La prima indagine dell’avvocato Meroni
22 febbraio 2018. Ore 6.27
Stava facendo di nuovo quel sogno. Non proprio un incubo, però un sogno torbido. Come le altre volte si trovava in tribunale. Sul banco degli imputati c'era Bin Laden, non quello verto, certo, il Bin Laden del loro lessico familiare, quello che era entrato a forza nella sua vita e in quella di Rossana; lui cercava di guardarlo in faccia, ma i due carabinieri gli facevano schermo, perché nessuno potesse scorgerne la fisionomia. E lui, dal suo scranno di avvocato di parte civile, si sporgeva, si muoveva, si agitava, ma non otteneva altro risultato se non quello di beccarsi un richiamo dal presidente: "Avvocato Meroni, stia fermo e non mi faccia perdere la pazienza. Lei non ha diritto di guardare in viso l'imputato qui presente."
Alla Passione
per il delitto, la rassegna letteraria dedicata al noir e al
thriller, avevo ascoltato con molto interesse la presentazione dei
due autori, cominciata con un breve reading di alcuni passaggi di
questo romanzo che si svolge a Torino, tra la fine dell’inverno e
l’inizio della primavera del 2018 e che ha come protagonista un
avvocato, Giacomo Meroni.
Chi è Giacomo Meroni, avvocato
penalista? E’ un avvocato che crede fortemente nella sua missione,
garantire al suo assistito la migliore difesa possibile. Crede anche
nella giustizia, che non è né forcaiola (come spesso qualcuno
vorrebbe, per saziare la pancia delle persone, spesso dopo delitti
che colpiscono l’opinione pubblica), ma nemmeno garantista nel
senso di fare qualunque trucco pur di salvare l’assistito dal
processo (e non nel processo).
Ma Giacomo Meroni è stato anche
ufficiale dei carabinieri, come lo era stato prima di lui il padre,
ucciso in uno scontro a fuoco in un posto di blocco dove nemmeno
doveva esserci, maledetto destino e maledetti criminali.
Questo
suo passato gli ha lasciato qualcosa, dentro, come racconta egli
stesso: oltre ad una vasta rete di conoscenze nel mondo dell’arma,
sempre utili, gli ha lasciato dentro quello spirito del detective,
per cui non gli basta difendere le persone che arrivano nel suo
studio, il prestigioso studio Actis-Meroni (Actis è il cognome del
genero di Giacomo, il padre della moglie Rossana)
Difendere gli assassini gli procurava sempre un certo disagio. I colleghi ripetevano che il compito dell'avvocato è quello di garantire l'equità del processo, non di stabilire la verità e ancor meno quello di far condannare i colpevoli e assolvere gli innocenti. Però a lui, forse per via di suo padre, che da carabiniere ci era vissuto e morto, a lui, Giacomo Meroni, la verità interessava.
Di quale
verità si dovrà occupare, in questo caso, Giacomo Meroni? Una
mattina di febbraio si presenta al suo studio una “madamin”,
Vittoria Corbini: “una donna secca, rifinita, più scialba che
austera nel suo vestitino grigio in misto lana, del bon pat, a buon
prezzo, che pure doveva essere quello per le occasioni importanti..”.
Il figlio, Riccardo, è stato arrestato quella
mattina dai carabinieri, all’alba (“l’ora canonica degli
arresti a sorpresa”) con un’accusa infamante: aver ucciso una sua
ex compagna di classe al termine di una festa, l’ultima festa di
classe prima della maturità, avvenuta nell’estate del 1984. La
ragazza si chiamava Antonella Bettini ed era stata ritrovata nel
fienile della tenuta dove era avvenuta la festa, col cranio spaccato.
Uccisa dopo aver subito una violenza sessuale.
Il classico cold
case rimasto irrisolto per anni che, però, grazie alle tecniche
moderne, si è potuto riaprire.
Prima di scoprire cosa ha fatto
riaprire il caso, questo romanzo ci porta dentro il carcere delle
Vallette, come comunemente viene chiamata la casa
circondariale Lorusso e Cotugno: è il nome di due guardie del
carcere uccise dai brigatisti negli anni ‘70, quando questo paese
specie al nord era attraversato da una guerra asimmetrica che aveva
travolto le vite di centinaia di persone.
La prima cosa che ci
salta addosso, entrando in un carcere, è il rumore delle chiavi, che
ci chiudono dentro, i corridoi, le stanze, escludendo tutto ciò che
sta fuori.
Qui, in questo mondo (che gli autori per motivi di
lavoro conoscono bene), Giacomo Meroni conosce il suo nuovo assistito
Riccardo Corbini: si dice che le prime impressioni su una persona
siano le più veritiere. Ecco, nel caso di Riccardo, l’immagine è
quella di una persona grigia, che conduce una vita monotona, sempre
uguale, senza nessuna moglie o fidanzata. E una madre la cui presenza
deve aver molto condizionato la sua vita (forse per questo a Giacomo
viene in mente quel film di Hitchcock, Psycho):
“Credevo di essere stato chiaro, signor avvocato. Non sono stato io ad uccidere Antonella Bettini, non ero neppure a quella festa. Non ho mai ucciso nessuno, non ho mai stuprato nessuno [..]”
E di nuovo in quella voce, nella veemenza di quelle affermazioni, Giacomo credette ancora di trovare che contraddiceva il senso delle parole pronunciate. Ma di nuovo non insistette.
È come se l’indagato Riccardo Corbini, non si renda conto nemmeno di trovarsi in carcere con l’accusa di stupro. Che non si renda conto di quello che rischia: il carcere a vita.
C’è qualcosa che
nasconde, questo Riccardo Corbini, all’apparenza una persona
normale, come se non volesse essere del tutto sincero col suo
avvocato.
Lui, continua a ripetere, non era a quella festa, non
era una persona socievole, non aveva legato con nessuno dei compagni
e delle compagne di quella quinta del liceo linguistico.
Eppure.
Eppure se il pm ha
richiesto il carcere per l’indagato, significa che dopo tutti
questi anni ha in mano qualcosa: si tratta della fatidica prova del
DNA, un fazzoletto trovato accanto al cadavere che, nonostante gli
anni, ancora conserva tracce di quei filamenti che dicono un nome.
Giacomo Corbini, appunto.
Di fronte a questa prova, la prova
regina, molti avvocati cercherebbero di patteggiare una pena, senza
nemmeno porsi il problema se il suo assistito sia colpevole o meno.
Ma Giacomo non è così: il dna associa Corbini al luogo del delitto
ma non alla scena del crimine e questa non è una sottigliezza.
Certo, deve fidarsi
di questo Corbini, che per come si comporta sembra faccia di tutto
per ostacolare il suo avvocato. Ci sono i vecchi compagni da
interrogare, per cercare una qualche altra pista. E poi c’è quel
pm, parodia dei procuratori “poco garantisti”, uno di quelli con
la verità in tasca (su cui gli autori hanno un pochettino calato la
mano).
Si arriverà così al processo dove assisteremo
allo scontro tra l’accusa e la difesa, con le strategie messe in
atto da una parte e dall’altra, seguendo le norme prescritte dal
codice di procedura penale.
Fino all’attesa della camera di
Consiglio.
3 maggio 2018. Ore 15.30
Il tempo della Camera di Consiglio scorre a due velocità diverse a seconda che si sia dentro o fuori. Dentro, gli dicevano, è un tempo accelerato, affollato. Fuori è rarefatto, consumato dall’ansia e svuotato di tutti i pensieri tranne uno.
Un bel legal
thriller dove alla parte legal si associa una vera e propria indagine
portata avanti da Meroni e dalla sua collaboratrice, Giulia, a cui
Giacomo fa sia da tutor che da “maestro”, raccontandole quei
pezzi della storia passata della sua città che hanno lasciato
un’impronta nella sua anima: la storia delle due guardie carcerarie
Cotugno e Lorusso, il clima pesante che si respirava nelle città del
nord negli anni settanta. Un clima di paura che però non aveva
intimidito la segretaria dei radicali, Adelaide Aglietta, che aveva
accettato la nomina di giudice popolare al processo contro le BR. Un
esempio di coraggio civile. Altro esempio di coraggio civile lo
dimostrò il procuratore Bruno Caccia, ucciso dalla ndrangheta quando
ancora non si voleva ammettere che le mafie fossero arrivate al
nord.
Ma c’è una seconda indagine, molto più personale, che
Giacomo Meroni, sta portando avanti da anni, precisamente da quel 11
settembre 2001. Il giorno in cui crollarono le Torri Gemelle dopo
l’attacco terroristico, un pirata della strada investì sua moglie,
Rossana Actis, lasciandola su una sedia a rotelle per il resto della
vita.
Chi è questa
persona a cui Giacomo, nemmeno nei suoi incubi (come leggiamo
nell’incipit) riesce a dare un volto?
Ma tanto lui è
ossessionato dalla caccia a questo pirata della strada, tanto la
moglie ha deciso di scrollarsi di dosso tutto, accettando la
menomazione, anzi sfidandola iniziando a gareggiare sulle piste di
sci con un guscio speciale, su misura per lei. Perché la vita
va avanti.
Nella presentazione a La Passione per il delitto i due autori, che sono anche amici nella vita, hanno spiegato la scelta nel voler scrivere un giallo, con questo personaggio molto umano, che racconti di questa distanza tra la verità e la verità giudiziaria, che possono essere distinte
Rispettando i canoni del giallo, abbiamo voluto raccontare questo: delle regole del processo, delle regole che disciplinano i rapporti col pm, col giudice, coi praticanti dello studio.
Abbiamo creato un personaggio che ha la schiena dritta, rispetta le regole deontologiche, il giuramento di fedeltà col proprio assistito ma anche di lealtà nei confronti dello Stato.
La scheda del libro sul sito di Mondadori
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