Il lago di Cornino era un’iride, buio al centro e cristallino lungo la riva. Cinto da boschi arrossati dall’autunno, si apriva nella terra come un occhio antico, di bestia primordiale. Vi stava sorgendo un’alba caliginosa, bruma d’ottobre aspra e zuccherina, che portava il sentore di uva lasciata marcire sui tralci e di brace rimestata nelle stufe.
Massimo inspirò a fondo. Se ciò che gli era stato detto al telefono dalla voce di uno sconosciuto era vero, allora quel paradiso fumante era stato l’inferno di qualcuno.
Madre d’ossa segna il culmine di tutta la serie del commissario Teresa Battaglia, poliziotta, profiler, cacciatrice di criminali, scritta da Ilaria Tuti. Una poliziotta capace di leggere l’anima delle persone, di entrare in empatia col male, tanto forte se vista da fuori, quanto fragile dentro. Una donna che si trova a dover combattere contro una malattia che la sta distruggendo, l’Alzheimer. Non solo per la dolorosa condanna del perdere i ricordi del passato, dei casi risolti. Ma anche perché questa malattia la sta rendendo sempre più vulnerabile perché all’improvviso ti cancella la consapevolezza della tua identità: chi sono io, chi è quella persona che mi sta guardando dallo specchio, cosa vogliono queste persone che mi stanno guardando. Chi sono io?
Ora Teresa Battaglia non è più una poliziotta, la sua malattia ha prevalso sulla sua volontà di continuare la vita di prima, assieme ad Alice, la ragazza conosciuta nel corso del racconto Figlia della cenere – una coppia abbastanza singolare, una donna che si ritrova senza memoria e una ragazza che si sta ritrovando senza più la vista.
Ma purtroppo i suoi giorni da commissario, da investigatrice non sono terminati: avvertito da una telefonata anonima, l’ispettore Marino, che con Teresa ha instaurato un rapporto profondo che va oltre la stima professionale, la trova seduta su un masso sul lago di Cornino, mentre tiene in grembo il corpo di un ragazzo morto. Quel che è peggio, Teresa è in uno stato di crisi, non riconosce Marini e, anzi, lo aggredisce.
Teresa non lo riconosceva ed era spaventata: per lei era solo un estraneo che tentava di afferrarla.
Marini non ha dubbi:
non solo aiuta Teresa ad abbandonare quel corpo, giovane e senza
vita. Ma, pur di proteggerla, non si preoccupa di alterare la scena
del crimine, nascondendo il soprabito dell’ex commissaria con
ancora addosso le macchie di sangue. Sangue del ragazzo che sembra si
sia ucciso con un coltello che affiora, poco più in là,
dall’acqua.
Il ragazzo si chiamava Ratchis Evaldi, non aveva nemmeno vent’anni, poche ore prima, attorno all’una del mattino, aveva postato su TikTok un filmato di cinquantotto secondi in cui si congedava dal mondo.
Sembrerebbe
un caso semplice, un suicidio annunciato. Certo ci sarebbe da capire
come sia arrivata e perché sul lago, come e perché conoscesse quel
ragazzo.
Ma non sono solo queste le cosce strane in questa
storia: il ragazzo aveva delle estese scarificazioni sul corpo, per
esempio. Come se fossero segni di un doloroso rito a cui si era
sottoposto. Poi quel coltello, un coltello antico: era un dono
tramandato da padre in figlio, le racconta, quasi con un certo
fastidio, il padre, perché la loro era una famiglia antica, di
origini longobarde, che risalivano fino ad Alboino.
Non ho ucciso quel ragazzo. Ero lì per salvarlo. Doveva essere così, o lei era già all’inferno. Teresa si trovava davanti all’enigma più sfidante della sua carriera: un’indagine su se stessa.
Questa indagine su sé stessa sarà la più difficile, per Teresa Battaglia: non solo perché dovrà dimostrare, anche a sé stessa, di non aver ancora superato quel confine della malattia che le impedirebbe di vivere la sua vita come prima. Ma anche perché quella morte la porta dentro un’indagine collegata ad antichi riti, tra spiritualità e paganesimo. Non c’è solo quel coltello antico, donato da padre in figlio, ci sono antichi monili che Teresa si trova addosso e di cui non ne conosce l’origine. Strane sepolture con “morti inquiete”, un uomo e una donna sepolti assieme e altre tombe di persone affette da acondroplasia, ovvero nani.
«Mi sembra di stare nel triangolo delle Bermuda» disse Massimo. «È tutto concentrato qui, in pochi chilometri di colline e boschi.» «E grotte. E ipogei. Paganesimo e Cristianesimo, fusi, per sempre.»
E, ancora, donne che, generazione dopo generazione, sono condannate a partorire da sole e vedersi poi strappati i figli. Teresa arriverà ad incontrarla, faccia a faccia, questa “madre d’ossa”, una sorta di divinità per cui ci sono persone disposte ad uccidere e a proteggersi l’un l’altro, come una setta. Sarà, per Teresa Battaglia, come affacciarsi sulla porta dei secoli passati, un incontro che farà da paio con quello avvenuto nel corso dell’indagine “Fiori sopra l’inferno” con Andreas:
Teresa aveva già incontrato una creatura simile, non molto tempo prima. Se lei era la Madre, Teresa un giorno aveva definito Andreas il «Padre». Un caso diverso, ma per alcuni tratti fin troppo simile.
Madre
d’ossa è un thriller dove l’indagine forense (portata avanti dal
collega e amico di Teresa Battaglia, il dottor Parri) si allaccia
alla storia passata delle terre di confine del Friuli. Una storia
antica che ha lasciato una profonda impronta sul territorio, ancora
visibile.
Ma è anche il racconto di una donna che lotta per
salvare sé stessa – oltre che questa “madre d’ossa” che
incontrerete alla fine e a cui si sente molto legata, anche per la
sua mancata maternità – con l’aiuto di tutte le persone che le
stanno accanto. Dall’ispettore Marini al fido Parisi, al medico
Parri, la sua famiglia, i suoi figli, non naturali, ma
indissolubilmente legati anche a costo di rimetterci la carriera.
Una storia che parla di madri e di figli, dunque e che è molto intrecciata con episodi e personaggi presi dai precedenti libri con Teresa Battaglia, che vi consiglio di andare a leggere se ancora non l’avete fatto.
La scheda del libro sul sito di Longanesi e il link per scaricare il primo capitolo.
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