08 novembre 2022

Report – lo scopriremo solo Vivendi

ARIA FRIZZANTE di Chiara De Luca

In ogni spritz non può mancare il seltz, le bollicine dell’anidride carbonica: ma la co2 per uso alimentare è difficile da trovare, alcuni marchi come la birra Menabrea ha dovuto fermare la produzione. Il prezzo della co2 è cresciuto dallo scorso anno: questa viene prodotta come prodotto di scarto, ma costa tanto produrla. Eppure c’è tanta co2 nell’atmosfera, un paradosso: forse conviene catturare l’anidride carbonica nell’atmosfera, con procedimenti a basso costo.
Per il momento le bollicine vengono ottenute dal liquame di bovini di allevamento, come Report ha raccontato ieri sera, col servizio da Candiolo a Torino.

Qui un consorzio di allevatori produce 10 tonnellate di co2 al giorno, andando a “catturare” le emissioni di anidride carbonica degli animali, filtrata e trattata.
In Irlanda invece ci sono cacciatori di co2 che la prendono proprio dall’atmosfera, grazie a dei filtri: Climeworks ha trasformato coi suoi due impianti, a Zurigo e in Islanda, la caccia della co2 in un business.
Nei loro impianti catturano la co2 e la stoccano dentro contenitori: nell’impianto in Islanda la co2 viene iniettata sotto terra, in un processo che porta alla mineralizzazione di carbonati, come già avviene in natura.
Climeworks aveva provato a catturare la co2 anche in Puglia, con progetti sperimentali basati su staziamenti europei: l’esperimento fatto a Troia non è andato bene, perché finiti i fondi è stata chiusa la sperimentazione.
Servirebbero sponsor che mettono soldi nella tecnologia di Climeworks, come adesso fa Microsoft, per la cattura di anidride carbonica emessa dall’atmosfera.
Perché la continua emissione di co2 sta causando quei cambiamenti climatici che oramai sono sotto gli occhi di tutti, anche in Islanda, dove i ghiacciai si stanno ritirando: hanno perso 2200 km di superficie di ghiacciai negli ultimi cento anni.

Tra cento cinquant’anni i ghiacciai spariranno del tutto, con un aumento della temperatura di 2,5 gradi: oramai il processo è irreversibile secondo la scienziata islandese ascoltata da Report.

Eppure non stiamo facendo abbastanza, nemmeno in Italia, dove non abbiamo ancora contezza dei rischi che stiamo correndo.

LO SCOPRIREMO SOLO VIVENDI di Giorgio Mottola

I tifosi abbonati a Dazn che cercano di seguire in streaming la loro squadra del cuore conoscono i problemi della piattaforma che trasmette le partite di serie A.

Il business del calcio si basa sulla passione di chi compra le partite – racconta Riccardo Cucchi: ma se queste persone si rendessero conto di essere co siderati come bancomat, questa passione si esaurirebbe.

La Lega di Serie A ha assegnato i diritti di trasmissione a Dazn la piattaforma che trasmette sport online in 30 paesi al mondo. Fondata da Leonard Blavatnik, miliardario di origini ucraine con passaporto americano che in Russia è stato socio di uno dei principali oligarchi vicini a Putin. Mentre negli Stati Uniti ha elargito milioni di dollari sia al partito democratico che a quello repubblicano.

È stato un errore affidare i diritti televisivi a Dazn, visto come è andato?

Il presidente della Lega, Lorenzo Casini, ha risposto di no, “forse è una affermazione un po’ eccessiva. A noi non risultano così tanti i problemi tecnici”.

Stessa opinione di Luigi De Siervo, AD della Lega: nonostante tutti i problemi l’affidamento a Dazn non è stato un disastro.

I tifosi italiani che ogni giorno pubblicano post inferociti contro Dazn non sarebbero d’accordo: “siamo in un paese libero, giustamente ciascuno si può esprimere come crede.”

Peccato che qui la libertà di espressione non c’azzecca nulla: come spiega nuovamente Riccardo Cucchi a Report, “la visione delle partite si interrompe, compare quella rotellina che innervosisce gli appassionati e molto spesso la visione non è perfetta”.
Quali sono le ragioni di questi problemi? Come tanti utenti Riccardo Cucchi ha una linea internet buona, una fibra con Tim oltre all’abbonamento con Tim Vision, ha comprato un televisore di ultima generazione. Però ogni tanto l’immagine scompare.

Due sono le ragioni: o la piattaforma di Dazn non funziona a dovere, oppure è la rete internet italiana a non essere adeguata. Per scoprirlo la Lega di Seria A ha affidato nel 2021 a degli esperti del settore una consulenza.

Francesco Vatalaro – professore di ingegneria delle Telecomunicazioni era uno di questi esperti: cosa ha scoperto? “La qualità della rete è totalmente adeguata. Se ci sono dei problemi è più probabile che vadano cercati altrove. ” Ovvero sulla piattaforma di Dazn.

Varie relazioni tecniche hanno addebitato i problemi a Dazn, la Lega ha affidato i diritti a questa società: Dazn ha vinto la gara offrendo 800ml nel triennio 2022 – 2024.

Per superare le resistenze degli indecisi, Dazn ha scritto una lettera in cui garantiva di aver stipulato un accordo con un partner tecnico, che era Tim, per garantire il servizio.
Nella lettera di Dazn ai presidenti della Serie A si scriveva che Tim avrebbe contribuito all’offerta: si parla di 400 – 420ml di euro.

Nell’audit interno – di cui parla una fonte anomima – emergeva subito che questa operazione avrebbe causato delle perdite: del milione e passa di abbonati si è arrivati a 500mila.

Tim è finita in difficoltà da questa operazione, il nuovo AD Labriola ha messo a bilancio una perdita di 500 milioni, ma questo accordo con Dazn è comunque difeso dalla stessa dirigenza.

Report è andata a sentire i dirigenti di Serie A, a cui ha chiesto delle anomalie di cui parlerebbe l’audit interno sull’assegnazione dei diritti a Dazn: Scaroni, presidente del Milan ha scelto di non parlare, come anche Barone, presidente della Fiorentina che però poi invita il giornalista a sentire De Siervo, AD della Lega.
Un ruolo nella partita lo ha avuto Andrea Pezzi, che è amico di De Siervo – racconta la fonte interna, sarebbe stato il legante tra Tim e Dazn.

Pezzi, intervistato da Report, spiega di non essere mai entrato in questa vicenda, sebbene abbiamo conosciuto De Siervo e Gubitosi che gli avrebbero chiesto un parere su questa vicenda: Pezzi è consulente strategico di Vivendì, azionista di riferimento di Tim, sarebbe considerato una sorta di eminenza grigia.

Report ha ripercorso le tappe della privatizzazione di Tim, cominciata negli anni 90 col governo Prodi, poi la seconda scalata a debito di Tronchetti Provera. La vendita alla società spagnola Telefonica che poi ha scambiato le quote con Vivendì nel 2015. Società controllata da Bollorè, chiamato il boa in Francia per come stritola gli avversari.
Vivendì ha avuto in interesse nell’accordo dei diritti televisivi con Tim, per indebolire Sky, che nel 2015 aveva iniziato a vendere la linea internet domestica?

Bollorè aveva cercato di scalare anche Mediaset, ma qui ha invece trovato lo sbarramento con l’azione del giglio magico e con l’intervento dello stesso Pezzi.
Il gruppo Bollorè fattura 20 miliardi l’anno, ha interessi nei media, nei porti in Africa, nella finanza, in Telecom Italia: le sue operazioni finanziarie seguono il meccanismo di predazione del boa, che stritola le sue vittime e poi le mangia.

Così Bollorè ha stritolato Vivendì, comprando azioni un po’ alla volta e così voleva fare anche con Mediaset nel 2016: voleva comprare Mediaset Premium, allora in perdita, in cambio dell’ingresso nel capitale dell’azienda.
Doveva essere una partecipazione amichevole ma invece voleva prenderne il controllo, rastrellando azioni Mediaset, passando dal 5 al 35%: la guerra finanziaria con Berlusconi è durata 5 anni dai risvolti politici.

Da questa storia alla fine Bollorè ci ha guadagnato: in questa storia ci si è infilato anche il giglio magico di Renzi.

Tre giorni dopo la caduta di Renzi, Alberto Bianchi, che presiede Open (costatogli un’indagine per finanziamento illecito) scrive a Marco Carrai, consigliere intimo dell’ex premier: “Ma noi non abbiamo nessuno che aiuti Berlusconi contro Vivendi? Se trovassimo qualcuno che li aiuta, finanziariamente e/o industrialmente a resistere, potrebbe esserci un significativo beneficio politico”.

Carrai risponde: “Ci sto pensando”.
Renzi, anche gentilmente ne ha chiesto conto a Renzi, che però ha rimandato Mottola da Carrai, amico di Renzi e imprenditore che però non ha voluto rispondere.

Carrai presentò a Tim un progetto sui Big Data: dentro dovevano esserci Leonardo, Unicredit e Banca Intesa. Carrai puntava ai dati di Telecom, ma – secondo la fonte interna di Tim – la cosa è stata fermata, per la vicinanza di Carrai con Renzi.

Renzi aveva pessimi rapporti con Tim mentre erano buoni i rapporti con Vivendì: il governo Renzi non oppone resistenza alla scalata di Vivendì a Tim, “si chiama mercato” dice oggi l’ex presidente.

Renzi e Bollorè si erano incontrati in quegli anni spiega l’ex membro del CDA in forma anonima: in una enoteca di Firenza l’allora primo ministro Renzi, col presidente di CDP e Bollorè di cosa avranno parlato?

Renzi si sarebbe opposto ad una norma del governo Gentiloni, voluta dal ministro Calenda, contro le scorrerie di Vivendì: una norma bloccata nel consiglio dei ministri anche per le manovre di Renzi, allora segretario del PD.

Vivendì, attraverso il suo controllo di Tim, controlla le nostre utenze, i nostri dati, controlla la rete Sparkle, dove passano i dati degli apparati di sicurezza: ma il governo non ha applicato la norma di golden share per evitare le scalate se non nel 2017, col governo Gentiloni.

Nel 2018 entrano in Tim CDP col manager Costamagna e il fondo Elliot dell’advisor Scaroni: qui inizia la guerra interna dentro Tim a Bollorè: una guerra che Andrea Bianchi aveva previsto, quando parlava della strategia di far entrare in amico dentro Tim e prendere così “due piccioni con una fava”.

Vivendì entra in difficoltà, così cercano un contatto con i servizi italiani: il presidente Arnaud De Puyfontaine si porta dietro anche Andrea Pezzi, che aveva avuto anche la mediazione di un politico di destra.
Mottola
ha cercato di chiedere conto di questo incontro al meeting di Rimini, senza successo: ma alle domande ha risposto Pezzi che, ancora una volta, nega questo incontro.

Sono solo un advisor, faccio il traduttore tra l’approccio cartesiano e quello macchiavellico – così si definisce Pezzi: è il mediatore degli accordi con Mediaset, Vivendì gli paga una parcella da 1,5ml di euro.
Andrea Pezzi aveva deciso di diventare imprenditore agli inizi del duemila, dopo essere stato un conduttore su MTV: m
entre era all’apice della sua popolarità decide di sparire dalla televisione per poi tornare nel 2006, con uno stile e con dei contenuti diversi in un programma su rai2, il “tornasole”. In una delle puntate ospita un personaggio molto controverso, il professor Antonio Meneghetti a cui lascia 30 minuti della sua trasmissione in cui espone la sua discussa dottrina a cui il conduttore si era avvicinato negli ultimi anni, l’ontopsicologia.

Quando curavo le persone, ne ho curate a centinaia senza medicine, io volevo capire perché l’uomo è stupido” – spiegava davanti alle telecamere Meneghetti, considerato un guru di questa dottrina.

Secondo lui era una nuova scuola di pensiero psicologico – racconta a Report Gianni Del Vecchio autore di Occulto Italia: “in realtà è stata messa nel report del 1998 da parte del ministero degli Interni come una delle nuove sette italiane.”
Meneghetti è un ex frate francescano oggetto di venerazione da parte dei suoi adepti che in un borgo dell’Umbria medioevale gli hanno costruito una statua dopo la sua morte nel 2013.
Negli anni ‘80 Meneghetti era finito al centro di indagini per associazione a delinquere, usurpazione di titoli e truffa da cui verrà assolto. Successivamente è stato coinvolto anche in una indagine per omicidio colposo per cui verrà condannato.

Che cos’è l’ontopsicologia? Lo spiega in un video lui stesso: sarebbe un metodo terapeutico per curare problemi psicologici o per potenziare la personalità dei suoi seguaci che venivano reclutati tra i pazienti. Tempo dopo alcuni di loro si sono rivolti a Silvana Radoani, antropologa che da anni si occupa di studi sulle sette: queste persone erano state avvicinate da qualcuno aderente all’ontopsicologia, gli viene intimato di allontanarsi da tutto se vuole evolvere, basta rapporti con la famiglia, basta rapporti col mondo del lavoro, amici, conoscenti.

Insomma, a loro viene imposto di isolarsi dal mondo esterno con un indottrinamento, seguendo una dottrina in modo coatto e ridursi in completa balia del fondatore Antonio Meneghetti.

Molto discusso il rapporto di Meneghetti anche con le sue assistenti e sono rapporti basati sul sesso.
Il professore porta i suoi seguaci in un borgo in Umbria: tra questi c’è anche Pezzi, che ha un ruolo come Tom Cruise per Scientology, un personaggio pubblico che serviva per ris
ollevare l’immagine della psico-setta.
Nel
2006 Pezzi e Meneghetti si avvicinano alla politica: vengono invitati dai circoli del buon governo di Dell’Utri, appena condannato in primo grado per concorso esterno in mafia.
D
ovevano essere i formatori dei giovani di Forza Italia – racconta un ex socio di Pezzi. No, si tratta solo di un convegno, nessun rapporto politico, spiega oggi l’ex conduttore.

Ma Fininvest aveva investito in una società di Pezzi, Ovo: una wikipedia su video, con piccole clip. Berlusconi finanzia Ovo attraverso la lussemburghese Trefinance, ma per Fininvest fu un bagno di sangue: ne uscì nel 2011 con perdite di 7 milioni.
P
ezzi ha fondato altre società, fino a quando nel 2015 entra in società Davide Serra finanziatore di Renzi: Serra diventa socio di una società che si occupa di pubblicità digitale che cambia nome, fino a diventare Mint e Seven Capital.
In questa società entrano persone del gi
glio magico: Mint ottiene importanti appalti nel settore della pubblicità online con partecipate dallo Stato: 4,5 milioni da Enel (nel cui cda sedeva all’epoca Alberto Bianchi), 100mila euro da Poste Italiane e, soprattutto, Tim che affida nel 2021 a Mint tutta la sua pubblicità online. Incassato il contratto con Tim, Seven Capital (di Serra, Pezzi e Bianchi) vende le quote a un fondo francese e realizza una ricca plusvalenza.

Come mai questo ruolo così importante per Pezzi? La fonte anonima di Report lo indica come un messaggero tra Vivendì e pezzi della politica italiana.
LA chiave di volta è stata Debora Bergamini, parlamentare di Forza Italia e membro del governo Draghi, che ha messo in contatto Pezzi con diversi politici italiani, dalla Lega ai 5s.
Tutte falsità, risponde Pezzi a Report: con la Bergamini non si parla di affari, ma forse di psicologia.
Pezzi è molto influente in Tim, avrebbe fatto lui il nome di Labriola come AD – racconta la fonte di Report: il suo rapporto è nato in Brasile con Tim Brasile, di cui Mint gestiva la pubblicità.

Andrea Pezzi il consulente di De Puyfontaine, ha avuto un ruolo anche nelle strategie di Tim?
In 25 anni di privatizzazione Tim non è riuscita a scrollarsi di dosso la politica, che continua ad usare questa azienda per i suoi interessi. Oggi Tim ha 23 miliardi di debiti, era il sesto operatore al mondo mentre oggi è presente in Brasile e San Marino, era l’azienda più innovativa, mentre oggi sembra solo un tavolo da sparecchiare dopo un banchetto. Il banchetto spolpato dai consulenti esterni, dagli azionisti, che hanno incassato miliardi in dividendi e in consulenze.

Tutto questo mentre i dipendenti lavorano senza avere contezza del loro futuro, come non è chiaro il futuro della rete Tim.

Oggi Meloni ha nelle mani il progetto Minerva, ovvero comprare la rete di Tim per arrivare una rete unica, che prevede una spesa di 30 miliardo. Per questo piano la presidente del Consiglio dovrà anche parlare con Andrea Pezzi.

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