Report si occuperà del crollo del Ponte Morandi cinque anni dopo e dell’alluvione in Emilia Romagna oggi: l’Italia che non sa gestire la quotidianità, la manutenzione del territorio o dei ponti, dei viadotti, delle autostrade in concessione a privati.
Poi un servizio sulla memoria che manca in questo paese, quella che a fatica portano avanti i familiari delle vittime della strage di Ustica, infine un servizio sulle scorte delle mascherine che abbiamo comprato, durante l’emergenza
Il crollo del ponte Morandi
Cinque
anni fa, nell’agosto 2019, crollava il ponte Morandi: 43 persone
sono morte per colpa della cattiva manutenzione da parte del privato
che ha gestito quell’autostrada in concessione.
Vi ricordate
ancora i giorni all’indomani del crollo? Da una parte quelli che
gridavano via le concessioni e dall’altra parte quelli che, no,
basta con questo giustizialismo, dobbiamo aspettare i processi..
Ecco, oggi il
processo
ci dice
che erano in tanti a sapere che quel ponte era malato: le
accuse principali mosse
dalla procura di Genova sono
omicidio colposo plurimo, omicidio stradale e crollo doloso, il
principale imputato è Giovanni Castellucci.
Ogni
volta che a processo finiscono uomini legati al potere (politico,
imprenditoriale..) si tira fuori la parola magica, garantismo: basta
processo in piazza, basta con le gogne. E i diritti delle vittime di
questa strage? E le famiglie delle vittime che hanno dovuto aspettare
anni (e ancora ne dovranno aspettare) per avere forse uno spicciolo
di giustizia?
Per il processo hanno montato un tendone dentro il
Tribunale perché non c’erano aule capienti per i 59 imputati, il
principale è Giovanni Castellucci, amministratore delegato di
Autostrade per l’Italia e di Atlantia, la società dei Benetton che
controllava Autostrade. Per l’accusa gli imputati pur sapendo dei
problemi del ponte non avrebbero fatto nulla. A parte incassare i
profitti dai pedaggi.
Danilo
Procaccianti ha cercato di avvicinare l’ex AD Castellucci chiedendo
conto delle accuse che gli sono mosse, l’essere un uomo senza
scrupoli, ma quest’ultimo ha preferito non rispondere.
Il GIP
lo ha definito come un uomo dalla personalità spregiudicata e
incurante del rispetto delle regole, eppure negli anni il suo lavoro
è stato lautamente ricompensato, mediamente 400mila euro al mese.
Report ha scoperto un’amara sorpresa: il massimo del suo stipendio
l’ha raggiunto proprio nell’anno del crollo del ponte, quando
prese più di 5ml di euro.
La scheda del servizio: LA GALLINA DALLE UOVA D’ORO
di Danilo Procaccianti
Collaborazione Andrea Tornago
Sono passati quasi cinque anni dal crollo del Ponte Morandi che ha provocato 43 morti. Da qualche mese si è aperto il processo che vede imputate 59 persone tra cui l'ex amministratore delegato Giovanni Castellucci che si è portato a casa 13 milioni di euro di liquidazione. Poi i Benetton si sono resi conto che forse non era il caso e glieli hanno chiesti indietro. Del processo si parla poco ma stanno emergendo fatti importantissimi: il principale è che tanti, troppi sapevano che quel ponte era ammalorato e non avrebbero fatto nulla. Per la prima volta andranno in onda gli audio originali delle intercettazioni e si ascolterà in tempo reale il racconto di quello che succedeva dalle voci dei protagonisti. Nel frattempo, ci hanno detto che Autostrade è tornata allo Stato. È veramente così?
Cosa è successo in Emilia Romagna
Cosa è successo in Emilia Romagna tra il 16 e il 17 maggio?
In due giorni ha piovuto così tanto e in così poco tempo da portare all’allagamento di intere zone della regione: ma sono solo queste le cause del disastro (ambientale, sociale, industriale) che ci costerà diversi miliardi di euro oppure c’è anche dell’altro, come l’abbandono della manutenzione del territorio?
Sulla zona dell’appennino Romagnolo sono caduti fino a 250mm di pioggia su un territorio ancora fragile a causa della precedente alluvione dei primi di maggio. In 62 anni non aveva mai piovuto così tanto, inondando tutta la pianura romagnola, mentre le strade in collina sono sprofondate sotto l’impeto dell’acqua.
Report è andata sul territorio colpito, come nel comune di Santa Sofia, in provincia di Forlì Cesena: “è una zona che da sempre è fragile, a livello geologico, ma nessuno ricorda qualcosa di simile, sembra un terremoto” – racconta il sindaco, di fronte all’immagine del crollo delle strade, alle fratture dell’asfalto.
Ci
sono zone che hanno tenuto bene – continua il sindaco – sono
quelle dove negli anni si sono fatti degli interventi: in tutta la
Romagna sono state registrate più di 800 frane, ma nella regione se
ne erano registrate, prima dell’alluvione, già 80mi, la. Come gli
smottamenti a Predappio alta, dove la frana ha scavato il terreno
sotto le case: qui gli abitanti puliscono i fossi, fanno manutenzione
come possono, ma qui dalla regione e dagli altri enti non arriva
nessuno.
“Nel passato, coi patti agrari si scrivevano con
grande puntigliosità quelli che erano gli obblighi di manutenzione”
– racconta la geografa Paola Bonora a Report – “perché attorno
ad ogni campo c’erano delle canalette che bloccavano il flusso
dello scorrimento delle acque.”
L’abbandono dell’Appennino spiega in parte cosa sia successo a valle: un’onda di acqua, fango e alberi partita dalle montagne ha investito tutto il territorio perché i torrenti costretti dentro piccoli canali, con poca manutenzione non hanno retto all’urto.
Emblematica la storia raccontata dal coltivatore di kiwi Ivano Gagliani: “se i fiumi sono puliti l’acqua scorre senza problemi” racconta a Luca Chianca mostrando invece la situazione del fiume che costeggia il suo campo ora sommerso dal fango. Ma non c’è stata nessuna operazione di pulizia: dopo l’alluvione di inizio maggio si era accorto che un albero era franato nell’alveo del fiume, così aveva scritto alla regione, chiedendo che fosse rimosso. Ma è arrivata prima la seconda alluvione del 16, così l’acqua è arrivata in massa dal fiume, l’albero ha fatto da diga e ha deviato l’acqua sul campo. Per il coltivatore è una perdita stimata in 250mila euro, perché andrà rifatto tutto l’impianto e tre, quattro anni di mancata produzione.
Quando ha scritto in regione cosa le hanno risposto?
“Hanno risposto a lei? A me non hanno risposto..”
Report
ha sentito poi la versione della regione Emilia Romagna,
intervistando la vice presidente Priolo: “è evidente che in un
evento come questo emerga come la frammentazione normativa non ci
aiuta in questi ambiti qua: la difesa del suo è del ministero
dell’Ambiente, la pianificazione e programmazione dell’Autorità
di Bacino che pianifica e programma il rischio alluvione. Noi
diventiamo l’ente attuatore se però il piano viene finanziato,
capisce che è complicato..”.
Ed è proprio all’Autorità
del bacino del Po, che deve scrivere i progetti per contrastare
questi fenomeni che il governo ha tolto 6ml di euro, prima
dell’alluvione. Eppure è l’ente che ha lo sguardo completo su
tutto il bacino Padano, dal Piemonte al delta in Romagna.
A cosa
servivano i 6 ml tolti? – è stata la domanda fatta ad Alessandro
Bratti, segretario dell’autorità di Bacino del fiume Po - “oltre
che alle spese di consumo dell’energia, anche per dare come
successo nel passato, qualche incarico di progettazione che per noi è
assolutamente importante.”
Tra i progetti da finanziare c’era
anche un progetto indirizzato alle aree colpite dall’alluvione,
note da anni come zone fragili dal punto di vista del dissesto
idrogeologico.
Il progetto, non le opere, arriverà a costare
quasi 2,5-3 ml di euro: sono finanziamenti già presenti sulla parte
straordinaria, spiega il segretario dell’Autorità Bratti, che però
non si possono spendere prima di luglio “se li avessi avuti prima
li avrei spesi dal primo gennaio.”
Insomma, è sempre un tema
di risorse da assegnare sulla base di scelte politiche: soldi che
potevano essere assegnati a progetti per la messa in sicurezza e
trasformazione del territorio che l’uomo ha iniziato qui ben 2000
anni fa, coi romani. Quando le paludi nel corso dei secoli sono
diventate terre coltivabili grazie all’azione dell’uomo.
“La
gestione del territorio, dal dopoguerra ad oggi” continua Bratti “è
stata una gestione improntata sulla massima produttività in
agricoltura e una fortissima urbanizzazione che sicuramente ha dato
ricchezza. Oggi quel tipo di sviluppo lì, in quest’area qua, a
mio parere non regge più.”
In Emilia Romagna dalla fine della guerra ben tre generazioni hanno assistito alla cementificazione del suolo che è passato da 500km quadrati a quasi 2000 km quadrati. Strade, capannoni, case.
Lo racconta l’urbanista Piero Cavalcoli dirigente della pianificazione territoriale della provincia di Bologna “quello che abbiamo prodotto noi, di cui siamo responsabili, è di aver impermeabilizzato tre volte il territorio di quello che era dai tempi dei romani. Questo è un dato spaventoso.”
In provincia di Ravenna il suo consumato tra il 2017 e il 2021 è stato di ben 331 ettari, 83 ettari l’anno, il doppio degli anni precedenti.
Nel comune di Forlì proprio nel 2021 il consumo del suolo si è attestato al 16% più del doppio della media nazionale: Report mostrerà le immagini aeree dell’Ispra dove si vedono interi campi sparire, sepolti dal cemento. Solo nell’ultimo anno l’Emilia Romagna è la terza regione italiana per consumo di suolo.
La scheda del servizio: LA GRANDE MINACCIA
di Luca Chianca
Collaborazione Alessia Marzi
Tra il 16 e il 17 maggio scorso sulla fascia dell'Appennino romagnolo sono caduti fino a 250 mm d'acqua, su un territorio ancora fragile a causa della precedente alluvione dei primi di maggio. In 62 anni, non aveva mai piovuto così tanto da inondare tutta la pianura romagnola. E le strade in collina sono sprofondate sotto l'impeto dell'acqua. A 20 giorni dall'alluvione Report è andata in quelle zone per capire cosa sia realmente successo e cosa ci aspetterà negli anni futuri. Ormai a causa del cambiamento climatico dobbiamo abituarci a vivere queste stagioni, caratterizzate da eventi estremi. Ma i segnali sono sotto i nostri occhi da fin troppo tempo. Lunghi periodi di siccità si alternano a violenti nubifragi. E nel resto del mondo non va meglio. Gli inviati i Report sono andati negli Stati Uniti, seguendo il corso del Colorado River, uno dei fiumi più importanti al mondo. Oggi è sull'orlo del collasso a causa della siccità che lo ha colpito negli ultimi 20 anni e la sua acqua se la stanno contendendo ben sei Stati per continuare a sopravvivere in mezzo a un deserto.
Ustica e il filo della memoria
C’è
un filo che lega assieme il lavoro di Daria Bonfietti, presidente
dell’associazione delle vittime della strage di Ustica,
col lavoro dell’artista francese Boltansky:
è
il filo della memoria, quella delle persone morte nell’abbattimento
di un aereo civile su cieli del Tirreno nel corso di un combattimento
tra aerei militari. La memoria che deve sopravvivere all’oblio, ai
depistaggi di stato, alla cattiva coscienza degli uomini dentro le
istituzioni che avrebbero dovuto garantire la sicurezza di quelle 81
persone morte nella sera del 27 luglio 1980.
Anche Teshima
è
un luogo che ha sofferto e ha una storia da raccontare:
“ricordare di aver sofferto significa ricordare di avercela fatta”,
così le persone vengono su quest’isola a lasciare il loro battito
del cuore o ad ascoltare il battito del cuore di altre persone. Per
mettersi in contatto con l’umano, non con una singola persona.
La scheda del servizio: L’ARCHIVIO DEI BATTITI DEL CUORE
di Alessandro Spinnato
Collaborazione Ai Nagasawa
“L'arte come la verità non si trova in superficie e la si deve cercare sul fondo.” Così Daria Bonfietti, presidente dell’associazione familiari delle vittime di Ustica, chiude il lungo viaggio che da Bologna l’ha portata, insieme agli inviati di Report, a Teshima, una remota isola del Giappone. Durante il racconto si incrociano tre percorsi: il viaggio di Daria Bonfietti con la sua storia personale, la tragedia di Ustica, le bugie di stato e le verità raggiunte; l’opera di Christian Boltansky, artista francese scomparso nel 2021, che della ricerca della memoria ha fatto la sua cifra stilistica e che tra le tante installazioni sparse per il mondo, ha realizzato il Museo per la Memoria di Ustica e un museo a Teshima che raccoglie i battiti del cuore di decine di migliaia di persone provenienti da tutto il mondo; infine la storia di questa isola, per decenni discarica abusiva di rifiuti tossici, oggi sede della più importante triennale d’arte contemporanea giapponese, anche grazie a uno degli uomini più ricchi del Giappone, Soichiro Fukutake, che alle telecamere di Report racconta di una vera e propria folgorazione da cui ha maturato una critica radicale a quel capitalismo che lui stesso ha rappresentato per tanti anni.
Cosa rimane del Covid
E’ quasi beffardo scoprire come, ancora oggi, stiamo pagando le mascherine prodotte dalla FCA, nonostante la produzione sia terminata: a febbraio marzo 2020 non avevamo nulla, nessun protocollo, poche linee guida, nessun dispositivo nelle scorte. E oggi, finita l’emergenza, finita la paura, stiamo stipando il materiale inutilizzato (che abbiamo comprato in emergenza in operazione poi finite sotto l’attenzione della magistratura).
La scheda del servizio: LE SCORIE DEL COVID
di Lorenzo Vendemiale
Collaborazione Carlo Tecce
Il 30 giugno chiude i battenti quella che è stata l’ex struttura commissariale Covid: è una data simbolica, perché segna la fine di un’era. Ma cosa resta dell’emergenza? Migliaia e migliaia di tonnellate di materiale inutilizzato, che oltre al danno dello spreco rischiano di presentarci anche il conto della beffa: Report ha scoperto che lo Stato sta spendendo decine di milioni di euro per conservare tutte le mascherine e gli altri dispositivi avanzati. Tra questi, ci sono anche le mascherine targate Fca, che stiamo continuando a pagare ben oltre la fine della produzione.
Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.
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