Nessuno sa correre così metodicamente, i piccoli passi come un metronomo, salone-cucina, dietrofront, altro viaggio, cucina-salone, ancora, tic-tic-tic, senza un movimento sbagliato, senza sbavature, sembra un esercizio di ritmica, e di perizia. Invece Katrina non se ne accorge nemmeno, frantuma nel suo viavai la conversazione in corso, o la ricostruisce, con la Calamita Santa, Miss Universo Lady Madonna di Medjugorje, incollata al frigo, che la guarda e la capisce. La compiange, tenerezza magnetica, anche quando lei dice: «Signor Carlo sempre ultimo momento!», sospirando come forse si fa in Moldavia, dalle sue parti, tipo un treno a vapore che frena nella neve.
Una cena tra amici, oddio, forse amici
proprio no, ma tra persone adulte che si sono conosciute, anche in
momenti difficili e che hanno imparato a stimarsi.
Il Carlo Monterossi, l'inventore della
trasmissione dove si propina agli spettatori l'invenzione del mondo
reale, la tv del dolore, la macchina della merda. Quel mondo lì, che
l'ha reso ricchi e infelice.
E poi, il Ghezzi il sovrintendente di
polizia, un grado basso dopo trent'anni di carriera, perché lui non
è uno che cura i rapporti coi ranghi alti, lui è un poliziotto di
altri tempi, suole consumate, indagini sul campo, interrogatori
infiniti, testimoni da cercare …
In quella cena (in cui sono invitate
anche Chiara Ballesi, amica, compagna di Carlo e la signora Rosa,
moglie del Ghezzi) Carlo Monterossi avrebbe voluto spiegare,
giustificarsi col Ghezzi, di come non era riuscito a vendicarsi di un
certo torto, usando la sua trasmissione (rileggetevi se non l'avete
fatto il precedente “I tempi nuovi”): una storia di ingiustizia,
di forti contro i deboli.
«Le devo delle spiegazioni, Ghezzi, pensavo fosse possibile fare un po’ di giustizia, ma non me l’hanno permesso».
[..]«Perché si scusa, Monterossi?».
Già, perché si scusa? Perché si sente sporco, ecco perché. Lo dice, ma in cambio non riceve quella complicità che si aspettava.
Ma quel tentativo mal riuscito di dare
delle spiegazioni, arriva ad altro: perché il Ghezzi, dopo una vita
da sbirro che gli è passata davanti, ora che si trova quasi prossimo
ai sessanta, sente che è arrivato anche il momento di fare bilanci e
si sentirebbe anche stanco. Così all'improvviso sbotta.
Lui, il poliziotto zen, quello che
parla calmo, quello così ligio al dovere tanto che per una indagine
si era travestito da frate facendosi venire i geloni ai piedi, così
diverso dal socio, il sovrintendente Carella, il cane da fiuto, il
mastino.. Ecco il Ghezzi questa volta non ce la fa più: ma cosa
ne sa lei, Monterossi?
«Che ne sa, lei, di quello che c’è là fuori, Monterossi? Parla di ingiustizie e di miserabili come se li avesse visti davvero. Ma non è così. Lei ne fa caricature, Monterossi, lei non sa davvero cosa c’è là fuori, cosa sono le vite in sospeso, le botte, le umiliazioni, la lotta incessante per la sopravvivenza. La roba, Monterossi, i soldi, il potere, il comando, e quelli che chinano la testa, che lavorano ai margini, che ambiscono alle briciole, e a volte per le briciole sono capaci di ammazzare».
Inizia in questo modo, sorseggiando un
Whisky, il racconto di una storia nella storia, la STORIA che Ghezzi,
racconta a Carlo: una storia di piccola criminalità, di piccoli
squali affamati in un mare di squali sempre più in altro nella
catena alimentare. Di tutto quello che sta là fuori e che forse il
signor Monterossi, nel suo attivo in zona Porta Venezia a Milano, non
conosce.
C'è un piccolo ladro d'appartamento,
il signor Pietro Salina, che all'improvviso sparisce,
lasciando alla compagna, Franca, una sex worker (oggi, ma una volta
si sarebbe chiamata una prostituta) solo un biglietto misterioso: “ho
visto una roba che non dovevo” e ciao.
Così ora la Franca si rivolge proprio
a quel poliziotto che conosce (perché aveva arrestato il suo Pietro,
era stato il primo arresto del giovane Ghezzi, non pensate male)
perché glielo ritrovi.
Fare qualche domanda, cercarlo tra i
suoi amici, tra i suoi parenti, se ne ha, capire se dietro quel
biglietto c'era qualcosa, una vena di paura o altro.
Per Ghezzi è un tuffo nel passato,
quel primo arresto, quel rapporto strano con la Franca, sapeva che
lavoro faceva ed entrare a casa sua per sapere come stava, lo metteva
a disagio, gli faceva provare quasi un brivido di piacere. Ed è un
tuffo nel passato anche per il modo di fare le indagini: girare per i
bar dove bazzicava il Pietro, sentire le persone che erano state in
cella con lui …
Ma Ghezzi viene incaricato di occuparsi
anche del suo socio, Carella, ufficialmente in vacanza (lui,
che per fargli fare un giorno di ferie nemmeno le cannonate), ma che
è stato visto girare con macchinoni da centomila euro, frequentare
bische in mano ai calabresi al Giambellino, non proprio brava gente.
Iniziano a girare voci strane su
Carella, che forse è diventato un poliziotto sporco oppure che sta
facendo una sua indagine personale, come un “Montalbano in
proprio”, come dice il capo, il vicequestore Gregori.
Che sta facendo Carella?
Carella sta seguendo una persona, un
tale appena uscito dal carcere di Bollate, che si chiama Vinciguerra.
La storia di Carella la conosciamo un pezzo alla volta, con brevi
lampi di memoria: un piccolo criminale che, appena uscito dal
carcere, sale su una macchina e sparisce, per andare a festeggiare la
libertà.
Una condanna per violenze contro una
ragazza, una delle prostitute che lavoravano per lui nelle sue case.
Un processo farsa, un'altra ragazza con
tanti problemi alle spalle che aveva testimoniato, ma le cui parole
erano servite a poco, perché la giustizia si sa come funziona..
Cosa c'entra questa storia, con la
storia di Carella, col suo sprofondare dentro il mondo del crimine,
sulle tracce di questo piccolo sfruttatore con la mano pesante e con
pochi scrupoli?
Sono i famosi cerchi dell'acqua, la
splendida metafora che dà il titolo al libro: i delitti, anche
quelli che sembrano più lontano, sono come dei cerchi dell'acqua
dentro uno stagno, piano piano si allargano e ci toccano. Ci toccano
dentro e diventano qualcosa di nostro.
Il delitto, qualunque delitto, dalle botte al furto in casa, fino all'omicidio, crea una scia di dolore che non è possibile calcolare. Il sassolino nell'acqua ferma produce un cerchio, poi un altro, poi un altro, i cerchi si allargano. Il morto è morto, cazzi suoi, ma il dolore per la sua morte si contagia come una brutta scabbia.
Questo è successo
a Carella: ha preso quella malattia e ora non può fermarsi, deve
trovare questo Vinciguerra. Per fare cosa?
C'è, infine, un'altra storia dentro la
storia (ma quanto è ricco e articolato questo giallo di Robecchi?):
c'è il delitto Crodi, un vecchio artigiano, esperto in restauri,
ucciso nel corso di una probabile rapina. Ucciso male, a furia di
botte: su questo delitto la stampa e la brava gente preoccupata
perché “dove stiamo andando a finire” stanno mettendo in croce
Procura e Questura.
Tre storie che ci vengono raccontate,
in cui ci troviamo proiettati: Carella e la sua ossessione, che lo
porterà ad attraversare il confino tra ciò che e lecito e ciò che
non lo è.
“.. quell'immersione sul fondo, i gironi infernali di spacciatori, trafficanti, truffatori, uomini di fiducia, boss galoppini. La luce e quell'odore dei bar gli si sono appiccicati addosso, il fiato fetido dei miserabili, del loro whisky aspettando, delle loro puttane, delle loro regole, dei loro codici, segnali, delle loro piste piene di coca tirate sui tavoli prima di andare al lavoro, un'estorsione, un pestaggio, la riscossione di un debito. E' sceso là sotto, sotto la superficie, perché cercava il Vinciguerra, e lo cerca ancora.”
Ghezzi, pure lui continua a chiedersi
perché: perché cercare questo Pietro, perché continuare a fare
questo lavoro, questa vita a fianco con la Rosa, con tante
privazioni.
Gli manca Carella, gli manca quel suo
“parlami Ghezzi”, in cui i due poliziotti così diversi si
confrontavano, il primo cercava di spiegare all'altro il suo punto di
vista.
Pure Ghezzi quella linea, quel confine,
tra lecito e illecito, dovrà superarlo, andando a immergersi in quel
mare di piccoli predatori: “la vecchia usuraia che riceve i
debitori, la processione dei questuanti, i negri che pagano puntuali
..”, come trovarsi sul set di un film di costume.
Sempre per quella storia dei cerchi del
dolore, i cerchi dell'acqua, che dal centro dello stagno si muovono
lontani, toccando tutte le persone sensibili al dolore degli altri.
E Carlo Monterossi?
In questo romanzo fa un passo indietro,
ad ascoltare la storia del Ghezzi che racconta a lui (e a noi come
lettori) di questo mondo, lontano dal suo, dei cattivi, quelli che
per poche briciole sono disposti ad uccidere, senza provare scrupoli,
con la paura della finanza o della polizia, di prendersi un colpo di
pistola o di pestare i piedi a qualche predatore più pericoloso.
Due mondi, quest'ultimo e quello del
Monterossi, che non si incontrano, non si vedono. La bilancia della
giustizia in mano ad una dea bendata che non vede queste differenze,
questi mondi, queste ingiustizie:
Ora Carlo la vede, la bilancia truccata, con pesi non comparabili sui due bracci: di qua la sua tranquillità inscalfibile, appena turbata da qualche paturnia etica,un esercizio elegante di spirito critico, un democratico cinismo. Si, sì, come no, un mondo migliore .. certo, ci sto, ci sono, avvertitemi un po' prima no, meglio un messaggio.Di là, invece, la Cajenna dei cattivi, il peso delle botte e delle coltellate, i soldi che girano, le donne che girano anche loro come merce, pedine, vittime, i pesci piccoli, i pesci grossi e tutta quella merda che Ghezzi aveva messo in fila. Carlo pensa a quei quadri di Grosz, coi borghesi pasciuti che ostentato benessere e i derelitti macilenti, caricature feroci, ma, appunto: caricature.
No, troppo semplice, non va bene.
Non è letteratura o cinema, aveva detto il Ghezzi, e su questo aveva qualche ragione: i cattivi della sua storia non hanno appiccicato addosso nemmeno un grammo di poesia, o romanticismo, sono stronzi e basta.
In una catena alimentare in cui altri sono più stronzi di loro.
[..]Il bene, il male? Il dolore? Sporcarsi?
Come aveva detto il Ghezzi?
Sì, si sono sporcati tutti. Ma più delle parole lo aveva colpito quel gesto che aveva fatto con le mani: indicava un mondo che semplicemente non avrebbe potuto capire quella storia, un mondo a parte, protetto, incellofanato con quella plastica a pallini che difende dagli urti.
Una zona accogliente e confortevole da cui osservare il degrado del mondo scuotendo la testa, signora mia, che ingiustizia!
I cerchi nell'acqua è un
giallo, e che giallo, con tre storie intricate che ci porteranno
lungo le strade di Milano, la città che non si ferma (forse ora col
corona virus), “La ruota, il criceto, il modello per il paese.”
Ma è anche un romanzo sociale, come i
precedenti di Robecchi, su Milano e i suoi quartieri divisi per
classe sociale, sulla vita delle persone “fare quello che si
può, vedere scorrere i giorni, essere amici”.
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