Mi chiamo Renzo Bruni e dirigo la seconda divisione dello SCO, il Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato. Fare il poliziotto era quello che volevo. Il mio lavoro è applicare la legge e cerco di farlo nel migliore dei modi. Non sempre ci riesco, comunque ci provo.
Ho delle storie da raccontare perché ne ho vissute molte. E le ho sofferte tutte.
Renzo Bruni è un poliziotto dello SCO,
il Servizio
Centrale Operativo della Polizia di Stato, dirigente della
Seconda divisione: l'ufficio che si occupa dei delitti comuni più
gravi commessi sul territorio, non legati alla criminalità
organizzata, ma di una certa delicatezza e complessità particolari.
Come per l'appunto i reati contro i
minori, i casi di pedofilia.
Come il caso che aveva seguito due anni
prima a Foggia, il rapimento del piccolo Livio Jarrussi: uscito di
casa per passare la serata da amici e mai più ritrovato.
Dopo settimane di indagini, battendo a
tappeto la provincia, il caso si era raffreddato. Una sconfitta per
il super-poliziotto dello Sco. Un dolore difficilmente comprensibile
per i genitori di Livio.
«Padre, in refettorio c’è una telefonata per voi.» Era Salvatore, uno dei chierichetti.
«Chi mi vuole?»
«Non lo so, è uno che vi conosce. Ha detto così.» Brontolando, l’anziano religioso si rimise in piedi a fatica e uscì dalla cella. Con passo malfermo percorse un corridoio scuro ed entrò nel refettorio, dove c’era nell’aria odore di caffè.
Il chierichetto gli porse la cornetta del telefono poggiato sulla credenza.
«Pronto?»Un’esitazione.
«Padre Leonardo?» Era una voce maschile, parlava sussurrando.
«Sono io. Chi sei tu?»Un’altra esitazione.
«Padre, ho delle notizie su Livio.» Il fragore della pioggia che frustava le finestre quasi copriva le parole. Il monaco aggrottò la fronte.
«Livio chi?» «Livio Jarussi, il bambino di Manfredonia.» Un brivido lungo la schiena.
«Mi stai facendo uno scherzo? Livio è scomparso due anni fa e non è tornato mai più. Sono vecchio, non prendermi in giro. Che cosa vuoi da me?»
«No, non scherzo, padre. C’è bisogno della vostra presenza qui, subito.»
«Guarda che se mi prendi in giro mi arrabbio! Dove ti trovi adesso?»«Siamo alla discarica di Siponto, e Livio è con me. Ve lo giuro.»La discarica di Siponto… Sì, pensò il frate, sapeva come arrivarci. «La conosco. Ma, buon Dio, se è vero che sei con Livio, cosa ci fate lì?» Una pausa.
«Ci ha portati zio Teddy.»
«Chi è zio Teddy?»
«Un mio parente. Ma venite subito, padre, per favore. Zio se n’è andato e ora abbiamo freddo.» Era necessaria una decisione rapida, il resto si sarebbe visto e valutato in un momento successivo. «Va bene, vengo. Come faccio a trovarvi?»
«Ci troverete, padre» disse la voce. «Ci troverete facilmente.» Clic.
Due anni dopo, una telefonata ad un
frate del convento di San Giovanni Rotondo, riapre l'inchiesta: “ci
ha portati zio Teddy”, dice una voce al telefono. Ad una
discarica della provincia.
Trascinandosi con cautela nella terra putrida, il monaco seguì il rumore e vide qualcosa. Piantata nell’immondizia, una croce si stagliava contro le luci giallastre di Siponto.
Anticipando di poco l'arrivo delle
volanti della polizia, Frate Leonardo si trova davanti una tomba, che
copre i poveri resti di Livio. E sopra, una rozza croce ottenuta con
due rametti di legno.
Davanti ai suoi occhi c’erano un paio di jeans e una felpa sulla quale si scorgevano, mezzo cancellate, la scritta TEDDY BEAR e l’immagine dell’orsetto Teddy.
Sono i resti del povero Livio, che il
frate riconosce anche per quella maglietta con sopra la scritta Teddy
Bear E così, anche per la telefonata, l'assassino diventa io Teddy.
Un cold case che si riapre è sempre
una sfida per la polizia: perché il bisogno di dare giustizia ai
genitori è sempre presente.
E anche perché questo assassino, che
scopriamo man mano scorrendo i capitoli del libro, ha bisogno di
uccidere ancora.
In Formicae si racconta la
caccia all'assassino da più punti di vista.
Ci sono gli investigatori (quelli
arrivati da Roma, assieme a Renzo e quelli della Mobile della
Questura di Foggia), che devono entrare nella testa dell'assassino,
tracciarne un profilo, anticiparne le mosse. E anche cercare un
contatto, perché in fondo una buona parte di questi assassini amano
anche veder celebrate le loro gesta.
Hai cercato un contatto.Cosa vuoi dirmi?Una sola cosa era certa: da quella sera c’era un bastardo in più da trovare. E alla svelta.
Il racconto degli investigatori si
alterna al racconto della vita di un ragazzo di Foggia che ricalca
proprio il profilo del serial killer.
L'ossessione religiosa, un rapporto a
volte conflittuale coi genitori, un narcisismo che lo porta sempre a
cercare la perfezione ma anche le paure nel non sentirsi accettato.
L'insoddisfazione nei rapporti sociali, specie quelli con le ragazze
e i coetanei ...
E' lui lo zio Teddy?
Ma in questa zona della Puglia ci sono
anche altri osservatori non imparziali della storia: sono gli
esponenti della famiglie mafiose, divise in tre grandi gruppi
provinciali che, per aumentare la loro forza, potrebbero federarsi
come le famiglie della mafia siciliana, in una struttura
verticistica.
Ed allora la polizia, l'esercito che è
stato mandato dal ministero per controllare le strade (e rispondere
alle paure della gente per questo assassino che compirà altri
delitti), danno solo fastidio ai loro traffici.
«Come sai, in questo territorio abbiamo tre distinte organizzazioni criminali. I Cerignolani, la mafia del Gargano e la Società Foggiana.[..]la Società, i Montanari e i Cerignolani hanno scoperto che l’unione fa la forza, quindi stanno pensando di stringere un patto [..] se questo accadesse davvero, la criminalità organizzata di questa cazzo di provincia potrebbe diventare una nuova ’Ndrangheta, ..»
Sono due dei protagonisti del libro a
parlare: il poliziotto Renzo Bruni e il giornalista (che forse non è
nemmeno un giornalista) Clement
«Le batterie non tollerano che sul proprio territorio ci sia qualcuno che ammazza i bambini. ..»
Allora, per togliere di mezzo tutta
questa polizia, tutto questo esercito, tutto questo controllo del
territorio, sarebbero anche disposte a trovare loro un colpevole da
dare in pasto all'opinione pubblica..
Un colpevole che abbia le
caratteristiche perfette per soddisfare la morbosità degli
spettatori dei talk, che si sono buttati a pesce sui morti di Foggia.
Per soddisfare le speculazioni
politiche di quanti iniziano a puntare il dito contro questi
immigrati, magari un nordafricano che è pure legato all'Isis.
E c'è anche qualcuno che arriverà
costruirlo questo “mostro” da sbattere in prima pagina, immigrato
e con la pelle scura “per liberare dal sospetto gli abitanti della
zona”.
Il gruppo guidato da Renzo Bruni dovrà
vedersela con più di un nemico allora: non solo l'assassino, che
comincia a mandare biglietti a Bruni, con dentro degli enigmi, nel
tentativo di farsi catturare.
«In un primo invio scrive “Bruxelles e Berlino”. In un secondo invio passa a “Glasgow e Grosseto”. Seguono “laurea, pillole, Vaticano” nel terzo. E oggi, nel quarto, “turno, camerino, corso”.
Ma anche dalle batterie delle famiglie
mafiose che, per far sloggiare la polizia, cominciano ad ammazzare
tutti i sospettati, sostituendosi alla legge.
Dalla pressione che verrà montata da
una certa politica, fomentata dai talk televisivi: quelli dove si
trova un politico di destra, uno di sinistra, un criminologo da
salotto e una soubrette da bella presenza: “il consueto contorno
salottiero di sacerdoti, magistrati, psichiatri, politici e
frequentatrici dei letti di personaggi più o meno potenti”.
Tutta gente abituata a pontificare su
indagini in corso, a criticare l'operato di magistrati e forze
dell'ordine, la loro inerzia, la gente lasciata sola, il tutto senza
aver letto nemmeno un rigo delle carte delle indagini.
“Sorrido amaramente, come faccio di solito quando assisto a talk show di taglio cronachistico-investigativo in cui si pretende di individuare i colpevoli di delitti efferati con quattro chiacchiere da salotto,..”.
Formicae non è il solito romanzo
costruito sui soliti soliti cliché: il mostro, la violenza, una
psicologia spicciola, il poliziotto bello e dannato. Dentro il
racconto ho trovato dentro uno specchio della nostra società,
impaurita da quello che ci viene raccontato dalla TV. La fragilità
di un sistema giudiziario che troppo spesso non riesce a lavorare con
la dovuta serenità. L'ossessione dei talk da una parte e il
desiderio dei cinque minuti di celebrità per tanti divi della
televisione.
L'autore, che non a caso è un
poliziotto anche lui, Questore a Foggia, si sofferma sul ruolo
centrale delle mafie e sul loro controllo del territorio e sul loro
controllo dei politici locali usati per portare avanti le loro
istanze. Usati e scaricati alla bisogna.
E, infine, c'è il difficile lavoro
dell'investigatore che deve essere capace di seguire tutte le piste,
senza pregiudizi. Che deve essere capace di resistere a tutte le
pressioni, anche a costo di sacrificare qualcosa della sua vita.
E, in questa inchiesta, lo zio Teddy
arriverà quasi a toccare la vita di Renzo Bruni, in una sfida che si
risolverà, tra bene e male, andando a scendere a patti proprio col
male.
Il male che origina da anni di
sofferenze e di torture (le Formicae che danno il titolo alla storia)
anche psicologiche.
Male che è dentro la città,
raccontata anche nei suoi aspetti oscuri da un poliziotto che la
conosce bene e che in questi giorni sta seguendo
l'inchiesta sull'incendio al ghetto di Rignano e gli spari contro
le auto della polizia:
[Foggia] È una città dove trovi, fianco a fianco, una borghesia colta e onesti contadini che un tempo chiamavano “terrazzani”, lavoratori della terra.Ed è una città sfregiata da rapinatori, ladri, scippatori. Mafiosi. Qui le notti sono scosse dai boati degli ordigni che esplodono davanti ai negozi di chi non paga il pizzo. E nessuno nel Paese ne sa niente. I giornali tacciono.Perché Foggia è padre Pio, è il Gargano.Deve essere questo. Nient’altro.Delle decine di omicidi commessi negli ultimi anni, nessuno sa niente al di fuori dei confini della Daunia. Né si sa niente degli uomini uccisi per non essersi piegati alle intimidazioni mafiose. Perché qui non c’è un padrino che parla di “offerte che non si possono rifiutare”, non ci sono boss casalesi o reggini o palermitani che, con la coppola in testa, affiliano nuovi picciotti con rituali mistici. I boss foggiani usano solo il kalashnikov e la Skorpion.Gargano, Foggia, Cerignola, San Severo. Spiagge straordinarie, ristoranti tipici, turisti, chiese antiche, pizzerie, centri storici pittoreschi. E, secondo le stime della Procura Nazionale Antimafia, ventisei clan e novecento affiliati che tengono sotto sequestro questo enorme patrimonio
Il Book trailer
La scheda del libro sul sito
dell'editore SEM (gli estratti dal libro sono presi da qui)
Il blog dell'autore, il questore di
Foggia
Piernicola Silvis.
Nessun commento:
Posta un commento