Succederà un paio di volte in un anno al Quai des Orfèvres, e può durare talmente poco che non c'è il tempo di accorgersene: dopo un periodo frenetico durante i quali casi si susseguono senza tregua, magari tre o quattro tutti insieme - al punto che gli uomini si ammazzano di lavoro e gli ispettori a forza di notti in bianco hanno gli occhi rossi e mettono su un'area stranulata -, all'improvviso calma piatta, il vuoto si direbbe, a stento inframmezzato da rare telefonate senza importanza.
L’ufficio
di Maigret, al famoso Quai des
Orfèvres, è in un momento
di calma piatta, dove gli
ispettori possono riposarsi dopo lo stress accumulato nel corso delle
indagini e dove Maigret può oziare al caldo del suo ufficio, dove la
sua storica stufa in ghisa è stata sostituita dal riscaldamento
centralizzato.
Tra
l’altro ha appena ricevuto una telefonata dal dottor Pardon, un
medico di famiglia che l’aveva aiutato in un precedente caso,
sull’esito della visita fatta alla moglie. Non c’è niente di cui
preoccuparsi, ma gli anni passano per tutti e due, è arrivato il
momento delle medicine, delle cure, di quelle che Maigret chiama
“riparazioni”:
L'anno prima era toccato a lui, tre settimane di assoluto riposo. E adesso sua moglie. Significava che piano piano avevano raggiunto l'età dei piccoli acciacchi, delle riparazioni da nulla ma necessarie, un po' come le auto che, tutto a un tratto, hanno bisogno di passare quasi ogni settimana in officina.
In questo momento di relativa calma per la squadra omicidi, nel suo ufficio riceve la visita di un signore: all’inizio Maigret nemmeno riesce a seguire il discorso, anche per il torpore causato dal caldo del suo ufficio ma soprattutto perché il commissario non riesce a capire dove questa persona voglia arrivare. Si tratta di un commesso di un importante negozio per giocattoli, una persona come tante, che confessa a Maigret di avere le prove che la moglie lo stia avvelenando:
«Sono convinto che da parecchi mesi, cinque o sei almeno, abbia intenzione di uccidermi. Ecco, commissario, il motivo per cui sono venuto da lei personalmente. Non ho prove precise, gliene avrei parlato subito, ma posso fornirle tutti gli indizi che ho raccolto. Sono di due tipi. Innanzitutto quelli morali, i più difficili da spiegare, come lei sa, perché in genere si tratta di cose piccole irrilevanti in sé, ma che messe insieme acquistano un senso.
Quante
telefonate strambe arrivano ogni settimana al suo ufficio? E quante
persone strane si è ritrovato davanti alla sua scrivania, nella sua
carriera? Maigret potrebbe anche lasciar perdere quanto il signor
Xavier Marton gli ha raccontato: la scoperta di veleno in un
ripostiglio, addirittura essere andato, di sua volontà, da uno
specialista, per capire se sia pazzo o meno.
Ma, ci sono gli
scrupoli: Maigret non sarebbe Maigret se non fosse un funzionario di
polizia capaci di farsi domande, di porsi dei problemi anche di
coscienza nei confronti delle persone che incontra e che chiedono di
lui.
Così decide di portare avanti una sua indagine, molto
discretamente, senza sollevare troppo polverone, per non creare
problemi al signor Marton e per non avere lui, Maigret, problemi con
la procura (dove i giudici hanno meno scrupoli di lui) e col capo
della polizia giudiziaria
«Lei non ha nessuna responsabilità.»
«Ufficialmente e professionalmente no. Ciò non toglie che se domani o settimana prossima uno dei due, lui o lei, passasse a miglior vita, io penserei che è colpa mia.»
C’è un’altra cosa, che fa ancora accrescere i dubbi su questa storia e a spingerlo a portare avanti questa indagine (senza pezze d’appoggio dei superiori): la visita nel suo ufficio della signora Marton. Tanto il marito ha l’aria così dimessa, tanto la moglie ha invece un’aria più ricercata, non perché vesta dei capi di lusso, è qualcosa che Maigret percepisce nel suo modo di esporre la sua versione dei fatti (sulle paranoie del marito), sulla sua sicurezza apparente
Certo il marito non era brutto e con ogni probabilità si guadagnava da vivere decorosamente. La signora Marton aveva un'altra classe, però. La sua eleganza non aveva nulla di ostentato di volgare e neanche la sua spigliatezza. Già nella sala d'attesa Maigret aveva notato le scarpe di eccellente qualità e lussuosa borsetta.
L’indagine,
che non può essere una vera indagine perché non c’è stato
(ancora) un morto, racconta uno spaccato familiare molto particolare:
marito e moglie che non si parlano, ciascuno preso dalle sue
aspirazioni, realizzate o mancate, ciascuno chiuso nel suo astio. Il
caso del signor Marton, partito con i sospetti di un marito sulla
moglie, si trasforma in un rompicapo, un puzzle dove è difficile
incastrare i pezzi nel verso giusto, solo “che nel suo caso i pezzi
erano esseri umani”.
Chi ha ragione dei due? Il signor Marton
o la moglie? Maigret arriva a consultare alcuni libri per
approfondire il tema delle nevrosi umane, col risultato di ritrovare
tutte le patologie descritte in Marton.
«Sono molto perplesso. È una specie di indagine a rovescio. Di solito prima c'è un delitto e soltanto quando è stato compiuto dobbiamo cercare il movente. Questa volta abbiamo il movente ma il delitto ancora no…»
Possiamo considerare da un certo punto di vista Gli scrupoli di Maigret come un giallo “anomalo”, sia per come si sviluppa la storia ovvero su un delitto che potrebbe essere commesso, per le cautele con cui deve muoversi il commissario, alle prese con un mondo che non conosce (almeno nella teoria dei sacri testi), quello delle nevrosi e delle paranoie.
Ma rimane un romanzo in cui ancora una volta Maigret va a scavare dentro la vita delle persone per trovare la risposta alle sue domande. I perché di un certo odio, delle tensioni. Questo è il suo mestiere, altri si sarebbero occupati di stabilire le colpe e assegnare le pene.
«Chiama la procura, e se Comélieu è tornato avvertilo che sarò da lui tra pochi minuti.»
La sua parte era finita. Il resto riguardava i giudici, e Maigret non li invidiava affatto.
La scheda del libro sul sito dell'editore Adelphi
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