In questi mesi di pandemia si è cercato di cambiare il senso della parola libertà che, come dovrebbero sapere tutti, finisce dove inizia quella degli altri.
La libertà non è la possibilità di fare quello che si vuole, come andare al ristorante se questo comporta dei rischi per la salute collettiva o fare assembramenti al chiuso.
Le misure di prevenzione contro il virus colpiscono la nostra vita privata nella nostra socialità, nello star assieme, ma sono necessarie se vogliamo bloccare nuove infezioni (e tornare un domani ad una vita “normale”).
Sono altre le libertà riconosciute della Costituzione, quelle libertà che abbiamo strappato al regime fascista con la lotta di liberazione, con la sconfitta del nazifascismo.
La libertà di poter esprimere le proprie opinioni, la libertà di associarsi per un fine comune, la libertà di fronte ai vincoli che impediscono il raggiungimento della nostra crescita come cittadini: il voto per tutti, l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, nessuna discriminazione per genere, etnia, religione.
Da queste libertà discendono tutti i diritti che man mano sono arrivati in questa giovane democrazia: la possibilità per tutti di accedere agli studi a prescindere dal reddito, la possibilità di godere delle cure in un sistema sanitario pubblico, la possibilità di avere un sindacato comune che si contrappone (si il verbo è giusto) ai datori di lavoro.
Queste sono le nostre libertà, non l'arroganza di fare quello che ci pare solo perché io sono io, ho i soldi, ho amicizie influenti, faccio parte di quella cerchia di potere che può vivere al sopra della legge.
Solo perché ho la spilletta del partito fascista al petto o, mutatis mutandis, ho amicizie influenti al governo.
Se in questi anni avessimo protestato per una sanità pubblica che funziona, sul territorio, che non è solo burocrazia, carte inutili e clientelismo, forse il virus avrebbe colpito in modo meno duro. E questo vale sia nella Lombardia leghista (e prima ancora formigoniana) che al sud.
Abbiamo barattato il nostro essere cittadini liberi, tutti con pieni diritti, col diritto fasullo di poter essere consumatori sempre e ovunque: consumo, dunque sono, consumo dunque esisto.
E chi non consuma, chi non produce ricchezza, è considerato rischio ragionato. Non è così che funziona in una democrazia.
Non è per questo che tanti anni fa molti ragazzi, una minoranza nel paese certo, scelsero di non stare a guardare, fecero una scelta di “parte”, partigiana.
La festa della Liberazione, che è una festa della democrazia, non solo di sinistra o di destra (concetti che ancora esistono), è la festa dei nostri diritti di persone libere, consapevoli, con pari opportunità senza distinzioni.
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