Serra, martedì 4 luglio 1899
Sul confine mattutino dell’insonnia che da dieci giorni affligge la stazione dei Carabinieri Reali di Serra, qualcuno fa risuonare i tacchi avanti e indietro per il corridoio senza decidersi a bussare né ad andarsene. Con i nervi ormai scortecciati, Ghibaudo si alza per non uscirne pazzo.
E' stata una piacevole scoperta, questo romanzo di Sara Vallefuoco, un giallo ambientato negli ultimi anni dell'800 che è una storia di sangue e di vendetta, ma anche di quei cambiamenti che covavano nell'aria in quegli anni di transizione.
Transizione nei costumi, nel ruolo della donna nella società, nella mentalità delle persone e perfino nella scienza forense che abbandonava le teorie lombrosiane per avvicinarsi alla moderna tecnica delle impronte.
Mi è piaciuta anche la scelta, quasi spaesante all'inizio, di far entrare il lettore non all'inizio dei fatti, ma un attimo dopo: nel paese di Serra, uno dei tanti nella Sardegna orientale, i carabinieri della locale caserma vengono coinvolti in una operazione per liberare un ostaggio, il signore Michele Mosu.
Operazione dove uno dei carabinieri del gruppo, il brigadiere Marasco, è rimasto ferito, colpito ad una spalla da un brigante nel tentativo di proteggere il collega vicebrigadiere Ghibaudo e ora giace in un letto, in preda ad una febbre che non scende.
Ma questi fatti (e non solo) li apprenderemo man mano nella lettura che comincia con una denuncia ricevuta ai carabinieri della caserma da parte di un furto nella casa di Lianora, la vedova di Mosu.
Non si tratta di un furto e basta: dentro la stalla, accompagnato dal garzone della casa Anania, Ghibaudo trova anche il cadavere di un uomo, accoltellato.
Dio santo, ha gli occhi e la bocca aperti. Nessuno dovrebbe morire con la bocca aperta, pensa Ghibaudo..
Le indagini dei carabinieri non sono facile: questa è una terra dove non si cerca giustizia dallo Stato che qui è rappresentato dagli uomini in divisa, la giustizia arriva dalla vendetta contro chi ha fatto il torto e i fatti e le storie dietro non vanno raccontate ad estranei. Come questi carabinieri che poi arrivano da tutta Italia e fanno fatica a comprendere il dialetto, quel dire senza parlare.
Ghibaudo è piemontese, Marasco arriva dalla Toscana e Sgrelli dalla Sicilia, l'altro brigadiere Moretti da Roma, dove spera di tornare, magari aprendo anche il primo gabinetto della scientifica dentro l'Arma.
Solo il collega Lai è uno del posto, ma non si capisce mai quanto ci si possa fidare.
L'indagine porta i carabinieri a conoscere alcuni poeti al volo, persone che inventano poesie sul momento alle sagre in dialetto sardo. Poeti come lo era il morto, Pittanu, e come lo è Melchiorre, forse il migliore di loro.
«Melchiorre è il migliore. Quando arriva lui la gente si frega le mani, perché sa già cosa farà: lui dirà tutto quello che gli altri non osano dire ai potenti, ai ricchi, ..»
Ma tra i primi sospettati c'è proprio il giovane Anania, suo è il coltello che ha ucciso Pittanu: ma quando anche Anania viene pugnalato, proprio in cella, Ghibaudo e i colleghi capiscono c'è un'unica mano, dietro questi delitti e che per risalire all'assassino bisogna scoprire cosa legava tra loro il ragazzo e i due poeti al volo, Melchiorre e Pittanu.
Un legame che porta ad una vecchia strage, a tanto sangue versato per terra, a delle lettere di minacce con delle strane sbavature come “come scie di cometa ”, ad un signorotto abituato a compiere i suoi soprusi e al desiderio di vendetta di un ragazzo che non poteva essere “balente” come gli altri e che per questo aveva deciso di imparare a leggere.
«La sua vendetta è per Neroinchiostro.»
C'è l'indagine, che si svolge dentro le stanze della caserma e dentro la macchia dei boschi attorno a Serra. Ma c'è anche il dolore che si porta dentro il vicebrigadiere Robespierre Ghibaudo: è un dolore che arriva da lontano, dal suo sentirsi fuori luogo, inadeguato.
Perché prima di tutto Ghibaudo si porta dentro un segreto inconfessabile in quegli anni (e purtroppo anche oggi) e in quel mondo, dell'Arma: l'essere attratto dagli uomini e non dalle donne, come l'amico Ernesto, figlio del conte con cui giocava da bambino o come il collega Marasco con cui ha passato tante serate a giocare a scacchi.
Non è facile, in un mondo profondamente maschilista, non poter esternare i propri sentimenti, non poter reclamare una carezza da un amico, come magari due donne possono fare.
Ma nemmeno per le donne la vita è facile (lo è di più oggi?): ne sa qualcosa Amelia, la figlia del dottor Spano, che accudisce tutte le notti il carabiniere ferito
«Esistono altri progetti, per una donna? Moglie, madre, al limite aiutante di banditi latitanti, non c’è molto altro da queste parti» dice Ghibaudo.
Amelia stringe i denti e indurisce le mascelle. Ha un viso ossuto.
Amelia vuole diventare medico, una delle prime donne medico in Italia (tra queste Maria Montessori), in quell'Italia dove alle donne era negato il voto e una vera emancipazione. Strano rapporto quello tra Ghibaudo e Amelia, così diversi ma così uguali, e più non voglio aggiungere.
Quest'indagine così strana e così difficile, tra poeti che raccontano storie che forse possono dire qualcosa, donne fiere e dure come Lianora, arriverà alla fine, utilizzando per la prima volta forse anche questo nuovo strumento, le impronte. E per la prima volta, anche in questa zona del regno Sabaudo, sarà resa giustizia ai morti, anche se non del tutto innocenti, usando la legge, denunciando fatti alle autorità. A cosa serve, si chiede un popolano di Serra:
«Servirebbe a seminare la giustizia che non sparge sangue, né innocente né colpevole. Se non raccoglieremo i frutti noi, che almeno li raccolgano i nostri figli.»
Buona lettura!
La scheda del libro sul sito di Mondadori
Nessun commento:
Posta un commento