La domanda che tanti (tra quanti si ricordano oggi dell’anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini) si stanno facendo: che cosa direbbe oggi, il poeta, lo scrittore, regista, pittore?
Sappiamo cosa pensava della televisione, medium di massa totalmente asimmetrico (e strumento di propaganda da parte degli editori-politici). Sappiamo anche cosa pensava di questo modello di sviluppo, consuma-lavora-crepa, che aveva omologato le vite delle persone, le parole, le aspirazioni. Le case. Spazzando via le a-culture popolari, i dialetti (oggi tenuti in vita, paradossalmente, da partiti come la Lega e le leghe locali).
Ma cosa avrebbe detto dei cambiamenti climatici, di questa guerra in corso, della pandemia e delle misure di lockdown?
Come sempre avrebbe assunto una sua posizione, scomoda perché non avrebbe ripetuto quello che le persone avrebbero voluto sentirsi dire. Non si sarebbe fatto etichettare, come succede oggi quando si è costretto a schierarsi, di qua o di là.
Ieri sera, intervistato da Marco Damilano, il regista e attore Ascanio Celestini raccontava di una intervista di Paolo Cipriano (storico del PCI) a Pasolini dei primi anni sessanta, dove gli veniva chiesto del rischio di una escalation verso una guerra, per colpa delle tensioni nel mondo, diviso in blocchi; “l’umanità è sull’orlo di una catastrofe?”.
Pasolini, che nei suoi libri e nei suoi scritti aveva sempre parlato della guerra passata, risponde allo storico a modo suo: siamo già in guerra, la guerra di questo modello capitalista, a prescindere che si spari o meno, “ed è per questo che inconsciamente, malgrado la sua assurdità, continuiamo a temerla questa guerra, il capitalismo è una guerra. Una guerra in cui, che sia l’industrializzazione selvaggia, oggi ne faremmo anche una questione ecologica, o una bomba atomica che viene veramente buttata (come si sente dire in queste settimane, tattica o strategica), comunque sarà una guerra in cui l’uomo sarà sconfitto e forse perduto per sempre”.
L’attore e regista ha anche risposto alla domanda sulla pacificazione, quella tra fascismo e antifascismo: facciamola questa pacificazione, a patto che si metta da parte anche il fascismo nato dopo il 25 luglio 1943 (che fa ancora più paura). Il fascismo delle trame dei servizi segreti, Gladio, Nato che ha portato alla strategia della tensione e alla P2.
“Stringiamoci
la mano e facciamola questa pacificazione, chiudiamo questa fase,
cerchiamo di capire però quale storia ci lasciamo alle spalle”.
Qui
ritorniamo all’album
di famiglia della Meloni e del suo partito. Su quali basi
vogliamo fare questa pacificazione? Senza aver fatto chiarezza su
Piazza Fontana, Bologna, Brescia?
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