In occasione dell'anniversario di Capaci, l'attentato in cui furono uccisi il giudice Falcone e la moglie Francesca Morvillo, gli uomini della scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani, Report torna a parlare della trattativa stato mafia dedicando il suo primo servizio della prossima puntata per fare un punto su quello che sappiamo delle stragi terroristico mafiose avvenute nel biennio 1992-1993.
Non possiamo fermarci alla verità di comodo, assolutoria, secondo cui quelle stragi furono solo opera di mafia, la vendetta di Riina contro il suo nemico giudice: chi lo fa, compie l'ennesima opera di depistaggio, volontaria o meno, allontanandoci dalla verità su quel periodo storico.
L'attentatuni, la successiva strage di via D'Amelio contro Borsellino, non possono essere classificate solo come opera della mafia, dei sanguinari Riina e Provenzano. Perché, soprattutto la strage in cui perse la vita Borsellino, andava contro gli interessi di cosa nostra (successivamente sarebbe stata approvato il decreto Falcone col 41 bis).
Come è impossibile classificare come solo di mafia tutta la serie di “cadaveri eccellenti” che insanguinò la Sicilia a cavallo degli anni ottanta.
Magistrati, Cesare Terranova, Rocco Chinnici, Gaetano Costa. Giornalisti come Mario Francese. Il prefetto senza poteri Carlo Alberto dalla Chiesa e il presidente della regione Piersanti Mattarella. Il segretario della DC Reina e quello del PCI Pio La Torre (è sua la legge sul sequestro dei beni ai mafiosi, è sua la legge che condanna l'essere mafiosi, il reato 416 bis del c.p.), l'ex sindaco Insalaco.
Poliziotti come Ninni Cassarà, Beppe Montana e Boris Giuliano. Carabinieri come il capitano Basile. Tutti delitti dietro cui si intravede una convergenza di interessi tra mafia e pezzi dello stato.
Stessi interessi che, dopo la sentenza della Cassazione al maxi processo, dopo il crollo del Muro, negli anni in cui la prima Repubblica era al tramonto, dopo l'omicidio di Salvo Lima (ritenuto da Riina colpevole per non aver bloccato il maxi processo, un segnale alla politica) portarono uomini dello stato e mafiosi ad incontrarsi, “per vedere se si poteva fare qualcosa”.
La trattativa stato mafia, per i garantisti italiani sempre presunta, come se quei contatti, come se quei ricatti allo stato non esistessero.
“Signor Ciancimino ma cos'è questa storia, ormai c'è un muro contro muro, dove da una parte c'è cosa nostra e dall'altra c'è lo stato. Ma non si può parlare con questa gente? La buttai lì pensando che mi avrebbe risposto cosa vuole da me, colonnello .. Invece mi rispose si potrebbe, io sono in condizione di farlo”.
Sono le parole dell'ex generale Mario Mori, uno dei condannati in primo grado al processo per la trattativa (dove il reato non è la trattativa in sé, ma il ricatto ad organi dello Stato), a Vito Ciancimino, referente politico dei corleonesi dentro la DC siciliana. Solo una trappola dello stato, la giustificazione di Mori e degli altri imputati.
I magistrati (come Nino Di Matteo). l'hanno invece considerato un abbassarsi alle richieste della mafia, un cedere al ricatto nato dalla bomba di Capaci.
“Ad un certo punto abbiamo avuto il sospetto che non si rispettassero le regole del codice di procedura penale, non ci fosse quella collaborazione leale tra la polizia giudiziaria e la magistratura inquirente” è il ricordo di Luigi Patronaggio, procuratore della repubblica ad Agrigento.
Borsellino fu informato della trattativa in corso dal Ros quasi per caso, lo ha ricordato anni dopo Liliana Ferraro, la magistrata che prese il posto di Falcone al ministero: la Ferraro fu informata dagli ufficiali del Ros, che cercavano una sponda politica per avere le spalle coperte per quanto stavano facendo, la Ferraro li invitò a contattare Borsellino stesso.
Tante sono ancora le domande a cui dare risposta: dietro Capaci c'è stata solo la mafia? Stessa domanda per la strage di via D'Amelio 57 giorni dopo, dove la presenza di persone non mafiose nella preparazione dell'attentato è riferita da Gaspare Spatuzza, il pentito che ha consentito di smontare il depistaggio di stato, col finto pentito Scarantino.
Se fu solo mafia a che servì la sceneggiata organizzata da Arnaldo La Barbera, avallata da magistrati su più gradi di giudizio (tra questi anche lo stesso Di Matteo)? Forse per allontanare gli investigatori dai Graviano e dai loro contatti politici?
Se fu solo mafia, come mai quelle telefonate tra l'ex ministro Mancino (che Scalfaro mise al posto di Scotti dopo Capaci), e il presidente Napolitano per il processo dove era imputato per falsa testimonianza?
Chi indicò a Riina e all'ala stragista di cosa nostra gli obiettivi per gli attentati in Italia? E perché le stragi cessarono nel 1994, col fallito attentato all'Olimpico a Roma?
Cosa sappiamo di cosa nostra oggi? Falcone ebbe bisogno di un mafioso come Buscetta per farsi raccontare l'organizzazione di cosa nostra, i suoi meccanismi, i suoi ragionamenti.
Chi è il vero capo dei capi oggi? E' ancora Matteo Messina Denaro? E chi protegge la sua latitanza dopo tutti questi anni?
Le stesse forze che per anni hanno protetto Riina nel suo covo a Palermo (fino a che qualcuno lo ha venduto allo stato, come Riina stesso fa capire) o che hanno protetto Provenzano nella sua latitanza finita nel 2006?
Stava per essere arrestato, Provenzano, nel 1996, quando si nascondeva in un casolare nella località di Mezzojuso: era stato il collaboratore Luigi Ilardo ad indicare il posto al colonnello Michele Riccio, del Ros.
Il Ros di Mori potrebbe arrestare Provenzano, sa dove si nasconde, eppure non fa nulla: “il casolare non lo troviamo” dicono al Ros (che ricorda un po' quando lo stato non sapeva dell'esistenza di una via Gradoli a Roma, nei giorni del sequestro Moro, ma questa forse è un'altra storia).
Per tre volte Ilardo e Riccio diedero le coordinare del covo ma il Ros non entrò mai in azione e Provenzano rimase in clandestinità per altri 11 anni.
Carabinieri distratti, Mori e De Donno, non perquisirono il covo di Riina per un disguido con la procura, non fecero il blitz contro Provenzano. Nessun reato, hanno stabilito i giudici nei processi che li hanno coinvolti. Solo sbadati.
Il processo sulla trattativa ha fatto luce, finalmente, sulle connessioni tra mafia e politica, argomento che ancora oggi è tabù: Borsellino ne aveva parlato in una intervista, pochi giorni prima di morire, fatta a due giornalisti francesi di Canal +, dove parlava dei rapporti tra mafia, Mangano e Dell'Utri, fondatore del partito Forza Italia.
Intervista ritrovata anni dopo dallo stesso Ranucci e di cui ne ha parlato recentemente in occasione del ricordo del giornalista Premio Morrione: si parla di Mangano e del suo ruolo di pontiere tra la mafia e l'imprenditoria che la mafia cercava per riciclare i grandi capitali fatti col traffico della droga.
Ranucci ricorda la difficoltà nel parlare di queste connessioni nel 2000, alla vigilia delle elezioni che avrebbero dato la vittoria proprio a Berlusconi, il premier con più consenso nella storia della repubblica.
Secondo Roberto Morrione è questa una delle cause della sua morte, l'accelerazione voluta da Riina (e non solo): ne parla in una puntata de Il raggio verde, la trasmissione di Santoro, nel 2001.
“E' stata ritenuta questa intervista, lo cito testualmente dagli atti processuali, una delle concause che hanno accelerato l'attentato nella persona di Paolo Borsellino.”
Durante questa trasmissione ci fu la telefonata in diretta di Berlusconi a Santoro che fu l'annuncio della sua cacciata dalla Rai, assieme a Biagi e Luttazzi.
“Lei è un dipendente pubblico, si contenga..
“Io non sono un suo dipendente”
Ci piace tanto l'informazione libera, il giornalismo di inchiesta, il giornalismo cane da guardia contro i soprusi di chi ha il potere. Tranne quando fa le pulci a casa nostra.
Tranne quando parla di argomenti ancora tabù, come i rapporti tra mafia e politica, tra mafia e pezzi dei servizi, tra pezzi dello stato ed estremisti di destra foraggiati dalla massoneria coperta come la Loggia P2.
Un antistato che è stato protagonista in altri fatti di sangue della nostra storia, dalle stragi fasciste degli anni '70 alla bomba alla stazione di Bologna fino alle stragi del biennio 1992-1993, quando un mondo finiva (quello della contrapposizione dei blocchi est ovest, quello dei partiti della prima repubblica) e tutto doveva cambiare affinché nulla cambiasse.
Oggi è il giorno in cui si celebreranno le vittime di Capaci, ostentando i santini di Falcone e di Borsellino, dimenticandosi di tutto il fango che da vivo è stato gettato addosso al giudice.
Il giudice che attaccava la DC perché comunista, che cercava solo la celebrità, il giudice che attaccava la classe imprenditoriale siciliana.
Il giudice che fu bocciato alla successione di Caponnetto, al ruolo di alto commissario per la lotta alla mafia, da consigliere del CSM. Il giudice che si era fatto da solo l'attentato all'Addaura per prendersi la nomina di procuratore aggiunto.
La scheda della puntata: Il vertice delle stragi di Paolo Mondani con la collaborazione di Roberto Persia e Simona Zecchi, immagini di Alessandro Spinnato, Dario D'India, Alfredo Farina e Andrea Lilli
Dopo la puntata speciale intitolata "Le menti raffinatissime" del 4 gennaio scorso, Report torna sulla trattativa Stato-mafia e sulle stragi del 1992 e del 1993 con testimonianze inedite e documenti esclusivi. Mafia, massoneria deviata, estrema destra e servizi segreti avrebbero contribuito a organizzare e ad alimentare una strategia stragista che puntava alla destabilizzazione della democrazia nel nostro paese. Strategia sulla quale permane il grande mistero di chi siano i mandanti esterni alle stragi. Lo raccontano a Report magistrati, collaboratori di giustizia e protagonisti dei piani eversivi. Report continua a fare luce sul ruolo ricoperto da uomini dello Stato nella pianificazione e nell'esecuzione delle stragi del 1992 e del 1993. Il 23 maggio si celebra il 29° anniversario della strage di Capaci. Ma Report non vuole imbalsamare i morti nelle commemorazioni. Solo la verità li onora. Per questo torniamo a parlare dei presunti rapporti tra i fratelli Graviano e la politica; di Antonino Gioè e di Paolo Bellini; di Matteo Messina Denaro e di chi nello Stato tutela i suoi segreti, del processo sulla trattativa fra Stato e mafia giunto alla fase dell'appello. Ma soprattutto parleremo di molti verbali dimenticati.
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