26 novembre 2022

Bell’Abissina, di Carlo Lucarelli


 

Ottobre 1937

«Vivere, senza malinconia... vivere, senza più gelosia… »

«E chi minchia sei Labrù, il Tito Schipa de' noantri? Ch'è successo, t'ha lasciato la ragazza?»
«Senza mai più rimpianti, senza conoscer cos’è l’amore...»
«Lo sentite, brigadiere? Il collega è giovane e aitante, mica come noi che teniamo moglie e figli… chiusa una porta si apre un portone, no? Con lo stipendio che prendi tra diaria, indennità e avanzamento arrivi quasi a mille lire, c’hai le donne che ti corrono dietro, labruna!»
«Ridere, sempre così giocondo… ridere, delle follie del mondo...»

Avevo conosciuto, dal punto di vista letterario, il commissario Marino ai tempi di Rimini nel 1936, quando era ancora ispettore: sulla spiaggia a pochi passi dalla villa dove Mussolini faceva le sue vacanze, veniva scoperto il cadavere di una prostituta uccisa con un colpo di pistola.
L’indagine ufficiale si era conclusa in modo rapido, con tanto di auguri del duce in persona per la “Dimostrata perfetta efficienza stile fascista”. Ma al giovane ispettore Marino, che poliziotto lo è davvero, questa soluzione semplice (e comoda) non bastava e aveva così iniziato una sua “indagine non autorizzata”, che aveva approdato ad una sua promozione a Roma, all’ufficio passaporti, come premio per non aver svelato i veri responsabili del delitto, che avrebbero causato qualche problema a gerarchi e notabili del partito.
Ora ritroviamo nuovamente Marino, diventato commissario a seguito della promozione, ma a Cattolica, alle prese con una nuova indagine.
Indagine che parte da una macabra scoperta fatta dai poliziotti della squadra speciale della “presidenziale”, la “squadra fognature” che aveva l’ingrato compito di controllare le vie fognarie nei luoghi dove sarebbe passato Mussolini, per sventare eventuali attentati.

Labruna fece un altro passo avanti e l'occhio rotondo della torcia illuminò un corpo. Mezzo mangiato, scarnificato dai morsi dei topi, doveva essersi incassato sulle gambe in equilibrio contro i mattoni, perché sembrava stesse in piedi. A giudicare dall'altezza poteva essere quello di un bambino, una bambina considerando i capelli lunghi..

Non si tratta di una bambina, ma di una donna di piccola statura anzi, meglio, di una nana. Uccisa con un’arma affilata che le ha quasi staccato la gola. Uccisa e gettata nella fogna, nel quartiere centrale di Prati.
Tre anni dopo, nel 1940, ci ritroviamo a Rimini, dove in una notte fredda di aprile, tre attivisti di Giustizia e Libertà devono incontrare un loro contatto che procurerà loro i documenti per espatriare.
Il loro contatto, che si fa chiamare “Locard”, come il famoso criminologo, è il commissario Marino: disgustato dal regime, dall’esperienza dell’indagine di Rimini, Marino ha deciso di combattere il regime a modo suo, fornendo agli antifascisti della rete di G.L. le informazioni sulle retate della polizia politica e procurando documenti falsi, grazie anche al suo passato in quell’ufficio passaporti dove si è visto passare davanti tante fotografie di schedati, attenzionati, noti a questo ufficio …
Uno dei tre antifascisti con cui Marino si imbatte è stato un ex poliziotto, proprio uno degli agenti della presidenziale che, tre anni prima, aveva scoperto quel cadavere abbandonato come un sacco, nel posto più lurido che potesse esserci. Quel morto, anzi quella morta avevano fatto compagnia alle sue notti, “se la sognava la notte, col dito puntato e quell’occhio che lo fissava” e siccome l’agente Labruna era poliziotto, anche se della squadra fognature, aveva fatto la sua indagine. Chi getterebbe un cadavere dentro una fogna? Si era messo a spulciare tra i casi di donne scomparse e affette da nanismo e, “anche se non era il suo mestiere” si era imbattuto in una storia che lo aveva interessato: una donna di servizio in una casa padronale che un giorno non era più tornata al suo alloggio la sera, dalle suore. Una storia che era stata messa a tacere anche grazie ad una generosa donazione alle suore e alla zia della ragazza scomparsa.

Il padrone della casa in cui Adele, questo il nome della ragazza, lavorava è uno dei tanti imprenditori che avevano fatto fortuna grazie al regime. Ovvero andando ad ungere le ruote giuste del regime, gerarchi, gerarchetti, sottosegretari, andando a cercare il suo posto al sole in Africa, a seguito delle truppe coloniali che avrebbero regalato al regime lagloria effimera dell’impero nel 1935

Ma era soprattutto con la guerra di Etiopia che aveva fatto i soldi, anche prima, già nel 35 quando il sottosegretario gli indicava le mosse giuste in attesa del offensiva conto il Negus. La Compagnia Immobiliare Abissina del commendatore Brandimarzio possedeva buona parte degli alberghi e degli appartamenti per operai e funzionari tra Massaua, Addis Abeba e Asmara una serie di partecipazione in varie imprese africane e un quadernino a due colonne, a sinistra i nomi di gerarchi amici e a destra le cifre con la scadenza mensile.
Per un caso del destino, ora il commendator Brandimarzio, dopo essere stato tanti anni in Etiopia, a Massaua, è tornato nella sua città, Cattolica. Ecco, un altra persona, un altro poliziotto avrebbe preso questo racconto, questa storia fatta di sospetti, di indizi, senza alcuna prova contro un uomo protetto dal regime e dimenticata. Ma Marino non è un poliziotto come gli altri: non è la prima volta che si troverebbe di fronte ad una indagine non autorizzata, fatta più per dimostrare agli altri, ai colleghi più furbi, alla moglie che non lo amava, che lui sapeva fare il suo lavoro

Poi un giorno ci aveva provato. Confidando nel suo intuito da poliziotto si era infilato in un'indagine non autorizzata, rischiosa ed entusiasmante, si era innamorato alla follia ed era arrivato fino in fondo, ostinatamente, tenacemente, come mai aveva fatto prima. Non gli era andata bene.

Ma questa volta è ancora peggio dell’indagine di Rimini contro un conte, amico del ministro Ciano: questa non solo è una indagine non autorizzata, è un’indagine impossibile. Perché non è facile, nemmeno per un commissario avvicinare, e figurarsi fare domande strane, ad un commendatore con tante amicizie nel regime. Perché non è facile raccogliere notizie sul passato di questo Francone Brandimarzio, che vive col figlio nella sua villa. E poi, anche una volta raccolte le prove di una sua responsabilità, cosa se ne farebbe?
Ma il commissario Marino è uno che ha deciso di combattere questo regime: questo regime dove non esistono ladri perché vestono tutti la camicia nera, dove non esiste il dissenso perché si rischia il confino. Un regime che sta andando ad infilarsi proprio nella tragedia della seconda guerra mondiale, confidenti nelle capacità strategiche del duce, quell’ometto piccolo piccolo per cui bastavano qualche migliaio di morti per sedersi al tavolo della pace.
Questa indagine si deve fare: a modo suo, sfruttando le sue conoscenze, andando anche a contattare qualcuno in Africa (un ufficiale in servizio a Massaua che gli racconta che la villa dei Brandimarzio era chiamata Gezà Sheitan - la casa del diavolo), Marino riesce a ricostruire un quadro indiziario che porta proprio a villa Brandimarzio, dove incontra anche il figlio Attilio, un giovane dallo sguardo strafottente che sembra dirti “tu non sei niente”. E una sua amica, una ragazza affascinante, Weinì:

Weinì sorrise e Marino pensò che si, era proprio bella. Di una bellezza sincera, così naturale, così intensa. Sorrise anche lui mentre pensava che non era lì per ammirarla quella bella ragazza ma per interrogarla.

Dovrà stare molto attento Marino: questa famiglia è intoccabile, gode di protezioni di alto livello, sin dentro la polizia politica. Ma deve anche stare attento a non farsi scoprire nella sua attività di antifascista col nome di “Locàrd”, perché qualcuno si è messo sulle sue tracce.

Un finale amaro chiude questo romanzo che, in poco meno di duecento pagine ci mostra un affresco dell’Italia degli anni ruggenti del fascismo: il regime dove si dormiva con le porte aperte (per citare Sciascia) e dove la giustizia e la legge funzionavano secondo i desiderata del regime e dei suoi ras, ladri in divisa. Tanto sicuri delle loro impunità da non avere alcun problema nell’ammettere le loro malefatte: questa era l’Italia del regime fascista

«In un regime puoi fare quello che vuoi. Chi denuncia? Chi indaga? Chi condanna? Chi controlla? Loro ...» alzò il pollice puntandolo verso il cielo, poi ne batte la punta sul petto.
«Noi, io .. tu, se ci sei dentro. Niente giornali, niente opinione pubblica. nessuno che rompe le scatole, nessuno che si indigna. La paura, il conformismo, la consapevolezza che tanto non cambia niente diventano omertà. Complicità. Un regime è un ottimo modo per fare soldi, e questo è perfetto. Caro commissario, io lo amo, questo regime, e dal momento che è fascista allora sì, sono fascista anch'io, fascistissimo. saluto al Duce»

Nella serie televisiva andata in onda sulla Rai anche l’episodio su “Indagine non autorizzata” viene affidato al commissario De Luca: leggendo questo secondo, e spero non ultimo, romanzo con Marino mi rendo conto delle sfumature che esistono tra questi due investigatori.
Sfumature che si comprendono meglio leggendo “Peccato mortale” e il bellissimo “L’inverno più nero” (forse uno dei migliori De Luca): Marino non è uno che ripete sono solo un poliziotto, faccio il mio mestiere, senza preoccuparsi di chi sia a capo delle istituzioni, ha fatto una sua scelta, mimetizzandosi dentro quel regime e combattendolo dall’interno.
Ma forse sono solo sfumature.

La scheda del libro sul sito dell'editore Mondadori

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