La mamma di Ilaria Alpi non ce l'ha fatta ad aspettare.
Sono passati 23 anni da quel 20 marzo 1994, quando a Mogadiscio sua figlia Ilaria fu uccisa, assieme al suo operatore Miran Hrovatin, per una rapina finita male.
Almeno questo è quello che fin'ora è emerso dalla relazione di maggioranza della Commissione di inchiesta.
In 23 anni c'è stato un processo con un super teste (Gelle) poi sparito nel nulla, un somalo (Hashi Omar Hassan) condannato e poi assolto (perché il testimone chiave fu pagato), una commissione di inchiesta che non è riuscita pure ad offendere la memoria delle due vittime (il presidente Taormina concluse che erano lì in vacanza).
Ma ci sono state anche piste non seguite, depistaggi e, come in tanti misteri italiani, ci sono pezzi del puzzle che mancano.
Nel viaggio di ritorno verso casa (dopo che sui corpi non fu fatta alcuna autopsia) scompaiono alcuni taccuini di Ilaria e alcune cassette di Miran.
Sparisce anche il rapporto medico degli americani e le foto dei corpi sulla Garibaldi.
L'analisi dei colpi sul pick up Toyota non ha aiutato a chiarire la dinamica dell'agguato, cioè se gli spari sono partiti da lontano o se da vicino (il che convaliderebbe la pista dell'agguato).
Quello che sappiamo è il fuoristrada su cui viaggiano i giornalisti del Tg3 Ilaria Alpi e Miran Hrovatin viene bloccato da un gruppo di uomini armati, segue un breve conflitto a fuoco: la scorta ne esce illesa ma Ilaria e Miran vengono ritrovati poco dopo morti con un colpo in testa. Il primo a giungere sul posto è Giancarlo Marocchino. Un imprenditore italiano coinvolto in traffici illeciti di rifiuti verso l'Africa (progetto Urano è il nome dell'accordo firmato nel 1992). Secondo l'avvocato Taormina sarebbe pure un informatore del Sismi.
Ilaria stava indagando sul traffico di rifiuti tramite le navi della Shifco e sul lato oscuro dei progetti di cooperazione Italia-Somalia.
Sui rifiuti interrati lungo la strada Garowe Bosaso: forse, per approfondire questo punto aveva anche cercato un contatto con il maresciallo Li Causi (Gladio, in servizio al centro Scorpione di Trapani), e qualcuno l'aveva mandata sulla pista di Gardo e di Bosaso.
Al suo caporedattore aveva promesso un servizio con “qualcosa di grosso, roba che scotta”. Non erano in vacanza dunque, come vorrebbe farci credere Taormina e la sua relazione di maggioranza (di centro destra).
La settimana dopo ci sarebbero state le elezioni: cosa avrebbe potuto provocare il suo servizio, un terremoto elettorale?
Ilaria Alpi aveva annotato sul suo diario queste parole:
“E' la storia della mia vita, devo concludere, voglio mettere la parola fine .. 1400 miliardi di lire: dov'è finita questa impressionante mole di denaro?”
Miliardi di lire finiti nel buco nero della cooperazione tra Italia e Somalia spariti.
Traffico di rifiuti e di armi verso l'Africa, mascherati da aiuti per lo sviluppo, in cui erano coinvolti anche i nostri servizi.
Persone come il maresciallo Li Causi, del centro Gladio Scorpione, in Sicilia. Quello su cui il giornalista Mauro Rostagno (sospettando un traffico d'armi).
Se Luciana Alpi ha detto basta, nostro dovere è continuare, con ostinazione, a voler cercare una verità che sia credibile e che non offenda la memoria di questi due giornalisti diventati eroi loro malgrado.
Non perché sono morti, come hanno detto in tanti sciacalli.
Ma perché hanno fatto il loro mestiere di giornalista.
Alcune letture sul caso Alpi
- 1994 di Luigi Grimaldi , Luciano Scalettari
- Blu notte – Ilaria Alpi e Miran Hrovatin
- Passione Reporter di Daniele Biacchessi
- Il filo dei giorni: 1991-1995 la resa dei conti – di Maurizio Torrealta
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