06 marzo 2020

L'inverno più nero di Bologna

Cos'è stata la seconda guerra mondiale per le persone che l'hanno vissuta dal fronte interno, stipate nelle città sotto le bombe, sotto il giogo dell'occupante nazifascista, alle prese con la fame, la miseria, la borsa nera?
Con la paura di finire deportati in Germania, mandati al lavoro coatto o peggio, perché incappati in un controllo dei fascisti o dei tedeschi..


Immagine presa da sito Guerra infame
Lo racconta, come sa fare lui, Carlo Lucarelli nel suo ultimo romanzo, ambientato a Bologna nel suo inverno più nero, quello del 1944/45: L’inverno più nero (Einaudi)
Dentro le mura a Bologna era un suk, una casbah fradicia e fredda di neve sporca, piena di gente anche in strada, perché con il gas limitato all'ora di pranzo, il carbone razionato e la legna introvabile, di giorno si stava quasi meglio fuori sotto i portici che negli appartamenti di fortuna degli sfollati.E poi i bambini, infagottati nei cappotti di stoffa riciclata, strangolati dalle sciarpe ruvide di lanital, arroccati dietro castelli di macerie a tirarsi da neve bagnata con le mani arrossate dai geloni anche se faceva male.Le donne che setacciavano la città a caccia di qualcosa da mettere in tavola la sera, cercando uomini dall'aspetto distinto, il cappello calcato sulla fronte, la borsa di pelle nera da dottore gonfia di olio a 400 lire al litro e burro a 500 al kg, anche se era proibito.  
Uomini che riempivano carriole con i mattoni delle case sventrate dai bombardamenti, per riparare altri buchi in altre case anche se non si poteva, e altri che spingevano a mano carretti pieni di sedie testate di letti e comodini per occuparne altre ancora, anche se non si doveva. 
Contadini con i carri ricolmi di paglia per le mucche infilate a forza nelle cantine trasformate in stalle, qualche operaio in tuta e bicicletta, le mani rattrappite sui freni a bacchetta, gli addetti del comune su un furgoncino col bombolone del gasogeno a portare le coperte al centro assistenza profughi numero 4 di via Urbana.  
Gruppetti di uomini e ragazzi di varie età mezzi, nascosti dietro le colonne sotto il portico del vecchio ospedale dei Bastardini, a riscaldarsi marciando sul posto come i soldati che erano stati, la sigaretta sempre più corta da passarsi in cerchio pronti a sparire veloci al primo accenno di uniforme, perché tutti disoccupati, tutti buoni per le retate del Lavoro coatto, anche se il giornale diceva che le fabbriche, pure quelle saccheggiate e chiuse dai tedeschi, erano tutte aperte e il lavoro coatto in Germania o al fronte, era volontario. 
Alle 17:10 al primo calare del sole, il coprifuoco avrebbe trasformato il suk dentro le mura di Bologna in una città fantasma, accecata dall'oscuramento e muta, a parte gli scarponi delle pattuglie o quelli dei Partigiani.  
Ma fino a quel momento quella casbah fradicia e sporca, che scoppiava di voci rombando sorda come un treno in una galleria, brulicava di gente che cercava qualcosa, la neve, il burro, una sigaretta, un attimo in più per superare quella che per tutti, dall'inizio della guerra, forse dalle sempre, era l'inverno più ruvido e freddo. L'inverno più nero.

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