27 maggio 2021

Faccia da mostro Lirio Abbate


Un ex poliziotto. Omicidi eccellenti e stragi di mafia. Una donna legata a Gladio. Un mistero che dura da trent'anni.

Questa è la storia di un uomo di cui, per anni, non si è saputo il nome. Era solo un personaggio oscuro, il cui volto deturpato aveva colpito i vari testimoni che ne parlavano. Pentiti di mafia che raccontavano di questo poliziotto che lavorava per cosa nostra e non per lo stato, spietato e pericoloso, perfino per i mafiosi.

Ne ha parlato Vincenzo Agostino, il padre del poliziotto Nino Agostino, ucciso dalla mafia (in un omicidio che non è solo di mafia) il 5 agosto 1989.

I capelli lunghi, la pelle del volto rovinata, una cicatrice sulla guancia. Una “faccia da mostro” l'aveva definita Vincenzo, un uomo coraggioso che quel giorno decise che non si sarebbe più tagliata la barba finché non avesse avuto giustizia per il figlio e la nuora.

Il lato oscuro della luna

Un personaggio sfuggente, difficile, ostile. Refrattario alle inchieste. Appare dove meno lo si aspetta, e anche chi riesce a trovarlo ha sempre l'impressione di non essere in grado di capirlo davvero, di vederlo nella sua interezza. C'è sempre un lato che rimane in ombra.

Questo è Faccia da Mostro, e chi vuole raccontare la sua storia deve innanzitutto scendere a patti con l'impossibilità di ricostruire fino in fondo le vicende. Non si sa neppure di preciso quanti scandali, quanti misteri, lo vedono attore protagonista, seppure defilato...

La premessa che fa Lirio Abbate è fondamentale per comprendere il senso di questa storia: non ci sono prove di colpevolezza contro questa persona, chiamata Faccia da Mostro ma che ha un nome e un cognome, un passato all'apparenza normale, senza nulla da segnalare.

In questo libro l'autore, che anni prima aveva raccontato della rete di complicità di Bernardo Provenzano tra imprenditori e politici, riporta fatti verificati, testimonianze, voci, intercettazioni.

Che raccontano l'altro volto di Giovanni Aiello, il suo volto oscuro della luna, ex poliziotto andato ufficialmente in pensione nel 1977 per gravi turbe psicologiche dopo la ferita al volto, che lo aveva sfregiato al volto. Anche qui, secondo la versione raccontata da questa persona, ferita riportata in servizio. In realtà un colpo partito per errore dal suo fucile.


Nessuno ha voglia di parlare di questa persona, che si è sempre presentata come un pensionato che vive nella sua casetta in riva al mare nel suo paese in Calabria, dove passava le giornate a pescare.

Ancora dopo anni fa paura questa persona e non solo per il suo volto, rovinato.

Nino Lo Giudice, pentito di ndrangheta, arriva a mettere in scena una sceneggiata, con un video messo in rete, per sconfessare la sua confessione fatta al giudice della DNA Donadio nel 2012.

«Io credo che il personaggio con il volto sfregiato sia un personaggio molto pericoloso». E poi afferma: «E' un cane». Il magistrato sbalordito lo guarda e chiede: «Scusi, non ho inteso», e Lo Giudice ripete: «E' un uomo cane» e poi «sto parlando di un uomo fuori dalle regole».

Un soggetto pericoloso, che era fuori dalle regole delle ndrine, un “terrorista dei servizi deviati”, coinvolto in “eventi stragisti dove sono state colpite anche persone innocenti e questo è contro le regole della 'ndrangheta”.

L'omicidio di un bambino, di un altro poliziotto e della moglie.. Una persona che aveva familiarità con le armi, che a volte si accompagnava ad una donna. Che, di sé, diceva di essere stato addestrato in Sardegna in un campo paramilitare, forse uno che apparteneva a Gladio.

Aveva anche delle foto, Lo Giudice, che aveva promesso al magistrato, foto che poi non sono uscite fuori. Non solo, in un video successivo, Lo Giudice racconta di essere stato minacciato dai giudici per infangare una persona che, evidentemente, anche a distanza di anni, fa ancora paura.

Una ritrattazione che getta fango sui magistrati della direzione antimafia che sono stati presi in giro da questo pentito.

A questo punto un altro giornalista avrebbe abbandonato la storia di “faccia da mostro”.

Ma Lirio Abbate decide di cambiare strada, tornare indietro, allargare lo sguardo, partendo da una scia di sangue lasciata da una serie di omicidi o attentati attribuiti alla mafia e avvenuti negli anni '80.

Episodi in cui, in un modo o nell'altro, viene fuori questo volto, questa persona così particolare.

L'omicidio di Ninni Cassarà nell'agosto 1985, capo dell'ufficio investigazioni della Mobile di Palermo, ucciso assieme a Roberto Antiochia.

L'omicidio di Claudio Domino, il ragazzino di 11 anni ucciso nei giorni del maxiprocesso, nell'ottobre del 1986. Un omicidio da cui gli stessi capi mafia di dissociarono, non è cosa di mafia, ammettendo di fatto l'esistenza della mafia.

L'omicidio di Natale Mondo, agente di polizia nel gennaio 1988.
I fallito attentato all'Addaura contro Falcone il 21 giugno 1989, l'estate del corvo e delle “menti raffinatissime”.
L'omicidio di Nino Agostino e della moglie, Ida Castelluccio, il 5 agosto 1989.

Lirio Abbate ripercorre tutti questi delitti, da Cassarà, lasciato solo dopo la sua deposizione a Caltanissetta contro contro i Salvo. Al delitto del piccolo Claudio, un delitto in cui il pentito Luigi Ilardo per la prima volta parlò di questa persona che non era della mafia, un ex poliziotto che eseguiva questi omicidi per i boss.

Erano anni difficili, quelli dopo il 1986, come se il maxi processo avesse interrotto la spinta antimafia: sono gli anni del finto garantismo, delle lettere del corvo, dei giuda che bloccano le promozioni a Falcone dentro la magistratura, il CSM, l'Alto Commissariato Antimafia.

Gli anni in si dice e si scrive che Falcone si è fatto l'attentato da solo all'Addaura per ottenere la promozione a procuratore aggiunto.

A raccontare di Faccia da Mostro e a portare al nome di Giovanni Aiello sono sia persone dentro la mafia (o la ndrangheta come Lo Giudice) che persone che hanno indossato la divisa per infangarla, come i poliziotti corrotti, come Pietro Riggio o Giovanni Peluso, indagato a Palermo per la strage di Capaci.

Sono loro che parlano, dopo anni di distanza, della trattativa, di quella parte dei servizi che non lavorava per lo stato ma per la destabilizzazione.

Ed è in questa zona grigia che troviamo l'ex poliziotto Aiello assieme ad un altro collega in polizia, uno la cui carriera è finita male, l'ex capo della Mobile Bruno Contrada. Erano molto amici, Aiello e Contrada negli anni in cui hanno lavorato a Palermo: la vicenda giudiziaria di quest'ultimo è emblematica su quanto l'Europa sappia poco della mafia. Contrada è stato condannato per concorso esterno, dopo aver completamente scontato la pena, la corte europea dei diritti dell'uomo ha annullato gli effetti della pena ma non la condanna, non le accuse fatte da diversi pentiti sull'ex numero tre del Sisde.

Accuse che portano verso questa zona grigia, tra stato e mafia, dove tutto si mescola: Abbate racconta la storia della “casa della morte” in vicolo Pipitone a Palermo, dove si incontrava il gotha mafioso negli anni '80 per decidere della morte dei suoi nemici, come un Tribunale senza appello.

Dentro questa casa, alla fine di un vicolo vicino ai cantieri, in una zona controllata dalla famiglia Galatolo, venivano ricevuti dai boss anche Contrada e Giovanni Aiello, la loro privacy era garantita da una camionetta dei carabinieri che chiudeva l'ingresso del vicolo agli estranei. Carabinieri a libro paga della mafia.

Anche questo è successo in Italia, vedere poliziotti sporchi e uomini dei servizi da una parte, e poliziotti a caccia dei mafiosi dall'altra. A fine anni '80 il Sisde reclutava poliziotti giovani e che avevano voglia di mettersi in mostra, per dare la caccia ai latitanti, come Riina, come Nino Madonia, stabilendo anche un prezzario, come le taglie ai fuorilegge del far west.

Di questi cacciatori di mafiosi avrebbero fatto parte Emanuele Piazza e Nino Agostino, due agenti che erano stati visti proprio lungo quel vicolo per cercare qualche pezzo grosso.

Ma da cacciatori diventarono prede, perché la caccia ai latitanti non si può fare in modo improvvisato, e questo non per colpa dei due agenti, che alla fine pagarono con la morte quel lavoro.

Lavoro che alla fine aveva creato molti problemi ad entrambi: Nino Agostino lo ripeteva a chiunque volesse ascoltarlo, lui non aveva voglia di finire in quel “calderone di fango” che aveva visto.

Pezzi dei servizi, uomini dell'estrema destra (come il professor Alberto Volo, che aveva raccontato allo stesso Falcone della pista dei Nar per l'omicidio Mattarella) ed esponenti della mafia.

Gli ultimi due capitoli del libro sono dedicati alla morte dell'agente Nino Agostino, ai cui funerali partecipò anche Falcone: Abbate racconta, sulla base dei ricordi del padre, quell'uomo che si presentò a casa sua chiedendo del figlio. Persona che anni dopo, nel 2016, Vincenzo Agostino identificò proprio in Giovanni Aiello.

La finta pista passionale seguita dalla Mobile, il cui capo era Arnaldo La Barbera, uomo dei servizi pure lui col nome in codice di Rutilius.

Ora, per questo omicidio, sono arrivate le prime condanne per i due mafiosi ritenuti responsabili. Ma non è ancora tempo per Vincenzo Agostino di tagliarsi la barba. Perché ancora alcuni pezzi della verità mancano: se Aiello è morto, ci sono ancora altri personaggi di questa brutta storia che sono ancora vivi e che possono parlare.

Persone come la donna che è stata vista a fianco di Aiello: anche lei addestrata in un campo militare, forse appartenente a Gladio. Sono poche le informazioni disponibili su di lei, ora tocca alla magistratura partire da queste poche notizie per fare un'indagine e svelare il mistero.

Che non è solo il mistero di un uomo dalla faccia rovinata da un colpo di fucile.

E' il mistero di una democrazia con un'anima sporca, che pesa sulla sua coscienza per i troppi lutti che ha causato.

E' tempo di fare luce sulle stragi del terrorismo eversivo-mafioso, sulle persone che da dentro lo stato hanno contribuito a questa destabilizzazione, che hanno piazzato bombe, che hanno protetto la latitanza dei boss e impedito ad un paese di poter respirare “il dolce profumo della liberà”.

Io sono arrivato fin qui. Il resto spetta agli inquirenti, che hanno strumenti e le capacità per fare luce sui quarant'anni di misteri che abbiamo ripercorso in queste pagine. Perché in fin dei conti un mistero non è che un segreto che ancora aspetta di essere svelato.

Il tema di Faccia da Mostro come abbiamo visto è molto complesso. Ci sono voluti quasi trent'anni per arrivare a scoprire la sua identità. E scavando nel suo passato abbiamo scoperto che gli inquirenti della Procura nazionale antimafia hanno dovuto lottare contro «le cose indicibili» che hanno protetto quest'uomo. La stessa cosa vale per le donne. E uso il plurale. Perché per più di una le indagini accertano il coinvolgimento nei delitti e nelle stragi.

La scheda del libro sul sito dell'editore Rizzoli, il pdf per leggere il primo capitolo

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