ARIA FRIZZANTE di Chiara De Luca
In
ogni spritz
non può mancare il seltz, le bollicine dell’anidride carbonica: ma
la co2 per uso alimentare è difficile da trovare, alcuni marchi come
la birra Menabrea ha dovuto fermare la produzione. Il prezzo della
co2 è cresciuto dallo scorso anno: questa viene prodotta come
prodotto di scarto, ma costa tanto produrla. Eppure c’è tanta co2
nell’atmosfera, un paradosso: forse conviene catturare l’anidride
carbonica nell’atmosfera, con procedimenti a basso costo.
Per
il momento le bollicine vengono ottenute dal liquame di bovini di
allevamento, come Report ha raccontato ieri sera, col servizio da
Candiolo a Torino.
Qui
un consorzio di allevatori produce 10 tonnellate di co2 al giorno,
andando a “catturare” le emissioni di anidride carbonica degli
animali, filtrata e trattata.
In Irlanda invece ci sono
cacciatori di co2 che la prendono proprio dall’atmosfera, grazie a
dei filtri: Climeworks ha trasformato coi suoi due impianti, a Zurigo
e in Islanda, la caccia della co2 in un business.
Nei loro
impianti catturano la co2 e la stoccano dentro contenitori:
nell’impianto in Islanda la co2 viene iniettata sotto terra, in un
processo che porta alla mineralizzazione di carbonati, come già
avviene in natura.
Climeworks aveva provato a catturare la co2
anche in Puglia, con progetti sperimentali basati su staziamenti
europei: l’esperimento fatto a Troia non è andato bene, perché
finiti i fondi è stata chiusa la sperimentazione.
Servirebbero
sponsor che mettono soldi nella tecnologia di Climeworks, come adesso
fa Microsoft, per la cattura di anidride carbonica emessa
dall’atmosfera.
Perché la continua emissione di co2 sta
causando quei cambiamenti climatici che oramai sono sotto gli occhi
di tutti, anche in Islanda, dove i ghiacciai si stanno ritirando:
hanno perso 2200 km di superficie di ghiacciai negli ultimi cento
anni.
Tra cento cinquant’anni i ghiacciai spariranno del tutto, con un aumento della temperatura di 2,5 gradi: oramai il processo è irreversibile secondo la scienziata islandese ascoltata da Report.
Eppure non stiamo facendo abbastanza, nemmeno in Italia, dove non abbiamo ancora contezza dei rischi che stiamo correndo.
LO SCOPRIREMO SOLO VIVENDI di Giorgio Mottola
I tifosi abbonati a Dazn che cercano di seguire in streaming la loro squadra del cuore conoscono i problemi della piattaforma che trasmette le partite di serie A.
Il business del calcio si basa sulla passione di chi compra le partite – racconta Riccardo Cucchi: ma se queste persone si rendessero conto di essere co siderati come bancomat, questa passione si esaurirebbe.
La Lega di Serie A ha assegnato i diritti di trasmissione a Dazn la piattaforma che trasmette sport online in 30 paesi al mondo. Fondata da Leonard Blavatnik, miliardario di origini ucraine con passaporto americano che in Russia è stato socio di uno dei principali oligarchi vicini a Putin. Mentre negli Stati Uniti ha elargito milioni di dollari sia al partito democratico che a quello repubblicano.
È stato un errore affidare i diritti televisivi a Dazn, visto come è andato?
Il presidente della Lega, Lorenzo Casini, ha risposto di no, “forse è una affermazione un po’ eccessiva. A noi non risultano così tanti i problemi tecnici”.
Stessa opinione di Luigi De Siervo, AD della Lega: nonostante tutti i problemi l’affidamento a Dazn non è stato un disastro.
I
tifosi italiani che ogni giorno pubblicano post inferociti contro
Dazn non sarebbero d’accordo: “siamo
in un paese libero, giustamente ciascuno si può esprimere come
crede.”
Peccato
che qui la libertà di espressione non c’azzecca nulla: come spiega
nuovamente Riccardo Cucchi a Report,
“la visione delle partite si interrompe, compare quella rotellina
che innervosisce gli appassionati e molto spesso la visione non è
perfetta”.
Quali
sono le ragioni di questi problemi? Come tanti utenti Riccardo Cucchi
ha una linea internet buona, una fibra con Tim oltre all’abbonamento
con Tim Vision, ha comprato un televisore di ultima generazione. Però
ogni tanto l’immagine scompare.
Due sono le ragioni: o la piattaforma di Dazn non funziona a dovere, oppure è la rete internet italiana a non essere adeguata. Per scoprirlo la Lega di Seria A ha affidato nel 2021 a degli esperti del settore una consulenza.
Francesco Vatalaro – professore di ingegneria delle Telecomunicazioni era uno di questi esperti: cosa ha scoperto? “La qualità della rete è totalmente adeguata. Se ci sono dei problemi è più probabile che vadano cercati altrove. ” Ovvero sulla piattaforma di Dazn.
Varie relazioni tecniche hanno addebitato i problemi a Dazn, la Lega ha affidato i diritti a questa società: Dazn ha vinto la gara offrendo 800ml nel triennio 2022 – 2024.
Per
superare le resistenze degli indecisi, Dazn ha scritto una lettera in
cui garantiva di aver stipulato un accordo con un partner tecnico,
che era Tim, per garantire il servizio.
Nella lettera di Dazn ai
presidenti della Serie A si scriveva che Tim avrebbe contribuito
all’offerta: si parla di 400 – 420ml di euro.
Nell’audit interno – di cui parla una fonte anomima – emergeva subito che questa operazione avrebbe causato delle perdite: del milione e passa di abbonati si è arrivati a 500mila.
Tim
è finita in difficoltà da questa operazione, il nuovo AD Labriola
ha messo a bilancio una perdita di 500 milioni, ma questo accordo con
Dazn è comunque difeso dalla stessa dirigenza.
Report
è andata a sentire i dirigenti di Serie A, a cui ha chiesto delle
anomalie di cui parlerebbe l’audit interno sull’assegnazione dei
diritti a Dazn: Scaroni, presidente del Milan ha scelto di non
parlare, come anche Barone, presidente della Fiorentina che però poi
invita il giornalista a sentire De Siervo, AD della Lega.
Un
ruolo nella partita lo ha avuto Andrea Pezzi, che è amico di De
Siervo – racconta la fonte interna, sarebbe stato il legante tra
Tim e Dazn.
Pezzi,
intervistato da Report, spiega di non essere mai entrato in questa
vicenda, sebbene abbiamo conosciuto De Siervo e Gubitosi che gli
avrebbero chiesto un parere su questa vicenda: Pezzi è consulente
strategico di Vivendì, azionista di riferimento di Tim, sarebbe
considerato una sorta di eminenza grigia.
Report
ha ripercorso le tappe della privatizzazione di Tim, cominciata negli
anni 90 col governo Prodi, poi la seconda scalata a debito di
Tronchetti Provera. La vendita alla società spagnola Telefonica che
poi ha scambiato le quote con Vivendì nel 2015. Società controllata
da Bollorè, chiamato il boa in Francia per come stritola gli
avversari.
Vivendì ha avuto in interesse nell’accordo dei
diritti televisivi con Tim, per indebolire Sky, che nel 2015 aveva
iniziato a vendere la linea internet domestica?
Bollorè
aveva cercato di scalare anche Mediaset, ma qui ha invece trovato lo
sbarramento con l’azione del giglio magico e con l’intervento
dello stesso Pezzi.
Il gruppo Bollorè fattura 20 miliardi
l’anno, ha interessi nei media, nei porti in Africa, nella finanza,
in Telecom Italia: le sue operazioni finanziarie seguono il
meccanismo di predazione del boa, che stritola le sue vittime e poi
le mangia.
Così
Bollorè
ha
stritolato Vivendì, comprando azioni un po’ alla volta e così
voleva fare anche con Mediaset nel 2016: voleva comprare Mediaset
Premium, allora in perdita, in cambio dell’ingresso nel capitale
dell’azienda.
Doveva essere una partecipazione amichevole ma
invece voleva prenderne il controllo, rastrellando azioni Mediaset,
passando dal 5 al 35%: la guerra finanziaria con Berlusconi è durata
5 anni dai risvolti politici.
Da questa storia alla fine Bollorè ci ha guadagnato: in questa storia ci si è infilato anche il giglio magico di Renzi.
Tre giorni dopo la caduta di Renzi, Alberto Bianchi, che presiede Open (costatogli un’indagine per finanziamento illecito) scrive a Marco Carrai, consigliere intimo dell’ex premier: “Ma noi non abbiamo nessuno che aiuti Berlusconi contro Vivendi? Se trovassimo qualcuno che li aiuta, finanziariamente e/o industrialmente a resistere, potrebbe esserci un significativo beneficio politico”.
Carrai
risponde: “Ci sto pensando”.
Renzi, anche gentilmente ne
ha chiesto conto a Renzi, che però ha rimandato Mottola da Carrai,
amico di Renzi e imprenditore che però non ha voluto rispondere.
Carrai
presentò a Tim un progetto sui Big Data: dentro dovevano esserci
Leonardo, Unicredit e Banca Intesa. Carrai puntava ai dati di
Telecom, ma – secondo la fonte interna di Tim – la cosa è stata
fermata, per la vicinanza di Carrai con Renzi.
Renzi aveva pessimi rapporti con Tim mentre erano buoni i rapporti con Vivendì: il governo Renzi non oppone resistenza alla scalata di Vivendì a Tim, “si chiama mercato” dice oggi l’ex presidente.
Renzi e Bollorè si erano incontrati in quegli anni spiega l’ex membro del CDA in forma anonima: in una enoteca di Firenza l’allora primo ministro Renzi, col presidente di CDP e Bollorè di cosa avranno parlato?
Renzi si sarebbe opposto ad una norma del governo Gentiloni, voluta dal ministro Calenda, contro le scorrerie di Vivendì: una norma bloccata nel consiglio dei ministri anche per le manovre di Renzi, allora segretario del PD.
Vivendì,
attraverso il suo controllo di Tim, controlla le nostre utenze, i
nostri dati, controlla la rete Sparkle, dove passano i dati degli
apparati di sicurezza: ma il governo non ha applicato la norma di
golden share per evitare le scalate se non nel 2017, col governo
Gentiloni.
Nel 2018 entrano in Tim CDP col manager Costamagna e il fondo Elliot dell’advisor Scaroni: qui inizia la guerra interna dentro Tim a Bollorè: una guerra che Andrea Bianchi aveva previsto, quando parlava della strategia di far entrare in amico dentro Tim e prendere così “due piccioni con una fava”.
Vivendì
entra in difficoltà, così cercano un contatto con i servizi
italiani: il presidente Arnaud De Puyfontaine si porta dietro anche
Andrea Pezzi, che aveva avuto anche la mediazione di un politico di
destra.
Mottola ha
cercato di chiedere conto di questo incontro al meeting di Rimini,
senza successo: ma alle domande ha risposto Pezzi che, ancora una
volta, nega questo incontro.
Sono
solo un advisor, faccio il traduttore tra l’approccio cartesiano e
quello macchiavellico – così si definisce Pezzi: è il mediatore
degli accordi con Mediaset, Vivendì gli paga una parcella da 1,5ml
di euro.
Andrea Pezzi aveva deciso di diventare imprenditore
agli inizi del duemila, dopo essere stato un conduttore su MTV:
mentre
era all’apice della sua popolarità decide di sparire dalla
televisione per poi tornare nel 2006, con uno stile e con dei
contenuti diversi in un programma su rai2, il “tornasole”. In una
delle puntate ospita un personaggio molto controverso, il professor
Antonio Meneghetti a cui lascia 30 minuti della sua trasmissione in
cui espone la sua discussa dottrina a cui il conduttore si era
avvicinato negli ultimi anni, l’ontopsicologia.
“Quando curavo le persone, ne ho curate a centinaia senza medicine, io volevo capire perché l’uomo è stupido” – spiegava davanti alle telecamere Meneghetti, considerato un guru di questa dottrina.
Secondo
lui era una nuova scuola di pensiero psicologico – racconta a
Report Gianni Del Vecchio autore di Occulto
Italia: “in realtà è stata messa nel report del 1998 da parte
del ministero degli Interni come una delle nuove sette
italiane.”
Meneghetti
è un ex frate francescano oggetto di venerazione da parte dei suoi
adepti che in un borgo dell’Umbria medioevale gli hanno costruito
una statua dopo la sua morte nel 2013.
Negli anni ‘80
Meneghetti era finito al centro di indagini per associazione a
delinquere, usurpazione di titoli e truffa da cui verrà assolto.
Successivamente è stato coinvolto anche in una indagine per omicidio
colposo per cui verrà condannato.
Che cos’è l’ontopsicologia? Lo spiega in un video lui stesso: sarebbe un metodo terapeutico per curare problemi psicologici o per potenziare la personalità dei suoi seguaci che venivano reclutati tra i pazienti. Tempo dopo alcuni di loro si sono rivolti a Silvana Radoani, antropologa che da anni si occupa di studi sulle sette: queste persone erano state avvicinate da qualcuno aderente all’ontopsicologia, gli viene intimato di allontanarsi da tutto se vuole evolvere, basta rapporti con la famiglia, basta rapporti col mondo del lavoro, amici, conoscenti.
Insomma, a loro viene imposto di isolarsi dal mondo esterno con un indottrinamento, seguendo una dottrina in modo coatto e ridursi in completa balia del fondatore Antonio Meneghetti.
Molto
discusso
il
rapporto
di Meneghetti
anche
con
le
sue
assistenti e sono rapporti basati sul sesso.
Il professore porta
i suoi seguaci in un borgo in Umbria: tra questi c’è anche Pezzi,
che ha un ruolo come Tom Cruise per Scientology, un personaggio
pubblico che serviva per risollevare
l’immagine della psico-setta.
Nel
2006
Pezzi
e
Meneghetti si avvicinano alla politica: vengono invitati dai circoli
del buon governo di Dell’Utri, appena condannato in primo grado per
concorso esterno in mafia.
Dovevano
essere i formatori dei giovani di Forza Italia – racconta un ex
socio di Pezzi. No, si tratta solo di un convegno, nessun rapporto
politico, spiega oggi l’ex conduttore.
Ma
Fininvest
aveva
investito
in
una società
di Pezzi,
Ovo:
una wikipedia
su video, con piccole clip. Berlusconi
finanzia
Ovo attraverso
la lussemburghese Trefinance, ma
per Fininvest fu un bagno di sangue: ne uscì nel 2011 con perdite di
7 milioni.
Pezzi
ha fondato altre società, fino a quando nel 2015 entra in società
Davide Serra finanziatore di Renzi: Serra diventa socio di una
società che si occupa di pubblicità digitale che cambia nome, fino
a diventare Mint e
Seven Capital.
In
questa società entrano persone del giglio
magico: Mint ottiene importanti appalti nel settore della pubblicità
online con partecipate dallo Stato: 4,5 milioni da Enel (nel cui cda
sedeva all’epoca Alberto Bianchi), 100mila euro da Poste Italiane
e, soprattutto, Tim che
affida
nel
2021
a Mint tutta
la
sua
pubblicità
online.
Incassato
il contratto con Tim, Seven Capital (di
Serra, Pezzi e Bianchi) vende
le quote a un fondo francese e realizza una ricca plusvalenza.
Come
mai questo ruolo così importante per Pezzi? La fonte anonima di
Report lo indica come un messaggero tra Vivendì e pezzi della
politica italiana.
LA
chiave di volta è stata Debora Bergamini, parlamentare di Forza
Italia e membro del governo Draghi, che ha messo in contatto Pezzi
con diversi politici italiani, dalla Lega ai 5s.
Tutte falsità,
risponde Pezzi a Report: con la Bergamini non si parla di affari, ma
forse di psicologia.
Pezzi è molto influente in Tim, avrebbe
fatto lui il nome di Labriola come AD – racconta la fonte di
Report: il suo rapporto è nato in Brasile con Tim Brasile, di cui
Mint gestiva la pubblicità.
Andrea Pezzi il consulente di De
Puyfontaine, ha avuto un ruolo anche nelle strategie di Tim?
In
25 anni di privatizzazione Tim non è riuscita a scrollarsi di dosso
la politica, che continua ad usare questa azienda per i suoi
interessi. Oggi Tim ha 23 miliardi di debiti, era il sesto operatore
al mondo mentre oggi è presente in Brasile e San Marino, era
l’azienda più innovativa, mentre oggi sembra solo un tavolo da
sparecchiare dopo un banchetto. Il banchetto spolpato dai consulenti
esterni, dagli azionisti, che hanno incassato miliardi in dividendi e
in consulenze.
Tutto questo mentre i dipendenti lavorano senza avere contezza del loro futuro, come non è chiaro il futuro della rete Tim.
Oggi Meloni ha nelle mani il progetto Minerva, ovvero comprare la rete di Tim per arrivare una rete unica, che prevede una spesa di 30 miliardo. Per questo piano la presidente del Consiglio dovrà anche parlare con Andrea Pezzi.
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