Palermo, agosto 1984
«Non si può amare una puttana.»
«Che ne sai?»
«Lo so.»
«Il tuo è un pregiudizio.»
«Paghi e lei dice di amarti. Questa è una certezza, non un pregiudizio.»
«Veruska non era così.»
«Ma dài, fammi il piacere» dice Serena, alzando gli occhi al cielo.
«Lei amava» provo a difendermi.
«Sei patetico solo a pensarlo. Se poi ci credi pure, mi preoccupi.»
Leo Salinas è un
aspirante giornalista, un “biondino”, uno di quelli che si fanno
dieci ore di lavoro al giorno in attesa di un contratto da
praticante, che lavora da due anni per un tabloid palermitano che si
occupa tra le altre cose di cronaca nera. E di mafia, chiaramente,
perché siamo a Palermo negli anni 80, negli anni successivi la
mattanza dei corleonesi.
Una mattina di marzo viene
svegliato dal capocronista:
«Chi è?» risposi con voce da narcotizzato, accendendo il lumetto.
«Occhi di sonno, arruspigghiati. Saro sono. Il capo ti vuole.»
«Che è successo?»
E' successo che una
ragazza, una bellissima ragazza che si chiama Veruska, è stata
picchiata violentemente e sfregiata con l'acido.
Era venuta dalla
Cecoslovacchia in Italia alla ricerca del suo sogno, sogno che era
nato guardando Raffaella Carrà ballare Tuca Tuca uno dei pochi
programmi permessi dalla tv comunista: andare in televisione anche
lei e diventare famosa.
Perché bella era
bella, Veruska, di una bellezza semplice e naturale. Di una bellezza
che non passava inosservata, specie mentre girava tra i tavolini del
Lord Jim, un locale alla moda della Palermo bene.
«Ma che dici? Veramente non sai chi è Veruska?» mi chiese il giovane agente della volante.
«Non scherzo.»
«È una buttana di lusso. La più buttana di più lusso che c’è a Palermo»
Dove Veruska
incontrava i suoi clienti: perché questo era, una escort di alto
bordo diremmo oggi, oppure in dialetto palermitano, una pulla.
Ma era una pulla
che amava, che sapeva amare i suoi clienti, col suo sorriso, coi suoi
giochetti: vendeva amore e felicità per duecentomila lire a notte.
Si sono innamorati, quasi contemporaneamente, di una ragazza cecoslovacca che andava pazza per Raffaella Carrà. Una ragazza che non metteva limiti alla propria vita,..
Soldi che servivano
ai tanti fortunati clienti di vivere un sogno, almeno per una notte.
Soldi che servivano a lei per raggiungere il suo di sogno.
Un sogno che non
potrà più raggiungere, perché qualcuno ha deciso di picchiarla a
morte.
Questo assassino
andrebbe cercato nella lista delle persone che incontrava tutte le
notti: una lista che coinvolge anche persone importanti e su cui si
mette alla ricerca sia Leo, “Occhi di sonno” (per le poche ore di
sonno che passa) con la sua Vespa 125 GTR, sia gli investigatori
della Mobile e il suo capo, Gualtieri
Gualtieri aveva con me un rapporto
di strana fiducia. Si lasciava andare a confidenze e a giudizi che
certe volte mi lasciavano di stucco. Un poliziotto che aveva quasi il
doppio della mia età, venuto dal Nord,..
Con alcuni di
questi, Leo entra anche in contatto: un parente di una sua ex, che
chiama zio, un gallerista.
Il profumo di terra smossa entrò forte nelle mie narici, percorrendo lo sterrato che mi avrebbe condotto alla villa padronale. Sembrava di essere altrove, in un’epoca dimenticata. La mia Vespa era l’unico elemento meccanico in un paesaggio rurale settecentesco. Il tufo della villa mi accolse ricordandomi che il tempo, a Palermo, è pura convenzione. Pensai a Serena: avrei dovuto dirle di venire a vedere quella facciata, lo scalone a doppia rampa quasi identico a quello di Villa Boscogrande, un chilometro più in là, che Luchino Visconti, nel suo Gattopardo, aveva utilizzato come residenza del principe Fabrizio Salina.
Lo zio, uno dei
tanti baroncini dell'isola e che ancora difendeva il suo agrumeto dal
cemento selvaggio (anche perché con la mafia si era accordato), gli
racconta dei sogni di Vera, della sua collana con grani rossi da cui
non si separava (e che ora era scomparsa.. che fine ha fatto?), della
sua spontaneità, anche nel fare l'amore.
In tanti si erano
innamorati di Vera, in tanti avevano cercato di comprarsela, ma lei
non era di nessuno.
Ascoltando il lamento nella voce di
Bruno Capizzi di Montegrano compresi che Veruska non era una donna da
giudicare, ma una specie di sentenza inappellabile.
Il gallerista,
infatti, racconta a Leo, di un anziano ammiratore che la voleva
riempire di soldi:
«Dal suo umore. Negli ultimi giorni era un po’ nero. Aveva un pensiero che la tormentava.»
«Gliene ha parlato?»
«Ha accennato a un vecchio molto ricco, con una casa in campagna, che voleva darle molti soldi.»
Intuiamo qualcosa
della vita di questa ragazza bella e sfortunata, leggendo le pagine
del suo diario, che si alternano al racconto dell'inchiesta, narrato
in prima voce da Leo.
Scrivere della sua
vita nel suo diario era una delle poche passioni di Vera: nelle
pagine sono presenti due uomini in particolare, il ragazzo gentile e
il ragazzo che voleva diventare avvocato
«Allora me ne vado. Però così non è giusto, Veruska.»
«Cosa non è giusto?»
«Devi smetterla di lavorare, io posso pensare a te, la mia famiglia è molto potente, posso cancellarti dalla mente dei palermitani»
Mentre Leo è alla
ricerca di questa lista di amanti sperando di trovare in essa un
motivo, un perché, un possibile assassino, viene scoperto il
cadavere di un uomo, vestito bene, nel quartiere di Brancaccio.
Sarà anche un
“biondino”, come si dice in gergo nel mondo del giornalismo, ma
Leo è uno di quelli in gamba, che sa ragionare sui fatti: un uomo,
vestito bene, con una specie di pochette nella tasca, ucciso come un
mafioso in un quartiere mafioso?
C'è qualcosa che
stona.
Perché questa
persona è stata uccisa proprio in quel modo, con quel marchio che
porta dritto alla mafia?
C'entra qualcosa il
delitto di Brancaccio con la morte di Veruska? E dove cercare le
ragioni della morte della giovane ragazza ceca? Delitto passionale o
forse anche questo è un delitto mafioso, perché magari erano venuta
a conoscenza di storie che non doveva conoscere, frequentando persone
della borghesia mafiosa?
L'inchiesta di
Occhi di sonno arriverà a far luce sulle ultime ore di Vera,
sulla sua ultima e triste “Malanottata”.
“Malanottata”
non è solo un giallo che si muove per le strade di Palermo e che si
legge tutto d'un fiato: è anche un racconto di una professione,
quella del giornalista che va a caccia della notizia, seguendo le
piste e le persone, bevendosi anche un caffè dopo l'altro, perché è
un modo per entrare in empatia con le persone.
Ma, si racconta
anche del rapporto di Leo con le donne, della sua eterna indecisione
sulle donne, sul suo lasciarsi usare da loro. Dalla fidanzata Lilli e
dalla coinquilina Serena, fidanzata del suo amico.
C'è Palermo, le
vie piene di macchine e piene di vita, il dialetto dei siciliani, il
detto e il non detto (“La Sicilia è la capitale mondiale
dell’allusione, del non detto, del detto al contrario perché
ognuno capisca da solo il vero senso dei sì..”)
E, come una cappa sulla città, una mafia che è presente, che si sente anche se non si vede.
E, come una cappa sulla città, una mafia che è presente, che si sente anche se non si vede.
Lo spunto per questo libro arriva, in parte, da un omicidio vero, raccontato all'autore dall'ex procuratore antimafia Piero
Grasso: l'assassino di una giovane prostituta che era stato vendicato
dalla mafia che aveva poi ucciso l'assassino, per dimostrare alle
persone che in Sicilia era la mafia ad amministrare la giustizia.
Ecco, contro questa
idea di giustizia, di una regione abbandonata alla mafia, si sono
battuti magistrati come Grasso, come Caselli e come Falcone e
Borsellino.
E questa battaglia
è stata raccontata da giornalisti coraggiosi, come Giuseppe di
Piazza, che negli anni settanta era stato testimone della guerra di
mafia.
La scheda del libro
sul sito di Harper
Collins.
Qui
potete sfogliare le prime pagine del libro.
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