato. A Palermo, invece, mandarono un po' di poliziotti e qualche carabiniere. Migliaia di persone vennero assassinate o fatte scomparse, cioè rapite e uccise, durante la seconda guerra di mafia [..]lo Stato fatto a pezzi, una lista infinita di nomi che che ci costringono all'inchino: Boris Giuliano, Cesare Terranova, Gaetano Costa, Piersanti Mattarella, Michele Reina, Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Rocco Chinnici, Emanuele Basile, Mario D'Aleo, Ninni Cassarà, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino ..
E,
all'opposto, il desiderio di assaggiare la vita di quei vent'anni,
gli amori per le belle ragazze piene di fascino e di mistero.
Lilly,
Sophie, Rosalia, Francesca .. e poi Serena, la pericolosa coinquilina
fidanzata dell'amico Fabrizio, con le sue avances. L'amore, la
passione, il sesso, la musica degli anni settanta, dai Black Sabbath
ai Pink Floyd, la buona cucina siciliana, i sogni e le gite al mare:
Non c’era niente di straordinario: in quei tempi si moriva. Non avevamo altra difesa se non trovarci un cantuccio dove nasconderci dalla realtà… Non c’era consapevolezza, non sapevamo di combattere una guerra: contavamo i caduti, sentivamo le unghie della morte conficcarsi ogni giorno di più nelle nostre vite.
Sono
racconti in cui si parla di mafia, di vittime e di carnefici, di
persone in cerca di giustizia, da quello Stato che non sapeva sempre
proteggere i più deboli e perfino da un giornalista capace di
raccontare la verità su un giornale.
Un
giornalista capace di appassionarsi ad una storia dalla soluzione
troppo semplice o forse troppo comoda.
Non
era (e forse non è nemmeno ora) facile vivere in quella Palermo,
dove il quotidiano L'Ora (dove ha lavorato l'allora giovane cronista
Giuseppe di Piazza) metteva in prima pagina il contatore delle morti
per le strade e dove era sempre facile riconoscere il buono dal
cattivo, il malacarne dalla persona coraggiosa. Dove il mestiere del
giornalista si faceva ancora andando a sporcarsi le scarpe con la
polvere e col sangue, usando le cabine telefoniche per comunicare con
la redazione, usando tutte le conoscenze e le amicizie per
raccogliere una confidenza, un'intervista.
Sullo
sfondo, Palermo, le sue strade, i suoi vicoli, la vita delle persone,
la sua bellezza tragica e struggente:
“Si conviveva. Buoni e cattivi, vittime e carnefici. Figlie d’impiegati perbene e figli di mafiosi sanguinari. La linea di confine, a Palermo, non è mai stata tracciata”.
Marinello
un
western
Palermo, giugno 1982
Il poliziotto aveva staccato dal turno di notte. Lavorava al reparto Volanti, ma in realtà faceva parte di una squadra segreta, detta Catturandi. I cacciatori di mafiosi. Il nostro rapporto era al confine tra la conoscenza e l'amicizia. Bastava poco perché tornasse al campo neutro della prima o decollasse verso il cielo della seconda.Mi aveva dato appuntamento al bar davanti alla questura. Si chiamava Salvo, aveva 23 anni, a mia stessa età. Un'età ingiusta per parlare di morte, di autopsie, di tortura. Eppure.
«Hai presente gli Spataro?».
La famiglia più vincente tra i vincenti, in quel sanguinoso 1982. Mafia antica che si era saputa riciclare, alleandosi in fretta con i feroci corleonesi.
Due
giovani ragazzi che, come Giulietta e Romeo cinquecento anni dopo,
sfidano le famiglie per il loro amore. Per scappare dal loro destino,
per scappare dove non si parla siciliano.
Marinello
Spataro, che non voleva fare il killer per la sua famiglia e Rosalba,
figlia di una famiglia borghese, tranquilla..
Sophie
Un
amore
Palermo, luglio 1983Un oggetto spugnoso della dimensione di una piccola mela. Era lì davanti, sull'asfalto, tra rottami che fumavano, calcinacci, pietre. Mi chinai per capire cosa fosse: era un calcagno. Una parte di piede staccata e spellata dall'esplosione. Riconobbi la struttura dell'osso, ebbi un conato di vomito. Intorno a me rumori forti, le sirene delle auto della polizia e carabinieri che continuavano ad accorrere, il movimento degli uomini quando, di fronte a un fatto imprevedibile, non sanno dove andare, cosa dire.
Si
apre con lo scenario sinistro di via Pipitone negli attimi successivi
la strage del giudice Rocco Chinnici, questo racconto che ha come
protagonista una donna bellissima e fragile, una Ginevra da
proteggere, Sophie.
Una
bella donna, ma con un mistero dentro, come un “macchina con gli
interni neri”.
E
un dilemma, che peserà ancora nella coscienza dell'io narrante,
sulla scelta giusta da fare con questa ragazza.
Vito
Un
matrimonio
Palermo, ottobre 1983
«La Cronaca?»
«Dica.»
«Uno he si chiama Vito Carriglio ha fatto scomparsi i suoi tre bambini.»
«Chi parla?»
«Non ha importanza. Lei pigliò l'appunto?»
La mia penna si muoveva scoordinata sul foglio. Scrissi prima Carriglio. Poi, sotto, Vito. Con la mia grafia da medico, le paroe sembravanouno schizzo di Pollock.
«Allora, ha scritto?»
«Si, però..»
Clic.
L'uomo aveva una voce da noce secca: rugosa, dura.
Una
storia di orrore, quotidiano, familiare. All'interno di una famiglia
mafiosa (e qui l'autore è bravo a spiegare la mentalità delle donne
nella logica mafiosa).
Un
“malacarne”, capace solo di picchiare la moglie, che per punirla,
rapisce i bambini.
E
Leo Salinas che, ancora una volta, si ritrova ad essere testimone
dell'orrore.
Rosalia
Una
figlia
Palermo, febbraio 1984«Dottore, deve venire a vedere. Passo.»
«Vela 2, che cosa c'è?»
«Un 10-79. E' assurdo. Passo.»
«Dammi la posizione.»
«Piazza Giulio Cesare. Passo.»
«Scusa, Vela 2, dove sarebbe?»
«Dottore, va', la stazione. Passo.»
Il responsabile della cronaca politica, Pippo Suraci, alzò gli occhi dalla sua Olympia, smise di pestare i tasi e, rivolto a nessuno, disse: «Ma che è successo alla stazione?». Poi ricominciò a scrivere.
Un
delitto difficile da decifrare, un signor nessuno, strangolato e
decapitato. Un ladro che rubava “onestamente” (un ossimoro buono
solo in un mondo imperfetto come questo) che si ritrova ucciso in
quel modo.
E
due occhi scuri che chiedono a Leo Salinas di dare una risposta: sono
gli occhi della figlia del morto, Rosalia.
Perché
“scippare la testa ad un padre toglie la dignità alla figlia.”
La
doppia morte di un uomo perbene
L'autunno palermitano arrivo d'improvviso, alle 18.56 di quel pomeriggio di novembre del 1981, con un rovescio d'acqua che bagnò strade, guardini riarsi, persiane. Il dottor Mario Italo Serpotta l'aveva previsto e, al mattino presto, esaminando i soprabiti appesi nell'armadio all'ingresso, non diede retta al tepore nell'aria , che da un giorno all'altro l'avrebbe invogliato a uscire solo con la giacca..
Un
medico, con simpatie fasciste, di quel fascismo che secondo la
propaganda del ventennio significava ordine e pulizia, sparato in una
mattina d'autunno, da un commando mafioso.
Un'esecuzione
a cui subito viene appiccicato il perché.
Il
dottor Mario Italo Serpotta è stato ucciso dalla mafia perché aveva
fatto un favore di troppo ad una famiglia, ad un boss..
Una
mascariata forse, che però diventa quella verità di comodo che non
si toglie più via, come certe macchie: una “storia imprigionata in
un labirinto di bugie”.
Diciassette
anni dopo, la tenacia della figlia, e del non più “biondino”
Leo, riusciranno a dare una dignità a quella morte.
Gli
altri libri di Giuseppe di Piazza
La
scheda del libro sul sito dell'editore Harper
Collins
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