13 agosto 2022

Le sorelle Lacroix di Georges Simenon


Ogni famiglia ha uno scheletro nell’armadio.

«.. piena di grazia, il Signore è con te .. piena di grazia, il Signore è con te ...»
Le parole non avevano più senso, non erano più parole. Geneviève non sapeva neanche se le sue labbra si muovevano ancora, se la sua voce andava a unirsi al sordo mormorio che si levava dagli angoli bui della chiesa.
Certe sillabe, cariche di significati nascosti, sembravano ripetersi più spesso delle altre.

«… piena di grazia … piena di grazia...».
E anche la triste conclusione dell’Ave Maria:
«… noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen».
Quando era piccola e sentiva recitare il rosario ad alta voce, quelle parole che tornavano ogni volta identiche dopo un po’ le facevano l’effetto di un incantesimo, e le capitava perfino di scoppiare a piangere.

A parte questa scena iniziale che si svolge dentro la chiesa, con la recita meccanica del rosario, la maggior parte del racconto si svolge al chiuso, dentro la casa dove vivono due nuclei familiari quello di Emmanuel Vernes e quello della famiglia Desborniaux. Ma per tutti quella casa rimane la casa delle sorelle Lacroix, Mathilde e Poldine, figlie del vecchio notaio, le principali protagoniste di questa storia di odio familiare.
L’aver contenuto buona parte del racconto in un posto chiuso, che avrebbe bisogno di aria in tutti i sensi enfatizza uno dei tratti della scrittura di Simenon, l’impossibilità di sfuggire al proprio destino, di poter cambiare la propria vita.

In questo caso, il destino di una guerra, di uno scontro familiare che si respira appena ci addentriamo dentro casa Lacroix.

E tuttavia casa sua non dava neanche lontanamente quell’impressione di immutabilità che si percepiva in casa Lacroix. Mentre Poldine parlava, nella mente del dottore si fece strada un pensiero: le due Lacroix erano sposate, Leopoldine con un tisico che viveva in Svizzera, Mathilde con Emmanuel Vernes. Legalmente la primogenita si chiamava quindi Desborniaux e la minore Vernes. [..] Eppure la gente continuava comunque a parlare di casa Lacroix e a considerare tutti i suoi abitanti dei Lacroix.
Tutti dei Lacroix: le due sorelle, che si scambiano poche parole in casa, anche a tavola a cena. Il marito di Mathilde, un pittore che passa la maggior parte del suo studio nell’atelier, il suo unico spazio privato che si è ritagliato in quella casa, dove dipinge i quadri che riprendono il panorama che si ritrova davanti, i tetti di ardesia delle case.
E poi i due figli di Mathilde: Jacques, che vorrebbe scappare da questa casa soffocante per non finire come il padre ma che non riesce mai a porre in atto i suoi piani.
Geneviève, la sorella di Jacques, con le sue crisi, le sue paure a cui non può trovare conforto nei genitori, che non chiamano nemmeno papà o mamma, che si è aggrappata al fratello, l’unico con cui confidarsi, e alla religione, che vive come fosse una cura. Tante invocazioni a Gesù e alla Madonna, tanti anni di indulgenza plenaria. E poi le visioni, come se fosse una santa, che si porta sulle spalle le colpe degli altri, col dono delle visioni delle cose, prima che accadano.

Ma quello che percepisce è in realtà solo la tensione, odio che si respira in quella casa: un odio e una tensione che sono esplose diciassette anni prima, per un fatto accaduto proprio nell’atelier, d’ora in poi ti proibisco di rivolgermi la parola” (lo scheletro nell’armadio di cui parla Simenon nell’epigrafe).

Ma in realtà quella tensione, quel clima di tensione, come se ci fosse una scintilla sempre accesa per far scoppiare un diverbio, hanno origine nel passato, da quel rapporto intimo tra le due sorelle Lacroix

Mathilde separata da Poldine, non riusciva più a respirare normalmente!
Già all’epoca in cui la cassetta delle lettere so trasformava come per magia in un forno … nei giorni in cui bisticciavano … era quasi sempre colpa di Poldine … dormivano nello stesso letto … e la sera Poldine, di proposito, non dava il bacio della buonanotte alla sorella e si teneva ad una certa distanza da lei sotto le lenzuola…
Aspettava… in certi casi doveva aspettare parecchio, perché anche Mathilde era orgogliosa ...

Un odio che ha bisogno di alimentarsi con nuovi nemici ogni volta, perché non può fermarsi, nonostante la vita continui, fuori da casa Lacroix.
Simenon è abile nel descrivere questo clima, fatto di sospetti di avvelenamento, del continuo rinfacciarsi di colpe del passato, del continuo spiare l’altro, il nemico, mentre parla dall’altra parte della porta, il salire lentamente le scale stando attenti agli scalini che fanno rumore.

Un odio che porta al suicidio, per rancore e al lasciarsi morire d’inedia. Sempre per odio.

C’erano comunque loro due, due Lacroix, e potevano continuare a vivere perché potevano sospettarsi e odiarsi a vicenda, sorridersi a mezza bocca, osservare, camminare in punta di piedi e aprire le porte senza far rumore, sbucando fuori quando il nemico meno se l’aspettava.
«Che stai facendo?»
«Niente…
e tu? … Perché non vieni a mangiare?»
«
Ho già mangiato!» rispondeva Mathilde.
«In piedi? In cucina?»
«
E perché no? ...»
E l’odio diventava più spesso, tanto più vischioso, tanto più pesante, tanto più perfetto quanto più lo spazio si riduceva.

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Adelphi

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