17 novembre 2022

Qatar - I mondiali dell'Ipocrisia

Dopo il servizio di Report sui mondiali del Qatar, una grande operazione di sportswashing dove coi soldi e col softpower qatarino si nascondono violazione dei diritti umani, scarsa trasparenza, legami con altre dittature, sfruttamento dei lavoratori, segnalo l'articolo di Lorenzo Vendemiale sul Fatto Quotidiano (che ha deciso di non seguire i mondiali per dare un segnale)

Qatar, la Fifa punta a 5,5 miliardi coi Mondiali della morte

WINTER CUP - La Coppa della vergogna: 6.500 le vittime causate dalla costruzione degli Stadi

DI LORENZO VENDEMIALE

16 NOVEMBRE 2022

Domenica 20 novembre, inizia Qatar ’22. Il primo Mondiale in un Paese arabo, il primo (e si spera l’ultimo) Mondiale d’inverno. Per cui sono stati calpestati calendari e campionati – poco male –, ma soprattutto i diritti dei lavoratori, quelli delle donne e della comunità lgbt+, l’ambiente e persino il buon senso. L’edizione più controversa della storia. E come per un incantesimo, il fischio d’inizio ci ha risvegliato dalla trance in cui abbiamo vissuto nell’ultimo decennio. Tutti a chiedersi ora – allenatori e calciatori, ministri e intellettuali – come è stato possibile affidare i Mondiali, il più grande evento sportivo del pianeta, a un piccolo emirato tutto fuorché democratico, cosa potrà dare mai al calcio il Qatar. La domanda, pertinente quanto ingenua, ha una risposta semplice: soldi. Hanno pagato per vederselo assegnare, e conquistarsi una vetrina senza eguali. Poi hanno continuato a pagare per farci dimenticare a chi avevamo consegnato la coppa. E a ha funzionato.

Per la manifestazione la Fifa conta di incassare circa 5,5 miliardi di dollari, battendo il record di quattro anni fa in Russia, altra sede piuttosto discutibile. Questo dice molto del perché nel dicembre 2010 una ventina di boiardi del pallone furono tanto pazzi o in malafede da scegliere il Qatar per un torneo che secondo i piani dell’epoca avrebbe dovuto svolgersi in pieno deserto in estate (poi fu spostato in inverno). Il resto lo racconta il Report Garcia, 350 pagine sulla più sconvolgente inchiesta interna alla Fifa, pietra miliare della letteratura degli scandali sportivi, che raccoglie una serie esilarante di aneddoti su quell’assegnazione: viaggi premio, cene di gala, sponsorizzazioni bizzarre. L’indagine non ha potuto (o voluto) dimostrare la corruzione. Ma in una email l’ex segretario della Fifa, Jerome Valcke, scriveva – testuali parole – “il Qatar si è comprato la coppa”. Che intendesse in senso letterale o figurato, aveva comunque centrato il punto.

La strategia adottata allora è la stessa applicata negli anni a seguire: riversare l’enorme potenza economica per comprare un giudizio indulgente sul Paese. Il Qatar ha acquistato per 10 milioni di dollari i servizi dell’Interpol, la forza che dovrebbe indagare a livello internazionale. Ha contribuito con 20 milioni alle attività del sindacato dei lavoratori che vigila sulle condizioni degli operai. Ha finanziato viaggi di parlamentari e influencer, si dice abbia persino ingaggiato controfigure di tifosi per riempire le strade di Doha.

La festa non può essere rovinata dalle polemiche. La più nota è quella sulle condizioni dei lavoratori impiegati nei cantieri degli stadi: i nuovi schiavi che hanno costruito le piramidi di questo Mondiale. Un’inchiesta del Guardian ha stimato 6.500 morti, cifra contestata dalle autorità locali perché si tratta del numero totale di immigrati deceduti in Qatar dal 2010 a oggi. Per il Comitato, i decessi sarebbero appena tre, ma sono solo quelli avvenuti fisicamente negli stadi. Il problema è ciò che succede fuori, dopo aver lavorato ore e giorni senza sosta, a 45 gradi al sole. I conti non tornano.

Secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International, la percentuale di morti per arresto cardiaco o causa sconosciuta fra gli immigrati è decisamente superiore a quella di nazionalità qatarina (43% rispetto al 28%). Non è una prova (di autopsie ne sono state fatte pochissime), ma un indizio su cosa è successo. Sui diritti delle donne e della comunità lgbt+, le recenti parole dell’ambasciatore Khalid Salman, che ha paragonato l’omosessualità a una devianza mentale, lasciano intuire il clima che si respirerà a Doha: niente smancerie in pubblico, ma nemmeno bandiere arcobaleno negli stadi o sulle maglie. Il rispetto per le tradizioni locali – invocato dagli organizzatori che hanno il volto rassicurante di Fatma al-Nuaimi, una donna messa a capo delle comunicazioni – significa oscurantismo. Infine l’ambiente: l’aria condizionata a cielo aperto, sette stadi dove la temperatura si mantiene a 20 gradi mentre fuori ce ne sono il doppio, sembra uno schiaffo alla crisi energetica. La Fifa ha quantificato le emissioni in 3,6 milioni di tonnellate di CO2, non molte più dei 2,1 milioni di Russia 2018, grazie al risparmio sui viaggi aerei permesso da un torneo concentrato in un’unica città. Secondo l’ong Greenly saranno il doppio.

Nonostante tutto ciò, o forse proprio per questo, non è un caso che i Mondiali siano finiti in un Paese del genere. Il Qatar è preceduto dalla Russia, e magari dopo la pausa del 2026 negli Usa (risarcimento per lo scippo del 2022) sarà seguito dai rivali dell’Arabia Saudita, favoritissima per il 2030 (in partnership con Egitto e Grecia). Il Mondiale sta diventando la coppa degli autocrati: loro la vogliono per ripulirsi l’immagine internazionale, noi gliela diamo perché col gigantismo contemporaneo i grandi eventi sportivi sono un lusso che solo Paesi troppo ricchi e poco democratici possono permettersi, da ogni punto di vista, come già per le Olimpiadi. Soltanto in stadi il Qatar ha speso oltre 6 miliardi di dollari, quasi 200 considerando le infrastrutture; il costo delle attività di lobbying, invece, è incalcolabile. Si chiama “sportswashing”.

Resterebbe solo la questione morale, se è giusto consegnare il nostro pallone nelle mani di questi regimi. La difesa d’ufficio della Fifa è che il calcio coi suoi valori universali può avvicinare le culture, esportare la democrazia.

In parte è anche vero: oggi la situazione dei diritti in Qatar è sicuramente migliore di 10 anni fa, a partire dalla riforma della kafala (la moderna schiavitù che consegnava gli immigrati nelle mani dei datori di lavoro), grazie proprio ai Mondiali e ai riflettori accesi su di esso. Il rischio, però, è regalare una vetrina a dittatori pericolosi e imprevedibili. Prendete la Russia: quattro anni fa tutti erano convinti che la festa mondiale avrebbe cambiato in positivo il Paese e disteso le relazioni. Putin celebrava il trofeo nello spogliatoio della Francia, acclamato da Pogba &C. come “patron”, i capi di Stato sfilavano in tribuna davanti a lui e il numero 1 della Fifa, Gianni Infantino, si congratulava per l’edizione più bella di sempre. Ma i Mondiali erano solo una maschera e sappiamo tutti com’è finita. Non resta che augurarsi che il Qatar dell’emiro Al Thani scelga una strada diversa.



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