27 giugno 2023

L'ora della verità - I-Tigi e il dovere della memoria

ITigi siamo noi, ogni volta che voliamo - si chiudeva con queste parole la rappresentazione teatrale di Marco Paolini su Ustica, l'abbattimento dell'areo della compagnia Itavia IH 870 sui cieli del Tirreno. Tra Ponza e Ustica.

Sono importanti queste parole: anno dopo anno abbiamo rischiato di abbandonare questa tragedia, in cui sono morte 81 persone, all'oblio, di dimenticarcene. Per questo Paoloni nel suo teatro parla di I-Tigi e non di Ustica, per non ridurre questa storia ad una sola questione geografica (come Piazza Fontana, Brescia..).

I Tigi siamo noi, dunque, come le persone salite a bordo dell'areo la sera del 27 giugno 1980 a Bologna e morte nell'esplosione in volo, perché l'aereo finì al centro di una battaglia nei cieli del Tirreno, i cieli che la nostra aeronautica avrebbe dovuto proteggere.

Ogni anno, ad ogni anniversario, escono nuovi scoop, nuove prove sui responsabili della strage che alla fine finiscono nel nulla: questa volta tocca a Giovanardi, portavoce della teoria della bomba fatta esplodere da un commando di palestinesi.

Teoria già confutata per due motivi: il ritardo nella partenza del volo da Bologna e l'aver ritrovata quasi intatta, la tazza del water.

Dunque perché si ritorna a parlare della bomba? Per distogliere l'attenzione dagli scenari di guerra che, secondo la ricostruzione del giudice Priore, hanno portato all'esplosione dell'aereo.

Guardate, dietro la tragedia di Ustica, o dei Tigi, c'è una parte della nostra storia che abbiamo voluto dimenticare: il mondo divisi in blocchi, gli scontri tra USA e la Libia di Gheddafi (quando Carter cercava di rilanciare la sua immagine con operazioni di politica estera), tra la Francia di Giscard e Gheddafi per la storia dei diamanti.

L'Italia era, come sempre, in una posizione politica ambigua, ufficialmente nel blocco occidentale ma anche in buoni rapporti con la Libia del colonnello Gheddafi, secondo l'azzeccata metafora della moglie americana e dell'amante libica.

La storia dei Tigi è una storia di verità che non si possono dire, di nastri radar spariti, di documenti persi: "non abbiamo visto niente dunque non abbiamo niente da dire" questa era la posizione dell'aeronautica, quell'areeo dell'Itavia era esploso da solo, in volo, senza nessun aereo accanto.

Ma non era vero: la verità è arrivata anche grazie al crollo del muro, quando l'Italia ngli anni novanta la posizione dell'Italia era diventata meno strategica nello scontro est-ovest.

Accanto all'aereo di linea c'erano altri aerei, i radar anche quelli della difesa avevano visto aerei che non avrebbero voluto vedere: arei militari che dopo l'esplosione volavano col trasponder spento, arei che "razzolavano" sul mare, ovvero decollavano da una portaerei.

Quelle 81 morti non hanno potuto avere giustizia: la difesa, i servizi, avrebbero dovuto ammettere del fatto che rispondevano più ad interessi sovranazionali, come quelli Nato.

La politica avrebbe raccontare agli italiani che eravamo un paese a sovranità limitata.

Sarebbe ora di raccontarla tutta questa verità (come chiede il presidente Mattarella), di mettere sulla mappa quelle bandierine, una democrazia che vuole essere credibile nei confronti dei cittadini non deve aver paura della verità.

Se posso consigliare un libro, sempre che abbiate voglia di approfondire, sempre che lo troviate ancora, A un passo dalla guerra di Andrea Purgatori, Daria Lucca e Paolo Miggiano: in forma di romanzo, racconta la battaglia nei cieli attraverso lo sguardo del presidente del Consiglio, insediatosi a capo di un governo tecnico a fine luglio del 1980.

Ingenuamente forse, sicuramente con l'obiettivo di fare chiarezza su quanto accaduto e non farsi prendere in giro (dai militari, dall'ambasciatore americano..), cerca di capire cosa è successo quella notte sui nostri cieli.

Il libro dei tre giornalisti fu scritto nel 1995, nei mesi della sentenzia di rinvio a giudizio del giudice Priore: racconta una verità, plausibile, non certa sicuramente, ma il contesto storico è ben raccontato.

In quell'estate del 1980 nel Mediterraneo si è combattuta una battaglia con aerei francesi, americani, libici. In volo c'erano anche aerei italiani (per sorveglianza?) tra cui i due piloti delle frecce tricolori Naldini e Nutarelli, morti in un incidente a Ramsteim.

Quella notte siamo stato ad un passo dalla guerra.

“Prova a immaginare di trovarti sospeso proprio al centro di questa diapositiva. Ecco: da quel punto d’osservazione faremo insieme una discesa verticale e ragionata verso la superficie del mare. In questo caso, il mar Tirreno. Esattamente fino a dove è precipitato il DC9, la sera del 27 giugno. ”

L’Ammiraglio prese una stecca da biliardo che era poggiata al muro. La impugnò, la alzò a mezz’aria in direzione dello schermo, sempre continuando a fissare la diapositiva.

“E a mano a meno che il livello del tuo punto di osservazione tenderà ad abbassarsi, si restringerà anche il campo visivo. Insomma: vedrai meno cose insieme ma più chiaramente. Forse così riusciremo a capire cosa è accaduto quel giorno … ”.

L’Ammiraglio poggiò l’estremità della stecca da biliardo in mezzo al mare tra Ponza e Palermo: lì da qualche parte doveva esserci l’isola di Ustica. Poi si voltò verso il presidente.

“.. e perché siamo stati a un passo dalla guerra”.

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