Esce sulla collana Paper First il libro di Furio Colombo sul presidente americano Donald Trump, "Trump power": il Fatto Quotidiano di oggi ne ha pubblicato un estratto:
“L’uomo nero” post-Obama e l’arroganza della ricchezza
Il falso profeta miliardario ha illuso una parte degli americani che aspetteranno invano che il loro leader li salvi dalla globalizzazione che invece gli dà forza
C’è un’America dentro l’America, come qualcuno abbracciato a se stesso, scosso da un brivido di stupore, scivolato sull’orlo di un rischio mortale. D’ora in poi ogni mossa è quella sbagliata. La ragione è che gli Usa sono stati guidati per due mandati da un presidente che ha portato il Paese a un punto di benessere. Per chiunque altro sarebbe un grandioso successo mai raggiunto in decenni. Però Obama, non mi stanco di ripeterlo, è nero. E la storia deve ricominciare da qui.
Qui il miracolo americano rischia di frantumarsi. Il vanto di storie diverse, tradizioni sconnesse e connesse, culture che prima si contrappongono ma poi si sciolgono l’una nell’altra, tutto ciò, ovvero “il sogno americano”, è travolto da una scossa violenta: subire ciò che il capitalismo esige, accantonare senza spese la parte a basso reddito della società; accettare i comandamenti del razzismo benché siano oltraggiosi persino per chi li esegue. Questa è la storia americana in uno dei suoi momenti più oscuri. Infatti, non è vero che il Paese si è spezzato e ci sono due Americhe. Questa è l’illusione degli stralunati vincitori del Wisconsin, che credono di avere trovato qualcuno che li porterà fuori dal labirinto. Ed è l’illusione dei ragazzi e delle donne che gridano per le strade di New York, di Boston, di San Francisco, di Chicago: “Trump non è il nostro presidente”. Lo è, invece, benché sia incredibile.
I temporanei ribelli hanno imparato a scuola una cosa vera, che vale per tutte le istituzioni americane: la presidenza è una istituzione forte che Trump non riuscirà neppure a scalfire. Ma può imparare a usarla, e a rendersi conto che questa ha un grande potere. Perciò, in mani come quelle di Trump, può fare molto male. E, in seguito, l’uso spietato si potrà sempre cambiare, in altre mani, e scrivere una nuova storia. Ma adesso siamo qui, al peggio. Ci sarà una deformazione forte nel potere, non nella istituzione, ma dalla parte dei cittadini che diventano sudditi. La grande ricchezza intimidisce, induce al gioco mentale di abbellire il paesaggio, di diventare tolleranti, poi comprensivi, poi favorevoli ai cambiamenti del capo e alle sue intolleranze. Si forma cioè, in un Paese in cui la ricchezza aggiunge la sua intimidazione (un vero e proprio cambiamento dell’aria che si respira) alla forza naturale e costituzionale delle istituzioni, un umore di legge e ordine con tolleranze sempre minori, e una nuova esigenza di “disciplina” finora estranea al Paese, estranea a tutto ciò che è e che era l’America.
Gli choc che un’intera nazione non ha mai subito prima sono i più gravi, insieme allo stupore. L’11 settembre, l’attentato che ha abbattuto le Torri Gemelle, ha scosso interiormente gli Stati Uniti in modo più violento del violentissimo evento. Perché l’America non ha mai avuto l’esperienza di Londra, Dresda, Cassino. E adesso c’è chi scende stordito per le strade nel tentativo di dichiararsi estraneo a Trump, che ormai ha vinto, non avendo mai subìto una presa violenta del potere, che lì è stata realizzata con una fitta produzione di storie false, l’intervento, misterioso e inspiegato, dell’Fbi, l’accusa al presidente nero di avere falsificato persino il suo atto di nascita.
Atti deliberati sono stati compiuti per dimostrare che l’intero patto del potere con i diritti dei cittadini era stato infranto, quando l’allora candidato alla presidenza ha fatto la parodia di un disabile, e quando ha irriso un eroe di guerra, il capitano Kahn, e la sua famiglia, professionisti americani dichiarati indegni di medaglie (nel caso, la più alta onorificenza militare americana) a causa del loro credo islamico.
Il nuovo presidente che ora si sforza di lasciar trapelare concessioni gentili ha comunque liberato i cani di tre paurose forze che si potranno sempre negare ma non richiamare: la riabilitazione e il ritorno in servizio delle molte organizzazioni del “suprematismo” bianco, compreso il Ku Klux Klan (che ha bruciato croci e festeggiato il nuovo presidente il 3 dicembre scorso); il disprezzo per le minoranze, espresso soprattutto dal divieto di accettare gli immigrati; e la repulsione, come sempre, del presidente nero, che iniziò il suo mandato senza una guerra e senza mandare soldati a morire. La sua sconfitta dovrà apparire una cacciata di popolo.
Come vedete, conta poco in questa storia il curriculum “negativo” di Hillary Clinton. E i lavoratori senza lavoro del Wisconsin, e i minatori senza miniere di carbone dell’Appalachia, che hanno votato il falso profeta miliardario aspetteranno a lungo che qualcuno li porti fuori dalla globalizzazione che li ha spossessati, con la collaborazione delle grandi ricchezze dei Trump del mondo.
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